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Avanti, per consolidare e rafforzare il (nuovo)Partito comunista italiano!


A chi lavora per l’unità dei comunisti nel partito comunista

Uno dei progressi fatti in questi ultimi anni nel movimento comunista italiano è che si è diffusa e rafforzata la convinzione che occorre costruire il partito comunista, che è necessario avere un partito comunista, che nessun importante passo avanti potrà compiere il movimento comunista e in generale la lotta della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari contro la borghesia imperialista, nemmeno sul piano rivendicativo e della difesa delle conquiste, finché non avrà compiuto quello consistente nella costituzione del partito comunista. Compagni che cinque anni fa erano ancora lontani da questi problemi, ora con insistenza scrivono e affermano che “costruire e consolidare autentici partiti … comunisti rappresenta il cuore politico dello scontro [della classe operaia e delle masse lavoratrici] con la borghesia”. (Teoria & Prassi n. 13, aprile 2005 pag. 1). Ben detto, compagni!

Posto questo, si tratta ora di vedere come questa convinzione viene tradotta in una linea di lavoro: con quanta coerenza ci si impegna a farne il criterio che orienta la propria attuale e concreta condotta e quali linee di lavoro si adottano nel concreto.

Quanto alla coerenza, essa c’è quando da quella giusta convinzione i compagni passano a fissare e a mettere in opera un piano di lavoro per la costruzione del partito. Senza questo piano la convinzione resta una dichiarazione di fede senza effetti, quando non è un alibi o una compensazione per la prosecuzione dell’inerzia di un tempo. Nel 1999, nel n. 1 di La Voce, La Commissione Preparatoria (CP) enunciò un “piano in due punti per la costruzione del partito”.(1)

È l’esempio di cosa intendiamo per un piano concreto per la costruzione del partito comunista. In esso la CP indicava, a ogni comunista convinto che occorre costituire il partito comunista, quello che a parere della CP egli doveva fare e che la CP e i suoi promotori, membri e fautori comunque facevano per raggiungere l’obiettivo. Nessuno può negare che era un piano chiaro e praticabile e che era aperto, consentiva e spronava la partecipazione di ogni comunista. Nello stesso tempo con esso la CP poneva chi non era d’accordo che quello era il piano che ci voleva, nella condizione di poter criticare una proposta chiara e pratica e proporne una alternativa, altrettanto chiara e praticabile. Nessuno può oggi sostenere con qualche ragione che quello proposto dalla CP non era “un processo democratico, condotto in forma palese”. La CP fin dall’inizio ha spiegato perché a nostro parere le società segrete non avrebbero portato ad alcun risultato, salvo distogliere forze dalla costruzione del partito comunista: se qualcuno sostiene che le cose non sono andate così, che lo spieghi.

Abbiamo anche più volte spiegato che ogni lavoro per la costruzione del partito condotto senza un piano di costruzione, diventava dispersione di forze e perdita di tempo. Un dibattito non mirato alla definizione del programma e della linea del partito, quindi che non aveva al suo centro un progetto di programma del partito, diventata inevitabilmente una girandola di affermazioni in libertà, un flusso accademico di affermazioni vaghe e contraddittorie, che non impegnano nessuno, che non sono e non possono essere sistematicamente sottoposte a verifica. La pratica ha confermato e conferma a chiunque ha preso parte in questi anni a un dibattito, che così vanno le cose. D’altra parte ogni proposta di unità e di organizzazione fatta ai comunisti che non si basa su un progetto di programma e non mira a definire un programma, al di là delle buone intenzioni dei promotori, diventa inevitabilmente una proposta volontarista e quindi prima o poi finisce nella disgregazione o nella subordinazione alla influenza della borghesia imperialista e conforta la tesi controrivoluzionaria che ogni movimento rivoluzionario è per sua natura estremista e votato alla disgregazione.

L’unità dei comunisti che si tratta di costruire nel dibattito teorico e nella pratica della lotta di classe non può essere che la costituzione di organizzazioni di partito che partecipano alla elaborazione del programma del partito 1. traendo dall’espe-rienza della lotta di classe gli elementi e gli insegnamenti necessari per l’elaborazione di un programma che sia la giusta applicazione alla realtà odierna del nostro paese del patrimonio, storico ed internazionale, di teoria e di esperienza del movimento comunista e 2. verificando nella pratica della lotta di classe le conclusioni e i risultati provvisori della loro elaborazione.

