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Lotta politica rivoluzionaria e lotte rivendicative


Il movimento comunista sta riorganizzandosi in ogni angolo del mondo. La rinascita del movimento comunista si concretizza in ogni paese nella costrizione di partiti comunisti all’altezza dei compiti posti dal progredire della seconda crisi generale del capitalismo, cioè di partiti marxisti-leninisti-maoisti e nel rafforzamento di essi dove già esistono. Già fin dal Manifesto del partito comunista (1848) Marx ed Engels hanno insegnato che il modo specifico dei comunisti nel movimento proletario è “conoscere le condizioni, l’andamento e i risultati generali del movimento proletario”, condizione necessaria per “essere la sua parte più risoluta, quella che sempre spinge avanti”. La definizione del programma è quindi un aspetto essenziale della costituzione di ogni partito comunista. È l’asse per la raccolta e la selezione dei membri del partito e per la formazione dei candidati.

Nella definizione del programma, si ripropongono ai costruttori di ogni partito comunista anche problemi già risolti, almeno in larga misura, dal vecchio movimento comunista, quello che ha condotto la prima ondata della rivoluzione proletaria. Il lungo periodo di predominio dei revisionisti moderni, la corruzione e demoralizzazione che questi hanno introdotto nel movimento comunista, l’arretramento a cui lo hanno indotto, fanno sì che anche quei problemi già risolti si pongano oggi nuovamente come “problemi”. È quindi necessario tornarci sopra. Ciò offre anche l’occasione per aggiornarli dove serve, tenendo conto delle trasformazioni della società e degli insegnamenti della prima ondata della rivoluzione proletaria.

Uno di questi problemi è la relazione tra la lotta rivoluzionaria (la lotta per instaurare il socialismo) e le lotte rivendicative degli operai e delle masse popolari (le lotte per costringere la borghesia a fare questo o quello, in contrasto con i suoi interessi o immediati o particolari).

La lotta politica rivoluzionaria è condotta dai comunisti e dagli operai per conquistare il potere, eliminare lo Stato della borghesia imperialista e instaurare un nuovo e speciale tipo di Stato, la dittatura del proletariato. Questa lotta ha distinto fin dal suo inizio il marxismo dalle correnti socialiste utopiste e in particolare dai seguaci di Proudhon (1809-1865) da cui poi sono derivati gli anarchici e gli anarco-sindacalisti. Secondo i marxisti la classe operaia può realizzare pienamente le sue aspirazioni e la sua emancipazione come classe (porre fine alla condizione di soggezione degli operai ai capitalisti, fare quella che si chiama anche “rivoluzione sociale”), ma per questo deve dapprima diventare essa stessa classe dirigente del resto delle masse popolari (fare cioè una rivoluzione politica - instaurare il socialismo) e sulla base della rivoluzione politica mobilitare e guidare tutte le altre classi popolari a porre fine non solo al capitalismo, ma anche alla divisione della società in classi e allo Stato che è un derivato della divisione in classi, cioè a realizzare una società comunista.

Battuta nella sua forma aperta di “rifiuto della lotta politica”, l’utopia di una “rivoluzione sociale” senza prima una rivoluzione politica, della creazione di una società senza divisione e oppressione di classe senza una fase in cui la classe operaia esercita la direzione politica, è risorta sul terreno della combinazione della lotta politica e delle lotte rivendicative. Essa in un modo o nell’altro confonde in una sola lotta le due lotte che il marxismo ha ben distinto in linea di principio per combinarle nella pratica nel modo giusto, cioè in modo che le lotte rivendicative servissero allo sviluppo e alla vittoria della lotta politica rivoluzionaria. E i comunisti l’hanno ovviamente combattuta anche su questo terreno.

Il testo classico che attacca e smaschera la menomazione della lotta politica rivoluzionaria realizzata enfatizzando i risultati e il ruolo delle lotte rivendicative è il Che fare? scritto da Lenin nel 1902. Le concezioni che in un modo o nell’altro sostengono questa menomazione vengono da Lenin riunite sotto l’unica denominazione di economicismo. Nei cap. 7 e 9 del suo scritto del 1915 Il fallimento della II Internazionale Lenin ha poi mostrato anche il filo che ha in successione legato l’economicismo prima con l’opportunismo (concezioni e politiche che sacrificano gli interessi fondamentali delle masse agli interessi di alcuni gruppi o di una minoranza di operai o, in altri termini, all’alleanza di una parte di operai con la borghesia contro la massa del proletariato) e poi con il socialsciovinismo (collaborazione dei socialisti dei paesi imperialisti con i gruppi imperialisti del proprio paese contro la massa dei lavoratori e contro i popoli dei paesi oppressi).

