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Ancora sulla propaganda del Partito
 

La propaganda è uno dei grandi settori di cui si compone l’attività del Partito (accanto alla elaborazione, all’organizzazione, al lavoro di massa). La propaganda ha e avrà per molto tempo una grande importanza. Perché è uno strumento indispensabile per elevare la coscienza degli elementi avanzati e dei membri del Partito, unificare la loro concezione del mondo e la loro analisi della situazione e quindi la linea, le parole d’ordine e l’orientamento che essi portano tra le masse. La propaganda è particolarmente importante in questa prima fase della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata. Infatti oggi il nostro obiettivo principale è l’accumulazione delle forze rivoluzionarie: raccogliere, formare teoricamente gli elementi avanzati, organizzarli e guidarli alla lotta; nelle battaglie in cui essi si formano, verificano, imparano a combattere, ad analizzare e agire e, a loro volta, raccolgono nuove forze.

Quindi ben vengano articoli come quello della compagna Rosa pubblicato nel n. 21 della nostra rivista (anche se purtroppo, immagino per disattenzione dei redattori, il Comunicato del CdP Ottobre Rosso che la compagna critica, è stato pubblicato con omissioni: mancano addirittura alcune delle frasi che la compagna cita). O come l’articolo del compagno Nicola (Elevare la qualità del nostro Partito per porre le basi del suo sano sviluppo quantitativo) pubblicato nel n. 20. Anche se non è espressamente dedicato alla propaganda, contiene però indicazioni preziose per i propagandisti e per le scuole di formazione specificamente dedicate ai propagandisti. In coerenza con quanto indicato da Nicola, sarebbe molto utile a questo punto, per la formazione dei nostri propagandisti, un indice analitico della rivista La Voce e dei Comunicati della CP. Servirebbe ai propagandisti per utilizzare con maggiore facilità quanto il Partito ha finora elaborato.

Un problema che i nostri propagandisti certamente incontrano è il contrasto tra quello che loro dicono (e sappiamo che dicono cose giuste) e le convinzioni dei loro ascoltatori o lettori. A volte l’ascoltatore non obietta perché non sa esprimere il suo disaccordo, ma è evidente che quello che noi diciamo non lo convince pienamente, non scioglie tutti i suoi dubbi, non illumina la sua esperienza mostrandone la trama che prima gli era occulta o confusa, e quindi non apre il compagno a un’attività convinta.

Alla luce del materialismo dialettico questo contrasto è rivelatore, mentre a volte il propagandista lo considera solo un intralcio e lo affronta con disagio. Il materialismo dialettico ci insegna anche come affrontarlo. Da dove viene questo contrasto? Cosa mette in luce?

Ho detto che supponiamo che il nostro propagandista dica cose giuste e che le esponga con chiarezza, logica e coerenza. Supponiamo cioè che abbia superato, con una preparazione ed esperienza adeguate (e in questo i consigli di Rosa lo possono aiutare), quello stadio piuttosto rudimentale e primitivo, istintivo, a cui si colloca ancora il Comunicato del CdP Ottobre Rosso che Rosa assume come riferimento per svolgere la sua eccellente riflessione. Premesso questo, la fonte del contrasto sta nelle convinzioni dell’interlocutore. Le sue convinzioni, a loro volta, in definitiva vengono o dalla sua esperienza pratica diretta o dall’influenza culturale (dalla comunicazione).

1. Consideriamo dapprima il caso in cui le convinzioni vengano dall’influenza culturale. In questo caso non sarà difficile al nostro propagandista eliminare l’effetto di quella influenza o per lo meno mettere in dubbio, rendere meno solide quelle convinzioni, mettendole in contrasto con l’esperienza diretta.

