La Voce 16 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno VI - marzo 2004

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Comunicato di Giuseppe Maj


Membro della Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano, dal 20 dicembre 2003 confinato nel dipartimento Seine Saint Denis (periferia di Parigi)


21 gennaio 2004

80° anniversario della morte di Lenin. 83° anniversario della fondazione del primo Partito comunista italiano


Con la liberazione di Giuseppe Czeppel e mia il 20 dicembre scorso si è chiusa una fase della collaborazione delle Autorità francesi con le Autorità italiane nella persecuzione contro il (nuovo)Partito comunista italiano - (n)PCI - e se ne è aperta una nuova. È necessario fare il bilancio della vecchia fase e precisare le caratteristiche della nuova. A questo scopo occorre chiarire anzitutto il quadro della “persecuzione sistematica” delle Autorità italiane contro i promotori della ricostruzione del partito comunista italiano.

Il nostro arresto il 23 giugno scorso infatti è avvenuto nell’ambito di una campagna di perquisizioni, sequestri, interrogatori e altre forme di intimidazione (come la distruzione delle suppellettili delle abitazioni perquisite) ed è stato un episodio della lunga “persecuzione sistematica” che le Autorità italiane conducono dal 1981 contro il lavoro svolto per la ricostruzione del partito comunista sfociato nella costituzione del (n)PCI.

Questo lavoro è iniziato nel 1979, quando fu evidente il fallimento dei due precedenti tentativi impersonati rispettivamente dal PCd’I (Nuova Unità) e dalle Brigate Rosse (in proposito vedasi F. Engels - 10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del partito comunista, 1995). Da allora è stato condotto con continuità ideale fino ad oggi. Il (n)PCI in quanto organizzazione è lo sbocco ultimo del processo iniziato allora. Ed è dal 1981 che le Autorità italiane perseguitano con singolare tenacia e accanimento e con unità di metodo, cioè “perseguitano sistematicamente” i promotori e i protagonisti di questo processo di ricostruzione del partito comunista. Questa “persecuzione sistematica” costituisce un caso di persecuzione unico negli ultimi 50 anni della storia del nostro paese per continuità, unità di indirizzo e durata. Chi non condivide questa conclusione, non ha che da indicare un secondo caso simile a quello qui descritto. I motivi che da più di 20 a questa parte spingono la borghesia imperialista italiana a “perseguitare sistematicamente” questo processo di ricostruzione del pc sussistono tuttora. È quindi ragionevole attendersi che il nostro caso non vada, con la sentenza emessa il 19 dicembre dalla Chambre de l’Instruction de la Cour d’Appel di Parigi, verso una più o meno silenziosa conclusione, ma che abbia nuovi ed eventualmente clamorosi sviluppi e rilanci, probabilmente ad opera della Procura di Bologna che sull’argomento ha impegnato vari suoi uomini e il suo prestigio. A fronte di questa eventualità, noi membri del (n)PCI rinnoviamo alle FSRS, ai lavoratori avanzati e ai sinceri democratici del nostro paese e degli altri paesi europei la richiesta di mobilitarsi non solo a nostra difesa ma a difesa delle libertà democratiche. La “persecuzione sistematica” delle A.I. contro il lavoro svolto per la ricostruzione del partito comunista italiano è infatti un caso esemplare ed espressione sintetica della crescente restrizione delle libertà democratiche delle masse popolari che la borghesia imperialista sta imponendo in tutti i paesi della UE (la messa fuori legge di Batasuna e del PCE(r) e di varie organizzazioni palestinesi, arabe, dei movimenti rivoluzionari dei paesi oppressi lo conferma) e coinvolge (come le perquisizioni del 23 giugno 03 mostrano) le autorità di un numero crescente di paesi. Fronteggiare questa “persecuzione sistematica” è quindi una questione che riguarda direttamente gli interessi di ogni FSRS, di tutti i lavoratori avanzati e di tutti i sinceri democratici e non solo la loro solidarietà nei confronti di noi e degli altri compagni bersaglio della macchinazione lanciata dalle Procure di Napoli e di Bologna con le perquisizioni coordinate del 23 giugno 03.

Nel seguito intendo dimostrare le buone ragioni che stanno alla base del nostro appello e illustrare l’aiuto e la mobilitazione che chiediamo.

 

La persecuzione sistematica della costruzione del nuovo partito comunista italiano

 

Il processo di ricostruzione del partito comunista sfociato nella costituzione del (n)PCI è veramente iniziato più di 20 anni fa? Esiste ed è esistita veramente una “sistematica persecuzione” delle Autorità italiane contro questo processo? Perché le Autorità italiane conducono questa persecuzione sistematica?

Sono tre questioni a cui occorre dare risposte precise.