Il legame dell’economicismo con la borghesia è chiaro sia dal punto di vista ideologico che dal punto di vista politico. La borghesia vuole che l’operaio sia docile e flessibile per estrarre dal suo lavoro il massimo di plusvalore. Ma se proprio non lo è, il massimo che arriva a concepire come legittimo da parte dell’operaio è che “cerchi anche lui di stare meglio” e contratti il prezzo e le condizioni della vendita della sua specifica merce: la forza-lavoro. Essa cerca di impedire che gli operai vadano oltre un rapporto anche conflittuale, ma contrattuale, che si limiti alla contrattazione delle condizioni a cui gli operai vendono la loro forza-lavoro e quindi mantenga ed educhi l’operaio a non andare oltre l’orizzonte dell’ordinamento sociale borghese, gli impedisca di concepire che è possibile un ordinamento sociale che sorpassi quello borghese e che la sua classe ha bisogno proprio di questo nuovo e superiore ordinamento sociale. Da quando ha dovuto prendere atto che nella società moderna non può evitare che gli operai si organizzino e contrattino collettivamente la vendita della loro forza-lavoro, la borghesia o direttamente o tramite la polizia e le chiese si è messa a organizzare sindacati e associazioni operaie che si contrappongono a quelle socialiste prima e comuniste poi proprio perché limitano l’orizzonte dei propri iscritti alle rivendicazioni e cercano in ogni modo di impedire che le lotte rivendicative servano come “scuola di comunismo”. Nel nostro paese l’intervento diretto della borghesia in questo campo è stato ed è svolto principalmente dal Vaticano e dalla Chiesa Cattolica, a partire dal papato di Leone XIII (1878-1903) in qua: Azione Cattolica, ACLI, CISL, Gioventù Lavoratrice, Comunione e Liberazione. ecc. I socialisti riformisti prima e poi i revisionisti moderni hanno anch’essi costantemente cercato di imporre una concezione e un’impostazione economiciste nella CGIL e nelle altre organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle masse popolari, mentre parallelamente riducevano il campo d’azione del partito alla lotta parlamentare e alle pressioni (lobbying, campagne per manipolare l’opinione pubblica, manifestazioni di piazza, ecc.) per fare adottare dal governo questa o quella riforma o “riforma di struttura”. Cappellani e revisionisti hanno sempre difeso e difendono questa loro opera di contenimento, ottundimento e abbrutimento dei lavoratori gridando che “bisogna essere concreti”, che “ai lavoratori interessano solo risultati concreti”, ecc. Con i risultati concreti che abbiamo sotto il naso! Sotto la direzione del movimento comunista i lavoratori hanno strappato alla borghesia grandi e universali conquiste di civiltà e di benessere. Sotto la direzione di cappellani e chierichetti (D’Antoni, Pezzotta, ecc.) e di revisionisti i lavoratori stanno perdendo una dopo l’altra persino le conquiste che avevano già strappato. Stanno “restituendo alla borghesia una parte delle conquiste che avevano strappato”, secondo l’indicazione di Giorgio Benven(d)uto (ex segretario nazionale della UIL, per i giovani che non si ricordano di questo figuro).

D’altra parte le lotte rivendicative contro i padroni singoli o associati (sindacali) e contro i loro governi e il loro Stato (politiche) sono una forma spontanea di difesa e di affermazione del proletariato. Le lotte rivendicative sono una necessita di sopravvivenza per la classe operaia e per le masse popolari. Contemporaneamente sono uno strumento importante per svegliare alcuni strati arretrati e per costituirsi come classe di fronte alla borghesia e anche di fronte alle altre classi popolari. Sono anche uno dei mezzi per mobilitare la classe operaia e le masse popolari ai fini della lotta politica rivoluzionaria. Noi comunisti dobbiamo e possiamo promuoverle e usarle sempre e in ogni caso anche come scuola di comunismo.

Abbiamo quindi

- da una parte la lotta politica rivoluzionaria: quella che mira a instaurare il socialismo, a fare del nostro paese un paese socialista. Il suo obiettivo è il programma politico immediato del partito comunista (le “Dieci misure immediate”). Noi dobbiamo educare fin da oggi quanti aspirano a diventare comunisti a questo programma in modo da edificare un partito comunista che ha quella lotta come sua bandiera e suo programma;

- dall’altra parte le lotte rivendicative per obbligare o singoli padroni, o il loro governo e il loro Stato a fare quello che per i loro interessi immediati e particolari non farebbero. Sono 1. le lotte per difendere ognuna delle conquiste di civiltà e di benessere strappate da questa o quella parte delle masse popolari durante la prima ondata della rivoluzione proletaria sotto la direzione dei comunisti e 2. le lotte per migliorare le condizioni di vita e di lavoro di questa o quella parte delle masse popolari.

Noi comunisti dobbiamo 1. mantenere ferma la netta distinzione di principio tra la lotta politica rivoluzionaria e le lotte rivendicative (sindacali o politiche) e 2. combinarle nel modo giusto sopra indicato. Chi non si attiene fermamente a entrambe queste linee, 1. danneggia la lotta rivoluzionaria: volendo basarla sulle lotte rivendicative, non sviluppa né l’eroismo delle masse né l’egemonia della classe operaia e dei suoi elementi d’avanguardia, 2. non sviluppa su larga scala le lotte rivendicative: volendo fare lotte rivendicative “rivoluzionarie”, isola i lavoratori rivoluzionari dalla massa e lascia campo libero all’azione della borghesia e dei suoi agenti tra le masse popolari.

Dobbiamo però distinguere accuratamente le varie gradazioni di economicismo.

