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Avanti, per consolidare e rafforzare il (nuovo)Partito comunista italiano!


Il terzo fronte

Il lavoro del Partito in campo sindacale

Il lavoro in campo sindacale è una parte essenziale dell’attività del Partito. Il Partito per riuscire a diventare l’effettivo Stato Maggiore della classe operaia che lotta per il potere, per guidare a instaurare il socialismo, deve arrivare a dirigere anche l’attività sindacale della classe operaia. Nei paesi in cui il modo di produzione capitalista è, anche solo in qualche misura, impiantato, le condizioni dirette e immediate portano inevitabilmente gli operai, e prima o poi anche gli altri proletari, dipendenti anche formalmente dai capitalisti, dalle loro Autorità o dalle loro Associazioni,(1) a coalizzarsi, a contrattare collettivamente il salario e le altre condizioni di lavoro, a lottare contro i capitalisti e i loro agenti. L’attività sindacale è una scuola elementare di comunismo (di organizzazione, di solidarietà di classe, di coscienza di classe, di lotta di classe) che coinvolge larga parte del proletariato.

A tal punto che nel movimento comunista fin dal suo inizio sono ripetutamente sorti alcuni compagni che sostenevano che gli operai acquistano coscienza di classe solo o principalmente tramite l’attività sindacale, che l’attività sindacale (lo “scontro sul terreno di classe” dicevano gli anarco-sindacalisti di un tempo e alcuni lo dicono ancora oggi come se solo sul lavoro la borghesia esercitasse la sua dominazione) è l’unica o la principale attività del movimento comunista, che l’attività sindacale è la sola o comunque la principale attività tramite la quale la classe operaia conquisterà il potere e instaurerà un nuovo ordinamento sociale,(2) che il compito, o il compito principale secondo altri, del partito comunista consiste nel “politicizzare la lotta sindacale”, nel trasformare la lotta sindacale in lotta politica. Tutte queste concezioni della lotta sindacale e del rapporto tra lotta sindacale e lotta politica rivoluzionaria (che in genere gli anarco-sindacalisti e i loro avversari però non distinguevano nettamente dall’intervento nella politica borghese) sono sbagliate. L’esperienza del movimento comunista lo ha dimostrato più e più volte. Infatti queste concezioni si sono ripresentate più e più volte. Perché? Sia perché nel movimento comunista confluiscono sempre nuove frazioni di operai e nuove generazioni e il movimento comunista per lo più non è abbastanza forte da far loro assimilare il suo patrimonio di coscienza (che quindi i nuovi arrivati imparano principalmente tramite la loro esperienza “provando e criticando gli errori”). Sia perché la borghesia favorisce e fomenta la diffusione di queste concezioni sbagliate e fallimentari, per distogliere e deviare il numero più alto possibile di proletari dalla via più avanzata e principale a cui il movimento comunista è arrivato. Consapevolmente o spontaneamente, la cultura borghese diffonde e sostiene queste concezioni. Tutte queste concezioni sono esaminate e vagliate da Lenin, nella sua celebre opera Che Fare? (1902), come varianti pratiche dell’economicismo, cioè di una versione non dialettica, quindi di una caricatura della concezione marxista che spiega che l’attività economica, l’attività per produrre e riprodurre le condizioni materiali dell’e-sistenza, ha fin qui costituito la struttura portante e fondante di ogni società, che spiega la nascita e la natura delle sue istituzioni e della sua cultura. Quest’opera di Lenin resta ancora oggi un testo di riferimento per il movimento comunista, benché ovviamente gli esempi e i casi su cui è basata l’argomentazione siano quelli russi di oltre 100 anni fa.(3)

Ma tutte queste concezioni sbagliate dell’attività sindacale sono venute alla luce ed è stato possibile riportarle ripetutamente in auge perché l’attività sindacale è realmente molto importante nella formazione della classe operaia, coinvolge di regola una parte molto larga del proletariato, è un’ottima scuola di comunismo per i proletari. Ovviamente la periodica resurrezione di queste concezioni sbagliate della lotta sindacale è anche un indice della debolezza del movimento comunista e un indice della lotta implacabile e senza esclusione né risparmio di mezzi che la borghesia imperialista conduce contro il movimento comunista cosciente e organizzato. La controrivoluzione preventiva fin dal suo inizio, negli USA negli ultimi decenni del secolo XIX, ha sempre avuto l’attività sindacale come uno dei suoi importanti campi d’azione. È negli anni ’80 del secolo XIX che Samuel Gompers (1850-1924) iniziò la costruzione della AFL (American Federation of Labor), il modello storico dei sindacati di regime. Anche i regimi più reazionari dei paesi imperialisti, anche i gruppi imperialisti più reazionari, i fascisti, i nazisti, i sionisti, il Vaticano, ecc. da decenni hanno smesso di vietare o cercare di sopprimere l’organiz-zazione sindacale degli operai e degli altri proletari. Cercano piuttosto di creare sindacati scissionisti dominati da loro agenti, di imporre nei sindacati già esistenti la direzione dei loro agenti e di farvi prevalere concezioni borghesi, di tenere alla larga e di espellere i comunisti dai sindacati.