Prendiamo come esempio un caso concreto, tra quelli correnti e tipici. L’interlocutore ha recepito questa o quella denigrazione dell’Unione Sovietica (o dei primi paesi socialisti) che in lui si è radicata con la solidità di un pregiudizio e di un luogo comune. Il nostro propagandista mette in luce un aspetto positivo dell’esperienza dell’Unione Sovietica, ma il suo ascoltatore non ne è convinto perché: “Tutti sanno che nell’Unione Sovietica non c’era libertà, che c’era una dittatura spietata”. Un simile pregiudizio uccide ogni effetto della nostra propaganda. Dove esiste, il nostro propagandista non deve evitare che venga sollevato. Deve anzi in un modo o nell’altro farlo emergere: ad esempio, se non c’è di meglio, dicendo lui stesso che “certamente c’è qui qualcuno che in cuor suo pensa che...”. Poi deve “sciogliere” l’obiezione.

A questo fine bisogna tener conto che anche la calunnia più assurda e la menzogna più sfacciata deve, per essere efficace, credibile, far leva su qualcosa che effettivamente esiste. In mancanza di meglio deve far leva su un pregiudizio da tempo già radicato. Le calunnie naziste contro gli ebrei, ad esempio, traevano la loro credibilità dalle difficoltà gravi in cui la crisi del capitalismo sottoponeva le masse popolari tedesche e dai pregiudizi antiebraici che le chiese cristiane hanno alimentato lungo tutto il Medioevo e soprattutto durante e dopo il Rinascimento nelle masse popolari.

La citata e corrente calunnia contro l’Unione Sovietica si avvale, per la sua credibilità, del fatto che il periodo glorioso, di ascesa dell’Unione Sovietica (dal 1917 agli anni ’50 del XX secolo) è stato un periodo di lotta di classe furibonda e aperta, e in Unione Sovietica gli operai, i contadini poveri e medi e gli altri gruppi rivoluzionari della popolazione giustamente hanno privato i ricchi, i vecchi sfruttatori e i loro seguaci (una minoranza della popolazione, ma pur sempre alcuni milioni di persone) di ogni libertà e li hanno sottomessi ad una dittatura senza riguardi per soffocare e scoraggiare i loro tentativi di riprendere il sopravvento. Quindi è vero chi in Unione Sovietica non c’era libertà per gli sfruttatori e per chi voleva restaurare il loro “paradiso perduto” e che questa gente era sottoposta a una dittatura (a dire il vero non tanto spietata). Proprio questa era la condizione indispensabile perché invece i lavoratori e le classi e i settori oppressi della popolazione avessero finalmente un po’ di libertà e di potere e sviluppassero di conseguenza i prodigi di iniziativa che resero per 30 anni l’Unione Sovietica invincibile a ogni aggressione. E qui il nostro propagandista può dare alcuni esempi concreti, particolari di come e in che senso veniva negata la libertà ai ricchi e ai loro seguaci e di come migliorava la condizione della massa della popolazione. Ciò porta a chiarire le idee sulla divisione in classi e sui rapporti tra le classi ora da noi e rispetto alla trasformazione della società.

Per avere un migliore ordinamento della società bisogna mettere fuori combattimento chi impone l’attuale, che certamente ricorrerà a ogni mezzo per impedire il cambiamento: si veda al riguardo cosa dicono le Dieci Misure Immediate (La Voce n° 5, pag. 43 e segg.).

“Ma l’Unione Sovietica è finita male” è l’obiezione che può seguire. Vero. Proprio perché, gradualmente e ingenuamente, i lavoratori e i comunisti hanno di nuovo lasciato libertà d’azione agli esponenti delle vecchie classi privilegiate (che a 30 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre guardavano ancora con nostalgia al loro passato di privilegi) e ai nuovi privilegiati il cui numero, tra i dirigenti, per forza di cose era ancora alto e avevano un potere sociale ben più grande del loro numero. Più questi erano liberi d’agire, minore diveniva la libertà e il potere dei lavoratori. Un problema di libertà e di dittatura esiste quindi effettivamente lungo tutta la storia dell’Unione Sovietica. Nel periodo in cui dominarono i revisionisti moderni, i lavoratori furono sempre più ricacciati indietro, anche se i ricchi dovevano ancora nascondere, limitare, travestire la loro attività; quindi i più sfrontati e impudenti tra loro scalpitavano e lanciavano grandi lamenti per le limitazioni, lamenti che risuonavano molto perché grande era già il loro potere e perché la borghesia internazionale faceva loro eco (si chiamavano “dissidenti”). Qui il nostro propagandista potrebbe inserire qualche esempio tratto dalle vicende del movimento cooperativo del nostro paese: sia per spiegare come mai non si crei d’incanto la parità di diritti e doveri, ma restino dei privilegiati, sia per spiegare come avvenga gradualmente e ingenuamente una degenerazione che porta alla ribalta delinquenti come Consorte e soci. Quando poi i nuovi borghesi dell’Unione Sovietica si sono ripresi completamente la loro libertà (con il crollo del 1991), ognuno sa quale, parallelamente, è diventata la condizione della massa della popolazione dell’Unione Sovietica: ha perso quelle libertà e quel potere che aveva conquistato con la Rivoluzione d’Ottobre ed è ridotta all’incirca di nuovo al nostro livello.