A un estremo vi è chi adotta la posizione favorevole alla borghesia e direttamente o indirettamente sostenuta dalla borghesia, cioè la posizione che identifica la lotta politica degli operai con le loro lotte rivendicative e riduce il compito dei comunisti a quello di promotori e organizzatori delle lotte rivendicative. Poi chi indica le lotte rivendicative come mezzo unico o principale con cui i comunisti possono legarsi agli operai e mobilitarli. Poi chi concepisce essere il compito del partito comunista quello di “politicizzare la lotta rivendicativa” o di “trasformare le lotte rivendicative in lotta politica”. Infine chi concepisce la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo come risultato dell’ampliamento della partecipazione delle masse alle lotte rivendicative (“generalizzare le lotte rivendicative”) o come risultato di lotte rivendicative che si pongono obiettivi sempre più elevati e “incompatibili” con gli interessi della borghesia (“estremizzare i contenuti”) o come risultato dell’impiego nelle lotte rivendicative di forme di lotta più combattive e vietate alle masse popolari dalle leggi della borghesia (“radicalizzare le forme di lotta”) o come combinazione di questi ultimi tre fattori.

Queste credo sono tutte le varie gradazioni, sfumature e formulazioni in cui l’economicismo si è presentato e si presenta sulla piazza. Le lotte rivendicative ci sono in ogni paese capitalista e l’idea di promuoverle, renderle più combattive e allargare la partecipazione è la prima idea che viene. Scivolare su posizioni economiciste viene facile. Ma dalle lotte rivendicative alla lotta politica rivoluzionaria c’è un salto di qualità.

A tutte le formulazioni degli economicisti circa il ruolo delle lotte rivendicative, noi comunisti opponiamo 1. la linea di “educare e mobilitare gli operai e il resto delle masse popolari alla lotta politica rivoluzionaria” e 2. la linea di “Fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo”. Sono due parole d’ordine che riassumono la nostra linea e la nostra concezione e ci guidano nella nostra attività.(1)

Nello sforzo di definire una via alla conquista del potere (all’instaurazione del socialismo) nei paesi imperialisti, alcune organizzazioni comuniste definiscono invece il rapporto tra lotte rivendicative e lotta politica rivoluzionaria come “trasformare le lotte rivendicative in lotta politica per conquistare il potere”, cioè ancorano l’opera dei comunisti a una concezione economicista. Si tratta in generale del risultato di una sottovalutazione del ruolo della lotta politica e degli effetti sulle varie classi sociali della crisi politica e della crisi culturale che investono la società nell’ambito della crisi generale del capitalismo. Esse concepiscono una rivoluzione al di fuori di una situazione rivoluzionaria: concezione che già Lenin indicò essere estranea al marxismo.

Vediamo alcuni casi concreti di ancoraggi di questo genere.

1. Nel Supplemento (maggio 01) al n 7 di La Voce abbiamo pubblicato l’articolo di Umberto C. che illustrava e criticava le Tesi Programmatiche pubblicate da Rossoperaio nel gennaio 2001.(2) Secondo queste tesi, la lotta sindacale è l’unica lotta “concreta” e il compito del partito comunista consiste nello “esplicitare la politica all’interno delle lotte sindacali” dato che “in ogni lotta concreta ci sono elementi politici”, nel “trasformare la lotta sindacale in lotta politica”, ecc. Cioè la lotta sindacale è la base della lotta politica. La lotta politica si sviluppa (per opera del partito) dalla lotta sindacale. In breve una delle varianti dell’economicismo. Non a caso, quando richiamano la critica di Lenin all’economicismo, le tesi di RO omettono di ricordare proprio quella variante dell’economicismo che consiste 1. nel sostenere che “la lotta sindacale è sempre (necessariamente) per il partito la premessa per la lotta politica” e che “la lotta sindacale è il mezzo più largamente applicabile dal partito per attirare le masse alla lotta politica” e 2. nel sintetizzare il compito del partito nelle lotte sindacali come “dare alla stessa lotta economica un carattere politico” e “trasformare le lotte sindacali in lotte politiche”.

2. La rivista Teoria & Prassi (nuova serie, organo della unione del Circolo Lenin di Catania, della redazione di Scintilla di Roma e della redazione di Politica comunista di Firenze) è la rivista di compagni che si dicono “leninisti al cento per cento” al punto da non riuscire a fare un passo avanti rispetto a quello che Lenin ha detto 100 anni fa (prima della prima ondata della rivoluzione proletaria, della costituzione dei primi paesi socialisti e della decadenza del movimento comunista nella seconda meta del secolo XX). Ebbene a pag. 18 del loro n. 7 proclamano: “È solo trasformando la lotta rivendicativa in lotta rivoluzionaria, all’interno di una visione coerente del potere operaio, ...”. Con il che purtroppo ruzzolano molti passi indietro rispetto a quanto Lenin aveva già chiaramente detto e inflessibilmente praticato 100 anni fa. A conferma che chi non vuole avanzare, in generale ruzzola indietro.