Tutto questo conferma la grande importanza che ha l’attività sindacale nella lotta della classe operaia contro la borghesia imperialista. Essa è un terreno fecondo e ricco di grandi potenzialità per il consolidamento e il rafforzamento del Partito e per l’eser-cizio della sua direzione sulla classe operaia e, tramite questa, sul resto delle masse popolari. È un terreno fertile per l’accu-mulazione e la formazione di forze rivoluzionarie. Giustamente il Piano Generale di Lavoro (PGL) del Partito per questa prima fase della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata (GPRdiLD) assegna un posto importante e specifico al lavoro sindacale: il terzo fronte.(4)

Non si tratta di fare concessioni all’eco-nomicismo. Il Partito deve educare gli operai avanzati alla lotta politica rivoluzionaria, sul piano teorico e sul piano pratico: inserendo il numero più alto possibile di operai avanzati nel lavoro del Partito, facendoli partecipare alle iniziative di formazione politica, conducendo tra gli operai una vasta, intelligente e multiforme propaganda politica, approfittando di ogni occasione e appiglio per fare informazione e denuncia politica, promuovendo iniziative di lotta politica che coinvolgano operai e in particolare operai avanzati, facendo leva sull’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria e sul patrimonio di coscienza politica che essa ha lasciato tra gli operai. Ma anche a questo fine e per esercitare la sua direzione sulla massa della classe operaia e valorizzare al massimo l’attività sindacale come scuola di comunismo, il Partito deve lavorare con energia, intelligenza e lungimiranza sul terreno sindacale. Questo lavoro del Partito è anche la garanzia migliore che l’attività sindacale della classe operaia produca il massimo dei risultati immediati che in ogni situazione concreta sono possibili, in termini di difesa e miglioramento dei salari, dei redditi, delle conquiste e dei diritti degli operai, degli altri proletari e del resto delle masse popolari. I comunisti, il partito comunista, la sua direzione nell’attività sindacale e la sua influenza hanno sempre dato e danno forza a tutta l’attività rivendicativa delle masse popolari di fronte alla borghesia imperialista e in primo luogo all’attività sindacale. Il carattere clandestino del Partito assicura inoltre continuità alla direzione del Partito in campo sindacale e la continuità del suo sostegno in ogni circostanza.

Nel movimento comunista vi sono stati qua e là esponenti, a cominciare dall’impor-tante dirigente del movimento comunista tedesco Ferdinand Lassalle (1825-1864), che con questa o quella argomentazione hanno sostenuto che l’attività sindacale era inutile, che la borghesia toglieva con una mano (ad es. con l’aumento dei prezzi, del costo della vita) quello che doveva dare con l’altra, che i salari reali sarebbero comunque rimasti al minimo vitale (“legge bronzea dei salari”), che quello che concedeva a una parte del proletariato la borghesia lo toglieva a un’altra parte perché i profitti della borghesia non potevano diminuire, che la borghesia avrebbe comunque in breve tempo rimangiato ogni concessione a cui era costretta dalla lotta sindacale. Queste tesi sono unilaterali e, fondamentalmente, sbagliate. Il marxismo da una parte sostiene che la tendenza alla miseria crescente, a spogliare il proletariato è una legge del modo di produzione capitalista, che appartiene all’essenza di questo modo di produzione. Ma d’altra parte concepisce anche questa legge in modo materialista dialettico. Come ogni altra legge vera, essa esplica i suoi effetti nel contesto di altre leggi e nel contesto di circostanze concrete. La legge della gravitazione è vera, ma questo non significa che sia impossibile sollevare un sasso e mantenerlo in alto! Presa a sé, prescindendo dalle altre leggi e dalle circostanze, anche la tendenza alla miseria crescente è appunto una astrazione. Lo stesso modo di produzione capitalista non esiste e non può esistere da nessuna parte allo stato puro, benché sia impossibile comprendere razionalmente la storia dei paesi capitalisti, quindi dell’Europa a partire dal secolo XII circa, prescindendo dal ruolo che il modo di produzione capitalista vi ha avuto e dalla conoscenza della sua essenza. Ma preso s sé, isolato dai concreti contesti in cui esiste, è un’astrazione. La legge della miseria crescente si è manifestata praticamente nella misura in cui non ha trovato efficaci resistenze e non si è scontrata con efficaci controtendenze. La borghesia ha cercato e cerca di ridurre i salari, di eliminare diritti e conquiste, mette l’una contro l’altra frazioni di operai approfittando e forzando ogni divisione (di sesso, di nazione, di razza, di lingua, di religione, di età, ecc. ecc.) per ridurre salari, conquiste e diritti. E non può che fare così. È una legge interna del capitalismo che si impone a ogni singolo capitalista tramite la concorrenza, indipendentemente dalle sue personali convinzioni, preferenze o sentimenti. Prima o poi il capitalista “buono” allarga le braccia e dice a se stesso e magari anche ai suoi dipendenti: “Mi dispiace, ma cosa ci posso fare io?”. Ma varie altre leggi e forze agiscono con forza pari o superiore, a secondo delle circostanze. Il movimento comunista (è un dato di fatto, un’esperienza storica) è più volte e anche per lunghi periodi riuscito a imporre alla borghesia importanti miglioramenti dei salari, dei diritti e delle condizioni di vita e di lavoro (basti pensare alla riduzione dell’orario di lavoro!) È altrettanto di esperienza comune che, non appena ha potuto e dovunque ha potuto, la borghesia si è ripresa il più possibile. La prima ondata della rivoluzione proletaria è arrivata a emancipare il proletariato dalla borghesia solo nei primi paesi socialisti e per il periodo limitato della loro esistenza e in misura limitata; ma ha però costretto la borghesia a fare concessioni importanti in tutto il mondo, in particolare nei paesi imperialisti.(5)

La contrattazione collettiva e la legislazione del lavoro hanno in larga misura sostituito l’arbitrio padronale e la contrattazione individuale nel campo della compra-vendita della forza-lavoro, il diritto all’or-ganizzazione sindacale e politica dei lavoratori anche sui luoghi di lavoro è stato inserito nella legislazione di ogni paese assieme a molti altri istituti che sottraevano in parte la vita dei proletari alle vicende del “mercato del lavoro” e quindi rafforzavano la loro forza contrattuale nei confronti dei capitalisti.(6)

Anche in questo campo, se si prende una legge formulata dai materialisti dialettici, si abbandona il materialismo dialettico e se ne fa una legge metafisica, ci si ritrova non più con la legge da cui si era partiti, ma con una caricatura di essa. Questa caricatura fa a pugni con la realtà, ovviamente. La loro superficialità e il loro pressappochismo, insomma la loro pigrizia mentale, aiutano i dogmatici a non accorgersene. I revisionisti e i borghesi, insomma gli avversari del comunismo, invece gridano allo scandalo, alla “realtà che confuta i dogmi di Marx”.

