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Il piano d’azione del (nuovo)Partito comunista italiano in questa fase

Terminata la stesura del Manifesto Programma ed entrati nella fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo, il compito che noi comunisti dobbiamo ora assolvere consiste nel mobilitare le masse popolari organizzate del nostro paese perché costituiscano un governo d’emergenza, un governo di Blocco Popolare, che faccia fronte con misure urgenti e straordinarie agli effetti più devastanti della crisi generale. Dobbiamo anzitutto estendere il numero e allargare la rete di organizzazioni operaie e di organizzazioni popolari. Dobbiamo infondere in ognuna di esse la convinzione che l’instaurazione del socialismo è l’unica via positiva per uscire definitivamente dal marasma creato dal sistema capitalista in preda alla sua seconda crisi generale, ma che da subito con la loro iniziativa le masse popolari possono evitare gli effetti più devastanti della crisi generale del capitalismo. Come? Coalizzandosi tra loro e costituendo un governo d’emergenza, un governo di Blocco Popolare, che prenda il posto del governo della banda di trafficanti, mafiosi, clericali, avventurieri e speculatori riunita da Berlusconi a cui la Corte Pontificia, la Confindustria e le altre associazioni padronali, le Organizzazioni Criminali, gli imperialisti USA e i sionisti hanno affidato il governo del paese. Dobbiamo suscitare e rafforzare nelle masse popolari la volontà di evitare effettivamente gli effetti più devastanti della crisi del capitalismo e la convinzione che sono in grado di farlo.

Nella lotta per creare le condizioni necessarie alla costituzione di un governo di Blocco Popolare e poi per fare in modo che esso attui le misure d’emergenza necessarie a evitare gli effetti più devastanti della crisi generale, noi comunisti proseguiremo la rinascita del movimento comunista e accumuleremo le forze necessarie per guidare le masse popolari a far fronte alla seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, che è la strategia per instaurare il socialismo nel nostro paese.

Ecco il piano d’azione che il nuovo Partito comunista italiano ha elaborato sulla base dell’analisi della situazione concreta del nostro paese e della situazione internazionale e che esso propone a tutti i comunisti e agli altri elementi avanzati delle masse popolari, in primo luogo agli operai avanzati.

 

Questa dichiarazione implica alcuni punti fermi che oggi non sono affatto acquisiti nel movimento comunista del nostro paese. Dobbiamo avere chiaro quali sono i principali. Dobbiamo metterci in condizione di poter spiegare che sono giusti a ogni compagno che nutre dubbi, in ogni riunione o assemblea in cui riusciamo a portare e spiegare questa dichiarazione. Dobbiamo conformare ad essi creativamente ogni nostra iniziativa.

 

1.

Anzitutto per instaurare il socialismo, per fare la rivoluzione socialista occorre un piano d’azione: una strategia e una tattica. La rivoluzione socialista non scoppia, non è un evento che accade. La rivoluzione socialista è il risultato dell’attuazione di un piano d’azione da parte del partito comunista, il risultato di una guerra espressamente condotta a questo scopo dalla classe operaia guidata dal suo partito comunista. Già Engels aveva spiegato che, a differenza della rivoluzione borghese, la rivoluzione socialista non può per sua natura essere il risultato di una insurrezione popolare che scoppia per un concorso imprevedibile di circostanze, un’esplosione di indignazione popolare.(1) Nel 1895 Engels riconobbe apertamente che lui e Marx in proposito si erano sbagliati, fuorviati dall’esperienza delle rivoluzioni borghesi d’Europa e d’America. Lenin ha sostenuto sistematicamente che il partito comunista deve preparare la rivoluzione socialista, organizzarla, predisporre un accurato piano d’azione analogo per alcuni aspetti a quelli che lo Stato Maggiore di un paese stende per condurre una guerra, un piano preparato a tavolino. Lenin ha fatto di questa tesi uno dei punti che distinguono il leninismo dalla degenerazione del marxismo prevalsa nella Seconda Internazionale. Durante la prima ondata della rivoluzione proletaria la pratica ha mostrato ripetutamente che le insurrezioni e le rivolte che scoppiano per il prorompere e il convergere dell’indignazione popolare, non si concludono mai con l’instaurazione del socialismo. Gli esempi sono stati particolarmente numerosi in Europa occidentale e centrale nella fase finale della prima Guerra Mondiale.

