La Voce

Indice del La Voce n. 3

Parlare a nuora perché suocera intenda?

 

Nel n. 2 di La riscossa, organo di Iniziativa Comunista, l’autore dell’articolo Né unità senza principi né teoria fine a se stessa, alludendo alle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente, dice che il partito comunista non è “una federazione di bande mazziniane che agiscono in attesa che gli operai finalmente le comprendano”. Il giudizio è confermato nell’articolo Fuori dal coro di pag. 6 dello stesso numero dove l’autore afferma che “i comunisti devono lottare per avere un partito anziché perdersi in bande di stampo anarchico o mazziniano”.

Siamo ovviamente d’accordo che il partito comunista non è una federazione di bande (di nessun genere). Ci interessa però entrare in merito a un argomento che l’autore non tratta esplicitamente, ma che l’oggetto del suo articolo e il modo in cui lo tratta implicitamente mettono in campo.

Cosa è infatti che induce l’autore ad accostare Brigate Rosse e mazziniani?  L’accostamento tra Brigate Rosse, in particolare le “rinate” Brigate Rosse e gli anarchici è suggerito da un motivo ovvio: la tattica di lotta consistente nell’esecuzione di attentati contro esponenti importanti della classe dominante. Ma l’accostamento tra le nuove Brigate Rosse e mazziniani non può essere che il carattere clandestino dell’organizzazione. Non ce n’è infatti altro. A differenza delle nuove BR i mazziniani non avevano come tattica gli attentati contro esponenti delle classi contro cui combattevano e, ancora a differenza delle nuove BR, i mazziniani svolgevano una vasta opera di propaganda tra la masse e promuovevano la partecipazione delle masse a tutta l’attività politica rivoluzionaria, anche agli scontri armati e alle insurrezioni. Quindi quello che l’articolista attacca o comunque quello che i suoi lettori leggono dal suo articolo come bersaglio di condanna è il carattere clandestino dell’organizzazione.

Ora tutti quelli che si pongono il compito della ricostruzione del partito comunista “non quando lo consentirà la fase, ma oggi, qui e ora” (per usare le parole dell’autore) hanno di fronte una scelta che non possono eludere: partito legale o partito clandestino? La Voce nel suo n. 1, il numero programmatico tra quelli finora usciti, ha argomentato perché il nuovo partito comunista deve essere clandestino. La storia presenta numerosi esempi di partiti comunisti clandestini e non dei minori (partito russo, cinese, vietnamita, coreano, italiano, jugoslavo e altri). Insomma l’autore è entrato di soppiatto in una questione viva del momento e ha additato come cosa negativa l’organizzazione clandestina che noi invece indichiamo come carattere essenziale e strategico del nuovo partito.

Non mi pare poi che nessuno oggi in Italia sostenga chiaramente ed esplicitamente un piano di accumulazione delle forze rivoluzionarie attorno e sotto la direzione di un partito legale. Gli avversari del partito clandestino “sorvolano”sulla questione.

Lo stesso fatto, comprensibilissimo, che l’argomento non possa essere trattato liberamente e apertamente su un foglio come La riscossa sottoposto alle autorità della Repubblica Italiana è un argomento a favore della necessità di un organo di stampa libero come La Voce, che può essere opera solo di una organizzazione clandestina.

Vi è poi un altro aspetto dell’articolo che ci interessa trattare e riguarda il bilancio della storia del nostro paese, sia rispetto ai mazziniani sia rispetto alle Brigate Rosse.

