Ritorna all’indice


Politica rivoluzionaria

 

Nell'articolo Lotta politica rivoluzionaria e lotte rivendicative (in La Voce n° 14) l'autore sostiene (pag. 52) che la linea "trasformare le lotte rivendicative in lotta politica rivoluzionaria" è avanzata anche da rivoluzionari che cercano una via alla rivoluzione socialista (ossia alla conquista del potere da parte della classe operaia), ma non considerano che la rivoluzione socialista avviene e può avvenire solo nell'ambito di una situazione rivoluzionaria. Essi quindi non tengono conto dell'esistenza e delle caratteristiche della concreta situazione rivoluzionaria in corso. In realtà è in questa che si inquadra e si inquadrerà la seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo e di cui la rivoluzione socialista del nostro paese sarà una parte. Come tutti quelli che cadono in questo errore, essi sono indotti ad inventare una "via alla rivoluzione socialista" che in realtà li porta fuori strada: nel caso specifico li porta nel pantano dell'economicismo.

Definire una via alla rivoluzione socialista significa individuare un percorso, per quanto lungo esso sia, su cui ci possiamo incamminare già oggi e che possiamo percorrere, sia pure a una velocità che dipenderà anche da condizioni indipendenti dalla nostra volontà e dalla nostra attività (oggettive). Ma comunque un percorso di avanzamento graduale (quantitativo) che, giunto a un determinato livello di sviluppo, darà luogo a un salto qualitativo: l'instaurazione della dittatura del proletariato (le Dieci Misure Immediate di cui abbiamo più volte parlato nella nostra rivista).

Secondo gli economicisti il processo di avanzamento graduale prescinderebbe dall'esistenza e dalle caratteristiche della situazione rivoluzionaria; infatti non si interessano affatto ad essa. Esso consisterebbe nell'allargamento (generalizzato) delle lotte rivendicative, nella radicalizzazione delle "forme di lotta" usate nelle lotte rivendicative o nella estremizzazione degli obiettivi delle lotte rivendicative ("alzare il tiro", "obiettivi incompatibili", ecc.). Questo processo, giunto ad un certo grado di sviluppo, dovrebbe portare alla instaurazione di un "governo rivoluzionario" o spostare su posizioni "più rivoluzionarie" un eventuale governo di sinistra, in modo da soddisfare le rivendicazioni popolari. Per questo aspetto la concezione degli economicisti è simile a quella dei militaristi: una coincidenza della concezione di fondo di due tendenze per altri aspetti opposte che Lenin aveva già illustrato nel Che fare? del 1902. Con la differenza che secondo i militaristi il processo di avanzamento graduale (che la situazione sia rivoluzionaria o no) consisterebbe nella moltiplicazione di organizzazioni comuniste combattenti (OCC) e di attentati a esponenti e a strutture del regime borghese. L'autore dell'articolo citato all'inizio ha dimostrato, in modo che mi pare convincente, l'inconsistenza del processo di sviluppo graduale proposto dagli economicisti. Più volte in altre occasioni, nella nostra rivista e nell'opuscolo Martin Lutero (supplemento al n° 3 di La Voce) si è dimostrato, in modo mi pare convincente, l'inconsistenza del processo di sviluppo graduale proposto dai militaristi. La storia dell'epoca imperialista conferma entrambe quelle dimostrazioni.

Certamente molti lettori però diranno "È vero che le due vie, quella proposta dagli economicisti e quella proposta dai militaristi, non funzionano. Ma qual è la via che dobbiamo seguire, la via secondo la quale possiamo arrivare a instaurare il socialismo?". Se le osserviamo e studiamo con cura, l'esperienza storica e la realtà che si svolge sotto il nostro naso ci danno la risposta a questa domanda, ci indicano a grandi linee la via che dobbiamo percorrere per instaurare il socialismo nei paesi imperialisti. Come vedremo, è una via del tutto coerente con l'esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, ma nello stesso tempo mette in luce i limiti della comprensione della realtà e di conseguenza dell'azione politica svolta dal movimento comunista (in quanto movimento cosciente e organizzato, cioè costituito dalla Internazionale Comunista e dai suoi partiti nazionali) in quella prima ondata: i limiti per cui il movimento comunista non percorse fino in fondo quella via e non arrivò quindi alla vittoria nei paesi imperialisti.