Certo quello di cui abbiamo bisogno non è un piano arbitrario. Abbiamo bisogno in ogni paese di un piano conforme alle leggi di sviluppo della particolare formazione economico-sociale del paese. Inoltre il partito deve essere capace di cambiare il suo piano se sopravvengono eventi interni o esterni che cambiano l’atteggiamento e la condotta delle masse popolari o il corso delle cose. Deve essere capace di adattarlo se sopravvengono eventi non previsti. Deve essere capace di concretizzare secondo le condizioni di tempo e di luogo (hic et nunc) questa o quella parte del piano man mano che gli eventi si definiscono in tutti i loro particolari. Anche per questo i membri del partito comunista si distinguono dagli altri proletari. Anche per questo il partito comunista deve avere assimilato e imparato ad usare con una certa maestria il materialismo dialettico come metodo di conoscenza e come metodo di azione.

Ma è essenziale comprendere che, come ogni altro evento in natura, anche la trasformazione del nostro paese avviene seguendo leggi sue proprie. I comunisti possono e devono scoprirle e applicarle. Il partito deve elaborare un piano d’azione che sfrutta quelle leggi e deve agire con iniziativa per attuarlo. Il partito non deve agire alla cieca, navigare a vista, reagire meglio che gli riesce e di volta in volta agli eventi come farebbe un qualsiasi proletario generoso e intelligente. Navigare a vista, senza una strategia e una tattica, senza progetti di lungo, medio e breve periodo, è uno dei difetti diffusi tra i comunisti, residuo della condizione servile (che per sua natura esclude la formazione e l’abitudine a progettare e a dirigere) in cui la borghesia, come le precedenti classi dominanti, relega le masse popolari. “Lei non è pagato per pensare. Altri sono pagati per farlo” sfrontatamente dichiarava rivolto agli operai Taylor, il famoso teorico del massimo sfruttamento del lavoro degli operai. “È uno spreco insegnare filosofia o musica a uno che è destinato a fare lo spazzino. Basta che impari a fare bene il suo mestiere”, proclamano con pari arroganza Berlusconi e la Moratti. A tutti quelli che obiettano che se si fanno piani, è possibile anche che si facciano piani sbagliati, dobbiamo contrapporre che più che a causa di piani sbagliati, il movimento comunista del nostro paese ha sofferto per la mancanza di piani, per la noncuranza dei suoi dirigenti per la preparazione di accurati piani d’azione, cioè per l’arretratezza dei suoi dirigenti. In proposito la nostra linea si riassume in tre punti: 1. bisogna fare piani; 2. bisogna fare piani giusti; 3. bisogna attuare i piani fatti.

Il piano d’azione che noi abbiamo enunciato all’inizio non è ovviamente un piano d’azione esauriente. È del tutto insufficiente per guidare l’azione del partito. Vi sono solo le grandi linee di un vero piano d’azione. Da esso il partito deve partire per definire le linee particolari in ogni campo e per tradurle in campagne, battaglie e operazioni tattiche conformi al tempo e al luogo, concrete. In breve per dotarsi di una tattica, di un sistematico e organico piano d’azione.

La lotta contro la separazione tra pratica e teoria richiede che noi compiamo questo sviluppo.

2.

In secondo luogo la crisi attuale, esplosa nel 2008, non cade dal cielo, non arriva all’improvviso, non deriva da una politica sbagliata (liberismo, privatizzazione, globalizzazione, ecc.) perseguita dai governi borghesi e dai gruppi imperialisti, dagli eccessi della finanza, dalle speculazioni di dirigenti senza scrupoli, dal non rispetto delle regole da parte di dirigenti incompetenti e corrotti o dalla mancanza di controlli da parte degli organismi preposti. Essa è la fase acuta, terminale della seconda crisi generale del capitalismo iniziata circa 30 anni fa e dovuta alla sovrapproduzione assoluta (cioè, non limitata a qualche settore produttivo o a qualche paese, ma estesa a tutto il campo d’azione del capitale) di capitale.(2) Il liberismo, l’eliminazione e la riduzione delle conquiste che le masse avevano strappato alla borghesia nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria, la privatizzazione del settore pubblico dell’economia costituito nel corso della prima crisi generale del capitalismo (1900 - 1945), la privatizzazione dei servizi pubblici e la loro riduzione a merci, la globalizzazione, la riorganizzazione internazionale della produzione sono state linee messe in atto dai gruppi imperialisti per sfuggire alla sovrapproduzione assoluta di capitale. Questa a sua volta è un evento insito nella natura del modo di produzione capitalista. La quantità dell’accumulazione di capitale fatta producendo merci, giunta ad un certo punto si traduce in una nuova qualità: l’impossibilità di continuare l’accumulazione stessa producendo merci. K. Marx nella sua analisi del modo di produzione capitalista (cap. 15 del libro 3 di Il capitale) aveva individuato e previsto questo evento. Egli ha mostrato che lo sviluppo del capitalismo portava e doveva portare prima o poi alla sovrapproduzione assoluta di capitale e alla connessa crisi generale (economica, politica, culturale) della società borghese. Come infatti è avvenuto per la prima volta alla fine del secolo XIX.