3. Se guardiamo all’estero, non mancano scivoloni analoghi su posizioni economiciste anche da parte di organizzazioni comuniste importanti. Ad esempio, nello scritto di Stefan Engel, presidente del Partito Marxista-Leninista di Germania (MLPD), Il ruolo determinante del modo di pensare nella lotta classe, nella costruzione del partito e nell’edificazione socialista, pubblicato sul n. 33 della rivista Rapporti Sociali (aprile 2003) si dice (pag. 29): “Il fulcro della tattica rivoluzionaria del MLPD consiste nel legare la lotta economica con la lotta politica trasformando la lotta economica in lotta politica e nell’orientare la lotta delle classi verso l’obiettivo socialista”. Un’affermazione che non è solo un modo di dire perché è ripresa dal Programma approvato dal VI congresso del MLPD nel 1999.

Ovviamente questi ancoraggi alle sponde economiciste non sono una risposta giusta alla questione che i compagni giustamente si erano posti di definire la loro linea rivoluzionaria. Si tratta infatti di formulazioni che, se sono prese sul serio, cioè se non sono semplici modi di dire, esprimono una concezione ancora economicista della lotta della classe operaia. Infatti la posizione economicista consiste sostanzialmente nel negare o cancellare la distinzione di qualità, di sostanza tra lotta politica rivoluzionaria e lotta rivendicativa (sindacale o politica) e quindi nello sminuire la lotta politica rivoluzionaria. Gli economicisti in un modo o nell’altro concepiscono la lotta politica rivoluzionaria come continuazione delle lotte rivendicative su un altro terreno e con altri mezzi, come coronamento e atto conclusivo delle lotte rivendicative e il partito comunista come “sponda” politica del sindacato. Mentre per noi comunisti le lotte rivendicative sono uno degli strumenti di cui la lotta politica rivoluzionaria si serve. Se sono semplici modi di dire, esprimono il fatto che chi le usa non ha una posizione consapevole e chiara sulla lotta politica rivoluzionaria, non ha riflettuto abbastanza sulla distinzione sostanziale tra i due tipi di lotte o non è arrivato a una soluzione giusta per la loro combinazione e quindi non ha una linea per condurre e sviluppare adeguatamente la lotta politica rivoluzionaria.

Anche la formulazione della linea di massa e della linea generale del partito data dai CARC e ripresa nel Progetto di Manifesto Programma (PMP, ottobre 98) si presta a una interpretazione economicista. Basta limitare la “resistenza delle masse popolari al procedere della crisi” al suo aspetto difensivo e rivendicativo ed escludere il suo aspetto d’attacco (i tentativi di ricostruzione del partito comunista, la lotta armata e le altre tendenze rivoluzionarie o anche solo all’emancipazione individuale tramite attività extralegali che costituiscono anch’esse la resistenza delle masse popolari) per arrivare a una interpretazione economicista.(3) Infatti i CARC nel 1997 dovettero condurre la prima Lotta Ideologica Attiva proprio contro questa interpretazione economicista sostenuta dall’allora CARC di Viareggio che poi costituì Linearossa che (sia detto a suo onore) non è regredita rispetto alle posizioni di allora. Purtroppo non è neanche avanzata e quindi in cinque anni è rimasta sempre più indietro.

Che le lotte rivendicative non si trasformino “di per sé” in lotta rivoluzionaria è stato più e più volte dimostrato con considerazioni teoriche. Il Che fare? di Lenin è il manuale più famoso di queste dimostrazioni. La pratica degli oltre 150 di movimento comunista che abbiamo alle spalle ha sistematicamente confermato le dimostrazioni teoriche. Tra gli esempi più noti o più vicini citiamo le lotte rivendicative condotte nei paesi europei dopo la Prima Guerra Mondiale, le lotte rivendicative di vari paesi anglosassoni (Inghilterra, USA e Australia), le lotte rivendicative del 1995 in Francia. La storia del movimento operaio degli USA e dell’Inghilterra in particolare è piena di esempi di lotte rivendicative accanite ed eroiche che non hanno dato luogo alla lotta rivoluzionaria e che proprio per questo hanno ottenuto risultati scarsi o effimeri, salvo che durante la prima ondata della rivoluzione proletaria quando la forza del movimento comunista a livello internazionale ha sopperito in parte alle debolezze dei movimenti rivoluzionari nazionali.

Alcuni compagni eludono però l’insegnamento di Lenin e l’esperienza del movimento comunista facendo leva sulla riserva “di per sé”. “Certo, dicono in sostanza questi compagni, “di per se stesse” le lotte rivendicative non si trasformano in lotta rivoluzionaria, ma se c’è il partito comunista che le vuole trasformare, che si propone appunto di trasformarle, che fa di questa trasformazione il suo compito e il suo programma, allora questa trasformazione è possibile”. in realtà essi ripropongono quella che Lenin chiamava “la teoria menscevica delle fasi, di triste memoria” (A proposito dell’opuscolo di Junius, luglio 1916). Riassumiamo questa teoria. Le masse sono interessate solo alle questioni economiche e rivendicative (Churchill d’accordo con loro diceva: “sono ignoranti e dedite solo a soddisfare i loro istinti bestiali”). Allora noi comunisti dobbiamo mobilitarle e organizzarle proprio sulle lotte economiche e rivendicative. Dobbiamo poi rafforzare la loro determinazione a costringere costi quel che costi la borghesia a soddisfare le loro rivendicazioni. Di fronte alla resistenza che la borghesia opporrà alle rivendicazioni e di fronte aile misure repressive con cui cercherà di soffocare le loro rivendicazioni, sarà per noi comunisti semplice portare gli operai e il resto delle masse popolari ad andare oltre le rivendicazioni, a prendere in mano la situazione, a mettere da parte la borghesia, a organizzarsi per soddisfare da sé le proprie rivendicazioni. La parte che noi comunisti avremo svolto nel promuovere, organizzare e dirigere le lotte rivendicative ci avrà certamente reso tanto autorevoli tra le masse popolari quanto necessario per dirigerle ad andare oltre le rivendicazioni e a prendere il potere.