1. Il (n)PCI ha incominciato ad esistere come organizzazione nel senso stretto del termine nel 1998, quando venne costituita la Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano. La CP ha reso di pubblico dominio la propria esistenza nel marzo 1999 pubblicando il n. 1 della rivista La Voce. Con questa pubblicazione la CP chiamò comunisti e lavoratori avanzati a costituire nelle aziende, nei luoghi d’abitazione e nelle associazioni di massa comitati clandestini del (n)PCI e ad attuare “il piano in 2 punti per la costituzione del (n)PCI”. Ma il (n)PCI inteso in senso stretto è il punto di arrivo, lo stato attuale di una “carovana” che si mette in moto alla fine degli anni ’70 e che da allora ha continuato la sua “marcia verso il West”. Strada facendo questa carovana ha mantenuto la sua natura nel corso degli anni: essa è rimasta lungo quasi 25 anni la “carovana della ricostruzione del vero partito comunista italiano, che facesse pienamente tesoro del patrimonio teorico e di esperienze accumulato dal movimento comunista nei suoi circa 150 anni di vita (identità comunista) e che fosse all’altezza dei compiti politici posti dalla seconda crisi generale del capitalismo e dalla connessa situazione rivoluzionaria in sviluppo (superamento dei limiti del vecchio movimento comunista e adeguamento ai nuovi sviluppi della società)”. Ma essa ha invece cambiato più volte denominazione e insegne. C’è stato un ricambio dei membri della carovana (alcuni se ne sono andati e altri si sono aggiunti strada facendo). A volte si è trattato di gruppi, di rivoli che si sono aggregati al corpo principale della carovana. Altre volte si è trattato di gruppi, di rivoli che se ne sono staccati e hanno preso direzioni diverse. Vi sono state divergenze, dissidi e scontri tra i membri della carovana. Oggi vi sono anziani e novizi. A volte la carovana ha lasciato indietro famiglie che si sono fissate sul posto pur mantenendo determinati tegami col grosso che continuava la marcia. È capitato anche che alcuni distaccamenti restassero indietro rispetto al nucleo centrale della carovana, pur continuando anch’essi ad avanzare ma ad una velocità ridotta. È capitato che la carovana di fatto o di proposito “si sfilacciasse” in un distaccamento che per occupare prima e a beneficio di tutti una posizione avanzata prendeva una scorciatoia, in una parte che seguiva il cammino “normale” e in una retroguardia che manteneva sulla pista quanti potevano procedere solo più lentamente. Questa carovana mantenne per quasi 25 anni la sua identità rispetto al contesto in cui avanzava, ma non avanzò mai isolata. Al contrario ha svolto un lavoro via via più articolato ed è sempre stata unita da molteplici relazioni con organismi che limitavano unilateralmente il proprio impegno a questo o a quell’aspetto del lavoro complessivo della carovana: che fosse il bilancio del movimento comunista e l’elaborazione della teoria rivoluzionaria per gli uni, la solidarietà con i rivoluzionari prigionieri, la lotta contro la repressione esercitata dalla borghesia sulle masse popolari, l’intervento in questa o quella contraddizione della vita politica borghese o il sostegno delle lotte rivendicative della classe operaia e del resto delle masse popolari per altri. La carovana mentre avanzava ha interagito in un modo o nell’altro con gran parte delle FSRS e degli altri organismi popolari operanti in campo politico, culturale o rivendicativo che via via sono sorti, hanno operato e in massima parte sono scomparsi dopo una più o meno lunga vita. Ma a chi considera oggi gli avvenimenti passati, a chi considerava già anni fa quella carovana con la speranza che mantenesse la sua direzione e continuasse ad avanzare, a chi osservava con preoccupazione e timore quella carovana che avanzava verso la “città proibita” e che sempre più si inoltrava nel “territorio interdetto” avvicinandosi sempre più pericolosamente alla “città proibita”: a queste varie categorie di persone è chiaro che esiste una carovana che da più di 20 anni avanza verso la ricostruzione del partito comunista. Se volgendoci all’indietro consideriamo oggi il “Gruppo di studio su Bahro” del ’79 e poi il Comitato Naria, il Comitato di Propaganda Comunista (Coproco), il Coordinamento Nazionale dei Comitati contro la Repressione, la Casa Editrice G. Maj Editore, la redazione della rivista Rapporti Sociali, i CARC e l’ASP, la Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del (nuovo)Partito comunista italiano e i suoi Comitati di partito del (n)PCI è chiaro che vi è un filo che lega tra loro queste vari organismi e ne fa espressioni o tappe diverse di un unico processo: la ricostruzione del nuovo partito comunista italiano. È chiaro a tutti quelli che considerano la cosa nel corso degli anni, che lungo i quasi 25 anni di cui parlo si è venuto sviluppando, creando, costituendo un “corpo dottrinale”, un insieme organico di concezioni generali, di analisi, di linee, di metodi di azione politica, di modi di vedere le cose e di lavorarci sopra che anima e guida una corrente che si snoda nel corso di quasi un quarto di secolo. Questo è il processo che ha portato al (n)PCI: un processo nel corso del quale si sono venute realizzando e in una certa misura si sono realizzate le quattro condizioni per la ricostruzione del partito comunista: formazione e selezione di comunisti; elaborazione del programma, dell’analisi della situazione, della linea e del metodo di pensare e di agire; legame con i lavoratori avanzati; accumulazione dei mezzi finanziari e degli altri mezzi logistici (contatti, relazioni, strumenti, tecniche e conoscenze) necessari alla vita del partito comunista. Quindi è dimostrato che dalla fine degli anni 70 si è sviluppato con continuità, nel modo in cui poteva svilupparsi date le circostanze concrete, un processo unitario di ricostruzione del partito comunista sfociato nella costituzione del (n)PCI.

2. È esistita ed esiste veramente una “sistematica persecuzione” delle Autorità italiane contro questo processo?

Posto che questo processo si sviluppa da circa 25 anni senza continuità organizzativa e strettamente intrecciato con il complesso del movimento politico, rivendicativo e culturale della classe operaia e del resto delle masse popolari del nostro paese, ma certamente con continuità ideale, di concezione e di metodo, è indubbio per chiunque conosce la cronaca italiana dell’ultimo quarto di secolo che, nell’ambito della più vasta e crescente opera di repressione condotta dalla borghesia imperialista contro le masse popolari, esso è stato bersaglio di ripetuti e specifici attacchi. Questi specifici attacchi si sono ripetuti fino a configurare uno scontro che è diventato via via più chiaramente la parte più specificamente politica (cioè attinente alla questione del potere) della vasta attività repressiva condotta dalla borghesia contro le masse popolari.

Questi specifici attacchi, pur essendo portati di volta in volta da Autorità diverse, hanno tutti alcuni caratteri comuni. Si è costantemente trattato

1.         di procedimenti giudiziari ognuno basato sull’accusa di implicazione nella preparazione o attuazione di attentati,

2.         di campagne di intimidazione o di denigrazione incentrate sullo stesso assunto,

3.         di misure di discriminazione, isolamento, esclusione giustificate con lo stesso assunto.

A ben considerare, l’implicazione nella preparazione o nell’attuazione di attentati era ed è l’accusa più semplice e più efficace, benché assolutamente infondata, che la borghesia poteva lanciare contro il nuovo partito comunista.

La più semplice perché in Italia una “lotta armata” è esistita: con alcune caratteristiche negli anni ’70 prima della deviazione militarista delle Brigate Rosse (come propaganda armata per la ricostruzione del partito comunista) e poi, dopo la sconfitta delle Brigate Rosse conseguente alla loro deviazione militarista, con caratteri diversi che per molti versi la avvicinano alla “politica dell’atto dimostrativo” perseguita da individui e da gruppi di ispirazione anarchica negli ultimi decenni del secolo XIX e nei primi decenni del secolo XX. Cioè durante la prima “crisi da revisionismo” del movimento comunista. Un certo numero di re, principi, capi di Stato, capi di governo, ministri e autorità di livello inferiore ne rimasero vittime tra il 1895 e il 1914 in Europa e negli USA. Si tratta di un’attività che per sua natura crea il terreno favorevole a molte manovre sporche delle Autorità e di gruppi della classe dominante: dall’accusare giudiziariamente o anche solo “politicamente” di implicazione qualche individuo e organismo che un autorevole gruppo borghese vuole eliminare o avversario che vuole indebolire, al montaggio di vere e proprie operazioni di “strategia della tensione”. La sostanza della “strategia della tensione” infatti è che un gruppo della classe dominante compie o fa compiere o lascia compiere attentati e poi ne addossa la responsabilità al partito comunista in modo da impedire od ostacolare l’aggregazione delle masse popolari attorno ad esso e facilitare la sua persecuzione o dissoluzione e nel contempo aggregare la parte più arretrata delle masse popolari attorno alla classe dominante e al suo “partito dell’ordine” onde isolare e attaccare il pc.