È questo metodo di lavoro che ci ha portato 1. alla elaborazione del Manifesto Programma che migliora in alcuni punti e colma le lacune dichiarate del Progetto di Manifesto Programma da cui era iniziato il lavoro della CP(2) e 2. alla creazione delle condizioni organizzative che hanno consentito la fondazione del Partito.(3)

Il Partito che abbiamo fondato ovviamente non è ancora l’effettivo “stato maggiore e corpo ufficiali” di cui la classe operaia ha bisogno per condurre con successo la sua lotta fino a fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Il partito comunista sarà la direzione della classe operaia, ma non è né sarà né la direzione eletta né la direzione nominata di una armata già esistente!(4) Sarà la direzione di una armata che il partito comunista stesso deve arruolare, istruire, organizzare per esserne la direzione. Questa è una delle lezioni dell’esperienza del movimento comunista. Il Partito che abbiamo fondato ha la qualità necessaria per adempiere a questo ruolo e diventare quella direzione. Quello che interessa è che abbia quella qualità. Quello che ci proponiamo di fare (e in questo consiste il consolidamento e rafforzamento) è una crescita quantitativa che, giunta ad un certo grado, produrrà un nuovo salto di qualità, sarà direzione effettiva.(5)

Chi pensa che il nuovo partito comunista possa nascere già come effettivo “stato maggiore e corpo ufficiali” di un esercito che ancora non c’è, che il nuovo partito comunista orienti e diriga fin dal suo inizio una classe operaia (il grosso dei sette milioni di operai che costituiscono la classe operaia del nostro paese, che è lungi dall’essere mobilitata nella lotta contro la borghesia imperialista), che spieghi allora come intende si possa compiere simile miracolo, che mostri cosa lui sta facendo per produrre tale miracolo e indichi cosa fare a chiunque altro vuole partecipare alla produzione di simile miracolo!

Crediamo fermamente che nessuno sano di mente raccoglierà questa sfida. Quindi la questione reale e concreta per ogni compagno di buona volontà e coerente sta nel rendersi personalmente conto se la qualità che oggi abbiamo costituito ha o no in sé la potenzialità per diventare quell’effettivo “stato maggiore e corpo ufficiali” di cui sopra dicevo, cioè un partito comunista all’altezza del compito di organizzare e dirigere la lotta di classe per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.

Oggi parlare di unità dei comunisti e non misurarsi con il programma e la linea che i comunisti hanno finora elaborato è usare grida a favore dell’unità per distogliere dall’unità, è fare demagogia.

Rossoperaio (Proletari Comunisti, Partito comunista maoista) da anni si proclama a gran voce “marxista-leninista-maoista principalmente maoista”. Ma fa della demagogia e continuerà a farla finché non indicherà qual’è l’apporto del maoismo al pensiero comunista e al movimento comunista. Il (nuovo)Partito comunista italiano si dichiara marxista-leninista-maoista e ha detto e dice chiaramente qual è quell’apporto.(6) Quelli che ritengono che il maoismo è la terza superiore tappa del pensiero comunista e che quindi per essere comunisti oggi occorre essere m-l-m, devono ben dire se sono d’accordo che l’apporto del maoismo al movimento comunista è riassunto sostanzialmente nei cinque punti che il (n)PCI ha indicato. Se non lo sono, devono dire qual è a loro parere tale apporto. La concezione comunista del mondo non è un mistero noto solo ai capi. È nelle società segrete, non nei partiti comunisti, che gli obiettivi e gli articoli di fede sono noti solo ai capi. È la Chiesa cattolica della Controriforma che riserva ai preti lo studio e la lettura dei Sacri Testi e ne esclude i semplici fedeli. Tanto meno la concezione comunista è qualcosa di indicibile, come il nome di Dio per i fedeli del Vecchio Testamento. La concezione comunista deve diventare il fondamento e la guida dell’azione di milioni di uomini e donne, quindi niente è per sua natura più pubblico di essa. Essa deve essere detta, propagandata e insegnata!

Fondando il Partito, noi non abbiamo detto che chiudiamo le porte della confluenza o dell’integrazione rispetto ad organizzazioni e gruppi di comunisti. Abbiamo solo detto che poniamo in primo piano e assumiamo come asse principale per il consolidamento e il rafforzamento del Partito il reclutamento di operai avanzati e di elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari. Il lavoro verso le forze soggettive della rivoluzione socialista (FSRS) non è escluso, ma è assunto solo come linea di sviluppo eventuale: auspicabile certo, ma non più né strategica, principale, né indispensabile. Ma la confluenza e l’integrazione sono forme sane e quindi accettabili ed anzi auspicabili di consolidamento e rafforzamento del partito solo se avvengono su una linea e una concezione avanzate, se preservano o migliorano la qualità del partito già fondato. Questo è ciò che è cambiato con la fondazione del (n)PCI.