L’articolista addita ai suoi lettori i mazziniani come termine di riferimento storico negativo. Ma i mazziniani sono stati l’unico partito rivoluzionario della borghesia italiana durante l’epoca in cui essa si è costruita il suo mercato nazionale e ha unificato il paese. Mazzini (1805-1872) e i suoi svolsero per vari anni una vasta propaganda perché la borghesia realizzasse l’indipendenza e l’unificazione dell’Italia facendo piazza pulita delle vecchie classi dominanti (la nobiltà e il clero) e delle loro istituzioni (monarchie e Chiesa) e a sostegno della loro iniziativa costruirono una organizzazione cospirativa considerevole con buone radici tra le masse. Essi furono sostenitori di una rivoluzione borghese diretta dalla borghesia ma in alleanza con i contadini e gli artigiani. Insomma il partito dei mazziniani è quanto di più rivoluzionario e avanzato ha prodotto la borghesia italiana nell’epoca della sua affermazione politica e quanto di più rivoluzionario vi sia stato in Italia nell’epoca moderna prima dell’entrata in scena della classe operaia. A conferma di ciò sta l’esperienza storica. L’unificazione e l’indipendenza del paese furono realizzate sotto la direzione del partito cavouriano, quindi in definitiva il partito mazziniano venne sconfitto. Ma da una parte il partito cavouriano ebbe successo perché tra i vari partiti borghesi favorevoli alla collaborazione con le vecchie classi dirigenti (nobiltà, clero, monarchia e papato), esso fu l’unico che fece suoi gli obiettivi fondamentali dei mazziniani fino a conciliare con una parte dello stesso partito mazziniano. Dall’altra parte lo Stato nazionale costruito dal partito cavouriano fu fin dall’inizio rachitico e tale è rimasto a causa dello scostamento dal programma mazziniano (su questa tesi vedasi in questo numero della rivista l’articolo di Rosa L. a pag. 30, ndr).

Insomma nella storia del nostro paese i mazziniani sono stati, nel campo borghese, l’esempio migliore di un partito clandestino che ha svolto una vasta azione di propaganda, di formazione e di accumulazione delle forze rivoluzionarie. Non a caso hanno svolto un grande ruolo nella storia del nostro paese. Non si può attribuire ad essi di aver agito per bande in attesa che la massa delle classi  a cui si rivolgevano finalmente li comprendesse. Ovviamente la loro attività era ritagliata su misura della borghesia. Ma portare i mazziniani come esempio negativo di partito è del tutto fuor di luogo anche da questo punto di vista.

Altrettanto è fuor di luogo non distinguere tra le Brigate Rosse degli anni ‘70 e ‘80 e le attuali nuove Brigate Rosse e coinvolgerle in un unico giudizio negativo. Solo per le ultime vale quanto detto da La riscossa a pag. 6 dello stesso numero, che è tuttavia tra le cose migliori che in proposito si sono lette sui fogli e sentite nei discorsi delle FSRS legali.

Negli anni ‘70 le Brigate Rosse sono state, nel campo proletario, un esempio di organizzazione clandestina che ha svolto una vasta azione di propaganda, di formazione e di accumulazione delle forze e ha svolto un grande ruolo nella storia del nostro paese. Neanche ad esse si può attribuire di aver agito per bande in attesa che la classe operaia finalmente le comprendesse. Ridurre la loro azione di allora all’azione di bande anarchiche e non distinguere tra il ruolo politico svolto dalle BR in quel periodo e il tentativo di richiamarle in vita sotto forma di gruppi di attentatori è impedire il bilancio della esperienza e l’uso degli insegnamenti che da essa derivano. In particolare è nascondere che il reale motivo della sconfitta delle vecchie BR fu l’abbandono del piano per la ricostruzione del partito comunista e la deviazione verso il militarismo, da cui invece sostanzialmente le nuove partono.

Ci pare insomma che l’articolista in entrambi i casi non arrivi a distinguere tra il positivo e il negativo. Per i mazziniani non distingue tra il loro carattere rivoluzionario borghese (la lotta per una rivoluzione borghese realmente democratica che avesse come forza principale i contadini e gli artigiani) e la loro incomprensione che in Italia la rivoluzione borghese per attuarsi senza e contro la nobiltà, il clero, le monarchie e la Chiesa (il papato), doveva per forza essere una “guerra dei contadini diretta dal proletariato” (quello che Engels esplicitamente indicava per la Germania che viveva un passaggio sociale analogo all’Italia), cioè una rivoluzione di nuova democrazia. Per le nuove Brigate Rosse non distingue tra la natura politica e rivoluzionaria della lotta e il carattere clandestino dell’organizzazione da una parte e dall’altra il militarismo e la negazione della partecipazione delle masse alla politica rivoluzionaria.

Ernesto V.