La più efficace perché, dopo la deviazione militarista delle Brigate Rosse, contro la “lotta armata” si è creata (per diverse ragioni e con segni diversi) una diffusa benché eterogenea e contraddittoria coalizione interclassista capitanata dai maggiori esponenti della strategia della tensione. Questi infatti hanno uno strumento efficace di azione politica nella misura in cui esistono sia la “lotta armata” sia il rifiuto di massa della “lotta armata”.

Di conseguenza la borghesia imperialista poteva combinare la repressione contro il nuovo partito comunista condotta dai corpi e dalle istituzioni della controrivoluzione preventiva con tentativi di mobilitazione di massa contro il nuovo partito comunista.

Tutti i procedimenti giudiziari lanciati contro “la carovana della ricostruzione del vero partito comunista italiano” dal 1981 a oggi (un promemoria preparato dall’avvocato Giuseppe Pelazza per la difesa nel nostro attuale caso ne elenca sei prima dell’attuale) attribuivano a membri di quella carovana quello che essi non facevano. È un caso che Autorità della classe dominante hanno continuato lungo più di 20 anni ad attribuire ai membri di quella carovana attività loro estranee, ma comode come pretesto per interrompere la loro attività? Tutte le Autorità che hanno successivamente assunto un ruolo dirigente in questa persecuzione si sono “sbagliate” e sempre, guarda caso, allo stesso modo? Nei più di 20 anni di esistenza di quella carovana mai è saltato fuori anche un solo autore di attentati che provenisse dalle sue fila. Eppure la Commissione Bicamerale Stragi (molti ricorderanno l’on. Pellegrino e le sue perorazioni contro i CARC) ha continuato a parlare di quella carovana come di una “organizzazione terroristica”. La CGIL espelle dal sindacato i membri dei CARC come “terroristi”, come in Germania la centrale sindacale tedesca DGB con altri pretesti espelle i membri del MLPD (Partito Marxista-Leninista di Germania). Varie FSRS succubi ideologicamente della borghesia “isolano” i CARC e partecipano a una sorta di “congiura del silenzio” contro le attività della CP e le posizioni teoriche che essa afferma: se “citano” non dicono mai la fonte. Fino a Pisanu e Taormina che ancora l’8 gennaio 04 nella Commissione Affari Costituzionali vomitano bile e livore contro il (n)PCI e invocano e annunciano sanzioni severe e definitive. Insomma ci vuole molta buona volontà per non vedere che da quasi 25 anni la classe dirigente italiana ha condotto e conduce una “persecuzione sistematica” contro quel processo di ricostruzione del pc che è sfociato nella costituzione del (n)PCI. Esiste ed è esistito un piano coerente, bene organizzato di “persecuzione sistematica” di quella carovana con uno Stato Maggiore che ne dirige l’applicazione, “un’orchestrazione e un direttore d’orchestra” come direbbero i membri di D17, autori del vergognoso comunicato giustamente denunciato da La Voce n. 15. Ma è forse mai esistito qualcosa del genere ad esempio per la collaborazione tra la DC e la Mafia? O per la collaborazione tra la borghesia italiana e il Vaticano? Basta costruire un’immagine grottesca delle operazioni politiche per negare poi che esistano anche operazioni politiche peraltro realissime, per nasconderle e quindi favorirne la prosecuzione. Ma i fatti hanno la testa dura. Quando un’operazione politica corrisponde agli interessi reali, pratici e universali della borghesia, essa è perseguita da più lati e sotto angolature diverse dai suoi esponenti anche se tra di essi non esiste un “piano ben orchestrato” e anzi esistono contrasti e concorrenza, come è nella natura della borghesia. E le operazioni che per la loro natura non possono essere oggetto di una legge e di un “programma di legislatura”, proprio per questo vengono compiute con metodi e procedimenti loro propri, che non sono quelli delle operazioni politiche legali, come l’intervento della Protezione Civile in soccorso dei terremotati di San Giuliano. In tutti gli attuali regimi borghesi esiste una “Costituzione reale” diversa dalla “Costituzione legale”, un programma reale di governo diverso dal programma elettorale e ufficiale dei partiti che lo compongono, un regime contabile e fiscale reale diverso da quello legale, una gerarchia di autorità reali diversa dalla gerarchia delle autorità legali (legalmente in Italia il potere del Vaticano sarebbe poca cosa e Agnelli o Pirelli non avrebbero nessuna autorità politica). Esistono persino corpi e istituzioni reali e occulti diversi da quelli previsti da leggi e ordinamenti, ecc. Perfino Berlusconi e Bossi qualificano alcune attività politiche di ministri e segretari di partito con l’epiteto spregiativo di “teatrino della politica” sottintendendo che esiste una politica reale che non si esibisce sul palcoscenico, non è di dominio pubblico, è cioè clandestina. È forse tanto inconcepibile, che sarebbe assurdo gettare l’allarme al riguardo, la tesi che la borghesia imperialista italiana ha anche una politica reale dell’ordine pubblico diversa da quella ufficiale, la sola che è oggetto di programmi di governo e di leggi? Chi vuole dare una spiegazione razionale dei procedimenti giudiziari che nel corso degli anni hanno colpito “la carovana della ricostruzione del vero partito comuni sta italiano”, una spiegazione coerente con le caratteristiche dei vari protagonisti della società italiana, quindi costruire un quadro della realtà che sia ragionevole, coerente e verosimile e non richieda per spiegare i fatti l’intervento della Madonna di Fatima o di altro “deus ex machina”, non può che concordare con quanto ho sopra esposto. Quindi deve riconoscere che da quasi 25 anni la borghesia imperialista italiana conduce una “persecuzione sistematica” contro il processo di ricostruzione del pc che è sfociato nella costituzione del (n)PCI. Questa “persecuzione sistematica” ha alcune caratteristiche che è importante comprendere. La borghesia non accusa apertamente “la carovana della ricostruzione del vero partito comunista italiano” per quello che essa fa, ma la accusa di attività che essa non fa e di intenzioni che le sono estranee. La borghesia non interdice apertamente e per legge ogni attività politica ai comunisti. Ufficialmente anzi la ammette, ma di fatto perseguita i comunisti (reali o presunti membri del (n)PCI e della “carovana”) imputando loro come reati attività che essi non fanno. In Italia la borghesia interdì ogni attività politica ai comunisti, e l’esistenza stessa del partito comunista, al tempo del Fascismo, nel 1926. Allora sciolse tutte le organizzazioni politiche salvo quelle fasciste e quelle clericali (facenti capo al Vaticano) e arrestò molti comunisti ivi compreso il principale dirigente del partito comunista, A. Gramsci, applicando retroattivamente le leggi speciali fatte allo scopo. Ma, a differenza degli altri partiti, il partito comunista, pur colto anch’esso alla sprovvista, non si sciolse, con il sostegno della Internazionale Comunista e dell’URSS riorganizzò con tenacia ed eroismo nella clandestinità la sua attività e nel giro di neanche 20 anni la situazione era diventata così brutta per la borghesia e i legami del PCI con la classe operaia e le masse popolari erano diventati così forti che negli anni 1945-1947 l’Italia fu lì lì per diventare un paese socialista. Non lo diventò principalmente per i limiti di concezione e di linea politica propri del partito stesso. La borghesia da allora non osò più (neanche ai tempi di Scelba) e non osa ancora interdire ogni attività politica ai comunisti. Deve quindi ricorrere a pretesti per perseguitare i comunisti. Ma il ricorso a pretesti irreali rende la persecuzione meno efficace e relativamente fragile: offre spunti maggiori e specifici per resistervi e fare di ogni persecuzione un fattore di rafforzamento del partito.

