La Voce

Indice del La Voce n. 3

Un nuovo “autunno caldo”?

 

Difendere le nostre conquiste e far valere il nostro diritto a partecipare alla ricchezza materiale e spirituale della società in cui viviamo!

Trasformare ogni lotta di difesa in un problema di ordine pubblico!

Fare di ogni lotta rivendicativa una scuola di comunismo!

Ricostruire il partito comunista!

 

Nell’ultimo autunno del secolo la borghesia imperialista italiana sta conducendo un attacco su vasta scala a quanto resta delle conquiste che le masse popolari del nostro paese avevano strappato nel periodo di maggiore forza del movimento comunista (1945-1975).

Sono scaduti i contratti nazionali di lavoro di alcuni milioni di lavoratori: un milione e trecentomila edili, un milione e mezzo di proletari del commercio, centomila delle telecomunicazioni, trecentomila dei trasporti, settantacinquemila elettrici e molti altri settori minori. I rinnovi dei contratti sono usati dai padroni per mille tentativi di ridurre il ruolo del contratto nazionale collettivo, per restringere ai sindacati di regime la rappresentanza dei lavoratori, per allargare il terreno aperto all’arbitrio dei padroni in termini di straordinari, organizzazione del lavoro, flessibilità, lavoro in affitto, lavoro esterno, contratti a termini, salari d’ingresso e altro, per espropriare i lavoratori dei diritti conquistati in termini di pensione, liquidazione (TFR), diritti sul posto di lavoro, libertà di organizzazione e di sciopero. In cambio mercanteggeranno all’infinito aumenti salariali di qualche decina di migliaia di lire al mese su salari da uno a due milioni e qualche promessa di “creazione di nuovi posti di lavoro” e di “garanzie per l’occupazione”.

I rinnovi contrattuali avvengono mentre tutto intorno la borghesia imperialista compie mille angherie ai danni di tutti i proletari occupati e disoccupati e delle loro famiglie, dei lavoratori autonomi e dei poveri in generale. Aumentano i posti di lavoro in pericolo; le tariffe e i prezzi crescono; ogni lavoratore è sempre più spesso un esubero e ogni giovane superfluo; per ogni attività aumentano i permessi da chiedere e i costi da pagare; vengono ridotte le autonomie locali; l’istruzione, la sanità e i servizi sociali sono sempre più campi per la valorizzazione del capitale e merci da vendere agli “utenti”; dilagano le privatizzazioni con il loro seguito di rincari, peggioramento delle condizioni di lavoro, calamità “naturali”, incidenti e malattie; i diritti già conquistati per tutti sono trasformati in concessioni per i casi più disperati; i poveri sono obbligati a mettere in pubblico la propria vita nella speranza di qualche sconto su servizi che sempre più sono una merce riservata a chi ha soldi; controlli a tappeto nella vita familiare (nella privacy) dei poveri, dei pensionati, degli invalidi, delle ragazze madri, dei poveri; aumentano i poteri dei burocrati e dei faccendieri, la loro corruzione, gli omaggi che bisogna loro dare; divieto di sciopero, di manifestazione e di protesta: pace sociale per il Giubileo (poi si vedrà!). Al disordine e al malessere che questo provoca e alla malavita che sviluppa la borghesia risponde aumentando i controlli e gli arbitri dei pubblici funzionari sulla massa della popolazione, con nuove carceri e nuovi mezzi di repressione, creando nuovi “posti di lavoro” nella polizia, nei carabinieri, nelle forze armate, negli apparati di spionaggio e schedatura, nei servizi di sicurezza e di protezione, pubblici e privati. Sono i campi in cui la borghesia crea la maggior parte dei nuovi posti di lavoro stabili. Per il resto lavoro nero e precario. D’Alema vanta dal 1996 a oggi 530.000 nuovi posti di lavoro, ma tace che di questi almeno 400.000 sono precari. “Scordatevi il posto di lavoro fisso”: solo il governo deve essere stabile e solo i padroni devono essere al sicuro. Più potere e ricchezza ai padroni: questa è la ricetta di ogni sana economia capitalista. “Noi italiani dobbiamo essere i più bravi degli altri”, predica Ciampi dall’alto dei suoi 750 milioni di sola pensione. Solo se il padrone guadagna bene e non ha fastidi, forse ti farà lavorare: a questo si riducono la politica economica e tutta la dottrina sociale e la morale della borghesia in questo periodo.