In conclusione. 1. Lottando gli operai possono riuscire a strappare ai capitalisti, alle loro Autorità e alle loro Associazioni miglioramenti salariali e normativi, a difendere e ampliare i diritti e le conquiste a scapito del plusvalore intascato dai capitalisti (profitti, interessi, rendite), quali che siano le condizioni generali. La possibilità di condurre lotte rivendicative vittoriose dipende dai rapporti di forza generali tra le classi, che nel concreto non sono determinati solo dall’andamento degli affari. Ovviamente, a parità delle altre condizioni, questa possibilità è tanto minore quanto peggiore è l’andamento degli affari dei capitalisti, maggiore la disoccupazione, debole il movimento comunista cosciente e organizzato. 2. Ogni conquista che un gruppo di lavoratori riesce a strappare, va, in linea di massima, a scapito dei profitti, degli interessi e delle rendite delle classi dominanti. Ogni vittoria di un gruppo di lavoratori crea condizioni più favorevoli alla lotta e alla vittoria degli altri lavoratori. È un compito del movimento comunista impedire che la borghesia usi la vittoria di un gruppo di lavoratori per dividere la classe operaia, il proletariato, le masse popolari.(7) 3. Per una legge del modo di produzione capitalista la borghesia tende a eliminare o almeno ridurre conquiste e diritti dei lavoratori e a ridurre i salari. Lo fa effettivamente quando i rapporti di forza e lo stato generale del movimento comunista glielo consentono.

È sbagliata la concezione che le vittorie delle lotte rivendicative allontanano la rivoluzione socialista e smorzano lo slancio rivoluzionario delle masse. Nel corso di ogni rivoluzione, la lotta per conquistare la vittoria è sempre stata accompagnata da lotte rivendicative vittoriose. Se fosse una legge che le concessioni sul piano economico e normativo allontanano la rivoluzione, la borghesia avrebbe trovato l’arma invincibile per sedare ogni rivoluzione. Le basterebbe concedere quando la situazione è minacciosa, tanto potrebbe riprendersi tutto o parte a rivoluzione sconfitta. La borghesia riesce a usare le vittorie parziali del movimento comunista, le conquiste economiche e normative dei lavoratori così come le riforme parziali, solo se il movimento comunista non è all’altezza del suo compito, se non ha una comprensione adeguata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe.

Noi comunisti dobbiamo essere i combattenti più decisi a favore delle conquiste e delle riforme, sicuri che, se abbiamo una concezione giusta e seguiamo una linea giusta, ogni vittoria parziale la possiamo usare per rafforzare il movimento rivoluzionario. Tutte le lagne contro il benessere dei lavoratori che li avrebbe distolti dalla rivoluzione, sono frutto e causa di confusione e di intossicazione. Quando il movimento comunista non ha una concezione e una linea adeguata ai suoi compiti, neanche le più atroci condizioni suscitano rivoluzioni vittoriose. Se il movimento comunista è adeguato ai suoi compiti, ogni piccola vittoria aumenta le forze che lottano per la grande vittoria.

Alcuni compagni sostengono che le conquiste, le vittorie sindacali, le riforme parziali, ecc. indeboliscono il movimento rivoluzionario: questi stessi sono più o meno chiaramente convinti che i grandi avanzamenti compiuti dalla classe operaia e dal resto delle masse popolari nei paesi imperialisti nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria non sono il risultato della lotta delle masse e un effetto secondario, indiretto dell’ondata rivoluzionaria. Condividono la tesi apologetica della borghesia imperialista. Quegli avanzamenti sarebbero concessioni fatte alla borghesia imperialista: per bontà d’animo secondo alcuni; nel calcolo astuto di pacificare gli operai e distoglierli dal comunismo secondo altri. In ogni caso la borghesia governerebbe l’andamento economico della società borghese: prima avrebbe dato benefici agli operai per tenerli buoni e ora li toglierebbe per punirli. Insomma una concezione soggettivista del movimento della società borghese, una concezione del genere “piano del capitale”.(8) In realtà le conquiste sono state il frutto delle lotte condotte dalle masse nell’ambito della prima ondata della rivoluzione proletaria. Non esse, ma il revisionismo moderno, la concezione e la linea collaborazionista prevalse nel movimento comunista per ragioni interne allo stesso movimento comunista, hanno prima indebolito e poi liquidato lo slancio rivoluzionario della classe operaia e del resto delle masse popolari. Per preservare e rafforzare lo slancio rivoluzionario della classe operaia e del resto delle masse popolari il Partito non deve trascurare l’attività sindacale, l’intervento nella lotta politica borghese (elezioni, attività parlamentare, denunce e proteste, manifestazioni e lotte nelle aziende e nelle piazze, ecc.), l’attività cooperativistica, culturale e associativa. Deve al contrario intervenire ovunque, non lasciare alcuno spazio libero al clero e agli altri agenti della borghesia imperialista, incalzare su ogni terreno la borghesia imperialista, creare proprie cellule (Comitati di Partito di base) in ogni organismo che aggrega operai, altri proletari, elementi delle masse popolari, anche se al momento è diretto dal nemico, creato dal nemico. Il carattere clandestino del Partito serve anche a questo scopo, permettere di fomentare la lotta di classe basandosi sull’inevitabile conflitto di interessi, anche in mezzo alle “truppe” del nemico. Contemporaneamente il Partito deve difendere dall’influenza borghese e rafforzare le proprie fila tramite la “lotta tra le due linee nel Partito”, la pratica della critica-autocritica-trasformazione, la lotta ideologica attiva, il giusto funzionamento del centralismo democratico. Se il Partito trascurasse le attività delle masse nei campi sopra indicati, lascerebbe campo libero alla borghesia per dirigere essa le masse nelle loro attività quotidiane e non sarebbe possibile alcuna politica rivoluzionaria.