Anzitutto è giusto definire, e definire chiaramente, la via alla rivoluzione socialista. Quanto più chiaramente saremo coscienti di qual è la via che dobbiamo seguire per instaurare il socialismo, tanto più efficace e meno esposta ad errori, diversioni, deviazioni e dispersione di forze sarà la nostra attività. Occorre quindi definire qual è il processo di avanzamento graduale (di sviluppo quantitativo) a cui il partito comunista deve lavorare per arrivare al salto qualitativo costituito dalla conquista del potere (distruzione dello Stato borghese e instaurazione del nuovo Stato: la dittatura del proletariato). Altrimenti ci si riduce a fare questo o quello sperando che prima o poi arrivino il momento e l'evento tanto attesi e, anche se per istinto si cammina sulla buona strada, si è molto esposti a deviazioni e ad errori come l'esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria mostra.

Secondo i marxisti non c'è (salvo eccezioni che in nessun campo pratico si possono escludere in assoluto) rivoluzione socialista al di fuori di una situazione rivoluzionaria. Per questa tesi rimando allo scritto di Lenin Il fallimento della II Internazionale, 1915 (reperibile nella pag. web della CP). Il processo d'avanzamento graduale non può quindi essere definito arbitrariamente o inventato. Sono la situazione rivoluzionaria e le sue caratteristiche che premettono di definire (scoprire) il processo di avanzamento graduale nelle sue linee generali, a grandi linee. Si tratta quindi di definire le linee generali secondo le quali presumibilmente si svilupperà il processo rivoluzionario nel nostro paese, nel contesto della seconda crisi generale del capitalismo in corso dalla metà degli anni 70, della connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo, della seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. Queste linee generali sono il nucleo della nostra strategia. Costituiscono la linea guida delle nostre tattiche che devono essere costantemente volte ad attuare quella strategia. Nello stesso tempo sono una specificazione, una maggiore determinazione della linea generale del partito comunista che è già ben definita, seppure in termini più generici, nel Progetto di Manifesto Programma (PMP) del 1998. A queste linee generali si ispirerà nel suo complesso l'attività del (nuovo) Partito comunista italiano. Esse però ci guidano già oggi nella costruzione del partito - perché si tratta di costruire un partito adeguato ai compiti che dovrà svolgere.

Dico "generali" perché linee particolari e più dettagliate le potremo elaborare solo con un legame più diretto e immediato con le condizioni concrete della nostra attività e con una conoscenza di esse maggiore di quella che abbiamo oggi: condizioni concrete che oggi non sono prevedibili con ragionevole sicurezza. Le linee generali ci bastano comunque per stabilire in coerenza con esse l'orientamento della nostra attività nel prossimo futuro. Dico anche "presumibilmente" perché tanto è importante avere un quadro del futuro come riferimento per le decisioni e le tattiche di oggi, quanto è importante non farsi legare le mani dalle nostre pur fondate e ragionevoli previsioni del futuro andamento delle cose se queste dovessero prendere invece una piega diversa: non bisogna votarsi insomma ciecamente a teorie che in questo caso cesserebbero di essere giuste e indispensabili guide per l'azione e diventerebbero teorie vuote di basi reali: cosa che farebbe di noi dei dottrinari impotenti.