Se allora il sistema capitalista non viene sostituito dal socialismo, esso supera la sua crisi generale distruggendo in un modo o nell’altro una parte adeguata del capitale già accumulato. Si ha quindi un nuovo periodo di sviluppo che termina con una nuova crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale. È quello che è avvenuto nel secolo XX. La prima crisi generale del capitalismo (1900 - 1945) ha dato luogo a un periodo di convulsioni sociali, di guerre (in particolare le due Guerre Mondiali) e di rivoluzioni. Vi furono allora lo sviluppo mondiale della rivoluzione proletaria (la prima ondata della rivoluzione proletaria) e la creazione dei primi paesi socialisti, a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre e dalla formazione dell’Unione Sovietica. Ma, per limiti propri del movimento comunista, la rivoluzione proletaria non è riuscita a instaurare il socialismo in alcun paese imperialista: il movimento comunista non aveva ancora elaborato una strategia adeguata all’impresa. Proprio a causa dei suoi limiti il movimento comunista è anzi entrato in una fase di decadenza (una crisi di crescita) e i primi paesi socialisti prima hanno perso il loro slancio iniziale, poi per lunghi anni sono regrediti scimmiottando sempre più i vecchi paesi capitalisti e infine sono crollati. Di contro i gruppi e i governi borghesi hanno sviluppato liberamente e su larga scala svariate misure per guadagnare tempo e trovare nuovi campi e nuove forme per la valorizzazione (ossia l’accrescimento) dei loro capitali, nonostante la nuova crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale iniziata negli anni ‘70. L’eliminazione delle conquiste, la globalizzazione, la riorganizzazione internazionale del sistema produttivo, la finanziarizzazione dell’attività economica e il grande sviluppo della speculazione finanziaria hanno fatto guadagnare tempo ai gruppi imperialisti e hanno ritardato il collasso delle attività produttrici di merci. D’altra parte la rinascita del movimento comunista ha proceduto lentamente e i comunisti non sono stati in grado di sfruttare a fondo la situazione rivoluzionaria in sviluppo generata dalla nuova crisi generale del capitalismo.

L’anno scorso siamo entrati nella fase terminale della crisi generale. Le misure finora prese per rimandare nel tempo il crollo diffuso dell’attività economica che produce merci hanno esaurito la loro efficacia. Si sono create le condizioni che rendono imminenti la guerra e la rivoluzione. O il sistema capitalista sarà definitivamente sostituito dal socialismo e il capitale sarà eliminato per questa via. O una massa adeguata di capitale sarà distrutta da nuove guerre imperialiste e dopo le distruzioni vi sarà un nuovo periodo di ripresa e di sviluppo. La contesa tra le due vie e la loro combinazione formeranno lo scenario dei prossimi anni. Noi comunisti naturalmente lottiamo perché l’umanità imbocchi la prima via.

Si ripresentano all’umanità le condizioni che essa ha vissuto all’inizio del secolo XX. Solo che si ripresentano su una scala maggiore, ad un livello più elevato. Infatti ora

1. tutti i paesi del mondo (in particolare la Cina, l’India, la Russia, vari paesi dell’America Latina e dell’Africa, molti paesi arabi e musulmani) sono entrati in modo più profondo a far parte del campo di attività del capitalismo;

2. il capitalismo si è impadronito della vita dell’umanità in misura ben più profonda (una parte più vasta delle attività umane è diventata produzione di merci organizzata dai capitalisti, per lo più produzione di merci-servizi);

3. sia le classi e i popoli oppressi sia le classi dominanti hanno vissuto l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e ne hanno più o meno largamente elaborato gli insegnamenti.