Nel nostro paese l’attività sindacale riguarda direttamente circa 7 milioni di operai e 8 milioni di proletari non operai.(9) L’attività sindacale del Partito deve avere 4 assi portanti.

1. Lottare per strappare ogni miglioramento (salariale e normativo) che un gruppo o frazione di lavoratori ha la forza di strappare. No alla compatibilità: con gli interessi, i profitti, le condizioni che i padroni dichiarano e con cui cercano di intimidire i lavoratori. Le dichiarazioni, i conti e i resoconti dei padroni spesso sono truccati, sono sempre incontrollabili. Se anche fossero veri, bisognerebbe vedere come si è arrivati a questo punto e perché grazie ai nostri sacrifici la situazione dovrebbe migliorare. Ciò è importante ma comunque secondario. Principale è che le aziende vanno male perché la società nel suo complesso va male. Sta ai padroni, finché sono loro a comandare, risolvere i problemi, che sia in sede aziendale o che sia in sede politica. Più questo riesce loro difficile, più chiara e più forte è la conferma che l’ordinamento borghese della società e la concezione borghese delle aziende e dell’economie sono obsolete, roba d’altri tempi e condizioni, superate, anticaglie residuali del passato con cui la borghesia imperialista vorrebbe continuare a soffocare i lavoratori. No alla concertazione: tra il governo dei padroni, le associazioni padronali e i sindacati asserviti ai padroni e imbevuti delle concezioni padronali, borghesi dell’economia, delle aziende e della società. La concertazione è uno specchietto per allodole, è messa in campo dai padroni per intimidire i lavoratori.

2. La forza principale del movimento sindacale sta nella mobilitazione più ampia possibile e nella coesione più forte possibile della massa dei lavoratori. I lavoratori devono avvalersi di una solida struttura di funzionari e dirigenti sindacali, ma questi devono essere subordinati ai lavoratori in ogni campo e ad ogni momento. Eletti e revocabili. La democrazia in campo sindacale non è derogabile. I dirigenti devono essere eletti dai lavoratori. I funzionari devono essere periodicamente sottoposti al vaglio dei lavoratori. La critica deve essere incoraggiata e l’autocritica apprezzata. Dobbiamo combattere con cura e coraggio la demagogia, ma soprattutto e prima ancora dobbiamo combattere l’arroganza dei dirigenti e dei funzionari che si credono e agiscono come padroni dei sindacati e della forza-lavoro dei lavoratori, o addirittura come agenti dei capitalisti e della direzione aziendale verso i lavoratori, come caporali, come ausiliari degli uffici personale o risorse umane delle aziende, come intermediari o agenti di collegamento tra quelli e i lavoratori. Dirigenti e funzionari sindacali devono essere supporto della mobilitazione e della coesione dei lavoratori e loro portavoce contro i padroni. Chi agisce diversamente, chi per concezione e sentimenti è lontano da questo ruolo, se non si corregge, deve essere destituito.

Dobbiamo contrastare anche la tendenza di alcuni sindacalisti a operare, a comportarsi, atteggiarsi e concepirsi come benefattori, eroi, padrini dei lavoratori, gente che chiede ai lavoratori fiducia come se essi con la loro abilità e le loro relazioni potessero risolvere i problemi dei lavoratori. Dirigenti e funzionari devono occuparsi principalmente della mobilitazione e della coesione dei lavoratori: questo fa la forza del movimento sindacale. Padrini e filantropi nel migliore dei casi risolvono quei problemi che la borghesia come classe ha già ingoiato e che la singola azienda rifiuta ancora di ingoiare. Un sindacato in mano a simili individui è in tutto e per tutto un sindacato borghese. Nel migliore dei casi colma i ritardi dei singoli capitalisti, ma lascia le masse dei lavoratori nelle mani della borghesia: è un sindacato arretrato.

3. Promuovere la solidarietà dei lavoratori anche nell’ambito dell’attività sindacale. I gruppi di lavoratori che accettano di migliorare la propria condizione dividendosi dagli altri lavoratori e confidando nella benevolenza del padrone, o addirittura sostenendolo contro gli altri lavoratori, si mettono nelle mani del padrone e prima o poi si troveranno nei guai. I lavoratori più combattivi o meglio organizzati devono servire da esempio, avanguardia e riferimento per quelli meno combattivi o peggio organizzati. L’unità fa la forza, il numero organizzato fa la forza sociale dei lavoratori. Di fronte alla concorrenza dei lavoratori meno pagati, meno organizzati, degli immigrati, dei lavoratori arretrati, dei precari, ecc. occorre reagire sostenendo il miglioramento delle loro condizioni, attraendoli nel movimento e mobilitandoli. La borghesia sistematicamente cerca di trasformare ogni contraddizione tra sé e le masse popolari in contraddizioni tra frazioni delle masse popolari. I comunisti e i lavoratori avanzati devono far emergere che le contraddizioni tra frazioni delle masse popolari in realtà derivano dalla contraddizione tra le masse popolari e la borghesia imperialista e che esse sono risolvibili unendosi contro la borghesia imperialista. No al corporativismo che isola gruppi e frazioni di lavoratori dalla massa dei lavoratori. Espressioni estreme del corporativismo sono le concezioni e le iniziative del sindacato come azienda che eroga servizi ai suoi iscritti, del sindacato ricondotto al ruolo di società di mutuo soccorso, come cooperativa di assicurazione per i soci, ecc. La tendenza a trasformare gli istituti assicurativi in carico all’intera società (pensioni di vecchiaia, sussidi per disoccupazione, invalidità, malattia, ecc.) in contratti assicurativi individuali prepara il terreno alla confisca dei risparmi dei lavoratori da parte dei pescicani delle finanze.