3. Perché la borghesia imperialista italiana e le sue Autorità (quindi non solo il governo Berlusconi) “perseguitano sistematicamente” da più di 20 anni a questa parte la carovana che impersona il processo di ricostruzione del pc sfociato nella costituzione del (n)PCI?

Le possibili risposte a questa domanda in sostanza si riducono a due. Una è che la classe dirigente italiana è tarata e affetta da pulsioni morbose a perseguitare chi non merita la sua persecuzione: che negli ultimi 50 anni non abbia mai perseguitato nessun altro gruppo con pari accanimento e su un così lungo periodo come ha fatto e fa con quella carovana, sarebbe un caso. L’altra risposta è che la classe dirigente italiana ha visto e vede in quel processo e nel (n)PCI che ne è il risultato un pericolo che altri protagonisti della politica italiana e meno avveduti avversari del comunismo non vedono. In Italia nella sinistra borghese e nella sinistra popolare di regola si sottovaluta la capacità della borghesia italiana di comprendere la situazione politica e di operare in modo da conservare il potere: in una parola, l’intelligenza politica della borghesia italiana. L’Italia borghese è sempre stata una paese debole nell’ambito delle grandi potenze europee e mondiali perché la borghesia italiana ha unificato politicamente il paese senza eliminare il Papato (il Vaticano), di cui aveva bisogno per far fronte alle masse popolari. L’esistenza di due poteri politici autonomi nello stesso paese ha aperto la via alla proliferazione di poteri autonomi e quindi ha impedito che lo Stato italiano concentrasse in sé il potere necessario perché l’Italia borghese diventasse una grande potenza. Da qui l’opinione diffusa che l’imperialismo italiano è un “imperialismo straccione”. Ma per altro verso la borghesia italiana ha più volte dimostrato un raffinata intelligenza politica che si è formata con l’apporto delle precedenti classi dominanti del paese ed è costituita con il contributo determinante del Vaticano. Senza il Vaticano, il resto della classe dominante italiana difficilmente sarebbe sopravvissuto alla crisi successiva alla prima guerra mondiale e a quella successiva alla seconda. La grande intelligenza politica della borghesia italiana, intesa nel suo complesso comprendendovi quindi il Vaticano, è invece dimostrata sia dalla formazione del Fascismo sia dalla formazione del regime DC: due costruzioni per cui essa ha fatto scuola nel mondo. Quindi bisogna concludere che la borghesia italiana nel perseguitare sistematicamente da quasi 25 anni la carovana il cui lavoro è sfociato nella costituzione del (n)PCI è guidata dalla sua grande intelligenza politica.

Perché questa “persecuzione sistematica”? Alcuni (e tra gli altri i membri di D17 hanno occupato un posto distinto per infamia, come La Voce n. 15 ha denunciato) dicono che noi stessi siamo responsabili della persecuzione che subiamo. Se fossimo più buoni e più cauti, non saremmo perseguitati. Quanto a noi, noi ci rifacciamo al presidente Mao: “Se il nemico ci attacca è un buon segno: vuol dire che la nostra esistenza e la nostra attività lo disturbano”. In un periodo in cui il 99% delle persone colte affermano che “il comunismo è morto”, perché perseguitare un piccolo e ancora precario partito comunista? Non è un caso che la classe dirigente italiana non è in grado di fare una legge che ci metta fuorilegge, di perseguitarci apertamente per quello che facciamo, di fare blocco compatto contro di noi al punto da portare a fondo (cioè fino alla condanna) i procedimenti giudiziari con cui ci disturba e intralcia la nostra attività. Come non è un caso che non riesce ad impedire il nostro sviluppo, che non è più lento di quello delle FSRS non “sistematicamente perseguitate” dalla borghesia imperialista italiana. Noi ci siamo sviluppati lentamente, ma 1. perché siamo riusciti solo lentamente a recuperare e assimilare il patrimonio del vecchio movimento comunista che il revisionismo moderno e l’opera della borghesia avevano cancellato o ricoperto da mille strati di deformazioni (e certamente abbiamo ancora del lavoro da fare in proposito) e 2. perché siamo riusciti solo lentamente a individuare e superare i limiti che hanno impedito al vecchio movimento comunista di continuare a svilupparsi oltre i grandi risultati raggiunti nella prima parte del secolo XX e che lo hanno fatto preda dei revisionisti moderni che lo hanno condotto allo sfacelo. Inoltre la velocità dello sviluppo di un partito comunista è condizionata anche dallo sviluppo complessivo delle contraddizioni e della lotta politica e culturale della società. La forza del partito comunista è nello stesso tempo sia una forza motrice della maturazione della situazione generale, sia un effetto e un indice di essa.

La ragione vera della “persecuzione sistematica” che la borghesia imperialista conduce contro la carovana il cui percorso è sfociato nella costituzione del (n)PCI sta nel fatto che la sua linea è sostanzialmente giusta, il suo metodo d’azione abbastanza efficace e la concezione del mondo che elabora, di cui si nutre e che diffonde è comunista, incompatibile con la sopravvivenza del capitalismo: quindi il sistema organizzativo e in generale di relazioni che si forma su questa base costituisce un potere antagonista che la borghesia cerca di eliminare. Non è un caso che la “persecuzione sistematica” di quella carovana da parte della borghesia imperialista italiana costituisce un caso unico negli ultimi 50 anni di storia del nostro paese, come ho sopra già indicato.