Dalla prima crisi generale determinata da sovrapproduzione assoluta di capitale (1900 - 1945) l’umanità non è uscita tramite le misure economiche (New Deal) prese da Roosevelt (come molta parte della cultura borghese afferma o lascia intendere), né tramite le misure economiche prese da Mussolini o da Hitler (a cui Roosevelt si è ispirato, anche se pochi intellettuali borghesi oggi osano riconoscerlo), misure che comunque sono rimaste nella costituzione materiale dei paesi imperialisti fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando iniziò la seconda crisi generale. Ne è uscita grazie alla prima ondata della rivoluzione proletaria che ha creato il campo socialista e riformato il resto del mondo e a seguito delle distruzioni provocate dalle due Guerre Mondiali. Dalla seconda crisi certamente l’umanità uscirà: quello che è in gioco è come ne uscirà e quali saranno gli sviluppi successivi.

Molte sono le chiacchiere e i discorsi che gli esponenti della cultura corrente fanno sul mondo, ma quello che abbiamo sopra descritto è, nelle sue grandi linee generali, il quadro della storia che l’umanità ha percorso e della situazione cui l’umanità deve far fronte e su cui noi comunisti dobbiamo regolare la nostra azione. Gli sforzi che non si basano su questo quadro sono dispersione di forze e deviazioni. Chi li compie lavora a vuoto, chi li promuove inganna i suoi seguaci.

 

3.

L’instaurazione del socialismo è la via d’uscita dell’umanità dal marasma economico, morale, intellettuale, ambientale e sociale in cui la borghesia imperialista l’ha condotta. Ma per sua natura l’instaurazione del socialismo richiede un movimento comunista sviluppato, cioè una diffusa rete di organizzazioni di massa aggregate attorno al partito comunista, organizzazione degli operai d’avanguardia. Oggi nel nostro paese e negli altri paesi imperialisti siamo ancora lontani da questo risultato. La rinascita del movimento comunista non ha mosso che i primi passi. Ovviamente noi non escludiamo che, stante l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, sotto la spinta degli avvenimenti la rinascita del movimento comunista diventi tanto rapida da prodursi in poco tempo: sarebbe il miglior premio del lavoro che la “carovana del (n)PCI” ha compiuto nei due decenni passati. Tuttavia gli avvenimenti richiedono misure rapide e d’emergenza per evitare almeno gli effetti peggiori della crisi. Esse possono essere prese e attuate almeno in una certa misura da un governo d’emergenza creato dalle organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari anche non ancora aggregate attorno al partito comunista. Chiamiamo simile governo un governo di Blocco Popolare.

È un esercizio privo di effetti pratici, da perdigiorno, elaborare misure per uscire dalla crisi senza la premessa che occorre instaurare un governo e un sistema di potere, un’amministrazione pubblica che voglia attuarle e abbia la forza di attuarle. Quando Epifani proclama (13 febbraio in p.zza S. Giovanni a Roma): “Di sciopero in sciopero porteremo il governo Berlusconi ad attuare le misure necessarie”, la destra sindacale difende l’attuale governo e si oppone ad un governo d’emergenza. In realtà nessun governo normale, cioè formato in base alle attuali procedure costituzionali, può concepire e attuare le misure necessarie ad evitare gli effetti peggiori della crisi.

Perché un governo normale non è in grado di attuare le misure d’emergenza necessarie?

Anzitutto, quali sono le misure d’emergenza per evitare da subito gli effetti più disastrosi della crisi?

Occorre instaurare nel nostro paese un’amministrazione pubblica che attui le seguenti sei misure d’emergenza:

1. assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano (nessuna azienda deve essere chiusa);

2. distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e ad usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi;

3. assegnare ad ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società (nessun lavoratore deve essere licenziato);

4. eliminare attività e produzioni inutili e dannose per l’uomo o per l’ambiente, assegnando alle aziende altri compiti;

5. avviare la riorganizzazione delle altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva;

6. stabilire relazioni di collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.

Perché un governo normale non può prendere queste misure necessarie a evitare le peggiori immediate conseguenze della crisi del capitalismo su cui difficilmente qualcuno potrebbe dissentire con ragionevoli motivi?