4. Bisogna promuovere l’unità sindacale. L’esperienza porta i lavoratori a volere l’unità sindacale. Noi comunisti dobbiamo appoggiare sistematicamente questa tendenza e promuovere l’unità sindacale. Nell’ambito della controrivoluzione preventiva la borghesia imperialista, tramite suoi agenti, ha rotto l’unità sindacale dei lavoratori. La CISL e la UIL sono frutto della controrivoluzione preventiva, nate per scissione dalla CGIL: la prima principalmente sotto l’ala del Vaticano; la seconda principalmente sotto l’ala della AFL (American Federation of Labor), del Dipartimento di Stato USA e della CIA. Molti sindacati autonomi hanno origine analoga, all’insegna del corporativismo. I sindacati fascisti (UGL) e gialli (aziendali) hanno analoghe origini padronali. La CGIL è quanto resta del sindacato unitario dopo le scissioni e dopo decenni di direzione dei revisionisti: cioè di subordinazione all’influenza ideologica della borghesia e di collaborazione politica con il suo regime all’insegna della moderazione salariale, dei sacrifici, della compatibilità, della concertazione, di una resistenza sempre più debole al corporativismo, della soppressione anche di quanto c’era già di democrazia. Oggi la CGIL è anch’essa un sindacato di regime, benché ancora segnata, in positivo, rispetto agli altri sindacati di regime, dalla diversità della sua origine.(10)

Di fronte a questi sindacati di regime stanno i sindacati alternativi, autonomi o di base sorti in parte da ondate di ribellione a questo o quel passo compiuto dalla CGIL sulla via dell’allontanamento dalla sua tradizione per conformarsi agli interessi della borghesia, in parte dall’espulsione di operai avanzati dalla CGIL man mano che l’adeguamento agli interessi della borghesia ha comportato anche l’eliminazione della democrazia.(11)

Complessivamente oggi ai sindacati sono iscritti più del 30% dei 15 milioni di proletari formalmente dipendenti dai capitalisti, dalle loro Autorità o dalle loro associazioni o da aziende minori (artigiane, familiari, cooperative). Come dobbiamo condurre in questo contesto la lotta per l’unità sindacale dei lavoratori in un unico grande sindacato di lotta di classe contro i padroni?

Il Partito si pone l’obiettivo di formare proprie cellule (CdP di base) in ogni organizzazione sindacale e a ogni livello, dando la priorità a quelle dove i lavoratori avanzati hanno maggiore voce in capitolo e che aggregano più lavoratori. Il carattere clandestino del Partito ci aiuta a preservarci dalla persecuzione dei dirigenti sindacali asserviti alla borghesia. Per espellere tutti i membri del (n)PCI dovrebbero espellere tutti i lavoratori avanzati: ma così taglierebbero i rami su cui sono appollaiati.

Nei sindacati alternativi i membri del (n)PCI, oltre a rafforzare il rifiuto delle linee della compatibilità e della concertazione, devono promuovere la democrazia e sostenere che ogni sindacato alternativo deve diventare promotore dell’unità sindacale dei lavoratori.(12) Quindi devono promuovere una “politica da fronte unito” con gli altri sindacati alternativi e, in modo diverso, con i sindacati di regime.

Infatti i membri del (n)PCI iscritti ai sindacati alternativi hanno il compito di rovesciare in positivo la divisione sindacale creata dai dirigenti dei sindacati di regime asserviti alla borghesia. I sindacati di regime espellono gli operai d’avanguardia perché non “contaminino” gli altri operai. Bene: noi approfittiamo della autonomia organizzativa dai sindacati di regime. Ogni sindacato alternativo deve coltivare un rapporto unitario e fraterno con i lavoratori iscritti ai sindacati di regime e mostrare nella pratica alla massa dei lavoratori che si può combattere contro i padroni con più efficacia e con migliori risultati di quello che fanno i sindacati di regime. Ogni sindacato alternativo deve diventare per tutti i lavoratori un sindacato modello, ovviamente senza trascurare di chiarire che i risultati che ottiene sarebbero ancora migliori se le adesioni (a livello generale e a livello aziendale) fossero maggiori. La struttura del movimento sindacale italiano favorisce la nostra azione. Agli scioperi e a ogni lotta indetti dai sindacati alternativi possono partecipare anche lavoratori iscritti ai sindacati di regime o non iscritti ad alcun sindacato che in questo modo “aderiscono” ai sindacati alternativi e li rafforzano. Prima o poi i dirigenti dei sindacati di regime venduti alla borghesia e i loro mandanti si morderanno le dita per aver facilitato la formazione di sindacati alternativi espellendo lavoratori avanzati.(13)

Verso l’aristocrazia operaia subordinata alla borghesia che dirige i sindacati di regime, i membri del (n)PCI, iscritti ai sindacati di regime o ai sindacati alternativi, devono promuovere una linea di unità e lotta: a secondo delle circostanze concrete ora è principale l’unità, ora è principale la lotta. Il nemico principale dei lavoratori sono i padroni, non l’aristocrazia operaia. Noi combattiamo la sua subordinazione ai padroni, irriducibilmente. Siamo per l’unità ogni volta che anch’essa si associa alla nostra lotta efficace contro i padroni. Quello che noi vogliamo è che tutti i sindacati si uniscano e lottino contro i padroni con efficacia e con i migliori risultati possibili. Se un dirigente di un sindacato gode della fiducia dei lavoratori iscritti, anzitutto bisogna convincere con l’esempio, nella pratica, quei lavoratori che si può fare meglio. Saranno loro poi a regolare i conti con il loro dirigente.

Noi siamo per l’unità di tutti i lavoratori in un unico grande sindacato che faccia gli interessi dei lavoratori contro i padroni. La condizione necessaria per questo è che in ogni questione controversa siano i lavoratori ad avere l’ultima parola. Noi quindi siamo anche per l’assoluta autonomia del sindacato da ogni partito che lotta sul terreno della politica borghese. Il (n)PCI aspira a dirigere tutto il movimento sindacale, ma con la linea di massa: infatti anche nella lotta sindacale, come in ogni lotta seria della classe operaia e delle masse popolari contro la borghesia imperialista, la direzione se la conquista chi nella pratica svolge il ruolo di combattente d’avanguardia, chi meglio sa indicare gli scopi, le forme e i metodi della lotta comune e mobilitare le forze per condurla con successo.