Nella nostra rivista abbiamo più volte e a ragione detto che la via alla rivoluzione socialista anche nei paesi imperialisti è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata di cui Mao Tse-tung ha esposto un'accurata teoria basandosi sulla esperienza pratica della rivoluzione di nuova democrazia in Cina, ma studiando a fondo anche la guerra civile in Unione Sovietica (1918-1921) e la guerra civile in Spagna (1936-1939). Abbiamo anche più volte detto e mostrato che la borghesia imperialista conduce, nell'ambito della seconda crisi generale del capitalismo, una "guerra non dichiarata di sterminio" contro le masse popolari. È una guerra che non ha frontiere, è internazionale (mondiale) perché è una guerra che si svolge in ogni paese, in ogni angolo del mondo: nei paesi imperialisti, come nei paesi ex-socialisti, come nei paesi oppressi. Quindi anche nel nostro paese. È una guerra di cui vediamo chiaramente le vittime. Sono i milioni di persone emarginate da ogni dignità sociale, private di ogni ruolo nella vita sociale. Sono i lavoratori resi sempre più precari, più flessibili e sempre più privati dei diritti che avevano conquistato. Sono i milioni di persone depresse o che muoiono per malattie curabili, che muoiono di fame, di miseria e di solitudine perché non rendono nulla al capitale anzi costano, che sono vittime delle "calamità naturali" o degli "incidenti", che sono gettate ai margini della società dalle misure che la borghesia prende per tenere in vita il suo ordinamento sociale, che sono abbrutite dal lavoro, dalla fatica e dalle sofferenze, che sono rigettate come esseri inutili ("esuberi", "uomini da rottamare"), che sono umiliate, che sono ridotte a merci per valorizzare il capitale. È una guerra in definitiva volta a spremere dall'umanità una massa maggiore di plusvalore di cui i capitalisti non possono fare a meno. Ma a questo fine la borghesia deve eliminare non solo le conquiste economiche ma anche le conquiste politiche e culturali delle masse popolari, deve soffocare i diritti democratici che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha educato le masse popolari a esercitare, deve impedire a ogni costo la estensione dei diritti democratici che la maturazione culturale e politica prodotta dalla prima ondata della rivoluzione proletaria ha spinto e spinge le masse popolari a cercare. Tipico e importantissimo esempio di questa ricerca è la nascita proprio nei paesi imperialisti dei movimenti di emancipazione e di autodeterminazione nazionale di quelle "piccole nazioni" che la borghesia stava cancellando ma che non aveva ancora del tutto cancellato dalla faccia della terra, come (restando ai casi più noti) i sardi e i ladini in Italia, gli occitani in Italia e in Francia, i bretoni, gli alsaziani e i corsi in Francia, i baschi in Spagna e in Francia, i catalani e i galiziani in Spagna, gli irlandesi, i gallesi e gli scozzesi in Gran Bretagna, le nazioni indiane negli USA. A queste "piccole nazioni" si aggiungono ovviamente le "minoranze nazionali" concentrate in territori annessi a uno Stato diverso (come in Italia la popolazione della Val d'Aosta, del Sud Tirolo, del Friuli-Venezia Giulia) e le "minoranze nazionali" oppresse come gli afro-americani negli USA. Un altro tipico e importantissimo esempio è costituito dal movimento delle donne delle masse popolari per emanciparsi dallo stato di libertà condizionata, di coprifuoco e di doppia oppressione. Un altro ancora è la lotta contro la particolare oppressione razziale che subiscono, restando all'Europa, i proletari immigrati più o meno recentemente dalle vecchie colonie e semicolonie.

Il compito del partito comunista è trasformare tutta la resistenza che le masse popolari oppongono in ordine sparso a questa "guerra non dichiarata di sterminio" in una guerra che le masse popolari combattono in modo via via più cosciente e organizzato sotto la direzione della classe operaia e quindi del suo partito comunista, cioè in una guerra popolare rivoluzionaria. Ma come avviene questa trasformazione?

Lo studio dell'esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria nei paesi imperialisti (in particolare in Italia, Germania, Gran Bretagna, Francia, Spagna e USA) e l'analisi della lotta di classe per come si svolge attualmente in questi stessi paesi, del corso attuale degli avvenimenti, permettono di dare a questa domanda una risposta plausibile abbastanza precisa, almeno quanto è necessario per orientare il nostro lavoro attuale.

Il partito comunista da una parte svolge nel campo delle masse popolari (che il PMP ha definito chiaramente per il nostro paese) il lavoro che gli è proprio di organizzazione e di propaganda, intesi entrambi nel senso più ampio del termine ed entrambi articolati ai vari livelli che la struttura delle classi e il loro movimento politico culturale comportano. In questa sede non mi dilungo a illustrare meglio il lavoro del partito comunista nel campo delle masse popolari: i suoi obiettivi, il suo orientamento e la sua articolazione. Non è oggetto di questo articolo.