A questo punto della nostra propaganda, libertà e dittatura sono diventate, anche per il nostro interlocutore, nozioni legate alle classi. Finché ci sono classi con interessi antagonisti, una classe è tanto più libera quanto più forte e illimitata è la sua dittatura sulla classe avversa. Non solo in Russia per un verso, ma anche nel Cile degli anni 70 e nella Spagna degli anni ’30, come anche nel nostro paese sia negli anni 20, sia negli anni 40, risulta chiaramente che la lotta di classe non lascia alternative: o gli operai schiacciano la borghesia o la borghesia schiaccia gli operai e ristabilisce i suoi privilegi, il suo paradiso, la sua civiltà e libertà.

La conclusione del lavoro del nostro propagandista, che ha già elevato di molto la coscienza del proprio interlocutore, può ad esempio essere un discorso sulla disinformazione e intossicazione che la borghesia usa senza risparmio per mantenere il suo potere; sull’interesse vitale della borghesia a denigrare i primi paesi socialisti; sulla necessità di analizzare criticamente le “notizie” che la borghesia diffonde , ecc. ecc. e sui due binomi borghesia/menzogna, proletariato rivoluzionario/verità: chi ha bisogno e vuole sovvertire il mondo attuale deve far leva sull’esperienza reale delle masse popolari. Chi vuole conservare l’ordinamento attuale contro l’interesse delle masse popolari deve mascherare, confondere, far dimenticare (l’evasione dalla realtà) alle masse popolari la loro dura esperienza di sfruttamento e di oppressione.

Conclusioni:

a. un buon propagandista non sfugge alle obiezioni, non cerca di metterle a tacere, non finge di non accorgersene: va a snidarle e instaura un dibattito (i rompicoglioni per carattere o di professione si smascherano perché appena si instaura un vero dibattito, cercano di troncarlo e di sfuggire al suo sviluppo);

b. le idee che un dibattito mette in campo sono molte, come abbiamo visto nell’esempio. Del resto la nostra propaganda è “molte idee per quei pochi esponenti della classe operaia e delle masse popolari che, per un motivo o per l’altro, nonostante le condizioni attuali delle masse popolari, sono disposti e capaci di fare lo sforzo necessario per assimilarle e vagliarle”. Ma è impossibile fissarle tutte per bene e radicarle tutte nella coscienza del nostro interlocutore. Il nostro propagandista ne fissa alcune e semina le altre perché germoglino: se ne occuperà in una prossima occasione. Il che implica che un buon propagandista individua gli interlocutori più interessanti, più suscettibili di sviluppo e li prende in cura, direttamente o indirettamente, per un lavoro che va oltre l’intervento di propaganda;

c. insensibilmente il propagandista ha continuamente ricondotto le conoscenze indirette (quelle nella cui gestione oggi la borghesia è mille volte più forte di noi) alle conoscenze dirette (all’esperienza diretta del suo interlocutore): dalla libertà e dittatura in Unione Sovietica alla libertà e dittatura tra operai e padroni qui da noi oggi.