In questo attacco ai lavoratori i padroni sono uniti. Tutte le loro autorità e i loro portavoce vanno da anni ripetendo in tutte le salse che il lavoro costa troppo e che è regolamentato troppo rigidamente: i lavoratori prendono troppo, hanno troppi diritti e troppe libertà. I capitali (cioè i padroni) vanno dove i lavoratori costano meno e hanno meno pretese: questa è la libertà. In ogni paese i padroni dicono che da loro i costi sono più alti e i regolamenti più rigidi che nei paesi dei loro concorrenti. In Italia le grida si sono fatte più forti in questi ultimi tempi. Partiti, sindacati di regime e  tutte le autorità padronali, economiche, politiche, morali, religiose e culturali lo ripetono concordi: da Ciampi al Papa, da Berlusconi a D’Alema, da Fini a D’Antoni, da Cofferati a Pannella-Bonino.  La differenza tra la sinistra e la destra della borghesia, tra i buoni e i cattivi borghesi, consiste nel fatto che la sinistra elimina ogni cosa a dosi, colpisce ora una categoria ora un’altra, compensa un colpo con un mezzo regalo, concede cinque oggi e toglie dieci domani, toglie cinque a uno e concede due a un altro a cui toglierà dieci domani e promette, promette, promette anche quello che non dipende da lei, che non è in suo potere: promette di non eliminare tutto e di creare elemosine per i casi più disperati e più fastidiosi. La destra invece minaccia di fare piazza pulita di tutto e in un colpo solo (un “intervento chirurgico”); però promette una nuova partenza alla grande e un radioso futuro per chi ci saprà fare.

Il governo D’Alema cerca di guadagnarsi la simpatia dei lavoratori come governo che dosa l’amara medicina e di conservare l’appoggio dei padroni dimostrandosi capace di raggiungere il risultato senza suscitare proteste, agita lo spauracchio di disordini che risponderebbero all’intervento chirurgico auspicato dalla destra, promette di uccidere la gallina senza farla gridare.

E il campo dei lavoratori? I rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro sono gestiti per conto dei lavoratori principalmente dai sindacati di regime; in ogni questione in cui i padroni si degnano di consultarli, i lavoratori sono rappresentati dai sindacati scelti dalla borghesia (un po’ come i palestinesi quando trattano con gli israeliani). In questo modo i padroni contano di riuscire a soffocare o almeno a smorzare la resistenza dei lavoratori, la difesa delle loro conquiste e della loro vita, la risposta dei lavoratori alla guerra che la borghesia imperialista conduce contro di loro. Treu e i suoi complici credono di mettere a tacere i lavoratori con precettazioni, ricatti, denunce, carabinieri, poliziotti, magistrati e multe. Treu vuole essere il ministro dell’eliminazione e della repressione del lavoro.

È un calcolo che torna? Dipende. Dipende dai lavoratori in generale e in particolare dai lavoratori avanzati e dalle Forze Soggettive della Rivoluzione Socialista.

Riflettiamo sullo scontro che è in corso tra la borghesia imperialista da una parte e le masse popolari dall’altra, uno scontro in cui le masse popolari lasciano ogni giorno sul terreno morti e feriti e ancora più persone colpite profondamente nella loro dignità e nel loro carattere. Ogni persona che riflette su questo si rende conto facilmente che tutta la debolezza delle masse popolari consiste di due cose.

Anzitutto la mancanza di una prospettiva di società in cui i lavoratori lavorino e vivano senza padroni o per lo meno la scarsa fiducia dei lavoratori stessi nella loro capacità di creare una società del genere, di poter fare a meno dei padroni, di poter vivere meglio senza capitali, senza mondializzazione dei capitali, senza libertà dei capitali, senza dipendere da banche, da finanziarie, da assicurazioni, da industriali, da padroni.