 

La nostra risposta alla persecuzione sistematica

 

Di fronte alla “persecuzione sistematica” condotta dalla borghesia imperialista italiana noi comunisti non potevamo accontentarci di resistere, mantenendoci fedeli alla nostra causa e sopportando pazientemente i colpi che la borghesia ci infliggeva. Un atteggiamento del genere è giusto come morale individuale. È sbagliato come comportamento collettivo, d’insieme, dei comunisti, del loro partito. Il partito deve mettersi in condizioni di continuare a svolgere con libertà e iniziativa il suo ruolo sociale qualunque cosa faccia la borghesia. Il partito comunista deve far fronte con il resto delle masse popolari alle angherie della borghesia, ma lo deve fare svolgendo un ruolo particolare: deve mostrare e aprire al resto delle masse popolari la via per liberarsene. Se non fa questo e semplicemente subisce le angherie della borghesia e si affida alla resistenza individuale dei suoi membri, esso viene meno al suo ruolo e tradisce la causa, quale che sia l’eroismo e la disponibilità al sacrificio che i suoi membri individualmente mostrano. Da qui la nostra principale misura di difesa dalla “persecuzione sistematica” che è consistita nel passare all’attacco: la linea della clandestinità, la settima discriminante.

La “persecuzione sistematica” ha indotto la parte più avanzata della carovana della ricostruzione del pc a costituire il (n)PCI. A comprendere ciò che la storia del movimento comunista mostra chiaramente a chi la studia per trovare risposta alla questione, l’insegnamento che già Lenin aveva tratto: vedasi Il fallimento della II Internazionale (1915) e A proposito dell’opuscolo di Junius (1916). Il partito comunista nell’epoca della rivoluzione proletaria, nell’epoca dell’imperialismo e della controrivoluzione preventiva deve essere clandestino. La clandestinità è una condizione indispensabile sia per la continuità del suo apparato organizzativo sia per condurre sistematicamente senza restrizioni, reticenze, sottintesi, ma nel modo più comprensibile ed efficace un’attività libera e multiforme di elaborazione dell’esperienza, di formulazione di linee e parole d’ordine, di propaganda e di mobilitazione delle masse popolari e di accumulazione delle forze rivoluzionarie. Insomma è una universale condizione necessaria perché un partito comunista riesca ad assolvere al proprio ruolo nell’epoca della rivoluzione proletaria. Questa è la lezione che il (n)PCI ha ricavato dall’esperienza pluriennale della carovana, alla luce dell’esperienza e del patrimonio teorico del movimento comunista italiano e internazionale e dell’analisi dei regimi politici dei paesi imperialisti. Questa conclusione (la “settima discriminante”) l’abbiamo più volte enunciata e spiegata da più lati nella rivista La Voce (dal n. 1 al n. 14) e nella misura delle nostre forze l’abbiamo propagandata in Italia presso le FSRS e gli elementi avanzati delle masse popolari e all’estero presso i partiti e le organizzazioni comuniste. E continueremo a farlo. Le condizioni che la repressione e la nostra resistenza alla repressione hanno creato ci consentono ora di farlo con più forza e con un raggio d’azione più ampio.

Era ovvio che questa nostra conclusione, di cui il (n)PCI è la concretizzazione, suscitasse perplessità e opposizione tra le FSRS. Lo scontro sulla questione fa parte integrante del lavoro per la ricostruzione del partito comunista e per il suo rafforzamento e dello schieramento delle FSRS e degli elementi avanzati delle masse popolari rispetto ai compiti nuovi della lotta di classe che il progredire della crisi generale del capitalismo sempre più apertamente pone all’ordine del giorno. Era inoltre ovvio che la costituzione del (n)PCI come partito clandestino, che complessivamente rendeva la repressione meno efficace e meno utile per la borghesia (e anzi per alcuni aspetti più dannosa per essa), offriva nello stesso tempo alla borghesia imperialista, che però ci aveva “sistematicamente perseguitato” già quando non eravamo clandestini, un nuovo argomento per giustificare presso le masse popolari la continuazione della sua “sistematica persecuzione”. Essa ha offerto anche nuove armi agli avversari del comunismo e alla destra delle FSRS per denigrare e cercare di isolare sia il (n)PCI sia le FSRS che, pur non partecipando al (n)PCI, si sono espresse a favore della sua costituzione o della sua attività in generale o anche solo a favore di alcuni aspetti della sua attività.

Una delle accuse o critiche è stata che “abbiamo offerto una nuova arma alla borghesia per attaccare noi, tutte le FSRS e tutto il movimento di resistenza e di protesta”. In realtà la borghesia ci perseguitava, e con più efficacia, anche quando non eravamo clandestini e l’esistenza del partito clandestino protegge le organizzazioni comuniste e popolari legali, in quanto la borghesia modera la sua persecuzione contro di esse per non dare ragione, prestigio e maggiore forza al partito clandestino e comunque ogni persecuzione contro di esse, se incontra una resistenza conforme alla concezione e alla linea del partito, rafforza il movimento comunista nel suo complesso. Il partito clandestino è un baluardo contro la persecuzione e una salvaguardia anche per le organizzazioni pubbliche. Da qui la rabbia della borghesia contro di esso e la sistematica opera di denigrazione contro di esso, a cui le FSRS non devono collaborare, ma anzi opporsi. Un’altra accusa che ci viene fatta è che costituendoci in partito clandestino noi facciamo come la borghesia, il cui regime è ingolfato di organizzazioni e attività clandestine che svolgono una percentuale grande e crescente delle sue attività politiche, economiche e culturali. L’attività della Commissione Anselmi di inchiesta sulla P2 e la sua incapacità di concludere con una proposta di legge che vietasse le organizzazioni e le attività clandestine confermano quanto la borghesia in generale e il Vaticano in particolare siano ridotti a cospirare, a complottare e ad agire nell’ombra al riparo dallo sguardo delle masse popolari e dei propri concorrenti. Senza attività clandestina nè l’Opus Dei potrebbe tessere le sue trame, né l’IOR potrebbe controllare il sistema finanziario e manovrare i Sindona, Calvi, Fazio e Tanzi di turno, né il Mossad potrebbe controllare ed eliminare gli avversari più efficaci del. sionismo, né gli imperialisti USA potrebbero infiltrare e ricattare la classe dirigente italiana, nè la Mafia potrebbe tessere i suoi lauti affari, ecc. L’elenco potrebbe continuare perché da Gladio ai vari ordini cavallereschi (di Malta, del Santo Sepolcro, ecc.) e alle varie logge massoniche e paramassoniche la classe dominante del nostro paese è un brulicare di organizzazioni clandestine. In realtà però la nostra clandestinità, oltre a rispondere a uno stato di necessità impostoci dalla borghesia, è sostanzialmente differente da quella della borghesia. Ogni organizzazione clandestina borghese cerca di nascondere alle masse popolari e ai concorrenti la sua esistenza, i suoi obiettivi, la sua concezione, la sua linea e i suoi metodi d’azione. Al contrario il (n)PCI cerca con tutte le sue forze di far conoscere alle masse popolari la sua esistenza, i suoi obiettivi, la sua concezione, la sua linea e i suoi metodi d’azione; essi rispecchiano e ambiscono a realizzare le migliori aspirazioni e i migliori sentimenti delle masse popolari; il (n)PCI chiama con ogni mezzo le masse popolari a partecipare alla elaborazione e alla realizzazione dei propri obiettivi.