Perché queste misure necessarie ledono gravemente interessi costituiti di gruppi che in ogni paese capitalista normalmente sostengono un governo o almeno non si oppongono attivamente e accanitamente ad esso, su cui ogni normale governo oggi conta. Esse lacerano gli interessi e le abitudini di parti importanti delle classi dominanti. Nessun governo normale, quindi costituito dall’una o dall’altra frazione delle classi dominanti (campo della borghesia imperialista) con l’assenso più o meno entusiasta delle altre frazioni, sarebbe in grado di prenderle. Barack Obama non farà molta strada, quali che siano le sue opinioni, tendenze e aspirazioni personali.

Per loro natura, le misure d’emergenza indicate, benché difficilmente qualcuno possa fare ragionevoli obiezioni, ledono interessi costituiti e violano abitudini, tradizioni, valori. I processi costituzionali (che in ogni paese capitalista presiedono alla formazione dei governi in periodo normale) per la loro storia, per la loro origine e per le tradizioni che riflettono, assegnano nella formazione dei governi un ruolo preponderante a classi, gruppi sociali e personaggi che sia per la loro natura sia per la loro cultura sono i più legati ad interessi costituiti.

Solo un governo d’emergenza, formato al di fuori e contro le procedure costituzionali previste per la creazione del governo del paese, può avere la determinazione, la volontà radicale, la spregiudicatezza, l’autorità e la forza per attuare le misure d’emergenza necessarie, che sono le meno abituali che si possano immaginare.

D’altra parte queste misure per la loro natura necessitano, per essere attuate, del concorso sincero, convinto ed entusiasta, creativo e deciso della massa della popolazione, almeno di una parte importante della massa della popolazione, della sua parte più attiva e più avanzata. Solo un governo d’emergenza costituito dalle organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari capillarmente attive nel paese e che ha in esse e nel loro coordinamento la sua base morale e politica, può dare all’iniziativa delle masse popolari organizzate la forma di autorità politica generale e la forza necessaria per imporsi.

Gruppi illuminati delle vecchie classi dirigenti (borghesia, clero, ecc.) ce ne possono essere e ne possono sorgere, ma non avrebbero mai la coesione, la determinazione radicale, l’autorità morale e la forza per attuare le misure d’emergenza che la situazione d’emergenza richiede. Mentre potrebbero invece dare un utile concorso, un apprezzabile contributo a un governo d’emergenza formato dalle organizzazioni operaie e dalle organizzazioni popolari capillarmente attive nel paese (questi gruppi e personaggi costituirebbero la borghesia di sinistra). Potrebbero inoltre ostacolare e ritardare la coalizione degli oppositori del governo d’emergenza e del suo programma d’emergenza attorno alla destra e quindi la reazione della destra e il passaggio alla seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, alla guerra civile.

 

La crisi generale ci ha portato in una situazione che consente solo due vie, che a grandi linee sono le seguenti.

O una frazione della borghesia instaura (con decisione e schiacciando le resistenze delle altre parti) la propria dittatura sul resto della borghesia e sulle masse popolari e costituisce un governo d’emergenza che cercherà di trascinare il paese in avventure (il protezionismo e l’aggressione sono già oggi la sostanza pratica di tutte le misure di una qualche efficacia effettivamente attuate dai governi borghesi). Per la natura stessa delle cose, al di là delle frasi e dei discorsi con cui ornerà la sua azione, questa frazione diventerà la borghesia di destra.

Oppure le organizzazioni operaie e le organizzazioni popolari costituiscono un governo di emergenza con l’appoggio della sinistra della borghesia (cioè di quella parte della borghesia che aderirà alle misure d’emergenza prese da un simile governo. Essa per la natura stessa delle cose diventa la borghesia di sinistra). Questo governo attua (cerca di attuare) il programma che abbiamo sommariamente, a grandi linee indicato.

Nelle lotte a cui l’attuazione di simile programma darà luogo, nelle lotte per attuare simile programma, il partito comunista e il movimento comunista cresceranno fino a diventare la forza dirigente dello schieramento politico e sociale che sostiene il governo d’emergenza. Contro questo schieramento la borghesia di destra ad un certo punto sferrerà la propria offensiva. Allora entreremo nella seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.