In secondo luogo la mancanza di una organizzazione e di una direzione unitaria della massa dei lavoratori a difesa dei diritti conquistati e delle condizioni di vita e di lavoro, in primo luogo del lavoro stesso.

Le due cose sono collegate tra loro. La forza e il successo della difesa saranno tanto più scarse e la preparazione delle condizioni spirituali e organizzative necessarie per una difesa tenace saranno tanto più limitate quanto più i lavoratori sono convinti che in definitiva i padroni non solo hanno, ma avranno sempre il coltello dalla parte del manico e che “non c’è società migliore di questa”, cosa di cui tutti i preti e i professori cercano di convincerli. Non è morto il comunismo? Non sono crollati i paesi socialisti? Non hanno fatto Woityla e la Madonna di Fatima (con il concorso di Reagan) tanto miracolo? E via predicando. Ma tutta l’esperienza e la conoscenza del corso della società capitalista insegnano invece che la società comunista non solo è possibile ma è necessaria e inevitabile: in definitiva, prima o poi, l’umanità approderà alla società comunista. Solo che essa comporta che i lavoratori si liberino non solo dai mali del capitalismo, ma dal capitalismo stesso; non solo dal capitalismo, ma da ogni classe sfruttatrice, da ogni divisione in classi, da tutte le relazioni e le concezioni corrispondenti ad una società basata sullo sfruttamento, sull’oppressione e sulla divisione in classi. Un compito possibile e indispensabile, ma complesso. Il comunismo è la società di cui i lavoratori hanno un bisogno tanto grande quanto grande è l’inesperienza su come realizzarla. Non è ancora esistita una società del genere. Sono solo stati fatti alcuni tentativi in questa direzione e la classe dominante fa tutto quanto è in suo potere per impedire che la massa dei lavoratori abbia una conoscenza onesta e scientifica di questi tentativi, dei risultati raggiunti, delle difficoltà incontrate e quindi possa ragionare sulla soluzione di questa difficoltà. Del resto le condizioni materiali e spirituali della vita in cui la borghesia imperialista relega la massa della popolazione sono tali che solo a prezzo di sforzi particolari e di circostanze particolarmente fortunate e grazie a doti particolari un lavoratore può farsi una cultura su come funziona la società attuale, una conoscenza che comprenda le sue esperienze immediate ma non si limiti ad esse, che tenga conto del complesso dei rapporti che costituiscono la società in cui vive. Più difficile ancora è per un lavoratore imparare l’arte della lotta politica, l’arte di come trasformare la società attuale.

Tuttavia l’inesperienza dei lavoratori è relativa. Il movimento comunista da 150 anni a questa parte ha costruito a grandi linee questa scienza della società e della lotta politica necessaria ai lavoratori. Si tratta di assimilarla e applicarla arricchendola dei tratti particolari del nostro paese e svilupppandola nelle parti che l’avanzamento del movimento richiede. L’esperienza storica ha dimostrato che i lavoratori che vogliono assumersi questo compito devono unirsi in partito, costituire il partito comunista. All’inizio del movimento comunista, ai primordi del movimento operaio, i lavoratori riuscirono a sviluppare lotte rivendicative di una certa ampiezza ancora prima che si costituissero partiti comunisti. E non poteva essere diversamente perché i partiti comunisti non c’erano e i movimenti rivendicativi dovevano creare le condizioni minime materiali e spirituali necessarie per la loro nascita. La semplicità della società borghese di allora, il carattere elementare dello scontro tra la borghesia e il proletariato ai suoi inizi e le condizioni generali della società (la borghesia era ancora impegnata più nella lotta contro la nobiltà e il clero che contro il proletariato) permettevano la cosa. Ma non a caso nel giro di pochi decenni la classe operaia passò dovunque dalle organizzazioni di difesa e rivendicative alla costituzione di partiti comunisti, quale che fosse il nome che localmente assunsero. La natura assunta attualmente dallo scontro e le condizioni generali della società borghese non consentono di “ritornare alle origini”, di “ripartire da capo”. Milioni di lavoratori hanno più buon senso dei buoni compagni della CCA, della Rete dei Comunisti e di varie altre FSRS. Questi vorrebbero compensare la loro vergognosa titubanza e i loro tentennamenti a prendere la strada della ricostruzione del partito comunista dietro l’appello a un grande movimento rivendicativo. Ma inutilmente invitano i lavoratori, perché ogni lavoratore, benché tartassato e colpito in ogni modo e su ogni lato dalla borghesia imperialista, si rende in qualche modo conto che nelle condizioni attuali una lotta su larga scala è impossibile.