Questa “teoria menscevica delle fasi” sembra una strategia astuta, un “piano per giocare d’astuzia con la storia, per giocare d’astuzia le masse ignoranti e dedite solo a soddisfare i loro istinti bestiali”. In realtà è una strategia sciocca e infatti nella pratica non ha mai funzionato. Lo conferma pienamente l’esperienza dei partiti di ispirazione trotzkista in America Latina e in Francia (per questo paese in particolare l’esperienza di Lotta Operaia e della Lega Comunista Rivoluzionaria). In questa “astuta strategia” non si tiene conto delle manovre che la borghesia può compiere e certamente compie in ogni circostanza concreta in cui si trova in difficoltà, sfruttando la differenza qualitativa tra i due tipi di lotte di cui i comunisti, illusi dalla “teoria delle fasi”, non hanno tenuto conto nella loro strategia. Essa divide le masse popolari e trasforma la contraddizione tra se stessa e le masse popolari in cento contraddizioni tra parti delle masse popolari. Contrappone le rivendicazioni di alcuni gruppi delle masse popolari a quelle di altri gruppi. Sfrutta i contrasti tra le rivendicazioni di una parte delle masse popolari e le rivendicazioni di un’altra parte (contrasti che finché si resta nell’ambito della società borghese sono reali). Sfrutta le mille differenze ereditate dalla storia (politiche, nazionali, razziali, di sesso, di lingua, di religione, di cultura, di livello di sviluppo) per mobilitare una parte delle masse popolari contro un’altra. Soddisfa più o meno completamente, più o meno durevolmente le rivendicazioni di una parte delle masse popolari per conquistare alleati contro il resto. Fa leva sull’importanza limitata che ogni singola rivendicazione ha per gli interessati a fronte dei sacrifici necessari per condurre una lotta “costi quel che costi”. Combina questo con misure feroci di intimidazione e di terrore per far desistere dalle lotte rivendicative. Isola, calunnia, corrompe, ricatta, intimidisce, sopprime i capi delle lotte rivendicative. Compie altre innumerevoli manovre controrivoluzionarie che l’esperienza storica ha mostrato e altre che la borghesia escogiterà e metterà in opera di fronte ai pericoli che l’attendono nel futuro. È del resto ovvio che con una “massa ignorante e dedita solo a soddisfare i propri istinti bestiali” la borghesia con i suoi demagoghi e i suoi preti ha più buon gioco di noi comunisti. Insomma quella “strategia astuta” è in realtà una strategia che non tiene conto di elementi reali e importanti della lotta di classe per cui viene proposta.

La “teoria menscevica delle fasi” si basa su un presupposto sbagliato: concepisce gli operai. i lavoratori e le masse popolari come se li immagina il borghese, come il borghese vorrebbero che fossero, come il borghese cerca di farli essere, a immagine e somiglianza del borghese stesso: interessati solo ai soldi, avidi e abbruttiti. Se si fossero fermati a questa concezione borghese degli operai e delle masse popolari i comunisti non sarebbero mai riusciti a mobilitare migliaia, milioni, decine di milioni di operai, di lavoratori, di casalinghe a compiere quei miracoli di eroismo che invece di fatto hanno compiuto nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria: lottando per abbattere il potere della borghesia e delle altre classi reazionarie, per instaurare paesi socialisti, per difenderli dalla sovversione delle classi controrivoluzionarie all’interno e dall’aggressione delle potenze reazionarie dall’estero. Trotzki nella sua opera La rivoluzione tradita “dimostra”, con la sua mentalità tra il bottegaio e il grande borghese, che il proletariato sovietico, il cui lavoro è meno produttivo di quello del proletariato europeo, non sarà in grado di far fronte all’aggressione delle potenze reazionarie. Hitler faceva lo stesso calcolo sia nell’agosto 1939 quando fece “concessioni” all’Unione Sovietica per assicurarsi la sua neutralità nella prima fase della sua guerra quando mirava a prendere la direzione nel campo borghese prima di “farla finita col comunismo”, sia nel giugno 1941 quando, fallito l’obiettivo della prima fase, lanciò le sue armate direttamente contro l’Unione Sovietica. Ma la realtà irrefutabile ha mostrato che gli operai e le masse popolari sotto la direzione dei comunisti sono capaci di fare miracoli di altruismo e di eroismo, cento volte più grandiosi di quelli che compiono quando lottano soggiogate alle classi reazionarie dal loro prestigio, dall’intimidazione e dalla forza dell’abitudine. Gli economicisti non tengono conto di questa lezione della storia come non tengono conto della realtà che tuttavia hanno sono gli occhi: milioni di operai, di lavoratori, di casalinghe, di giovani che si danno da fare con passione e slancio in imprese da cui non ricavano alcun tornaconto personale, in imprese che per la mentalità del capitalista sono senza senso perché non producono denaro. I proletari evadono e cercano di evadere in mille maniere dalla gabbia di abbrutimento abitudinario, di egoismo, di servilismo e dalla “mentalità da bottegaio” in cui borghesi, preti, riformisti ed economicisti li vogliono tenere chiusi: alcuni credono sinceramente e generosamente perfino in Dio. Si lanciano generosamente persino in imprese “etiche”, “eque” e caritative su cui invece i capitalisti speculano. La borghesia cerca di mantenere gli operai e le masse popolari nello stato di “masse ignoranti e dedite solo a soddisfare i loro istinti bestiali” o di ricacciarvele se ne sono evasi. Invece il movimento comunista nei suoi 150 anni di lotte le ha svegliate a una vita superiore e oggi continua la sua opera. Per le masse popolari la rivoluzione proletaria è anche un processo di trasformazione intellettuale. sentimentale e morale che le porta dallo stato di manodopera delle classi dominanti e sfruttatrici a uno stato completamente nuovo.

