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Lo stile di partito

 

Lo stile di partito
L’avversione istintiva nei confronti del partito comunista
 
Da decenni senza partito e abituati quindi ad arrangiarsi individualmente, la maggior parte degli esponenti delle FSRS, in particolare i capi, spontaneamente riflettono nel loro modo di essere e di pensare la natura della piccola borghesia. Non uso il termine come un insulto, ma nel senso sociologico che vado subito a specificare. Il piccolo-borghese e chi è impregnato della sua mentalità per sua natura rifugge dal partito, si sente respinto dal partito, lo trova un impedimento per la sua individualità e la sua libertà, vi si sente a disagio, cerca di sfuggire alla sua disciplina, cerca di servirsene. Oggettivamente il piccolo-borghese oggi va dal lavoratore autonomo proprietario al lavoratore anche dipendente ma abbastanza specializzato da essere più vicino (per le relazioni sociali in cui è inserito nella pratica, anche rispetto al padrone da cui riceve un salario) alla condizione di chi vende il prodotto del proprio lavoro che alla condizione di chi vende la sua forza lavoro. Il lavoratore di questo tipo è per sua natura una persona che crede di essere indipendente, autonomo dalla borghesia vera e propria (che oggi è, tipicamente, la borghesia imperialista). La mentalità, il carattere e il comportamento piccolo-borghesi sono quelli che corrispondono alla natura piccolo-borghese, alla posizione del piccolo-borghese nella società borghese. Consistono nel ritenere di essere individualmente autonomo, indipendente; di potersi muovere in questa società individualmente per conto proprio; di potersi fare individualmente la propria vita come gli piace. In realtà il piccolo-borghese nella vita sociale e quindi anche individuale ha una limitata autonomia dalla borghesia imperialista. Non è proprietario di mezzi propri in quantità sufficiente per essere autonomo. Come classe, i piccolo-borghesi dipendono strettamente dalla borghesia imperialista. Individualmente quindi il piccolo-borghese è poco autonomo sia economicamente sia intellettualmente e moralmente. A differenza del borghese che invece dispone dei mezzi necessari alla propria attività individuale autonoma in misura superiore a quella minima che le concrete relazioni sociali - storicamente determinate per ogni concreta società - definiscono per consentire a un individuo un’attività individuale autonoma. Chi condivide la mentalità del piccolo-borghese, trova repulsione di fronte al partito. Oppure tende ad usare il partito come strumento della propria affermazione individuale, senza immedesimarsi nel partito. Insomma il contrario della mentalità a cui l’esperienza spinge il proletario vero e proprio. Costui esiste socialmente solo se si coalizza con altri. Solo a questa condizione ha nella vita della società borghese un ruolo che va oltre quello di strumento del padrone per valorizzare il suo capitale. Non ha le doti particolari e relativamente rare del lavoratore molto specializzato (dell’intellettuale di successo, dello scienziato, del professionista affermato, ecc.) che grazie ad esse è membro apprezzato della società ed è dotato di una certa autonomia anche individualmente. Il proletario tipico è rimpiazzabile ad ogni momento con relativa facilità con altri individui relativamente abbondanti. Solo il numero organizzato fa dei proletari una potenza sociale. Uno a uno non sono nulla, ognuno è rimpiazzabile in ogni momento. La loro associazione è una potenza politica e culturale: questo è il partito. Il piccolo-borghese si sente menomato dal vincolo di partito. Il proletario grazie al vincolo del partito riesce finalmente ad esistere socialmente. Come partito può fare cose che individualmente gli sono precluse, tanto che neanche si illude (come invece succede al piccolo-borghese) di poterle esercitare individualmente. Il proletario si sente realizzare nel partito, sente di dovere tutto al partito, nel partito e grazie al partito si sente finalmene libero (capace) di fare quello che individualmente neanche sognava di fare. Il piccolo-borghese sente di aver dato molto al partito. Credo di essermi spiegato: non parlavo del piccolo-borghese in termini di insulto, ma di categoria sociale relativamente vasta. Una vasta categoria sociale che solo con difficoltà si adatta a diventare un uomo di partito, la rotella di un ingranaggio, la cellula vivente di un organismo, una parte attiva di un insieme sociale organizzato.
I comunisti che provengono da questa categoria sociale devono compiere uno specifico percorso per integrarsi completamente nel partito. I proletari che hanno appreso la lotta politica e il comunismo negli ambienti delle FSRS sono anch’essi più o meno impregnati di quella mentalità. Sono abituati a una piccola autonomia, a poco potere, a piccoli risultati e a piccoli obiettivi. A pensare in piccolo e a sbrogliarsela individualmente. La costruzione del partito comunista implica la trasformazione di questa mentalità, lo sdoppiamento dell’adesione al comunismo dalla dipendenza dalla borghesia. L’uno deve dividersi in due. Tramite la critica, autocritica, trasformazione. È un processo che richiede tempo e sforzi, ma è un processo liberatorio, di emancipazione dalla borghesia imperialista, bello e di grande soddisfazione, creativo.