La difesa dei dritti conquistati, la vittoria delle rivendicazioni, la vittoria delle lotte per il rinnovo dei contratti di lavoro sono per i lavoratori strettamente connesse con la lotta per il comunismo, con l’attività del partito comunista e quindi, nel nostro caso con la ricostruzione del partito comunista. È per questo che sono caduti nel vuoto tutti i tentativi fatti in questi anni da più parti, a partire da Bertinotti per arrivare fino alla CCA, di sviluppare un movimento di difesa e di rivendicazione su larga scala.

La prima cosa da fare, di fronte alla necessità di lotte di difesa e di lotte rivendicative, è ricostruire il partito comunista. In questo devono impegnarsi tutte le FSRS e tutti i lavoratori avanzati, a questo devono subordinare tutto il resto, a questo devono far servire tutto il resto, anche le lotte di difesa e le rivendicazioni.

Quando diciamo che la ricostruzione del partito comunista è la prima cosa da fare, che ad essa bisogna subordinare tutto il resto, non vogliamo dire che il resto non esiste e che la prima cosa è anche l’unica. Se c’è una cosa principale, è perché ce ne sono altre secondarie. È impossibile sviluppare su grande scala le lotte di difesa e le rivendicazioni senza partito comunista, ma per costruire il partito comunista dobbiamo dare grande importanza a tutte le lotte in cui qualunque gruppo di lavoratori difende i suoi diritti e le sue conquiste dall’attacco della borghesia imperialista e a tutte le lotte rivendicative che un gruppo di lavoratori riesce a lanciare per strappare alla borghesia imperialista qualche ulteriore conquista. Con queste lotte i lavoratori imparano a lottare, in queste lotte i lavoratori si uniscono, con queste lotte migliorano le loro condizioni o evitano che peggiorino o riducono la misura del peggioramento: in sintesi queste lotte sono una scuola di comunismo. Tanto più lo sono quanto più i comunisti consapevolmente approfittano di esse per imparare e per insegnare agli altri lavoratori, per legarli alle organizzazioni del partito, per consolidare tutti i diversi passi avanti compiuti dai lavoratori e fare di ognuno di questi passi un punto di partenza per ulteriori successivi passi avanti. In breve, quanto più i comunisti partecipano a queste lotte con spirito comunista.

La borghesia cerca di soffocare le lotte rivendicative e di difesa. Dove non riesce cerca di dividere i lavoratori: fa leva sui lavoratori che lottano per metterli contro quelli che non lottano e goderebbero dei risultati delle lotte; fa leva su quelli che non lottano per metterli contro quelli che lottano, turbano il corso normale della vita della società, peggiorano la competitività dei capitalisti di fronte ai loro concorrenti e quindi “danneggiano l’economia nazionale”. L’economia nazionale non è danneggiata dalla liquidazione delle aziende, dal loro trasferimento all’estero, dalle speculazioni grandi e piccole che si fanno nelle Borse e nei consigli di amministrazione, dal lusso e dallo spreco dei ricchi, dalla corruzione e dalla criminalità dei gruppi imperialisti: è danneggiata solo o principalmente dalle lotte dei lavoratori. I borghesi tirano fuori il “sistema Italia” e che “siamo tutti sulla stessa barca” solo quando si tratta delle richieste dei lavoratori o dei sacrifici che loro vogliono imporre. Provate a imporre ai capitalisti di accontentarsi di minori profitti in nome dell’”economia nazionale”, del “sistema Italia” e della “barca comune”!