I comunisti non sarebbero mai arrivati a far sprigionare alle masse popolari tanto eroismo e tanta creatività se avessero lasciato le masse popolari nello stato di abbrutimento intellettuale, sentimentale e morale in cui le classi dominanti le relegano, se avessero solo cercato di aggiungere lotta rivendicativa a lotta rivendicativa, di indicare obiettivi rivendicativi sempre più ambiziosi e “incompatibili” con gli interessi della borghesia, di far passare “forme di lotta più radicali” nelle lotte rivendicative. I comunisti ci sono invece arrivati (e il fatto vale oramai come dimostrazione irrefutabile che è possibile arrivarci) formulando una concezione del mondo rivoluzionaria e una linea di rivoluzionamento generale della società, indicando alle masse popolari come obiettivo l’instaurazione di un nuovo e superiore ordinamento sociale, traducendo questo obiettivo in parole d’ordine adatte a ogni situazione concreta, organizzando via via in modo corrispondente agli obiettivi indicati gli operai e gli altri elementi d’avanguardia che li condividevano e che riponevano nella loro realizzazione tutte le loro aspirazioni all’emancipazione di se stessi e della loro classe dalla soggezione ai capitalisti, accompagnando il crearsi e l’aggravarsi della situazione rivoluzionaria della società con misure e iniziative adeguate a fare del rivoluzionamento generale della società l’obiettivo per cui larghe masse erano decise a battersi senza risparmio di forze e di sacrifici (altro che “lotta dura per le riforme di struttura”, “per qualche dollaro in più”, ecc.) e creando via via le forme di organizzazione e perfezionando le forme di lotta in modo che le masse popolari potessero far fronte vittoriosamente con il proprio eroismo alle forze della borghesia e alla controrivoluzione più feroce e più potente.(4) La borghesia oggi cerca di convincere le masse popolari dei paesi imperialisti che l’eroismo dei kamikaze palestinesi o arabi è frutto del fanatismo religioso e denigra in ogni modo l’eroismo dei combattenti: deve far dimenticare l’eroismo delle masse che si batterono per la causa del comunismo e contro cui si infransero le sue armate. Essa ricorda con terrore quell’eroismo.

Certo quanto ho detto fin qui non è una ricetta. un manuale del “fai-da-te” che esime del pensare con la propria testa. È solo una guida a pensare, ad agire, a progredire, a osare. Non dice come e quando fare questa o quella mossa, cosa che ogni persona seria capisce che si può individuare e decidere solo man mano che le situazioni concrete si pongono concretamente. Indica a grandi linee la strada su cui bisogna mettersi e taglia corto con tutte le lagne disfattiste di quelli che si lamentano perché le loro attività che seguono linee economiciste non danno risultati e ne traggono pretesto per predicare che “non c’è niente da fare”, “le masse sono troppo arretrate”, “chissà se arriveremo mai al comunismo”. È presto detto: “Per quelle vie che indicate e seguite, non arriveremo mai. Dalla mancanza di risultati delle vostre imprese e dai risultati della prima ondata della rivoluzione proletaria bisogna trarre la conclusione che la strada che seguite è sbagliata”.

La lotta politica rivoluzionaria è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata contro la borghesia imperialista per instaurare un paese socialista e contribuire alla nuova ondata della rivoluzione proletaria che spazzerà via il capitalismo da tutto il mondo. Noi oggi stiamo compiendo la prima fase della guerra popolare rivoluzionaria, la fase della difensiva strategica. In questa fase il compito principale è accumulare forze rivoluzionarie, quindi in primo luogo ricostruire il partito comunista. In questa fase i nostri progressi non si misurano dalla quantità e dalla forza dei colpi che diamo alla borghesia. Si misurano dall’accrescimento delle forze rivoluzionarie nel campo delle masse popolari. Questo guida e permea tutta la nostra attività, anche quella di promozione delle lotte rivendicative.