Dall'altra parte il partito comunista, mentre svolge quel suo lavoro, si scontra concretamente e inevitabilmente con la borghesia su tre fronti:

1. la resistenza del partito comunista alla repressione, il fronte che Lenin nel Che fare? indica con l'espressione "lotta contro la polizia politica";

2. l'intervento delle masse popolari nella lotta politica che i gruppi borghesi conducono tra loro;

3. le lotte rivendicative della classe operaia e delle masse popolari contro i capitalisti, le loro istituzioni e il loro Stato.

Si tratta di tre fronti che non inventiamo noi, che comunque esistono e su cui ci scontriamo. Vediamoli uno a uno analiticamente.

1. Mentre conduce quotidianamente e capillarmente contro le masse popolari la sua "guerra non dichiarata di sterminio", mentre sfrutta, abbrutisce, brutalizza, tormenta e offende in mille maniere le masse popolari, la borghesia e in concreto la sua autorità costituita, la sua polizia, le sue forze armate, la sua magistratura devono reprimere e reprimono elementi d'avanguardia e organismi che sono (o che esse presumono potrebbero diventare) centri di aggregazione, di organizzazione, di propulsione e di direzione della resistenza delle masse popolari; centri capaci di portarla ad un livello superiore di efficacia e di trasformarla in una vera e propria guerra contro l'ordinamento sociale borghese per instaurare il socialismo. È un insieme di misure che costituisce il regime di controrivoluzione preventiva sviluppata "spontaneamente" dalla borghesia nell'epoca imperialista e teorizzata dai dottrinari della "sicurezza nazionale" (che in tutti i paesi imperialisti da decenni prevale sui diritti politici e civili degli individui sulla cui inviolabilità era invece incentrata la democrazia borghese) e della guerra controrivoluzionaria ("guerra di bassa intensità", ecc.). Se il partito comunista svolge il lavoro che gli spetta ed educa veramente le masse popolari secondo i principi e le parole d'ordine rivoluzionarie senza vuotarle di contenuti per renderle accettabili alla borghesia, la repressione prima o poi si concentra proprio contro il partito comunista, contro i comunisti, contro le persone presunte tali e contro gli organismi influenzati o diretti dal partito comunista (contigui, collaterali, fiancheggiatori, ecc.) e presunti tali.

Ancora oggi varie forze soggettive della rivoluzione socialista (FSRS) considerano la repressione unicamente o quasi unicamente dal punto di vista negativo: qualcosa che distrugge il nostro lavoro, ruba i nostri macchinari e i nostri libri, devasta le nostre sedi, sequestra indirizzari, corrispondenza, lavori in corso e soldi, cerca di intimidire i nostri compagni e simpatizzanti, arresta alcuni di noi, li sequestra per mesi o per anni e li sottopone a maltrattamenti, ricatti, intimidazioni, pressioni: insomma disturba e ostacola la nostra attività.

Tutto questo è vero, ma è solo una delle facce della repressione. Essa ha anche un'altra faccia. Già Marx aveva insegnato (inizio di Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850) che la rivoluzione avanza suscitando una controrivoluzione feroce e potente e che solo facendo fronte ad essa il partito della sovversione sociale raggiunge la maturità di un vero partito rivoluzionario, capace, dico io, di instaurare il socialismo nel nostro paese. Mao ha più volte indicato che Chiang Kai-shek (che impersonava le classi reazionarie cinesi e l'imperialismo) "è stato il maestro" e "il fornitore di uomini e di materiale militare" dei comunisti cinesi. Insomma la repressione che la borghesia conduce contro i comunisti ha anche una faccia positiva, costruttiva se i comunisti sanno farvi fronte. Essa mette in risalto l'aspetto politico della lotta di classe, lo fa emergere in modo più netto, gli conferisce un ruolo più importante, offre a noi possibilità e occasioni per riunire forze sotto la bandiera della lotta politica, ossia della lotta per il potere. Educa le nostre forze alla disciplina, all'eroismo e all'arte della guerra necessari per vincere. Proprio questa lotta contro la repressione e la mobilitazione crescente e di massa attorno al partito comunista e a difesa del partito comunista e delle sue organizzazioni di massa contro la repressione sfoceranno passo dopo passo, combinandosi con l'intervento delle masse popolari dirette dal partito comunista nei contrasti politici tra i gruppi della borghesia imperialista e con le lotte rivendicative della classe operaia e delle masse popolari dirette dal partito comunista, nella guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. Alla luce di queste considerazioni è chiaro anche quanto è politicamente indispensabile che i comunisti e il loro partito assumano senza riserve anche il compito di promuovere la solidarietà delle masse popolari verso tutti quegli esponenti delle masse popolari che la borghesia perseguita e colpisce perché si oppongono al suo potere, in particolare verso tutti i rivoluzionari prigionieri e non solo verso quelli che anche la borghesia e "l'opinione pubblica" considerano oppositori accettabili, vittime, ecc. (1)