Per questo in ogni sindacato sosteniamo in modo intransigente la democrazia. I lavoratori devono avere l’ultima parola in ogni campo e a ogni livello. I dirigenti e i funzionari vanno sottoposti periodicamente al vaglio degli iscritti. Nell’esercizio della democrazia siamo intransigenti contro trucchi, imbrogli, dissimulazione, formalismi così come combattiamo con intransigenza la demagogia che distrugge la fiducia dei lavoratori nella propria democrazia.

In ogni sindacato noi cerchiamo di rafforzare la sinistra e isolare la destra. Siamo però, di regola, contrari alla espulsione della destra. Infatti se essa ha seguito, l’obiettivo deve essere isolarla, non espellerla con il suo seguito. Quando è isolata, è meglio che resti nel sindacato (senza farci però ricattare da essa) perché, se espulsa, la borghesia se ne servirebbe più facilmente per creare nuovi sindacati scissionisti facendo leva sui lavoratori arretrati non iscritti. Noi teniamo conto che la destra non è solo portavoce della borghesia e della influenza che essa cerca di esercitare nel sindacato. La destra rappresenta anche, in forma concentrata, l’ar-retratezza in cui la borghesia imperialista, grazie al suo ruolo dominante nella società, relega e mantiene gran parte delle masse popolari e dei lavoratori, in particolare nei periodi di cui il movimento comunista è debole. Si tratta quindi di un’arretratezza che non possiamo “espellere”, ma che dobbiamo trasformare. L’esisto della lotta che conduciamo contro la borghesia imperialista infatti non è deciso dal fatto che riusciamo a selezionare, aggregare e formare la parte avanzata del proletariato e delle masse popolari, ma dal fatto che questa parte riesce a trascinare con sé nella lotta anche la parte arretrata della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari, almeno in larga misura. L’espe-rienza del movimento comunista ha ripetutamente mostrato che esso è in grado di trasformare l’arretrato in avanzato, la mobilitazione reazionaria in mobilitazione rivoluzionaria.

Credo che questi quattro punti (sindacato di lotta di classe contro i padroni, democrazia sindacale, solidarietà di classe, unità sindacale) con le premesse, possano servire come prime tesi per il lavoro sindacale del Partito. Ai Comitati di Partito l’onore e l’onere di valutarle alla luce della loro esperienza e di verificarle nella loro pratica. Onore e onere che ovviamente anche altri membri e organismi del Partito possono assumere e da cui certamente il Partito non esclude simpatizzanti e lavoratori avanzati che vogliano dare il loro contributo.

Riccardo A.

Note

 

1. Dipendenti anche formalmente, nel senso che sono assunti e lavorano in aziende di proprietà di capitalisti, delle loro Autorità (la Pubblica Amministrazione) o delle loro Associazioni (Enti senza fine di lucro, ecc.). In realtà nei paesi imperialisti dipendono dal capitale finanziario anche i piccoli produttori (lavoratori autonomi, artigiani, commercianti, le aziende familiari, i piccoli e medi capitalisti, le cooperative, ecc.). Ma la loro indipendenza formale da un padrone esclude i lavoratori autonomi dall’attività sindacale (alcuni hanno addirittura salariati alle loro dipendenze e quindi nella lotta sindacale sono controparte) e li priva dei vantaggi e delle possibilità e potenzialità economiche, politiche e culturali ad essa connesse. Il movimento comunista deve affrontare in modo diverso il compito dell’influenza, dell’orientamento e direzione delle loro lotte rivendicative, con l’obiettivo di far confluire i loro movimenti rivendicativi, culturali e politici nel Fronte Popolare. In Italia i lavoratori autonomi sono circa 6 milioni, poco meno di un terzo di tutti i lavoratori.

 

2. Le discussioni attorno allo “sciopero generale” con cui gli operai avrebbero fatto crollare il capitalismo, costretto i capitalisti a ritirarsi e a lasciare le aziende e addirittura il governo e lo Stato nelle mani degli operai organizzati in sindacati, indotto il governo della borghesia e delle altre classi ad essa alleate ad astenersi dallo scatenare guerre, ecc. hanno più volte coinvolto i congressi della Prima Internazionale (1864-1872) e della Seconda Internazionale (1889-1914) e i congressi e le riunioni di molti partiti, sindacati e associazioni del movimento comunista di molti paesi, ivi compreso il nostro. Queste prolungate e ripetute discussioni e i tentativi riusciti e falliti di attuare scioperi generali hanno mostrato che, se effettivamente coinvolge una buona parte del proletariato e delle masse popolari, lo sciopero generale è, in determinate circostanze, un’arma efficace per indurre la borghesia e le sue Autorità a prendere una data misura o a revocarne un’altra, per far pendere la bilancia verso una parte quando nella classe dominante si contrastano due tendenze di pari forza, per bloccare determinate misure che la classe dominante sta prendendo. È insomma una manifestazione di forza e di unità del proletariato che produce i suoi effetti in determinate correlazioni di forze nella classe dominante e quando questa ha motivo di credere che non sia una semplice parata comunque senza seguito, uno sfogo senza domani del malessere e del malcontento. Combinato con insurrezioni e rivolte, in determinate altre circostanze lo sciopero generale si è rivelato un efficace strumento per aggregare e mobilitare la massa del proletariato e del resto delle masse popolari a sostegno del movimento insurrezionale. In tutti i casi per forza di cose lo sciopero generale è stato un’operazione di breve durata: o raggiunge rapidamente il suo obiettivo o fallisce. In nessun caso da solo o come forma di lotta principale ha determinato la conquista del potere da parte degli operai. La liquidazione degli organi del vecchio Stato e l’instaurazione degli organi del nuovo potere è un’operazione di genere diverso da quello a cui appartiene lo sciopero generale.

