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La situazione attuale e i nostri compiti

 

Questo è uno dei momenti in cui i comunisti devono buttarsi in avanti! Osare, osare, ancora osare! È uno dei momenti in cui è possibile imprimere una svolta al corso delle cose, farlo deviare nella direzione a noi favorevole.

Un nuovo movimento operaio e un nuovo movimento popolare si sviluppano attorno a noi spontaneamente per effetto della crisi economica, della crisi politica e della crisi ambientale. Noi comunisti dobbiamo dargli coscienza di quello che può fare, dargli coscienza di quello che deve fare, dargli i mezzi per farlo, fino a fare emergere la direzione di cui ha bisogno per crescere, avanzare e vincere. Dobbiamo farlo e possiamo farlo, grazie al patrimonio di esperienze, di dottrine e di metodo del movimento comunista a cui apparteniamo: essere comunisti vuol dire avere, rispetto agli altri proletari, una comprensione più avanzata delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe e sulla base di questa più avanzata comprensione spingerla sempre in avanti (Manifesto del partito comunista, 1848).

 

Nei mesi trascorsi nel nostro paese (ma cose analoghe stanno avvenendo in altri paesi, in particolare in Europa e i movimenti dei vari paesi si rafforzano tra loro) la crisi politica ha fatto un passo avanti di enorme importanza. È indispensabile capirlo, perché su di esso dobbiamo fondarci per compiere la nostra opera.

Gli operai dell’INNSE, dell’ALCOA, della FIAT, dell’Alcatel e di altre aziende non hanno solo difeso con accanimento, generosità ed eroismo il loro posto di lavoro. Più importante ancora è che hanno incominciato a mettere la politica dell’intero paese con i piedi per terra: hanno messo i posti di lavoro al centro della vita politica del paese. I lavoratori immigrati, da Castel Volturno, a Rosarno, a via Padova-Milano hanno incominciato a fare delle loro condizioni di lavoro e di vita un problema di ordine pubblico. La FIOM ha, sia pure pallidamente e solo all’INNSE, mostrato il ruolo istituzionale che le Organizzazioni Operaie e le Organizzazioni Popolari possono giocare nella crisi se si metteranno nell’ordine di idee di costituire un governo di emergenza. E nonostante tutti i loro contorcimenti, le loro arti istrionesche e le loro losche manovre né Berlusconi né i suoi mandanti né i suoi oppositori, né i cardinali di Santa Romana Chiesa né i capi della Organizzazioni Criminali, possono eludere la situazione che gli operai e i lavoratori immigrati hanno creato, tanto più se questi continueranno sulla strada su cui si sono messi. Tutti quei signori sono già in affanno.

 

Spontaneo

 

Chiamiamo spontaneo un movimento costituito principalmente da individui e organismi che non sono collegati tra loro da un comune programma, obiettivo o linea tesi a realizzare quel preciso movimento. Ovviamente ogni individuo e ogni organismo si muove per uno scopo a lui ben chiaro. Ma pensa e si mobilita per altro che quella cosa comune che in realtà concorre a realizzare con altri ai quali non si sente neanche particolarmente legato.

 

Il passo successivo, il risultato immediato dell’iniziativa spontaneamente assunta dagli operai dell’INNSE, della FIAT, dell’ALCOA e di decine di altre aziende è che padroni e governo si sono messi a litigare tra loro, si palleggiano le responsabilità, giocano allo scaricabarile: il governo dice che provvedere tocca a FIAT, a ALCOA, ecc. “No, tocca al governo!”, replicano FIAT, ALCOA, ecc. Autorità centrali e Autorità locali si palleggiano le responsabilità dell’integrazione degli immigrati e dell’ordine pubblico. Lite o gioco delle parti che sia quello che si svolge tra i padroni e le loro Autorità, esso conferma che la mossa degli operai e dei lavoratori immigrati li ha messi in difficoltà, sulla difensiva. Bisogna che noi comunisti facciamo lo sforzo massimo per rompere il loro gioco. Il governo del paese deve assegnare a ogni azienda compiti produttivi (utili e non dannosi, compatibili con la difesa e il risanamento dell’ambiente, con la messa in sicurezza del territorio, con il miglioramento del Pianeta) e le risorse necessarie per assolverli: una delle sei misure che abbiamo indicato come misure guida per l’attività del Governo di Blocco Popolare. Il governo del paese deve assegnare a ogni individuo un lavoro dignitoso. È il governo responsabile della situazione e dell’andamento del paese: l’Italia non è ancora privatizzata né spezzettata in repubbliche indipendenti! Se Berlusconi e la sua banda non sanno farlo, e in effetti non sanno e non possono farlo, che si facciano da parte. Un governo d’emergenza, il Governo di Blocco Popolare deve prendere il loro posto in tutto il paese! “Chi vuole realmente, sinceramente, praticamente darsi da fare contro la crisi, deve mobilitarsi per costituire un governo d’emergenza che prenda la testa del nuovo movimento dei lavoratori, che coordini i suoi molteplici organismi, diriga tutti ad attuare i provvedimenti necessari per far fronte alla crisi”: questo dobbiamo dire a ogni personaggio di qualche autorevolezza che si professa contro la crisi.