Il primo tratto del lungo percorso di cui parlo, tratto imprescindibile, è la costruzione del partito. Il partito strada facendo certo si modificherà, si arricchirà di forze e di attività, ma si tratta di costruire come primo tratto del lungo percorso un organismo capace di adempiere ai ruoli essenziali, principali del partito. Questo è il primo dei molti salti di qualità in cui di fatto dovremo suddividere il nostro lungo percorso: grosso modo come l'evoluzione delle specie fino all'uomo a partire dalle prime forme di vita si compone a sua volta di molti salti di qualità. La condizione in cui la società borghese confina la classe operaia e il resto delle masse popolari è tale per cui gli individui suscettibili di diventare dei buoni combattenti sono certo già oggi molto più numerosi degli individui suscettibili di diventare dei buoni dirigenti, organizzatori e propagandisti. D'altra parte i combattenti senza i dirigenti, gli organizzatori e i propagandisti non vanno lontano: lo abbiamo ben visto anche negli anni '70. Quindi il principale compito attuale, l'anello della catena cui afferrarsi per muovere l'intera catena, il primo grande salto che compone la nostra "evoluzione delle specie" è trovare, mobilitare, formare e organizzare gli individui suscettibili di diventare dei buoni dirigenti, organizzatori e propagandisti. Man mano che avanzeremo lungo questo primo tratto del nostro cammino e adempiremo a questo nostro primo compito, si creerà e amplierà anche il campo di utile e necessario impiego di individui suscettibili di diventare solo dei buoni combattenti, membri delle forze armate popolari. Subordinatamente alla costruzione del partito comunista si svilupperà dunque anche la costruzione dell'esercito rosso. E man mano che il partito comunista diventerà operaio (nel senso illustrato dall'articolo I tre stadi pubblicato nel n° 9 di La Voce), anche i compiti della sua difesa e dello sviluppo pratico dei mezzi e strumenti della sua attività mobiliteranno un esercito anche nel quale la classe operaia avrà il ruolo di nerbo principale.