Quindi il dibattito e il confronto con tutti quelli che si dicono o vogliono essere comunisti restano per noi importanti. Gli organismi che si dicono comunisti per noi oggi non sono né nemici né concorrenti. Non sono “una manovra della borghesia per contrastare il partito comunista”. Sono forme storicamente date del movimento comunista del nostro paese. Sono forme che il concreto sviluppo storico ha prodotto e che supereremo solo nel corso di un processo. Sono forme a mezza strada, forme di passaggio: dal movimento comunista come processo pratico di trasformazione dello stato presente delle cose quale si svolge oggettivamente nel movimento spontaneo della classe operaia e del resto delle masse popolari, al movimento comunista come movimento cosciente e organizzato. Oggi esse sono principalmente un’espressione della crescita del movimento comunista che ancora non avviene né può avvenire, né solo né principalmente, nella forma del reclutamento al Partito. Le organizzazioni e i gruppi comunisti reclutano dove ancora il Partito non è presente o reclutano quelli che per la loro natura il Partito ancora non potrebbe comunque reclutare. Per la maggior parte delle loro nuove reclute, aderire alle FSRS è un modo di avvicinarsi al movimento comunista. Un avvicinamento che, tramite l’esperienza e la lotta ideologica, per i migliori di essi si svilupperà fino all’adesione al Partito.

La nostra linea principale nei confronti dei gruppi e delle organizzazioni che si dicono e vogliono essere comunisti, oggi quindi è il dibattito, la conoscenza, il confronto, la lotta ideologica, la mobilitazione della sinistra (metodo della linea di massa).

Dibattito non vuole però dire perdita di tempo. Esigiamo da chi vuole discutere (e discutiamo solo quando vi sono) le condizioni e l’atteggiamento adeguati a un dibattito costruttivo.

In primo luogo occorre che chi vuole discutere si impegni a studiare e a capire. Che critichi le posizioni effettive del Partito e non quelle che ha orecchiato o inventato. Faccio alcuni esempi che riguardano uno dei nostri critici assidui (e l’assiduità è una buona cosa) ma superficiali (ed è il meno che posso dire): la redazione di Teoria & Prassi. Cosa volete che diciamo a compagni che ci criticano perché daremmo “al difficile problema dell’avvio della rivoluzione nei paesi che rappresentano il nocciolo duro dell’imperialismo” una risposta costituita da “schemi ricavati dall’espe-rienza rivoluzionaria dei paesi coloniali e semicoloniali” (T&P n. 13, aprile 2005 pag. 3)? Abbiamo più e più volte detto e mostrato che fondiamo la nostra tesi che “la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strategia universale – valida quindi anche per i paesi imperialisti – della rivoluzione proletaria” sul bilancio dell’e-sperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, quella condotta nella prima parte del secolo scorso, nei paesi imperialisti (in Italia, in Germania, in Francia, in Spagna, in Belgio, ecc.) e a livello mondiale.(7) Abbiamo pubblicato che la CP allargata che ha fondato il (n)PCI ha incaricato la Commissione Provvisoria del Comitato Centrale costituita in quella occasione di pubblicare il Manifesto Programma del Partito.(8) Cosa volete dire alla redazione di T&P che scrive che “nemmeno sono stati adottati statuto e programma” (ibidem, pag. 2)? Quanto all’analisi di classe “non fondata sul rapporto con i mezzi di produzione, bensì sul reddito” (ibidem, pag. 3) possiamo solo rimandare i redattori di T&P a una lettura attenta del PMP, cap. 3.2. E l’elenco potrebbe continuare. Compagni, gridare all’unità è demagogia finché “criticate” in questo modo. Quanti credete di imbrogliare oltre a voi stessi e per quanto tempo? Quali sono i motivi per cui confondete le acque?