Può darsi che trascuriamo o ignoriamo alcune altre obiezioni. Un tratto comune a tutte le obiezioni che ci vengono fatte è comunque che nessuno dei nostri obiettori ha esposto né in privato e tantomeno in pubblico un piano alternativo al nostro che dia una soluzione ragionevole al problema a cui noi abbiamo dato soluzione costituendoci in partito clandestino.


La risposta delle FSRS, dei lavoratori avanzati e dei sinceri democratici


Detto questo, anzitutto riconfermiamo la nostra determinazione a continuare il lavoro di rafforzamento del (n)PCI. Questa è la risposta principale e la più efficace alla repressione. E per questo incitiamo anche tutte le FSRS e tutti i lavoratori avanzati a praticarla.

In secondo luogo chiediamo alle FSRS, agli elementi avanzati delle masse popolari e ai sinceri democratici di mobilitarsi contro la “persecuzione sistematica” della “carovana della ricostruzione del vero partito comunista italiano” e contro la crescente attività repressiva che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari e in particolare contro chiunque, individuo o organismo, essa o parte di essa ritiene (a torto o a ragione) che sia o possa diventare centro di aggregazione, mobilitazione, orientamento, organizzazione e direzione delle masse popolari che si oppongono alla eliminazione delle conquiste strappate durante la prima ondata della rivoluzione proletaria e, peggio ancora, che essa o parte di essa ritiene (a torto o a ragione) che sia o possa diventare centro di aggregazione, mobilitazione, orientamento, organizzazione e direzione della risposta delle masse popolari alla guerra non dichiarata di sterminio che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari anche nei paesi imperialisti: una risposta che è destinata a crescere fino a trasformarsi, se il partito comunista svolgerà bene il suo ruolo, in guerra popolare rivoluzionaria fino a fare del nostro paese un paese socialista nell’ambito della seconda ondata della rivoluzione proletaria.

Gli aspetti più importanti di questa mobilitazione contro la “persecuzione sistematica” del lavoro di ricostruzione del pc e contro la persecuzione di cui sono bersaglio le FSRS e i lavoratori avanzati sono 1. la denuncia della “persecuzione sistematica” del lavoro di ricostruzione del partito comunista e del suo legame con la più vasta repressione contro le ampie masse popolari e 2. la mobilitazione delle masse popolari in iniziative di solidarietà verso i compagni, i lavoratori e le organizzazioni bersaglio della repressione.

L’informazione sull’attività repressiva della borghesia e la denuncia sono un’arma molto efficace, un deterrente importante. La borghesia imperialista è obbligata a cercare l’appoggio almeno di una parte delle masse popolari. Non può neanche accontentarsi dell’appoggio solo della parte più arretrata delle masse popolari. Per mantenersi al potere è costretta a cercare di ottenere l’appoggio anche di almeno una parte degli elementi avanzati delle masse popolari. Bisogna mostrare sistematicamente che la “persecuzione sistematica” contro il (n)PCI e il processo di ricostruzione del pc è la parte più politica della persecuzione ben più variegata e vasta che colpisce molte FSRS e vari settori delle masse popolari. che resistono all’eliminazione delle conquiste e che protestano contro questo o quell’aspetto della guerra di sterminio che la borghesia imperialista conduce in ogni angolo del mondo contro le masse popolari. Che questa persecuzione contro FSRS e vari settori delle masse popolari è segno e portatrice di una deriva autoritaria e militarista del regime politico e della ben più ampia direzione della borghesia imperialista e delle sue autorità costituite sulla società. Una deriva oggi ancora “resistibile” come fu “resistibile” fino ad una certa data “l’ascesa del signor UI” di cui tratta l’omonima opera di Brecht. Questa deriva autoritaria e militarista colpisce e ancora più colpirà sempre più diffusamente e profondamente non solo le masse popolari ma anche quei settori e individui del campo della borghesia imperialista che non sono investiti di autorità. Oggi è quindi necessario e utile fare denuncia e mobilitazione anche presso i “personaggi” della classe dominante non direttamente investiti di autorità, alimentare e valorizzare tutti i contrasti che la deriva autoritaria e militarista del regime politico suscita, tutti gli interessi che lede. Fermo restando che il campo principale di lavoro resta l’informazione, la denuncia e la mobilitazione delle masse popolari e che non dobbiamo mai e poi mai condurre le cose in modo da dipendere dai “personaggi” per portare avanti la nostra campagna.

Cosa significa informazione e denuncia presso le “ampie masse popolari” e mobilitazione delle “masse popolari”? Alcuni compagni usano queste espressioni retoricamente e altri quando le sentono usare le intendono come espressioni retoriche che lasciano il tempo che trovano e non impegnano a niente. Al contrario, si tratta di una indicazione di lavoro concreta e precisa. Quando diciamo “ampie masse popolari” vogliamo dire che il tipo di argomenti da usare, il linguaggio da impiegare, le considerazioni da svolgere devono essere tali da riflettere l’esperienza, toccare i sentimenti e mobilitare le aspirazioni delle masse popolari. Bisogna rifuggire dal gergo, dal linguaggio stereotipato, dalla lingua per iniziati e “addetti ai lavori”. Bisogna evitare strumenti (argomenti, volantini, riviste, riunioni) raffazzonati e scadenti, incomprensibili alle masse popolari o comunque difficili da capire, bisogna che ogni nostro strumento e iniziativa sia una scuola di comunismo: infonda nelle masse popolari fiducia nelle proprie forze e nella possibilità di vincere quali che siano le difficoltà che dobbiamo sormontare e favorisca la loro unità e l’unità col partito comunista.