Questo è uno scenario possibile e probabile dello sviluppo degli avvenimenti nei prossimi mesi. È lo scenario meno distruttivo e penoso, quello per cui noi dobbiamo lavorare.(3)

L’altro scenario è che il partito comunista e il movimento comunista crescano nella lotta contro le avventure in cui il governo d’emergenza costituito dalla borghesia di destra cercherà di trascinare il paese.

Ovviamente ogni sviluppo nazionale sarà condizionato anche dagli sviluppi a livello internazionale.

In questa fase noi comunisti dobbiamo sistematicamente indicare e mettere al centro dell’attenzione ciò a cui nessuno dei nostri ascoltatori può restare indifferente se è un sincero combattente o se anche solo è un politicante che vuole avere seguito tra le masse, ciò di cui ogni forza politica e ogni personaggio deve rispondere alle masse e a se stesso: la gravità della situazione e gli avvenimenti in corso (la fase terminale della crisi generale in cui siamo entrati). Di fronte ad essi ognuno deve indicare le misure indispensabili e possibili per le masse popolari. Noi dobbiamo dire e dimostrare quali sono le misure indispensabili e possibili per le masse popolari e dire e dimostrare che un governo normale (cioè formato secondo le prassi e le leggi abituali) non è in grado di prendere le misure necessarie. Così in ogni ambiente e occasione mobilitiamo e rafforziamo la sinistra.

È un lavoro indispensabile, importante e urgente. Il tempo a disposizione per la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari non è illimitato. La crisi impone che vengano prese misure straordinarie. Nella coalizione di forze creata dalla banda Berlusconi si aprono ogni giorno crepe sempre più grandi. La pluralità di centri autonomi di potere della Repubblica Pontificia (Vaticano con la sua Chiesa, Confindustria e le altre associazioni padronali e i grandi gruppi, Organizzazioni Criminali, imperialisti USA, gruppi sionisti, imperialisti europei) diventa un ulteriore fattore di crisi politica: non ha abituato le classi dominanti all’intesa e alla convergenza ma ai colpi di mano e alla prassi “ognuno fa gli affari suoi”, ostacola la coesione e favorisce la contrapposizione. I centri di potere si paralizzano a vicenda. Il potere del Vaticano, reale e decisivo ma irresponsabile e indiretto, diventa principalmente un fattore di paralisi: la crisi economica è diventata l’elemento centrale e il Vaticano non ha una linea sua propria (la carità e l’elemosina servono a qualcosa solo quando gli affari vanno bene). Il ruolo paralizzante del Vaticano lo si è visto chiaramente nel caso Englaro: la confluenza del Vaticano e della parte più reazionaria della borghesia ha impedito ogni misura voluta da altri e nello stesso tempo non ha osato imporre la propria. In Italia la formazione di governi normali che provino con forza e con qualche credibilità e autorevolezza a “governare la crisi” è più difficile che in altri paesi, perché la classe dominante è tradizionalmente divisa in centri di potere autonomi e irresponsabili. È quindi probabile che le condizioni per costituire un governo d’emergenza maturino attraverso convulsioni di vario genere sempre più forti e che ad un certo punto anche la destra eversiva e fascista cerchi di cavalcare la linea del governo d’emergenza, soprattutto se noi comunisti non sapremo farla valere tempestivamente con forza tra le organizzazioni operaie e le organizzazioni popolari, relegando così la destra eversiva e fascista nella difficile difesa di un “governo normale” di “legge e ordine”.

 

4.

In quarto luogo deve essere posto ben in chiaro che la creazione di un governo di Blocco Popolare non equivale all’instaurazione del socialismo, ma è una forma di avvicinamento alla rivoluzione socialista. La formazione di un governo di Blocco Popolare non è un’alternativa o un altro nome dell’instaurazione del socialismo. È una misura di avvicinamento all’instaurazione del socialismo, una via per creare le condizioni necessarie all’instaurazione del socialismo.