2. Consideriamo ora il caso in cui le convinzioni dell’interlocutore vengano dalla sua esperienza diretta. Il propagandista non deve mai cercare di negare, confutare, sminuire, denigrare, disprezzare l’esperienza diretta del suo interlocutore. Noi dobbiamo spingere i lavoratori ad apprezzare e valorizzare la loro esperienza diretta. Tra le due fonti della formazione della coscienza di ogni nostro interlocutore, l’esperienza diretta è quella per noi più favorevole: possiamo dire che è la nostra forza. Nella comunicazione oggi la borghesia è mille volte più forte di noi e usa senza scrupoli e limiti la sua preponderanza per fomentare l’evasione dalla realtà, la confusione delle idee e l’intossicazione delle coscienze (la disinformazione). Al contrario nell’esperienza diretta degli operai, dei proletari e dei membri delle altre classi delle masse popolari, i più forti siamo noi. Noi dobbiamo quindi esaltare l’esperienza diretta, farla apprezzare, insegnare a usarla; dobbiamo alimentare la fiducia nella propria esperienza come fonte di conoscenza. Non a caso ogni volta che c’è stato uno scontro in campo culturale tra spiritualismo (idealismo) e materialismo (sperimentalismo), le classi degli oppressori erano nel primo campo, i portavoce delle classi oppresse nel secondo. La verità è la nostra forza. Può capitare che i comunisti mentano, ma è per errore, contro se stessi. Mentre per i borghesi mentire è una necessità, insita nel ruolo e nella natura della loro classe: tanto più devono mentire quanto più il loro potere e il loro ascendente sulle classi oppresse sono precari.

Ma la verità non è la semplice esperienza. Tutti gli animali sono sensibili e accumulano un’esperienza. Gli uomini elaborano la loro esperienza, il prodotto della loro sensibilità, a un livello superiore a quello di tutte le altre specie animali. In questo modo noi arriviamo a conoscere anche cose di cui nessun uomo ha mai esperienza diretta, che non colpiscono alcuno dei nostri sensi. Nessuno dei nostri sensi percepisce gli atomi. Prima dei viaggi interplanetari, nessuno dei nostri sensi percepiva che la terra è grossomodo rotonda. Molte trasformazioni qualitative nel mondo che ci circonda hanno sorpreso gli uomini perché non eravamo ancora arrivati a conoscere i componenti la cui trasformazione quantitativa fa compiere un salto qualitàtivo all’insieme che colpisce i nostri sensi.

La verità è il risultato dell’elaborazione dell’esperienza. La verità è la scienza della realtà: la conoscenza dell’essenza delle cose, della loro intima natura e del legame tra di esse. L’apparenza e l’essenza delle cose sono collegate, ma non sono la stessa cosa: altrimenti l’elaborazione dell’esperienza e la scienza non avrebbero ragion d’essere. Tutto l’enorme patrimonio scientifico che il genere umano ha costruito nel corso della sua storia deriva, attraverso un cammino più o meno lungo di elaborazione, dall’esperienza diretta di uomini, dalle percezioni dei sensi di individui.

Noi dobbiamo promuovere in ogni compagno e in ogni lavoratore la fiducia nei propri sensi, nella propria esperienza. L’esperienza dello sfruttamento e dell’oppressione né il padrone, né il prete, né il più raffinato ciarlatano della classe dominante la possono cambiare o far sparire. La deprivazione sensoriale è uno strumento a cui gli oppressori ricorrono per turbare la coscienza che viene dall’esperienza. La borghesia cerca di sostituire, deformare, alterare, nascondere, coprire, far dimenticare l’esperienza pratica, quotidiana dei lavoratori, con una marea di immagini e di suoni artificiosi e con le impressioni e i sentimenti che essi suscitano. Cerca di deviare la nostra elaborazione dell’esperienza pratica e quotidiana dei rapporti sociali che viviamo, di indurci all’elaborazione dei sentimenti e degli stati d’animo che essa genera in noi con la sua marea artificiosa di immagini e di suoni: cerca di deviarci dal mondo reale dello sfruttamento e dell’oppressione, e della lotta di classe, della solidarietà di classe e della vittoria del socialismo; cerca di deviarci verso il mondo virtuale che essa confeziona per le classi oppresse secondo i suoi interessi, per creare in esse lo stato d’animo che più le conviene.