Le campagne repressive lanciate dalla borghesia imperialista contro il partito comunista (oggi contro compagni e organismi impegnati nella ricostruzione del partito comunista o che comunque la borghesia crede o "sente" come tali) costituiscono dunque il nucleo (per ora piccolissimo) realmente politico della ben più vasta "guerra non dichiarata di sterminio" che la borghesia conduce contro le masse popolari nel loro insieme. Colpendo il partito comunista, la borghesia impegna in battaglia quella parte delle masse popolari che sola oggi le fa fronte in modo consapevole e organizzato con l'obiettivo di assumere la direzione del resto delle masse popolari per dirigere la loro risposta alle offese portate dalla borghesia fino a trasformare questa loro risposta in una guerra popolare rivoluzionaria che avrà termine solo con l'eliminazione del potere della borghesia e l'instaurazione della dittatura del proletariato. I comunisti, lungi dal sottrarsi alla repressione riducendo la loro attività a quello che la borghesia tollera (come suggeriscono di fare individui e organismi del genere degli autori - il gruppo Direzione 17 - del comunicato Tana! che veramente è bene sia fatto ampiamente conoscere onde diventi famoso come esempio negativo), devono assumere questo per ora ancora piccolo nucleo politico, aggregare con un lavoro paziente, tenace, ma lungimirante seppure adeguato alla situazione concreta, gli elementi avanzati delle masse popolari e anche i semplici membri delle masse popolari attorno al partito comunista, ai suoi organismi e ai suoi membri perseguitati dalla borghesia, in modo da riuscire a far fronte alla repressione, cioè a continuare il loro lavoro nonostante la repressione. Se il partito comunista, che incarna la lotta per il socialismo, resiste, la borghesia lancerà ripetutamente compagne repressive contro di esso, per soffocarlo o almeno ostacolare la sua attività e disperdere le sue forze e le sue organizzazioni. Non può fare altro. Ma se il partito comunista resiste a queste ripetute campagne, esso diventa ogni volta più forte. La sua lotta assume, nella risposta delle masse popolari alla "guerra non dichiarata di sterminio", un'importanza, un ruolo e un'ampiezza di volta in volta maggiori e gradualmente la trasforma.(2) Questo processo di crescita quantitativa si combinerà (creando le conseguenti sinergie) con l'intervento delle masse popolari dirette dal partito comunista nella lotta politica tra i gruppi della borghesia tanto sviluppata nei paesi imperialisti e con le lotte rivendicative che la classe operaia e il resto delle masse popolari già conducono contro i capitalisti e il loro Stato. Esso, giunto a un certo grado di sviluppo, assumerà una qualità nuova, genererà quindi una cosa di qualità superiore che sarà la guerra popolare rivoluzionaria condotta dalle masse popolari dirette dal partito comunista contro la borghesia imperialista.

Il percorso che ho finora indicato è precisamente quanto ci insegna l'esperienza dei partiti comunisti dei paesi imperialisti (dell'Italia, della Germania, della Spagna, della Francia e, in modo più mascherato, della Gran Bretagna e degli USA) durante la prima ondata della rivoluzione proletaria - se astraiamo dalle diversità delle concrete e "accidentali" contingenze in cui la stessa storia si svolse in ogni singolo paese. In ognuno di essi, attraverso quel percorso, i partiti comunisti si avvicinarono (dove in un momento, dove in un altro) alle soglie della guerra civile e in alcuni paesi le varcarono. Esemplare in questo senso la storia dei Fronti Popolari in Spagna e in Francia. Solo che i partiti comunisti della prima Internazionale Comunista, nei paesi imperialisti non erano né ideologicamente né politicamente preparati a compiere quel percorso in modo tale da trasformare la loro resistenza alla repressione (che seppero condurre eroicamente) in guerra popolare rivoluzionaria. E dove e quando le circostanze li obbligarono ad affrontare la guerra civile a cui non si erano predisposti (ma che affrontarono tuttavia con eroismo) come in Spagna, in Italia e in Francia, la condussero sotto la direzione di una frazione della borghesia anziché condurla come centro indipendente e dirigente; cercarono di concluderla rapidamente anziché mirare a prolungarla fino a quando si fossero create le condizioni interne e internazionali di una conclusione vittoriosa per le masse popolari, con l'instaurazione del socialismo.

Anche da queste considerazioni emerge quindi confermata la importanza essenziale del maoismo per i nuovi partiti comunisti.

2. Ho citato ripetutamente l'intervento delle masse popolari dirette dal partito comunista nella lotta politica che i gruppi imperialisti conducono tra loro come secondo fronte della nostra lotta. Della lotta su questo secondo fronte, delle sue grandi potenzialità e della sua importanza i partiti comunisti della prima Internazionale Comunista ci hanno dato grandi esempi nei Fronti Popolari. Questa esperienza va compresa e valorizzata per il nostro lavoro. Bisogna dividere accuratamente il positivo dal fatto che la mancanza di indipendenza dalla borghesia nell'ambito della politica da fronte (che fu un limite di tutti i partiti comunisti dei paesi imperialisti) impedì che essa avesse il seguito positivo di cui dimostrò di essere feconda dove e quando il partito comunista seppe essere indipendente e dirigente (come ad esempio in Cina, in Vietnam e, a suo modo, nella conduzione generale dell'inizio della seconda Guerra Mondiale).