Le lotte di difesa e le lotte rivendicative richiedono e si prestano a un intervento importante dei comunisti. I lavoratori avanzati svolgeranno in esse il loro ruolo tanto meglio quanto più saranno guidati da una concezione comunista e impareranno a tradurla in ogni iniziativa, in ogni indicazione, in ogni parola e in ogni gesto.

Ogni gruppo, ogni categoria di lavoratori riuscirà a contenere l’attacco della borghesia, a ridurre l’esito della rapina tanto più quanto più riuscirà a protestare, a fare dimostrazioni, scioperi, occupazioni, a rendere difficile la vita dei padroni, a turbare insomma l’ordine pubblico. I capitalisti capiscono solo il linguaggio della forza, nella società capitalista solo chi è forte è rispettato. Le condizioni di vita, il salario, le condizioni di lavoro, il posto di lavoro non sono un problema aziendale, che riguarda la singola azienda, che si può risolvere nell’ambito della singola azienda. Contro i lavoratori i padroni vogliono far sopravvivere la proprietà privata delle aziende, ma questa è sorpassata dalla realtà. I padroni se ne ricordano solo quando si tratta di chiedere sovvenzioni pubbliche e sacrifici. Noi dobbiamo farlo valere anche quando di tratta di ciò che riguarda i lavoratori. In questi casi dobbiamo tirare fuori l’azienda Italia e il sistema Italia e far valere il fatto che le condizioni di vita, il salario, le condizioni di lavoro, il posto di lavoro, le pensioni, l’istruzione, l’assistenza sanitaria, i servizi pubblici, l’educazione, il diritto a una vita dignitosa e a un ruolo dignitoso nella società, così come il dovere per ogni persona di dare il suo contributo di lavoro alla società sono un problema politico, un problema di ordine pubblico. L’azienda Italia va bene se tutti hanno una vita dignitosa e se nessuno vive alle spalle degli altri. È così che si crea l’ordine pubblico e si elimina la criminalità, non imponendo la sopravvivenza della società borghese e aumentando i carabinieri, i poliziotti e i guardiani, il loro potere e le loro angherie che si riversano in particolare sui più poveri e sui più disgraziati, su quelli che più sono deformati dalla società borghese. I reati contro la proprietà si eliminano eliminando la proprietà privata dei mezzi di produzione e creando un sistema in cui ogni persona fa la sua parte di lavoro e riceve una parte adeguata del prodotto. Ciò facendo si creano le condizioni di civiltà e di educazione che eliminano almeno gran parte anche degli altri delitti.

I lavoratori hanno bisogno della flessibilità del lavoro: certamente hanno bisogno di una flessibilità per cui anche quelli che oggi siedono nelle comode poltrone provino cosa vuol dire faticare; quelli che vivono nel lusso e nella sicurezza che deriva dalla ricchezza ne siano privati e vadano un po’ di tempo in miniera o nei campi o alle catene di montaggio; quelli che sono alle catene di montaggio, nei campi o in miniera passino ad altri lavori e ricevano la formazione e i mezzi necessari. Noi siamo per la flessibilità per cui lo spazzino diventa direttore e riceve la formazione necessaria per fare il direttore e il direttore va a fare lo spazzino. Quando i padroni, da Ciampi in giù, per convincere ad accettare i licenziamenti si riempiono la bocca di belle parole sull’istruzione e la formazione, bisogna denunciare che proprio loro stanno trasformando l’istruzione, la formazione, come la sanità e gli altri servizi sociali in una merce riservata a chi ha i soldi per pagarsela. Per cui un disoccupato ne sarà escluso più di adesso, salvo quando e quanto i padroni ne avranno bisogno. La flessibilità predicata e imposta dai padroni è liberà di licenziamento, di ricatto e di mandare i lavoratori in miseria, di renderli esuberi e superflui, di rendere precaria la loro vita: è libertà per i padroni di ridurre la libertà dei lavoratori.