In secondo luogo, perché il dibattito sia costruttivo e quindi possibile, occorre che i nostri critici esprimano posizioni chiare e definite, esaurienti e sistematiche sulle questioni che affrontano (“per unirsi e prima di unirsi, bisogna delimitarsi”). Occorre che non dicano, sulla stessa questione, una cosa un giorno e il contrario il giorno dopo, che non scrivano una cosa in una pagina e un’altra sulla successiva. Faccio un esempio che riguarda ancora la redazione di T&P. Scrive (n. 13 aprile 2005, pag.3): “I limiti [dell’esperienza del primo partito comunista italiano sono] in massima parte dovuti alla controffensiva dell’imperia-lismo e alla sua inaudita pressione – che ha prodotto il moderno revisionismo”. Proviamo a prendere sul serio questa tesi e vediamo cosa significa. Con essa T&P sostiene che il movimento comunista non avrebbe raggiunto il suo obiettivo (che per l’Italia era quello di fare dell’Italia un paese socialista, come espressamente indicato nelle Tesi di Lione, gennaio 1926) non a causa di suoi limiti intrinseci, che il partito comunista poteva e doveva superare, ma a causa della lotta senza quartiere che la borghesia imperialista ha condotto contro di esso.(9) T&P sostiene, per di più, che questa lotta senza quartiere condotta dalla borghesia imperialista è stata anche la causa principale della degenerazione del movimento comunista, vale a dire della vittoria in esso del revisionismo moderno.(10) La tesi enunciata di T&P è certamente ed evidentemente connessa con la concezione generale che la redazione di T&P sostiene, vale a dire con la più generale tesi che la base ideologica su cui deve fondarsi il nuovo partito comunista non è il marxismo-leninismo-maoismo (come sosteniamo noi), ma il marxismo-leninismo: la stessa base ideologica su cui erano fondati i partiti comunisti che nel secolo scorso condussero la prima ondata della rivoluzione proletaria, quella che culminò nella creazione dei primi paesi socialisti. Il fatto che durante la prima ondata il movimento comunista non è riuscito a raggiungere il suo obiettivo e che anzi è degenerato nel moderno revisionismo non è, secondo la redazione di T&P, la dimostrazione pratica che la sua concezione non era all’altezza dei suoi compiti. Perché sarebbe la lotta senza quartiere della borghesia imperialista la causa per cui il movimento comunista non raggiunse i suoi obiettivi. Ma a ben riflettere questo equivale a dire che l’esito della prossima ondata della rivoluzione proletaria è del tutto incerto, che la vittoria della classe operaia non è principalmente basata sulla sua forza e che la legge della rivoluzione socialista quindi non è “basarsi sulle proprie forze”, che la sua vittoria è affidata al caso che la borghesia imperialista non conduca più contro il movimento comunista una lotta senza quartiere. Eventualità assolutamente in contrasto non solo con la nota tesi di Stalin,(11) ma con l’aggra-vamento incessante e senza freni della controrivoluzione preventiva, aggravamento che anche T&P denuncia e documenta. Quindi con ogni probabilità anche la seconda ondata della rivoluzione proletaria sarebbe votata alla sconfitta: nessuno infatti, neanche T&P, osa sostenere o anche solo dare come probabile che la borghesia imperialista non lancerà contro la seconda ondata la sua “controffensiva - e la sua inaudita pressione”, ad un livello più alto di quanto lo fece contro la prima ondata. Se T&P esprimesse apertamente questa tesi pessimista e disfattista a proposito del-l’esito della prossima ondata della rivoluzione proletaria, il dibattito e lo scontro tra il (n)PCI e T&P sarebbe aperto e fruttuoso. Sarebbe anche chiaro perché noi riteniamo che oggi, già oggi, bisogna fare apertamente, sistematicamente e di nostra iniziativa (e che anzi dobbiamo il più ampiamente possibile porre e propagandare tra la classe operaia e in particolare tra gli operai avanzati la necessità di fare) alcune cose (ad esempio la clandestinità del partito comunista) che i vecchi partiti comunisti non adottarono apertamente, coerentemente e sistematicamente come linea. Stante appunto la loro concezione inadeguata ai compiti dell’epoca; cose che invece la redazione di T&P, coerentemente (anche se forse non consapevolmente) con la sua concezione pessimista e disfattista, rifiuta.

In realtà T&P non solo non esprime apertamente quella tesi pessimista e disfattista implicita però, come ognuno vede, nel bilancio della prima ondata che la redazione proclama a pag. 3 del numero citato,(12) ma a pag. 1 dello stesso numero proclama a gran voce la ineluttabile vittoria della prossima rivoluzione proletaria: “il movimento sotterraneo del mondo contemporaneo va in una direzione ben diversa da quella auspicata dai paladini del massimo profitto” e via in un crescendo di giusti proclami.(13)

Capisca chi può! Di certo non è possibile condurre un dibattito fruttuoso con gli eclettici. Se voi confutate una loro tesi, essi opporranno alla vostra confutazione, che “in realtà” anch’essi dicono quello che voi dite. Ed è vero. Essi dicono una cosa e anche il suo contrario. E non perché la realtà è contraddittoria, ma perché essi sono eclettici. Nel migliore dei casi i loro ragionamenti sono da sofisti: “È vero questo ed è vero anche il suo contrario”, ma si guardano dal dire cosa è principale e cosa è secondario nella situazione concreta: cosa che li distingue e contrappone ai materialisti dialettici.