Attualmente le FSRS del nostro paese stanno ufficialmente lontano dalla lotta politica borghese. Ma le masse popolari vi sono comunque coinvolte e i gruppi della borghesia imperialista non possono fare a meno di coinvolgerle e creano per loro necessità un enorme potenziale per noi. Anche dove l'astensione delle FSRS è proclamata, ostentata e rivestita di aggettivi boriosi quanto vuoti e declamatori (attiva, militante, rivoluzionaria, ecc.), essa è principalmente un indice della nostra effettiva debolezza ideologica e politica, cioè della persistente e ampia subordinazione ideologica e politica delle FSRS alla borghesia. In generale nella situazione attuale non è un indice della nostra forza. Questa amara ma salutare e feconda verità è confermata dal fatto che, di regola, le FSRS che intervengono nella lotta politica borghese non sanno giocare che un ruolo subordinato alla borghesia. Due esempi su grande scale, per alcuni aspetti molto diversi, anzi opposti, dimostrano questo. Da una parte il ruolo di reggicoda e puntello delle combinazioni della sinistra borghese che ha giocato e gioca Rifondazione Comunista. Dall'altra la "campagna di primavera" delle Brigate Rosse nel 1978 ("affare Moro") la cui logica politica stava nella velleità di indurre il vecchio PCI a dirigere una politica che esso in nessun modo voleva e poteva fare, ma con questo designandolo ancora a essere partito dirigente di quella rivoluzione che le Brigate Rosse volevano fare.

Ovviamente la debolezza reale non la cancelliamo di colpo, semplicemente passando dall'"astenersi" al "partecipare". Si tratta di praticare una linea di intervento mirata principalmente, nell'immediato, a creare un terreno più favorevole per realizzare il nostro obiettivo immediato (la ricostruzione del partito comunista) e a raccogliere forze e risorse per esso. E contemporaneamente, rafforzando la nostra indipendenza ideologica, politica e organizzativa con la costruzione clandestina del partito comunista, di porre le basi per un intervento indipendente sul terreno che la crisi politica della borghesia renderà sempre più fecondo per la nostra causa e sempre più difficile benché indispensabile per la borghesia.

3. Quanto al fronte delle lotte rivendicative, in questa sede basta dire che attualmente esso di fatto è l'unico fronte su cui si battono gran parte delle FSRS che fanno un lavoro di massa. Ma proprio perché lo praticano come unico fronte e scisso perfino dal lavoro di ricostruzione del partito comunista, i risultati per le FSRS e per le masse popolari sono assolutamente sproporzionati agli sforzi profusi. Le FSRS che non capiscono che l'origine della sterilità sostanziale dei loro sforzi sta nella impostazione sbagliata del loro lavoro, trovano e continueranno a trovare nella sterilità dei loro sforzi alimento a una concezione disfattista della situazione.

Per di più le pretese di "politicizzare le lotte rivendicative", di "trasformare le lotte rivendicative in lotte politiche", ecc. confondono campi di lavoro che bisogna distinguere nettamente e chiaramente, per poterli combinare in modo fecondo. Scorrendo le analisi e i bilanci che le FSRS economiciste fanno delle lotte rivendicative e studiando il ruolo che cercano di svolgere in esse, risulta agli occhi di chiunque sia capace di vederlo che esse in nulla si distinguono da anarco-sindacalisti e da trotzkisti. La cosa è particolarmente evidente nei paesi, come la Francia, dove FSRS e organizzazioni trotzkiste e anarco-sindacaliste di una certa consistenza e organizzativamente autonome esistono fianco a fianco. Le FSRS si distinguono da anarco-sindacalisti e trotzkisti solo per il fatto 1. che, in coda alla loro analisi e ai loro bilanci (del tutti simili a quelli degli anarco-sindacalisti e dei trotzkisti) appiccicano la giaculatoria della necessità del partito comunista - la cui assenza però non entra per nulla nelle loro analisi e nei loro bilanci delle lotte rivendicative e 2. che nella pratica le FSRS sono più impacciate degli anarco-sindacalisti e dei trotzkisti perché le trattiene dall'aderire al prevalente corso borghese delle cose (in cui anarco-sindacalisti e trotzkisti comodamente sguazzano senza alcun fastidio) la coscienza che "però ci vuole il partito comunista".