Quanto più larga sarà l’unità dei lavoratori, quanto più diffusa la solidarietà con ogni gruppo di lavoratori sottoposti all’attacco, tanto meglio sarà per tutti i lavoratori. Ogni gruppo che riuscirà a difendersi con efficacia o meglio ancora a strappare qualcosa, sarà un punto di forza e un vantaggio per tutti i lavoratori. Tanto più quanto più la sua vittoria sarà propagandata, esaltata, studiata e il suo esempio imitato.

Le minacce di Treu e dei suoi complici hanno forza solo dove i lavoratori sono demoralizzati, divisi, disorganizzati, privi di determinazione. Se no, ci vuole altro che Treu! In Italia i lavoratori hanno scioperato anche sotto il fascismo e sotto il nazismo, persino durante la guerra. Treu è un megalomane se crede di fare più paura di Hitler e di Mussolini! Il diritto di sciopero non è una concessione della borghesia che ora se la riprende. Lo hanno conquistato i partigiani. Woityla e D’Alema riusciranno ad abolirlo solo se e fino a quando i lavoratori saranno divisi e privi di direzione, di fiducia in se stessi e di partito comunista. Una situazione che ogni lavoratore avanzato e ogni comunista può contribuire a eliminare collaborando alla ricostruzione del partito comunista. L’unità che c’era tra i lavoratori negli anni passati non è stata un regalo della borghesia, l’avevano costruita i comunisti con una lotta ventennale contro il fascismo culminata nella Resistenza. Non è la prima volta nella loro storia che i lavoratori si trovano divisi e privi di fiducia in se stessi, incerti della loro capacità di costruire una società comunista e privi di direzione. Era la situazione in cui si trovavano ottanta anni fa, all’inizio degli anni ‘20 e la borghesia approfittò della situazione e impose il fascismo. Ma il fascismo è finito nella Resistenza. E se i lavoratori non riuscirono a cogliere pienamente i frutti della Resistenza e permisero alla borghesia di rimontare la china del fosso in cui era finita col fascismo, ebbene per il futuro la lezione verrà tenuta ben presente dai comunisti e dai lavoratori.

La prospettiva di costruire una società comunista non è svanita solo perché abbiamo subito una sconfitta. La certezza della rinascita del movimento comunista e della vittoria dei lavoratori è prodotta senza alcun dubbio dal fatto che il capitalismo ha sì ripreso il sopravvento sul movimento comunista, ma non ha risolto alcuno dei problemi affrontando i quali il movimento comunista aveva raggiunto negli anni ‘50 i suoi grandi successi. Lo conferma il fatto che una volta preso il sopravvento il capitalismo sta eliminando tutte le conquiste di civiltà e di benessere che le masse popolari avevano strappato sull’onda dello sviluppo del movimento comunista e sta precipitando nuovamente tutta l’umanità, dei paesi imperialisti, dei paesi semicoloniali e dei paesi ex-socialisti, da un capo all’altro della terra, nella miseria, nell’abbrutimento, nella crisi, nella precarietà della vita e nella guerra. I capitalisti stessi stanno costringendo i lavoratori di tutto il mondo a scoprire che solo nel comunismo sta la loro salvezza, che solo il comunismo è il loro futuro.

Quanto ai lavoratori italiani e alle masse popolari del nostro paese, anche le lotte per difendere le nostre conquiste e rivendicare il nostro diritto a un salario adeguato alla ricchezza sociale prodotta e il nostro diritto a condizioni di vita e di lavoro dignitose confermano che nel nostro paese in questa fase la ricostruzione del partito comunista è il centro dello scontro tra masse popolari e borghesia imperialista: è questo che decide dell’esito delle lotte e di quale classe avanza e quale retrocede.

Che l’ultimo autunno del secolo veda le masse popolari e i lavoratori italiani difendersi con forza e con successo dall’attacco della borghesia imperialista!

Che le masse popolari e i lavoratori italiani traggano dalle lotte di questo ultimo autunno del secolo risorse e insegnamenti per la ricostruzione del nuovo partito comunista della classe operaia, primo passo verso la rivoluzione socialista nel nostro paese!

Che il secolo nuovo che sta per cominciare veda presto sorgere il nuovo partito comunista italiano!

Anna M.