 

3. Si veda in proposito anche, in La Voce n. 17, la critica della tesi “politicizzare la lotta sindacale”, una delle Tesi Programmatiche pubblicate nel 2001 da Rossoperaio.

 

4. Per il Piano Generale di Lavoro del (nuovo)PCI si veda La Voce n. 18

 

5. L’innalzamento del prezzo pagato dai capitalisti ai proletari per acquistare la loro forza-lavoro non è avvenuto a spese di altri proletari o di altri lavoratori né a spese dei popoli oppressi, come piagnucolano filantropi reazionari e altri “amici dei popoli lontani”. In buona o cattiva fede, essi trascurano quello che l’analisi marxista della base economica della società borghese ha ben mostrato: il valore prodotto dalla classe operaia si ripartisce tra valore della forza lavoro e plusvalore. Se il valore della forza-lavoro aumenta, è il plusvalore che diminuisce, non il valore della forza-lavoro di altri lavoratori. E nessun capitalista farebbe lavorare un proletario se il prezzo che deve pagare per la sua forza-lavoro fosse superiore al valore che questi produce. Del resto nessuno di quei pur dotti filantropi si è mai avventurato a dire, e tanto meno a cercare di dimostrare, che i proletari dei paesi imperialisti producono un valore inferiore al prezzo che complessivamente ricevono per la vendita della loro forza-lavoro. Altra cosa è che, nella contrattazione del prezzo della forza-lavoro, la resistenza opposta dai singoli gruppi capitalisti o anche dell’insieme dei capitalisti alle richieste dei lavoratori dei paesi imperialisti è stata meno feroce di quella che sarebbe stata se i gruppi imperialisti non avessero contato sui sovrapprofitti coloniali, sui prezzi di monopolio, sulle rendite e sugli interessi da usura e su un rapporto di sfruttamento comunque crescente. Ma è certo anche che senza il movimento comunista dei proletari dei paesi imperialisti la sorte dei popoli oppressi sarebbe stata e sarebbe peggiore. Senza la mobilitazione del proletariato belga e di vari partiti della II Internazionale, Leopoldo del Belgio e i suoi aguzzini avrebbero continuato più a lungo a torturare i lavoratori congolesi. Il migliore aiuto che i proletari dei paesi imperialisti hanno dato e possono dare ai popoli oppressi consiste nello sviluppare la lotta di classe nei paesi imperialisti, in tutti i campi, compreso quello sindacale. La moderazione salariale aiuta la borghesia imperialista, non i popoli oppressi.

D’altra parte il prezzo di mercato della forza-lavoro, come quello di ogni altra merce, non è eguale né in generale può essere eguale al suo valore di scambio. Nella società borghese tra il valore di scambio e il prezzo vi sono di mezzo molti salti da fare. Tutto ciò Marx lo aveva bene spiegato. Tutti quelli che, a partire dal padre del revisionismo, E. Bernstein (1850-1932), in poi hanno gridato o pianto sulla non corrispondenza tra valore di scambio e prezzi di mercato, hanno prima travisato il marxismo e poi confutato la loro creatura, quali che fossero le loro motivazioni, che in questa sede non interessano. La coalizione sindacale, la lotta sindacale, la contrattazione collettiva, la legislazione del lavoro, ecc., si frappongono tra il valore di scambio della forza-lavoro e il prezzo della forza-lavoro (il salario corrente), analogamente a come il monopolio, le intese di cartello, il saggio medio del profitto, ecc. ecc. si frappongono tra il valore di scambio e il prezzo di mercato di altre merci. Marx ha aspramente e dettagliatamente criticato già a metà del XIX secolo la tesi di Pierre-Joseph Prudhon (1809-1865) che nella società borghese fosse possibile che il prezzo di mercato eguagliasse il valore di scambio.

 

6. Salari minimi stabiliti per legge, arbitrati obbligatori dei conflitti di lavoro, leggi sull’igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro, ecc. sono esempi di interventi legislativi che regolano “il mercato del lavoro” e sottraggono la compra-vendita della forza-lavoro, in una misura più o meno ampia, alla contrattazione tra capitalista e singolo lavoratore. Sono altrettante Forme Antitetiche dell’Unità Sociale (FAUS). La rabbiosa e tenace campagna condotta in questo periodo dai capitalisti e dai loro amici, agenti e succubi per “riformare” il mercato del lavoro, per liberalizzare il mercato del lavoro, contro questo o quell’istituto della legislazione del lavoro, contro la contrattazione collettiva, contro i sindacati (“il potere sindacale”, “lo strapotere sindacale”), per limitare e punire il ricorso allo sciopero, per sottoporre i conflitti a arbitrati obbligatori, ecc. (quali che siano le ottime o buone ragioni che quei sicofanti adducono per ogni singola loro pretesa), sono un indizio sia delle conquiste raggiunte dal movimento comunista durante la prima ondata della rivoluzione proletaria rispetto alle condizioni prevalenti 100 anni fa, sia della forza della legge per cui la borghesia deve ridurre, per la natura propria del modo di produzione capitalista, il prezzo della forza-lavoro al suo valore di scambio (il minimo vitale, quanto necessario alla riproduzione) e anche a meno (a un livello inferiore alla riproduzione della forza-lavoro: la situazione creata attualmente dalla borghesia imperialista in molti paesi ex-socialisti e in particolare nella Repubblica Popolare Cinese). Le ottime o buone ragioni che la borghesia imperialista e i suoi amici, servi o complici adducono per giustificare l’eliminazione delle conquiste, la riduzione dei salari, l’aumento della soggezione dei lavoratori agli ordini e al controllo della direzione aziendale (la famosa “variabile dipendente” di Benvenuto, la disponibilità, la flessibilità, l’elasticità), ecc., quando hanno qualche appiglio reale, sono semplicemente la conferma che un ordinamento sociale basato sulla divisione in classi e in generale l’ordi-namento borghese della società è sorpassato, va sostituito. Le donne che per essere conformi ai bisogni del capitale non fanno figli dicono che il rapporto di capitale porta all’es-tinzione della società. Il licenziamento perché l’azienda non fa profitti, è in rosso, ecc. conferma che non è più possibile una società in cui lo scopo delle aziende è fare profitti, che occorre sostituirvi una società in cui lo scopo della azienda è produrre quanto necessario al benessere della popolazione, ovviamente con il minor consumo di risorse e con il minor tempo di lavoro possibile. La riduzione delle pensioni o dei servizi sanitari perché constano troppo, conferma che non è più possibile lasciar regolare le relazioni sociali e il ricambio materiale dell’umanità dalle relazioni di scambio (e di denaro), per quanto nel passato abbiano reso utili servizi. E cosi via.