I comunisti riusciranno a partecipare in modo fecondo per la nostra causa alle lotte rivendicative solo man mano che daranno ad esse, nel loro lavoro, il ruolo che effettivamente possono svolgere (di "scuola di comunismo") e svilupperanno il complesso del loro lavoro in un sistema articolato di attività con le priorità che esse hanno "per forza di cose".

In conclusione, questa è, a grandi linee, la risposta che l'esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e gli avvenimenti correnti danno alla domanda sopra formulata: alla condizione che li studiamo entrambi alla luce della teoria rivoluzionaria del movimento comunista, cioè il marxismo-leninismo-maoismo. Questa è la politica rivoluzionaria. Questa è la nostra via al socialismo. Ed è, come ognuno vede, la via che una parte delle FSRS sta di fatto percorrendo prima ancora che sia stata apertamente formulata - perché, come avviene per ogni scoperta veramente scientifica e per ogni grande movimento storico, la realtà precede la coscienza. Ma la coscienza della realtà permetterà di sviluppare un'attività di gran lunga più efficace, più coerente e su scala più grande. Quando avremo meglio compreso i tre fronti di lotta e la loro combinazione, il partito comunista riuscirà ad avanzare più rapidamente e, prima ancora, avremo un indirizzo più fermo e più lungimirante per il lavoro che già oggi conduciamo per ricostruire il partito comunista.

 

Ernesto V.

 

Note

 

1. Oggi varie FSRS del nostro e di altri paesi imperialisti non assumono il compito di mobilitare la solidarietà verso gli oppositori dell'ordine imperialista che la borghesia dichiara "terroristi". In questo modo esse accettano la direzione politica della borghesia e si assoggettano alle sue "liste nere", in nome delle "divergenze sulle forme di lotta" che, nel caso dei "terroristi", esse antepongono allo schieramento di classe e politico (nazionale e internazionale). Esse ritengono che la solidarietà con i "terroristi" dichiarati dalla borghesia ostacolerebbe quel legame con le masse popolari di cui l'impostazione economicista e legalitaria del loro lavoro ostacola lo sviluppo.

2. Cosa vuol dire "resistere alla repressione"? Non si tratta semplicemente dell'eroismo dei martiri. Si tratta sostanzialmente di non rinunciare, sotto l'incalzare e l'imperversare della repressione, al proprio ruolo, non ridursi a fare solo quello che la borghesia permette (come consigliano attendisti, opportunisti, trotzkisti e semplici vigliacchi), non sbandarsi. Ma continuare a svolgere (riuscire a continuare a svolgere) il proprio ruolo, ovviamente adattando alla situazione, che evolve a ogni campagna repressiva, le forme del nostro lavoro nella misura in cui la repressione stessa mostra che non sono adeguate e, per quanto ne siamo capaci, prevenendola. Se sotto l'incalzare dell'offensiva fascista del 1921-1926 culminata con l'applicazione delle misure eccezionali del 1926 il primo partito comunista italiano si fosse sbandato e si fosse sciolto (come fecero i partiti borghesi e i partiti riformisti e come fecero Bordiga e i suoi seguaci), il movimento comunista non avrebbe condotto le masse popolari del nostro paese alla Resistenza. Analoga considerazione vale per il partito comunista russo messo di fronte alla controffensiva reazionaria del periodo 1907-1912; per il partito comunista cinese di fronte al "terrore bianco" del 1927 e alle successive ripetute "campagne di accerchiamento e di annientamento"; per ogni altro partito comunista il cui ruolo rivoluzionario nella storia politica del rispettivo paese si è sviluppato oltre il livello germinale. Per poter resistere nel senso qui indicato alla repressione, il partito comunista deve in particolare essere clandestino, come già Lenin indicava ad esempio negli scritti Il fallimento della II Internazionale, 1915 e A proposito dell'opuscolo di Junius, 1916.