Perché allora l’esperienza diretta porta l’interlocutore del nostro propagandista a opporsi alle nostre verità comuniste?

L’esperienza è sempre esperienza del concreto. Il materialismo dialettico ci insegna che il concreto è sintesi di molte determinazioni(1): ogni cosa ha forma, colore, peso, odore, ecc. Ogni cosa entra in molteplici rapporti con più realtà, partecipa a molteplici processi. Ogni cosa è contemporaneamente più cose. Lo stesso sasso è contemporaneamente arma, elemento costruttivo, minerale, sedile, ecc. Il mare divide un continente dall’altro, ma lo stesso mare unisce tra loro i due continenti. Per conoscere una cosa noi dobbiamo dividerla, scomporla nei suoi molteplici componenti ed aspetti: analizzare le sue molte determinazioni. Il loro numero è illimitato, infatti la conoscenza può diventare sempre più profonda. Per avere una guida della nostra attività, per agire razionalmente noi ricomponiamo le varie determinazioni, i vari aspetti della cosa in conformità all’ordine, all’importanza e alle relazioni che hanno nel processo a cui partecipano: stabiliamo quindi ciò che è principale e ciò che è secondario. È in questo lavoro di analisi e di sintesi che compiamo degli errori.

Quando il nostro interlocutore obietta alle nostre verità comuniste sulla base della sua esperienza, noi dobbiamo valorizzare la sua esperienza e portarlo a rielaborarla in modo più giusto ai fini della sua attività e delle sue aspirazioni. Non dobbiamo negare la sua esperienza, ma tener conto che la nostra propaganda è per forza di cose unilaterale: di ogni cosa noi mettiamo in luce l’aspetto principale ai fini della lotta di classe e così si deve fare. Ma nella realtà, quindi anche nell’esperienza del nostro interlocutore, ogni cosa ha anche altri aspetti. Un operaio concreto non è mai solo quello che noi giustamente diciamo della classe operaia. Un capitalista concreto non è mai solo quello che noi diciamo dei capitalisti. Nessun prete concreto è mai solo un imbonitore degli oppressi per conto dei padroni e dell’ordine costituito. Certamente nemmeno Costanzo Preve è solo un predicatore del carattere eterno della natura umana e del nostro legame indissolubile con la proprietà. Benché tutto quello che noi diciamo sia vero e sia l’aspetto principale ai fini della lotta di classe. Il nostro interlocutore a sua volta è unilaterale anche lui e ci obietta un aspetto reale ma secondario delle cose che egli erroneamente pone come principale, lo contrappone a quello che per l’attività rivoluzionaria è principale. Se noi neghiamo l’aspetto che egli ci contrappone, se diciamo che non è vero e cerchiamo di convincerlo che non è vero, non riusciremo a fargli capire il principale: perché anche il suo secondario esiste. In sostanza gli chiediamo un atto di fede: di non credere a quello che vede, ma a quello che diciamo noi. E quello che diciamo noi diventa, a questo punto, un aspetto principale che esclude ogni aspetto secondario, una verità schematica e quindi non più vera, che andrà in pezzi nello scontro con la realtà che è sempre poliedrica.

Un buon propagandista deve condurre il suo interlocutore ad analizzare e sintetizzare (cioè ad elaborare la sua esperienza) in modo diverso(2). Cogliere o no ciò che è principale ai fini della lotta di classe è questione di perizia nell’elaborazione dell’esperienza, di scienza (di esperienza nell’elaborazione) oppure di ideologia: di quanto uno è impegnato, di cosa cerca effettivamente.

“Il capitalista si arricchisce sfruttando l’operaio che lavora per lui”, dice il comunista. “Se non trovo un capitalista che mi assume e mi fa lavorare, io muoio di fame”, dice il suo interlocutore; oppure “Il nostro padrone si dà da fare come un dannato per tenere in piedi l’azienda che ci fa lavorare”. “Il prete insegna che questo ordinamento sociale è voluto da Dio”, dice il comunista. “Il prete fa gratuitamente il doposcuola a mio figlio”, pensa il suo interlocutore. “Gli operai lottano per una società più giusta”, dice il comunista. “Mio marito è un operaio eppure mi maltratta”, pensa la moglie di Antonio che è un operaio e addirittura un operaio comunista.