 

7. La borghesia sistematicamente cerca di trasformare ogni contraddizione tra sé e le masse popolari in contraddizioni tra frazioni delle masse popolari. Se deve licenziare degli operai, promuove (aiutata da sindacalisti venduti, plagiati o arretrati) la lotta tra operai su chi “è giusto”, “è meglio” licenziare: se in Italia o in Polonia, se a Palermo o a Torino, se le donne o gli uomini, ecc.. Messa in difficoltà per il gran numero di disoccupati, cerca di spostare l’attenzione sui proletari che non vogliono lavorare, come se questi fossero la causa della disoccupazione degli altri. Messa alle strette sulle misere condizioni degli invalidi, cerca di dare il via alla caccia ai falsi invalidi. Messa in difficoltà sui privilegi fiscali dei ricchi, sposta l’attenzione sui pochi euro, che chiunque può, cerca di evadere. La lista potrebbe continuare. Un movimento comunista cosciente e organizzato all’altezza del suo compito non avrà difficoltà a contrastare queste sistematiche manovre. Noi sosteniamo che c’è posto per tutti sulla terra e che ce n’è a sufficienza per tutti. Il principale ostacolo alla soluzione positiva di ogni problema delle masse popolari è l’ordinamento borghese della società. Esso non consente soluzione perchè antiquato, fondato su presupposti (iniziativa economica individuale, proprietà privata, divisione in classi, sfruttamento dell’uomo sull’uomo, rapporti tra gli individui basati sulla compra-vendita e sullo scambio, ecc.) che hanno avuto un ruolo positivo in altre epoche, ma oggi sono superati.

 

8. Per l’esposizione e la critica della teoria del “piano del capitale”, elaborata dalla Scuola di Francoforte e diffusa in Italia dalle correnti operaiste e “autonome”, rimando alla scritto Don Chischotte e i mulini a vento, pubblicato nel n. 0 della rivista Rapporti sociali (1985).

 

9. Per operai, in accordo con il Progetto di Manifesto Programma (PMP) del nuovo partito comunista italiano (1998), intendo anche gli impiegati delle aziende capitaliste e i dipendenti delle aziende capitaliste che producono servizi. Per usare il marxismo come guida dell’attività rivoluzionaria, bisogna farla finita con la pigrizia mentale dei dogmatici. Al tempo dei loro nonni il capitale si era impadronito quasi solo della produzione di oggetti e quindi giustamente i loro nonni quando parlavano di operai si riferivano ai lavoratori di azienda capitaliste produttrici di merci-oggetti. Pigramente i dogmatici continuano a biascicare le verità dei loro nonni, anche ora quando le aziende capitaliste che producono merci-servizi impiegano oramai molti più lavoratori delle aziende capitaliste che producono merci-oggetti.

 

10. Nel fare il bilancio del movimento sindacale, non bisogna mai trascurare il fatto che la borghesia, ogni volta che per contrastare il movimento comunista mobilita poliziotti, preti, chierichetti o altri suoi agenti del genere per organizzare i proletari contro i comunisti, oltre a creare al momento dei fastidi al movimento comunista, crea anche una possibilità di sviluppo più ampio del movimento comunista, mobilita e aggrega lavoratori a cui noi comunisti avremmo difficoltà ad arrivare. Con ciò crea, senza volerlo, una scuola “media” di comunismo che, per quei lavoratori, si aggiunge alla scuola “elementare” costituita dal rapporto di lavoro nell’azienda. Per scadenti che siamo le scuole medie create da preti e poliziotti, nondimeno sono per noi comunisti un’opportunità di cui abbiamo approfittato nel passato e di cui dobbiamo approfittare nel futuro.

A proposito di questo aspetto delle cose, vedasi l’analisi che A. Gramsci a suo tempo ha fatto del ruolo positivo oltre che negativo del Partito Popolare che un esponente del clero, don Sturzo, aveva fondato nel 1919.

11. La storia dei sindacati di regime conferma che la borghesia, anche quando ottiene la piena collaborazione dell’aristocrazia operaia, incontra serie e ripetute difficoltà a tenere in pugno la direzione di organizzazioni che per la loro natura implicano anche solo una limitata partecipazione attiva dei proletari. La necessità di abolire ogni forma di democrazia, il ricorso a espulsioni, intimidazioni, ricatti, corruzione, commissariamenti sono l’espressione di quelle difficoltà. La storia dei sindacati scissionisti mette particolarmente in luce la questione. Basti richiamare la storia della FIM-CISL da cui addirittura è nato un sindacato alternativo, la FLMU.

 

12. A questo proposito rimando al mio articolo Sviluppare sistematicamente il lavoro sindacale pubblicato in La Voce n. 19 (marzo ’05).

 

13. I lettori vedono che queste tesi sono semplicemente la sintesi di quello che nella pratica sta già avvenendo spontaneamente. Si tratta di farlo sistematicamente, programmaticamente, consapevolmente e ricavandone tutti i frutti che è possibile ricavarne.