Quando diciamo “ampie masse popolari” vogliamo dire che per ogni attività particolare, concreta, non dobbiamo rivolgere i nostri appelli e cercare di mobilitare solo chi è già organizzato, chi è già d’accordo, il vecchio giro di compagni e amici. In ogni attività dobbiamo andare oltre la vecchia cerchia e lanciare l’appello in ambienti nuovi, nelle strade, nei mercati, nelle scuole e nelle aziende, dobbiamo predisporre sistemi di raccolta e formazione all’attività di quanti rispondono all’appello ma mancano di esperienza.

Dire “masse popolari” non allude insomma alla quantità di persone che già oggi mobilitiamo e che saranno da subito sensibili al nostro appello. Indica l’ambito in cui dobbiamo andare a cercare nuovi protagonisti della nostra lotta.


Dal carcere al confino


Veniamo ora a noi due membri del (n)PCI che il 20 dicembre le Autorità francesi hanno trasferito dal carcere al confino. E veniamo contemporaneamente ai compagni presunti membri del (n)PCI, ai compagni veri o presunti appartenenti alla “carovana della ricostruzione del vero partito comunista italiano”, ai compagni oggetto delle perquisizioni che la borghesia imperialista ha svolto e svolge e delle indagini e inchieste che conduce nell’ambito della attuale campagna di repressione del (n)PCI anche servendosi a macchia d’olio del materiale che ci ha sequestrato nelle perquisizioni di giugno. Cosa ci attende nel futuro prossimo? Cosa ci proponiamo di fare?

Noi due dopo l’arresto abbiamo adottato la linea di rifiutare ogni collaborazione con le Autorità francesi e italiane (ma come previsto abbiamo fin dal primo momento dichiarato la nostra appartenenza alla CP del congresso di fondazione del (n)PCI), fare appello alla solidarietà delle FSRS e delle masse popolari, contestare sul piano legale ogni argomentazione e “fatto” su cui le Autorità cercavano di legalizzare la loro persecuzione extralegale e avanzare tutte le richieste a noi favorevoli che la legge consente. Insomma rendere la nostra detenzione più gravosa possibile per le A.F. Al secondo appello fatto da noi per essere liberati, il 19 dicembre la stessa Corte che all’inizio di novembre aveva trovato indispensabile la nostra carcerazione, anche se la situazione non era per nulla cambiata ha trovato che non c’erano indizi di “attività terroristica”, che per i documenti falsi avevamo fatto già due mesi più del massimo e che le indagini potevano proseguire anche se non eravamo in prigione. Rifiuto più o meno incidentale di una singola Corte di partecipare più oltre alla persecuzione politica o cambio del gioco deciso in alto? Impossibile dirlo per ora. In entrambi i casi ha pesato molto la mobilitazione solidale che è stata fatta in Italia e in Francia e a cui hanno contribuito anche il MLPD (Partito Marxista-Leninista di Germania), l’organizzazione Aufbau della Svizzera e il Movimento della Sinistra Indipendentista della Bretagna (Emgann). Sono particolarmente importanti la mobilitazione fatta in Francia e i legami creati con i movimenti indipendentisti bretone, basco e corso. In Francia ci sono più di 200 detenuti politici sottoposti a un regime giudiziario e carcerario diverso da quello cui sono sottoposti i detenuti comuni: almeno 8 di Action Directe e di Manifeste Rouge, vari membri dei movimenti nazionalisti e comunisti arabi, 14 comunisti spagnoli membri del PCE(r) o dei GRAPO, 50 indipendentisti corsi (che su una popolazione di 250.000 abitanti è un numero enorme), 6 indipendentisti bretoni di sinistra (alcuni al quinto anno di detenzione preventiva: il processo inizierà il 1° marzo), 140 indipendentisti baschi di sinistra (che sommati a quelli prigionieri in Spagna fanno circa 700 prigionieri su una popolazione di appena 3 milioni di persone), un numero imprecisato ma alto di “arabi e musulmani” imputati per l’attuale movimento rivoluzionario diretto dal clero reazionario, sindacalisti e lavoratori avanzati arrestati per fatti, forse illegali perché le leggi sono fatte contro i lavoratori e a favore dei padroni ma certamente legittimi, compiuti nel corso delle lotte rivendicative e di difesa delle conquiste. Ma i movimenti di solidarietà sono limitati e frazionati: ogni corrente promuove la solidarietà solo per i suoi o quasi. Non viene fatta una denuncia sistematica del regime di controrivoluzione preventiva di cui lo Stato francese è maestro internazionale e del suo ruolo nell’imporre in questi mesi un disegno repressivo in tutti i paesi dell’UE. Le FSRS non fanno sistematicamente un lavoro di mobilitazione della solidarietà delle masse popolari verso tutti i rivoluzionari prigionieri e verso tutte le organizzazioni colpite dalla repressione, in particolare verso i movimenti per l’autodeterminazione nazionale dei popoli basco, corso e bretone (lo Stato francese ad esempio sta in questi giorni portando avanti una articolata operazione di soffocamento del settimanale nazionalista U Ribombu e di denigrazione del movimento nazionale corso nell’indifferenza delle FSRS francesi), come parte integrante della lotta a difesa delle libertà democratiche delle masse popolari. In questo panorama i compagni della Associazione per la Difesa di uno Spazio Europeo di Libertà (ADEEL) e del Comitato contro la Criminalizzazione della Lotta per la Ricostruzione di un Partito Comunista in Italia, nonostante il lungo nome che si sono dati hanno fatto un brillante lavoro che ha avuto effetti dirompenti. In ottobre alla Festa de l’Humanité hanno raccolto 1.200 firme sotto una mozione di solidarietà. Il 31 ottobre alla Camera del Lavoro (Bourse du Travail) di St Denis (periferia operaia e rossa di Parigi) c’erano quasi 150 persone a un’assemblea di solidarietà. Cosa mai vista da anni a questa parte. La Polizia è intervenuta a fare opera di intimidazione: cosa che a detta di un compagno del PCF negli ultimi anni era avvenuta solo un’altra volta, contro un’assemblea di immigrati clandestini (“Sans papiers”). Varie organizzazioni e personalità di sinistra hanno preso apertamente posizione contro la nostra detenzione. Inoltre Associazione e Comitato avevano iniziato a tessere rapporti con gli organismi di solidarietà di tutte le tendenze sopra indicate. Anche questo è dirompente nel panorama francese. Noi in carcere abbiamo seguito una linea analoga e quello che avveniva fuori destava interesse e mobilitazione nei carceri e viceversa. La detenzione di comunisti destava interesse e interrogativi anche tra i comuni. Il movimento di solidarietà era in crescita e in Francia in marzo ci sono le elezioni regionali e cantonali e in giugno le europee, come in Italia. Insomma la detenzione dei due comunisti italiani era diventata tutto fuorché una detenzione di tutto riposo per le A.F. Questo certamente ha pesato a favore della nostra liberazione. Che sia stato principalmente per questo o principalmente per altri motivi, siamo comunque stati liberati. Ma siamo stati posti al confino, senza altra scadenza che quella che le Autorità giudicheranno “ragionevole”. La Corte d’Appello da una parte ha detto che non vi sono le condizioni per detenerci. Quindi ha contraddetto se stessa perché due mesi prima aveva detto che esistevano, mentre la situazione era esattamente la stessa. Dall’altra ci ha imposto condizioni pesanti: confino in zone ristrette (io non posso uscire dal dipartimento Seine St Denis, legalmente non posso andare a Parigi neanche per incontrare i miei avvocati e Czeppel non può uscire da Parigi), non possiamo comunicare tra noi due in alcun modo (e ciò crea possibili contestazioni dato che molti compagni si incontrano spesso sia con me sia con Czeppel), firma settimanale dalla polizia, privazione dei documenti personali, obbligo di abitare presso persone fissate dalla Corte. Perché questa contraddizione? Per accontentare il Giudice Istruttore che quattro giorni prima ci aveva addirittura levato tutti i permessi di colloquio e continuava a ostacolare la corrispondenza, il Procuratore e le A.I. tutte ufficialmente contrarie alla liberazione? Per creare le condizioni per riarrestarci se non funziona la trappola tesa con la liberazione (nostri contatti con la struttura clandestina del (n)PCI che permettano di porre sotto controllo altri compagni)?