Nella propaganda dobbiamo approfittare di ogni occasione per illustrare in aspetti particolari o nei suoi tratti generali l’ordinamento sociale capitalista e per illustrare (in aspetti particolari o nei suoi tratti generali) l’ordinamento sociale che noi comunisti vogliamo instaurare. Non si tratta semplicemente di ripetere in ogni occasione le nostre tesi, ma piuttosto di permeare tutta la nostra propaganda con le nostre tesi. L’economicista, il movimentista , ecc. diranno che siamo “teorici”, che dedichiamo spazio e tempo a cose che non sono “concrete”, a cose che “non interessano ai lavoratori”. Ebbene si, noi dedichiamo gran parte delle nostre energie a educare alla lotta politica rivoluzionaria i lavoratori avanzati e in particolare gli operai avanzati; a fare largo alla loro intelligenza e ai loro sentimenti; a convincerli che gli operai e in generale le masse popolari possono realizzare pienamente le loro aspirazioni solo instaurando il socialismo; a convincerli che anche le loro lotte rivendicative possono svilupparsi con forza e raggiungere risultati universali (validi per l’insieme o almeno per gran parte delle masse popolari, il contrario di risultati corporativi e particolaristi) e duraturi solo se si sviluppa la lotta per instaurare il socialismo: nel corso del secolo appena concluso si è visto chiaramente che finché il movimento comunista è stato in ascesa anche le lotte rivendicative hanno strappato risultati universali e duraturi, man mano che il movimento comunista è declinato anche le lotte rivendicative sono parallelamente diventate deboli e inconcludenti; a convincerli che è la sostanza dell’ordinamento sociale attuale (non questo o quell’incidente, questo o quell’aspetto, questo o quel personaggio, questa o quella “deviazione”) che condanna le masse popolari alla sofferenza, all’abbrutimento e alla guerra al servizio dei loro sfruttatori; a convincerli che solo instaurando il socialismo le masse popolari e la classe operaia riusciranno a prendere nelle loro mani il loro destino. Noi facciamo tutto il possibile per convincere i lavoratori avanzati che è possibile instaurare il socialismo, che è la via più diretta e meno dolorosa e distruttiva per arrivare ad un ordinamento sociale superiore all’attuale, il comunismo; per mostrare loro che l’avvento del comunismo è uno sbocco inevitabile delle contraddizioni proprie del capitalismo benché per realizzarsi richieda l’intervento rivoluzionario degli operai organizzati; per mostrare loro che il socialismo è una cosa semplice e a portata di mano; per illustrare sulla base del ragionamento, delle realizzazioni dei primi paesi socialisti e della critica della società attuale questo o quell’aspetto del comunismo. Ciò che per l’economicista e il movimentista è “teoria”, perdita di tempo, “astrazione”, per noi comunisti è la parte principale della nostra propaganda.

Nel campo dell’attività politica, noi comunisti anzitutto finalizziamo tutto alla costruzione di un partito comunista adeguato a promuovere e dirigere la guerra delle masse popolari contro la borghesia imperialista. Quindi che sia, tra l’altro, un partito clandestino, radicato tra gli operai e amato dagli operai come strumento principale ed essenziale della loro forza politica. Costruire questo partito vuol dire anzitutto riunire in un’organizzazione clandestina quelli che vogliono instaurare il socialismo, che sono già convinti di questo obiettivo e sono disposti a battersi per realizzarlo. Rafforzare il partito comunista vuol dire aumentare il numero di quelli che vogliono instaurare il socialismo, accrescere la loro capacità di orientare, mobilitare, organizzare e dirigere la classe operaia e le masse popolari portandole alla lotta (badate bene: alla lotta, non a condividere la convinzione, l’opinione, ecc.) per eliminare l’attuale ordinamento sociale, affinare la loro capacità di trovare e applicare linee, metodi, strumenti che rafforzano le forze rivoluzionarie che si battono contro la borghesia e il suo ordinamento sociale e rendono efficace e vittoriosa la loro lotta. Rafforzare il partito comunista vuol dire raccogliere nel partito comunista gli operai e gli elementi delle altre classi popolari che sono convinti di questo (e non altri), aumentare il loro numero, affinare e rafforzare le capacità di direzione e di mobilitazione di questi operai ed elementi avanzati nei confronti del resto della classe operaia e delle masse popolari, diventare una scuola sempre più efficace di formazione continua per promotori e dirigenti della guerra delle masse popolari contro la borghesia imperialista per instaurare il socialismo.

Nicola P.

Note

    1. Fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo” e “educare e mobilitare gli operai e il resto delle masse popolari alla lotta politica rivoluzionaria” non sono due belle “frasi rivoluzionarie”. Ognuna di esse si traduce in una sere di linee e attività, alcune di ordine generale (valide per tutto il periodo della lotta per instaurare il socialismo e per ogni luogo) e altre di tipo particolare (valide solo per determinate condizioni o circostanze e per determinati paesi o regioni) fino alle direttive concrete adeguate a ogni singola e concreta situazione.

Nel seguito non ritornerò sulla linea “fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo”. Essa è però illustrata in vari testi facilmente disponibili: tra essi l’articolo Fare di ogni lotta di difesa e di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo comparso sul n. 7-8 (luglio-agosto 2000) del mensile dei CARC Resistenza.