In terzo luogo per condurre un dibattito costruttivo occorre che i nostri critici non si limitino a fare questa o quella obiezione alla nostra concezione. Se è l’insieme della nostra concezione che essi non condividono, bisogna che essi vi contrappongano un’altra concezione organica. Una concezione scientifica non è un insieme più o meno vasto di fatti empirici. È una concezione della natura delle cose che dà ragione delle manifestazioni, dei fenomeni e dei fatti empirici e guida la nostra attività per produrre e far produrre alle cose, in base alla loro natura, manifestazioni, fenomeni e fatti. Ora non vi è alcuna teoria scientifica, in alcun campo, quindi neanche nel campo delle scienze sociali, a cui non si possa muovere questa o quella obiezione, con qualche ragione e anche con molte ragioni. Infatti nessuna teoria scientifica, in nessun campo né spiega direttamente ogni fenomeno senza richiedere sforzo di inchiesta e di riflessione sul fenomeno specifico (l’apparenza è anzi spesso in contrasto con la sostanza della cosa),(14) né esclude ogni ulteriore approfondimento, né nasce completa in ogni sua parte sia pure per quanto possono esserlo teorie scientifiche che danno pur sempre solo verità relative.(15) Queste considerazioni, che valgono per ogni teoria scientifica, valgono anche per la concezione comunista del mondo. La dimostrazione della sua verità sta in definitiva nel successo dell’attività pratica che gli uomini conducono guidandosi con essa,(16) successo che però dipende anche dalla giustezza della percezione che essi hanno delle condizioni e circostanze concrete (l’in-chiesta). Comunque il successo dà solo una conferma a posteriori, che si ha quindi solo a cose fatte, mentre chi lotta e ancor più chi dirige la lotta ha bisogno di conferme a priori che può derivare solo dall’esperienza passata e da teorie più generali. Per ogni teoria scientifica poi la conferma della relatività della sua corrispondenza con la realtà (del fatto che dà solo verità relative) si ha nel fatto che essa è infinitamente perfettibile. Ogni teoria scientifica della rivoluzione proletaria occorre che sia vera abbastanza perché guidandosi con essa la classe operaia riesca a venire a capo della borghesia imperialista, a instaurare il socialismo e condurre l’umanità verso il comunismo. La teoria scientifica di cui la classe operaia ha bisogno è frutto dell’elaborazione del-l’esperienza presente e passata del movimento comunista, deve dare una spiegazione razionale e coerente della storia del movimento comunista nei suoi eventi positivi e negativi, vittorie e sconfitte e dare per la lotta che dobbiamo condurre criteri e indicazioni tali che ci permettano di vincere.

Chi rigetta nel suo complesso una teoria che è guida per l’azione, deve non sollevare questa o quella obiezione, ma contrapporne un’altra. Il vuoto teorico esiste solo come crisi del movimento pratico, da cui appunto vogliamo e dobbiamo uscire. Il (nuovo)Partito comunista italiano nella concezione su cui è fondato, nel marxismo-leninismo-maoismo applicato alla realtà della rivoluzione socialista nel nostro paese nell’ambito della nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo, ha quanto gli serve per guidare la classe operaia italiana nella sua lotta finale contro la borghesia imperialista, nella misura in cui tale guida può essere tratta dall’esperienza passata e presente del movimento comunista del nostro paese e del resto del mondo, quindi fatta salva la necessità di continuamente provare, verificare, approfondire, migliorare, criticare, autocriticarsi e avanzare anche in campo teorico, come avviene per ogni scienza attinente a un qualsiasi campo dell’attività umana. Con questo livello i critici del (nuovo)Partito comunista italiano devono misurarsi, perché è a questo livello che ci siamo posti e dobbiamo porci per essere all’altezza dei compiti che la situazione rivoluzionaria pone ai nuovi partiti comunisti, in Italia e negli altri paesi.