Il comunista ha ragione, ma anche quello che dice il suo interlocutore è vero. Il propagandista deve riuscire a mostrare il legame tra le due cose e il loro ordine di priorità per il suo interlocutore che vuole vivere decentemente, per la sua interlocutrice che vuole essere rispettata. Deve condurre il suo interlocutore a capire che il prete può fare gratis il doposcuola perché lo Stato, i padroni e i fedeli lo mantengono e gli mettono a disposizione locali e materiale: da dove vengono queste risorse? Lui ha bisogno del doposcuola gratuito perché lo Stato, che il clero sostiene, per i figli degli operai fa una scuola scadente e tutta l’istruzione e la cultura è a pagamento. La beneficenza e lo sfruttamento sono due facce della stessa medaglia, così come il sussidio e la miseria, la carità e la dipendenza, il ricco e il povero, ecc. Per eliminare una faccia bisogna eliminare anche l’altra. Per conservarne una, bisogna tenersi anche l’altra: l’una sostiene l’altra.

Il propagandista deve condurre la sua interlocutrice a capire che suo marito la maltratta perché a sua volta è maltrattato dal padrone; che per porre fine al suo maltrattamento deve anche lei assumere il suo ruolo nella lotta contro tutti i maltrattamenti. In caso contrario, nel migliore dei casi cambierà chi la maltratta e il tipo di maltrattamenti. Che può e deve far leva sul fatto che suo marito è comunista per indurlo a farla finita con i suoi maltrattamenti. Che deve mobilitare anche le altre donne come lei, ecc. Che i comunisti sono sia contro il maltrattamento degli operai da parte del padrone, sia contro il maltrattamento delle donne da parte degli uomini e da parte del padrone e sono per l’unità degli uomini e delle donne della classe operaia per mettere fine a questo ordinamento sociale basato sullo sfruttamento, sull’oppressione e sulla discriminazione. Gli operai non riusciranno a liberarsi dei padroni se anche le donne non si mobilitano per porre fine alla condizione che subiscono.

Ogni esempio è solo un esempio. La realtà è sempre più ricca di aspetti, dettagli e sfumature di quanto si possa descrivere. Ma dagli esempi fatti, credo che il lettore d’iniziativa avrà capito che assimilare e usare il materialismo dialettico è indispensabile per fare un buon lavoro di propaganda; che il suo lavoro di propagandista diventerà via via più efficace man mano che egli assimilerà e userà il materialismo dialettico. Resta da aggiungere che la via principale per assimilare e imparare a usare il materialismo dialettico è usarlo, così come la via principale per imparare a parlare in prosa è parlare. Benché l’insegnamento e l’approfondimento teorici siano un ausilio indispensabile, al pari del bilancio della propria esperienza di propagandista e della sua elaborazione. I risultati che conseguiamo nella nostra attività di propagandisti vanno controllati con cura. Ovviamente non in modo unilaterale, nel senso che da una parte devono essere verificabili, dall’altra essi maturano entro le condizioni sfavorevoli in cui oggi ancora si sviluppa la rinascita del movimento comunista. Molto di quello che seminiamo non dà frutti immediati. Molti semi germoglieranno solo in concomitanza con fattori che non dipendono dalla nostra propaganda. Avendo chiaro questo, dobbiamo però avvalerci di quanto è verificabile per rendere il nostro lavoro più efficace, perché, in definitiva, il successo è la misura della bontà di ogni teoria che vuole essere guida per l’azione.

Teresa V.


Note:

(1) Per l’illustrazione in dettaglio di questa tesi del materialismo dialettico si veda K. Marx, Il metodo dell’economia politica, nella Introduzione dei Grundrisse (reperibile anche nel Sito Internet del (n)PCI, sezione Classici del marxismo).

(2) Un esempio concreto di buon lavoro di propaganda è dato nel volumetto di Marina Sereni, I giorni della nostra vita (Edizioni Rapporti Sociali), pagg. 912.