  1. L’intero Supplemento (maggio 01) è disponibile nella sezione Comunicati sulla pagina web www.lavoce.freehomepage.com.

  2. La presa di posizione del CdP Carlo Marx pubblicata nel n. 13 di La Voce (pag. 18-26) dà una visione completa della resistenza delle masse popolari. In proposito segnalo anche l’articolo La resistenza delle masse popolari pubblicato sul n. 20 (novembre 98) di Rapporti Sociali.

  3. La presa di posizione del CdP La Comune pubblicata nel n. 13 di La Voce (pag. 11-18) tratta proprio di questo aspetto della nostra linea.


Manchette

Nuovi testi reperibili nelle pagine del sito www.lavoce.freehomepage.com


Comunicati:


Giù le mani da Cuba! - Comunicato della CP, 22 giugno 03


Solidarietà con i compagni del Partido Comunista de España (reconstituido) (PCE(r)) e con i compagni dei Grupos de Resistencia Antifascista Primero de Octubre (GRAPO)!

Comunicato della CP, 2 giugno 03


Le celebrazioni del 25 Aprile e del Primo Maggio offrono a noi comunisti l’occasione per portare agli clementi avanzati delle masse popolari l’appello ad arruolarsi per la rinascita del movimento comunista

Comunicato della CP, 25 aprile 03.


W la resistenza che le masse popolari irachene, il governo iracheno e le sue forze amiate oppongono all’aggressione dei gruppi imperialisti USA!

Comunicato della CP, 24 marzo 03.


Sostenere e ampliare l’opposizione al governo Berlusconi che sta implicando sempre più il nostro paese nella guerra dei gruppi imperialisti USA contro l’Iraq

Comunicato della CP, 14 marzo 03


Il delitto Abu Omar sta a Berlusconi come il delitto Matteotti sta a Mussolini: è un salto di qualità nella soppressione degli oppositori!

Comunicato della CP, 1° marzo 03


EiLE - Sezione francese:


Que les communistes des pays impérialistes unissent leurs forces pour assurer la renaissance du mouvement communiste!


EiLE - Sezione inglese:


May the communists of imperialist countries unite their strength for the revival of the communist movement


EiLE - Sezione spagnola:


Los primeros paises socialistas - Marco Martinengo (Textos para el debate en el movimiento comunista internacional N° 1 Mayo ’03) PCE(r) - Fracción Octubre


¡Que los comunistas de los paises imperialistas unan sus fuerzas en pro del renacimiento del movimiento comunista!


Lettere aperte:


Lettera aperta alla redazione di Rosso XXI - Milano, 4 giugno 2003


Saluto della CP all’Assemblea per il X° anniversario della fondazione dei CARC - Roma 7 dicembre 2002 - Testo del videomessaggio letto da G. Maj


Classici del marxismo:


La sezione Classici del Marxismo del sito è collegata con la Biblioteca Marxista (www.bibliotecamarxista.org )


Lenin, Il fallimento della Seconda internazionale (maggio-giugno 1915), Opere vol. 21 (traduzione rivista sull’originale)

La Voce del (nuovo)Partito comunista italiano

Questa rivista è diretta dalla Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano. La rivista esce ogni quattro mesi. Essa presenta il lavoro e i documenti della Commissione, i lavori e i contributi delle organizzazioni del partito che via via si costituiscono e i contributi di individui e di collettivi per il programma e lo statuto del (n)PCI.

Tramite l’indirizzo e.mail le organizzazioni locali possono inviare alla CP contributi e far conoscere alla CP la propria esistenza. Per inviare proposte, critiche e collaborazioni è passibile usare le caselle di posta elettronica

<ekko_20012001@yahoo.com> <lavocedelnpci@yahoo.com>


Per non essere individuati dalla polizia, inviare messaggi aprendo appositamente caselle da computer accessibili al pubblico e poi lasciarle cadere.



Sito web de La Voce www.lavoce.freehomepage.com


È possibile consultare e copiare tutti i numeri della rivista e i supplementi, i comunicati e le lettere aperte della CP, le pubblicazioni delle Edizioni in Lingue Estere (EiLE), scritti dei classici del marxismo (Marx, Engels, Lenin, Stalin, Mao, Gramsci), altra letteratura comunista.


Indice [Il n° di pagina è riferito all’edizione cartacea]

Cosa insegna ai comunisti la vittoria dei gruppi

imperialisti USA nella guerra lampo contro l’Iraq 3


anniversario della fondazione dei CARC 17


I Comitati di Partito all’opera

Piano di studio per la formazione - Comitato Lenin 23

Dall’individuo al collettivo -.Lettera alla redazione 25

Attenzione, compagni! - Lettera alla redazione 28

Comitato Teresa Noce - Lettera alla redazione 30

Riflessioni di un rivoluzionario di professione

Lettera alla redazione 33


Conquistare l’appoggio degli operai avanzati

alla clandestinità del partito comunista 35


Dal campo delle FSRS

I primi paesi socialisti di Marco Martinengo 42

La collana Textes para

el debate en el movimiento comunista 44


Per un Fronte Internazionale

di resistenza attiva per la pace nel mondo! 46


Solidarietà con i compagni

del Partido Comunista de España (reconstituido) PCE(r)

e con i compagni dei Grupos de Resistencia

Antifascista Primero de Octubre (GRAPO)! 48


Lotta politica rivoluzionaria e lotte rivendicative 49


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