Queste condizioni dettate dal buon senso, perché un dibattito sia costruttivo, è particolarmente importante porle, esigerle e rispettarle in Italia. Il movimento comunista italiano si è distinto lungo tutta la sua storia per lo scarso interesse, direi l’indifferenza per la teoria, per l’elaborazione della sua teoria rivoluzionaria e di una politica di principio. È una eredità negativa che il movimento comunista del nostro paese ha ricevuto dalla borghesia italiana.(17) Questa, a partire dalla sua storica sconfitta ad opera delle forze feudali capeggiate dal Papato nel secolo XVI, ha poi sempre delegato al clero l’elaborazione delle sue concezioni e l’educazione dei suoi rampolli, fino all’ultimo dopoguerra. Il movimento comunista ha ereditato la sua indifferenza per l’elaborazione teorica. Benché abbia accettato formalmente sia l’insegnamento di Marx-Engels secondo i quali i comunisti sono quella parte del proletariato che ha una comprensione più profonda e lungimirante delle condizioni, degli obiettivi e dei risultati della lotta e che sulla base di questa superiore comprensione lo spinge sempre avanti (Manifesto del partito comunista, 1848), sia l’insegnamento di Lenin secondo il quale “senza teoria rivoluzionaria non c’è movimento rivoluzionario” (Che fare?, 1902). Questo limite del movimento comunista del nostro paese, che è rimasto tale nonostante l’eroico sforzo compiuto da A. Gramsci per porvi fine, è la causa principale del singolare contrasto tra l’am-piezza dell’eroismo profuso nelle lotte, in particolare nel secolo appena finito, dal proletariato del nostro paese e la scarsità dei risultati ottenuti. Proprio perché ben consapevoli di questo specifico limite e della decisiva importanza del suo superamento, nel lavoro per la ricostruzione del partito comunista abbiamo dato tanto spazio all’elaborazione di una giusta concezione del mondo da provocare proprio su questo punto il clamore che smaschera i cultori dell’arretratezza teorica e della subordinazione ideologica alla borghesia imperialista (neanche in campo ideologico esiste il vuoto). Proprio perché ben consapevoli del ruolo decisivo della concezione del mondo, nel fare del nostro Partito un partito comunista all’altezza dei suoi compiti, poniamo la lotta sulla concezione del mondo, la delimitazione e l’unità in questo campo, alla base dell’unità dei comunisti nel partito comunista, quali che siano le urla dei demagoghi di tutte le risme.

 

Nicola P.

Note

 

1. Il piano in due punti per la costituzione del partito: 1. Elaborare definitivamente il Manifesto Programma a partire dal Progetto pubblicato dalla Segreteria Nazionale dei CARC nell’ottobre ’98. 2. Costituire comitati clandestini del partito che invieranno i loro delegati al congresso di fondazione che approverà il Manifesto Programma del partito e il suo Statuto ed eleggerà il Comitato Centrale che a sua volta ristrutturerà dall’alto in basso i comitati di partito.

2. La riunione allargata della Commissione Preparatoria che ha preso la decisione di fondare il (n)PCI ha anche incaricato la Commissione Provvisoria del Comitato Centrale di pubblicare il Manifesto Programma del Partito di cui esso aveva completato l’elaborazione, vedere in La Voce n. 18, pag. 3 Viva il (nuovo)Partito comunista italiano - Risoluzione della Commissione allargata

3. Le condizioni in cui il (n)PCI è stato fondato sono in parte diverse da quello che la CP aveva indicato nel 1999, all’inizio dei suoi lavori. Una cosa che di per sé spaventa solo i dottrinari. Solo per dei dottrinari infatti tutto deve essere chiaramente e definitivamente fissato fin dall’inizio di ogni percorso. Per essi l’esperienza non è la fonte della scienza, ma solo l’attuazione e la materializzazione delle idee. Per i dottrinari le idee non sono risultati della elaborazione dell’esperienza passata e guida per l’esperienza in corso. Per essi le idee sono la rappresentazione compiuta e completa dell’azione che propongono di svolgere ma che ovviamente neanche a loro riesce di svolgere nei termini che essi prevedono: donde il loro oscillare tra l’inerzia e il pragmatismo (attività senza principi, senza scienza guida).

4. Questa è una differenza importante tra il partito comunista (e in generale la direzione di un movimento rivoluzionario) e la direzione di un’armata e di ogni altra istituzione che appartiene all’ordinamento sociale esistente e da esso trae la sua esistenza e anche la sua direzione. Il funzionamento e i principi organizzativi del partito comunista sono e devono essere conformi a questo tratto originale della sua natura, che lo fa diverso da ogni organizzazione dell’attuale regime. Chi valuta il funzionamento del partito comunista alla luce dell’esperienza delle organizzazioni e istituzioni del regime esistente, è comunque fuori strada. Molte delle discussioni sul carattere democratico o meno del partito comunista e dei primi paesi socialisti sono sterili (anche quelle che non sono demagogiche e semplici strumenti della lotta della borghesia imperialista contro il movimento comunista) proprio perché non tengono conto di questa differenza sostanziale tra le istituzioni che gestiscono e perpetuano un ordinamento sociale esistente e le istituzioni che costruiscono un nuovo ordinamento sociale e sono espressione e forma della costruzione in corso. Segnalo come esempio di bilancio della esperienza del movimento comunista che sfugge a questo limite l’opuscolo di M. Martinengo, I primi paesi socialisti, Edizioni Rapporti Sociali, 2003.