In un paese imperialista la classe operaia è in grado di prendere il potere e tenerlo solo se ha creato un suo partito d’avanguardia che effettivamente raggruppa tutti o almeno gran parte degli operai avanzati e se su questa base, con la propria iniziativa e con l’influenza che esercita sul resto delle masse popolari, riesce a dirigere l’azione delle masse popolari. Solo in queste condizioni è possibile procedere all’abolizione della proprietà privata delle grandi forze produttive e all’instaurazione di un’economia pianificata a livello nazionale: la forma materiale del socialismo. Questa è un tesi fondamentale che il leninismo e l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria hanno ben dimostrato. La formazione di un governo di Blocco Popolare non implica invece la universale espropriazione dei capitalisti. Implica solo la loro sottomissione, anche solo provvisoria, vista la loro incapacità di far fronte alla situazione d’emergenza, a una legislazione d’emergenza e alle misure d’emergenza attuate sotto il controllo e per iniziativa delle organizzazioni operaie e delle organizzazioni popolari.

Alcuni potranno obiettare che non c’è grande differenza. Ma il problema è che da una parte la differenza è sostanziale. Dall’altra, in effetti, l’instaurazione del governo di emergenza è una forma di avvicinamento all’instaurazione del socialismo nelle condizioni attuali, nella fase terminale della crisi generale del capitalismo. Non è una soluzione di lungo periodo. Si tratterà di un periodo di acutizzazione della lotta di classe che sboccherà inevitabilmente nella seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, nella fase dell’equilibrio strategico, della guerra civile. Ogni illusione al riguardo da parte di noi comunisti ci porterebbe alla sconfitta e al disastro. L’instaurazione di un governo di Blocco Popolare non è un modo di evitare la guerra civile. È un modo di arrivarci nelle condizioni più favorevoli per le masse popolari, quindi anche per fare in modo che la guerra civile sia la meno sanguinosa e la meno distruttiva. Quando la borghesia e le altre classi reazionarie vedranno che le misure d’emergenza non ristabiliscono una situazione normale (cioè il loro potere e i loro privilegi), ma richiedono un approfondimento e allargamento delle misure stesse, dal loro interno la parte più reazionaria di esse cercherà di invertire con ogni mezzo e ad ogni costo la marcia verso il socialismo. Allora non resterà altro da fare che stroncare con decisione e definitivamente le loro velleità e togliere loro ogni possibilità e velleità di ritentare la fortuna.

 

La fase terminale della seconda crisi generale del capitalismo apre grandi prospettive. Ma sono prospettive di lotta. Il mondo cambierà certamente. Sta a noi comunisti mobilitare, organizzare e dirigere le masse popolari in modo che cambi in modo favorevole ad esse e si apra una nuova superiore fase dell’evoluzione della specie umana.

Rosa L.

 

 

Note

 

1 Su questa differenza tra rivoluzione borghese e rivoluzione socialista vedi la nota La rivoluzione borghese scoppia, la rivoluzione socialista è il risultato dell’attuazione di un piano di lotta, pagg. 10 e 11

 

2. In cosa consiste la sovrapproduzione assoluta di capitale, la sua natura e che il modo di produzione capitalista prima o poi incappa inevitabilmente in essa, i promotori della “carovana del (n)PCI” lo hanno mostrato e illustrato più volte, a partire del n. 0 della rivista Rapporti Sociali (1985), basandosi sia sull’analisi della natura del modo di produzione capitalista condotta da K. Marx, sia sulla storia delle società borghesi, sia sullo studio dei fatti correnti. In particolare rimandiamo ai numeri 0, 1, 5/6, 8, 9/10, 12/13, 16 e 17/18 di Rapporti Sociali (reperibili presso la Casa Editrice Rapporti Sociali – rapportisociali@libero.it).

Appartenenti o meno al movimento comunista, i critici della concezione esposta dal (n)PCI anche nel suo Manifesto Programma (pagg. 268-270) non si sono mai avventurati in un tentativo di confutazione della nostra concezione. Si sono limitati a non parlarne, come se il loro silenzio cancellasse i fatti. Più grave ancora è che hanno fondato le loro proposte politiche su questo o quell’avvenimento o fenomeno empirico (il liberismo, l’eliminazione delle conquiste, la globalizzazione, la riorganizzazione internazionale del sistema produttivo, la privatizzazione, la finanziarizzazione, la speculazione finanziaria, ecc.) ponendolo come l’inizio del corso degli eventi, come un evento originario non ancorato alla storia precedente e non collocato nel suo contesto di relazioni, come un fenomeno la cui comparsa a sua volta non richiede spiegazione, quindi senza preoccuparsi di spiegare la ragion d’essere del fenomeno su cui fondavano l’elaborazione delle loro proposte politiche. Il risultato di questo approccio non dialettico è che di regola hanno travisato la natura del fenomeno a cui si sono unilateralmente appoggiati e ne hanno tirato conclusioni sbagliate.