Cosa ci attende nei prossimi mesi?

 

Intanto, e questo riguarda anche gli altri compagni cui mi riferivo sopra, la Procura di Bologna, nella persona di Paolo Giovagnoli, si prepara a rinnovare le vecchie accuse per associazione sovversiva (art. 270 bis del Codice Penale) e a rinnovare l’arsenale aggiungendovi l’accusa di banda armata (art. 306 del Codice Penale) e altre costruzioni giuridiche fantasiose quanto la “finanza creativa” di Tremonti e di altri loschi speculatori. A fronte di queste minacce delle Autorità Italiane, bisogna prevenire la loro iniziativa, anzitutto denunciando la preparazione in corso e mobilitando un vasto schieramento contro di esse. La compattezza e la vastità dello schieramento contro l’operazione che stanno preparando sono un fattore importante della sua efficacia. L’attività degli avvocati incaricati della difesa legale deve essere sistematicamente messa al servizio di questa denuncia e del rafforzamento dello schieramento che si contrappone alle losche manovre che la Procura di Bologna sta mettendo in opera. I comunisti e le FSRS che faranno questo lavoro, si metteranno con esso contemporaneamente alla testa della denuncia e della lotta contro la deriva autoritaria e militarista del regime borghese che, in tutta Europa, come una nuova peste nera colpisce settori via via più numerosi delle masse popolari locali e immigrate. È questo un aspetto essenziale del lavoro di ogni comunista e della formazione che i comunisti devono fare verso i lavoratori avanzati: chi con i lavoratori tratta solo di rivendicazioni economiche, a lungo andare non rafforza neanche la mobilitazione per le rivendicazioni economiche. Infatti le lotte rivendicative si estendono, rafforzano e durano nel tempo solo se sono parte della più vasta lotta per porre fine all’attuale ordinamento sociale e instaurare nuovi paesi socialisti. Ovviamente questa lotta, di cui i comunisti organizzati in partito sono promotori, organizzatori e dirigenti, ha il suo nerbo più solido nel partito comunista. Il lavoro per la ricostruzione del partito comunista, e quindi in specifico la creazione delle quattro condizioni per la sua costituzione e l’attuazione del “piano in 2 punti” proposto dalla CP, è la principale struttura che anima tutta la vasta e multiforme resistenza che le masse popolari oppongono al procedere della crisi del capitalismo e la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari che inizia a svilupparsi. Così come parallelamente la repressione del lavoro di ricostruzione del partito comunista è il vero cuore dello Stato e della controrivoluzione preventiva sviluppata dalla borghesia imperialista. Non a caso Berlusconi, interprete e portavoce delle aspirazioni più profonde di tutta la borghesia imperialista, fa dell’anticomunismo la bandiera unificante della sua banda di fascisti, mafiosi, razzisti, clericali, speculatori e avventurieri.

Anche nelle nuove condizioni del confino, io in St Denis che fu la cittadella rossa del proletariato francese nel secolo XX e Giuseppe Czeppel nella Parigi della gloriosa Comune del 1871 che benché sconfitta e annegata nel sangue di tanti martiri proletari francesi e di altre nazioni è stata feconda di insegnamenti per il movimento comunista internazionale dei decenni successivi, noi daremo come abbiamo cercato di fare in carcere tutto il contributo di cui siamo capaci alla rinascita del movimento comunista nel mondo e alla ricostruzione del partito comunista nel nostro paese, seguendo le indicazioni del (n)PCI di cui siamo membri.

Collaboreremo con tutte le FSRS italiane ed europee che vorranno la nostra collaborazione per rafforzare la loro attività a favore della ricostruzione del partito comunista o che anche solo vorranno conoscere meglio la concezione, la linea e l’attività del (n)PCI. In particolare

1.    verrà aperta una Università Popolare (UP) per la formazione dei comunisti e la propaganda della concezione del mondo e del metodo comunisti: l’UP incomincerà i suoi corsi nella primavera;

2.    funzionerà una Delegazione con il compito di stabilire contatti con partiti e organizzazioni comuniste, FSRS e altre organizzazioni rivoluzionarie della Francia e degli altri paesi della UE sulla base del dibattito pubblico sulla concezione del mondo e la linea generale, della partecipazione ad iniziative comuni e della solidarietà di fronte alla controrivoluzione preventiva, con lo scopo sia di spiegare l’attività e la concezione della CP sia di conoscere la loro esperienza per imparare da essa.

Qui in Francia inoltre contribuiremo a sviluppare e rafforzare il lavoro del Comitato contro la Criminalizzazione della Lotta per la Ricostruzione di un Partito Comunista in Italia e della Associazione per la Difesa di uno Spazio Europeo delle Libertà (ADEEL), in particolare nel portare il loro appello ai lavoratori avanzati e nell’instaurazione di legami con organismi affini.

In sintesi cercheremo di adempiere meglio possibile nelle condizioni in cui siamo costretti il nostro compito di comunisti, membri del (nuovo) Partito comunista italiano.