5. Alcuni compagni immaginano la fondazione del partito comunista come risultato degli operai avanzati che si riuniscono a congresso e fondano, costituiscono il partito comunista. Dovrebbero chiedersi e spiegare perché nessun partito comunista dell’epoca dell’imperialismo e delle rivoluzioni socialiste che è stato all’altezza dei suoi compiti, è mai nato nel modo che essi ritengono giusto.

6. Il Partito ha riassunto in 5 punti l’apporto del maoismo al movimento comunista (La Voce n. 9 pag. 46 e La Voce n. 10 pag. 19 – L’ottava discriminante. Sulla questione del maoismo terza superiore tappa del pensiero comunista, dopo il marxismo e il leninismo. Sulla necessità che i nuovi partiti comunisti siano marxisti-leninisti-maoisti e non solo marxisti-leninisti

1.     La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata è la strada che i comunisti dei paesi imperialisti devono seguire per portare la classe operaia a instaurare la dittatura del proletariato, dare inizio alla fase socialista di trasformazione della società e contribuire alla seconda ondata della rivoluzione proletaria mondiale;

2.     La strategia dei comunisti nei paesi coloniali e semicoloniali oppressi dall’imperialismo è la rivoluzione di nuova democrazia.

3.     Per comprendere lo sviluppo della lotta di classe nella società socialista è necessario un giusto bilancio del contributo storico e degli insegnamenti ricavati dall’esperienza dei paesi socialisti costruiti durante la prima ondata della rivoluzione proletaria.

4.     La linea di massa è il principale metodo di lavoro e di direzione di ogni partito comunista.

5.     La lotta tra le due linee nel partito è il principio per lo sviluppo del partito comunista e la sua difesa dall’influenza della borghesia.

Analogo lavoro compie Stalin in Principi del leninismo (1924): ivi egli indica e riassume l’apporto del leninismo al marxismo.

7. Vedasi ad esempio:

-        La Voce n. 14 pag. 3 - Cosa insegna ai comunisti la vittoria dei gruppi imperialisti USA nella guerra lampo contro l’Iraq;

-        La Voce n. 15 pag. 47 - Le due vie al comunismo e pag. 60 Politica rivoluzionaria;

-        La Voce n. 16 pag. 41 - Sul secondo fronte della politica rivoluzionaria;

-        La Voce n. 17 pag. 19 - Bisogna distinguere leggi universali e leggi particolari della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata e pag. 37 - La guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata;

-        La Voce n. 18 pag. 43 - Bisogna rielaborare l’esperienza del passato ed elaborare le esperienze presenti alla luce della teoria della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

Abbiamo inoltre più volte e in più sedi chiesto alla redazione di T&P di chiedersi e spiegare come mai la strategia da essa sostenuta non ha mai avuto successo in nessun paese imperialista benché essa stessa affermi che è quella dei partiti comunisti della prima Internazionale Comunista nei paesi imperialisti: cosa che in parte è vero, come abbiamo mostrato in L’attività della Internazionale comunista in Europa e il maoismo, La Voce n. 10 pag. 52.

8. “Decidiamo quindi che la Commissione Preparatoria cessa di esistere e creiamo una Commissione Provvisoria (CP) cui diamo l’incarico di 1. dirigere, in conformità al Piano Generale di Lavoro approvato, fino al suo primo congresso, il lavoro centrale del partito finora diretto dalla Commissione Preparatoria, 2. pubblicare il Manifesto Programma e lo Statuto del partito, che noi adotteremo, fatto salvo il potere del primo congresso del partito di cambiarli, 3. sviluppare il legame con le organizzazioni locali e periferiche del partito già esistenti e con quelle che si formeranno, esercitando su di esse la direzione che nelle condizioni attuali riuscirà ad esercitare grazie alla sua autorevolezza, in conformità al Piano generale di lavoro approvato, 4. preparare e convocare al più presto possibile il primo congresso del partito a cui rimetterà tutti i suoi poteri.” Da La Voce n. 18 pag. 3 - Viva il (nuovo)Partito comunista italiano. Risoluzione della Commissione Preparatoria allargata 

9. Questa concezione di T&P è in netto contrasto con l’analisi che A. Gramsci stesso fece dei limiti del primo Partito comunista italiano. E ciò vale a meglio inquadrare e chiarire quello di cui parliamo. Gramsci parla esplicitamente di quei limiti nello scritto di bilancio dei primi cinque anni di vita del Partito. (in A. Gramsci La costruzione del Partito comunista (1923-1926) - Cinque anni di vita del partito pag. 89, Ed. Einaudi, pubblicato anche in classici del marxismo nel Sito Internet del n PCI www.nuovopci.it).