A nostra conoscenza, l’unico tentativo di confutare la teoria della crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale è stato compiuto dal Collettivo Comunista Antonio Gramsci di Trento e Rovereto (TN) in un opuscolo pubblicato nel 2006. La confutazione si basa sul presupposto che un aumento della composizione organica del capitale produca e non possa che produrre un aumento della massa del plusvalore e un aumento del saggio del profitto, cioè su un modello della realtà che esclude proprio la fonte della sovrapproduzione assoluta di capitale: la caduta tendenziale del saggio del profitto. Ovviamente chi all’inizio del suo ragionamento nelle ipotesi di partenza esclude la caduta tendenziale del saggio del profitto, non può trovare alla fine del suo ragionamento la sovrapproduzione assoluta di capitale che è l’effetto di quello che ha escluso all’inizio di esso.

 

3. Il consolidamento e il rafforzamento di un vero partito comunista, fondato quindi sul marxismo-leninismo-maoismo, è la chiave risolutiva della situazione attuale. È un abbaglio pensare di uscire dal marasma attuale e instaurare il socialismo senza la direzione di un simile partito. Ma un vero partito comunista è possibile costruirlo solo nel fuoco della lotta di classe. Solo cercando, senza mai arrendersi alle difficoltà né farsi travolgere dai propri errori, di svolgere la propria funzione organizzativa e propagandistica alla testa delle masse popolari che si aprono una strada per uscire dal marasma in cui la borghesia ci ha condotti, i comunisti concretizzeranno la propria concezione, consolideranno la propria organizzazione e faranno di questa il vero partito d’avanguardia della classe operaia che lotta per instaurare il socialismo nel nostro paese e contribuire così alla nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. Chi traduce la giusta concezione che per fare la rivoluzione socialista è indispensabile un vero partito comunista, in un piano che prevede che prima si costruisce il partito e solo dopo questo svolge il suo compito nella lotta di classe, quindi in sostanza oggi isola il lavoro interno (da fare prima) dal lavoro esterno (da fare dopo), alla linea del governo di Blocco Popolare obietta che la questione principale oggi è la costruzione di un vero partito comunista (questa salvo equivoci è ad esempio l’obiezione di Proletari Comunisti), non arriverà mai a costruire un vero partito comunista.

 

 

Manchette

 

 

Comunicati della CP sulla crisi

 

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·         La crisi generale del capitalismo richiede soluzioni d’emergenza!
Comunicato 02/09 – 18 febbraio 09

 

reperibili sul sito

http://lavoce-npci.samizdat.net

 

 

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·         La vittoria di Barack Hussein Obama alle elezioni presidenziali USA è un segnale
eccellente per i comunisti, ...
Comunicato 5 novembre 2008

·         Operai avanzati ed elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari, unitevi nel nuovo Partito comunista italiano!
Cacciamo il governo Berlusconi!
Comunicato 14 novembre 2008

·         Il numero 30 di La Voce è disponibile sul sito Internet del Partito.
Comunicato 17 novembre 2008

·         Nessuna azienda deve essere chiusa! Nessun lavoratore deve essere licenziato! ...
Comunicato 29 novembre 2008

·         Appello del (n)PCI a tutti i comunisti e a tutti gli elementi avanzati. Dedichiamo il nuovo anno alla seconda ondata della rivoluzione proletaria! La nuova crisi generale del capitalismo apre la via al socialismo!
Comunicato 19 dicembre 2008

·         Che il nuovo anno sia l’anno del governo di Blocco Popolare che porrà fine alla crisi! ...
Comunicato 26 dicembre 2008

·         Solidarietà con il popolo palestinese che resiste all’occupazione sionista!
Che dappertutto si levi la protesta ...
Comunicato 28 dicembre 2008

·         Che il nuovo anno sia l’anno dell’instaurazione nel nostro paese di un governo di Blocco Popolare che ponga fine alla crisi!
Comunicato 01/09 – 1° gennaio 2009

·         La crisi generale del capitalismo richiede soluzioni d’emergenza!
Comunicato 02/09 – 18 febbraio 2009

 

reperibili sul sito

http://lavoce-npci.samizdat.net