Gramsci indica il limite del Partito proprio nella concezione su cui era nato e che guidava la sua azione. A causa del modo in cui era nato (più per impulso esterno ricevuto dalla Rivoluzione d’Ottobre e dall’Internazionale Comunista che da una lotta condotta nel movimento operaio e popolare italiano per fare emergere il marxismo-leninismo) la concezione del mondo predominante nel Partito non era il marxismo-leninismo, anche se esso era formalmente accettato dal Partito. Coerentemente con questa analisi Gramsci condusse una lotta aperta nel Partito finché fu alla sua testa per bolscevizzarlo e, quando la borghesia imperialista con il suo regime fascista lo fece prigioniero, dedicò a questo stesso compito le sue energie nella forma che gli fu possibile, stendendo le note dei Quaderni.

10. In proposito il (n)PCI ha detto, dimostrato e sostiene che la causa principale della vittoria del revisionismo moderno e della connessa degenerazione del movimento comunista sta nella concezione del mondo del movimento comunista stesso. Questa concezione non era adeguata né si adeguò ai compiti che la situazione rivoluzionaria poneva ai partiti comunisti. Ciò si vede chiaramente studiando l’esperienza del movimento comunista nei paesi imperialisti durante la prima crisi generale del capitalismo (vedasi in La Voce n. 10 - L’attività della Internazionale comunista in Europa e il maoismo). I nodi vennero al pettine dopo la vittoria sul nazifascismo e la costituzione del campo socialista e lo sviluppo del movimento di liberazione nazionale antimperialista nelle colonie e semicolonie, che rovesciarono il rapporto di forza tra proletariato e borghesia imperialista a livello mondiale.

11. È noto che Stalin espresse chiaramente la tesi, fondata sull’esperienza, confermata dal-l’esperienza storica e del tutto coerente con il materialismo dialettico, che la lotta di classe diventava via via più acuta man mano che ci si avvicinava alla vittoria della rivoluzione socialista. Nessuno, credo, oserebbe negare che la borghesia imperialista oggi conduce la controrivoluzione preventiva con una varietà e abbondanza di mezzi, con una ferocia e una mancanza di scrupoli che ad esempio cento anni fa, alla vigilia della prima ondata della rivoluzione proletaria, nessuno immaginava; neanche Lenin, Stalin e Gramsci lo immaginavano negli anni ’20.

12. Ma non è innocuo, privo di conseguenze pratiche questo bilancio. E infatti la redazione di T&P lo enuncia per giustificare il suo rifiuto e la sua ostilità a compiti e misure pratiche che il (n)PCI sostiene e attua.

13. Questi giusti proclami diventano però retorici in bocca a chi si oppone e rifiuta le misure pratiche di un lavoro coerente per attuarli. Ciò conferma un’altra tesi di A. Gramsci, che “il massimalismo (il rivoluzionarismo verboso, le proclamazioni e le parole d’ordine rivoluzionarie cui non corrispondono piani e misure organizzative per attuarle e che diventano tanto più arbitrarie ed estremiste quanto meno i loro autori si misurano con i piani e le misure organizzative necessarie ndr) rappresentava e rappresenta l’opportunismo tipico italiano nel movimento operaio” (l’Unità, 24.02.1926)!

14. A proposito del contrasto tra apparenza (fenomeno) e sostanza, tra manifestazione della cosa e la natura della cosa che si manifesta, basti ricordare l’evidente contrasto tra l’andamento dei prezzi correnti della merce e il suo valore di scambio, che tuttavia resta la base per ogni analisi scientifica dell’andamento dei suoi prezzi correnti.

15. A proposito del carattere di verità relativa che ha ogni teoria scientifica, rimando a Lenin, Materialismo ed empirocriticismo, 1908, Opere complete, vol. 14.

16. A spiegazione di questo concetto, valga quanto scrive Mao in I dieci punti. Risoluzione del Comitato Centrale del Partito comunista cinese su alcuni problemi attuali del lavoro nelle campagne (20 maggio 1963) in Opere di Mao Tse-Tung, vol. 20 pag. 69, edizioni Rapporti Sociali.

17. In proposito vedasi La Voce n. 2 pag. 38 Perché abbiamo bisogno del programma del partito.