 

Questa è la logica delle cose messe in moto dagli operai e dai lavoratori immigrati. Se adeguatamente sviluppata e fatta valere dai comunisti, essa porta al Governo di Blocco Popolare e, da questo, all’instaurazione del socialismo.

 

Perché il passo in avanti fatto è di enorme importanza? Quando il Manifesto Programma del (n)PCI illustra in cosa consiste nel nostro paese la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, esso (MP pag. 203, definizione della GPR) tra l’altro dice: ... sviluppare una successione di iniziative che pongono la lotta di classe al centro della vita politica del paese ...”. È quello che gli operai di decine e centinaia di aziende e i lavoratori immigrati hanno incominciato a fare. Il nostro Manifesto Programma lo indica come un passaggio, una componente essenziale della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che stiamo conducendo, che è la strategia della rivoluzione socialista di cui le masse popolari del nostro paese hanno bisogno.

Buona parte degli organismi che compongono il nostro campo, il campo delle masse popolari, non è ancora consapevole di questo passaggio che stiamo vivendo. Ma è il passo che spontaneamente gli operai stanno facendo sotto l’incalzare della crisi, a causa del tracollo economico del capitalismo. È il passo che i lavoratori immigrati spontaneamente stanno facendo indotti dalla politica criminale di sfruttamento e oppressione cui sono sottoposti, dalla politica criminale dei campi di concentramento (CIE) creati con le leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini. Grazie a loro, anche se ancora principalmente solo per lo sbando degli avversari e senza rendersene conto, credendo anzi di fare altro, è il nostro campo che ha l’iniziativa in mano e costringe padroni, cardinali e padrini sulla difensiva. Ma la cosa non può andare lontano se restiamo solo movimento e iniziativa spontanei.

Con la propaganda, con l’agitazione, usando la linea di massa, ricorrendo sistematicamente e su larga scala al metodo delle leve, con l’organizzazione (promuovendo la formazione di organismi e il loro coordinamento a formare reti, arruolando nel Partito) dobbiamo trasformare l’iniziativa spontanea degli operai e dei lavoratori immigrati, il corso spontaneo delle cose: elevarlo di livello, farlo diventare iniziativa cosciente, mirata, combinata con l’iniziativa negli altri vari campi della lotta di classe. Sotto i nostri occhi, intorno a noi avviene quello che avevamo bisogno che avvenisse, quello che ci proponevamo di far avvenire, quello che auspicavamo con tutte le nostre forze. A noi compete farlo diventare un processo consapevole, combinarlo con gli altri aspetti della lotta di classe. Perché solo così può generalizzarsi, rafforzarsi, espandersi e confluire in un processo irresistibile, vittorioso. Senza questa trasformazione rifluirebbe e prima o poi confluirebbe nella mobilitazione reazionaria. Si gonfierebbe quello che la destra moderata e la sinistra borghese hanno già chiamato il “tradimento degli operai che votano a destra”, “il 36% degli operai che votano PdL e il 13% che votano Lega Nord”! (NB: le percentuali sono sugli operai che hanno votato, non sul totale degli operai). Non ci sono altri sbocchi.

Rinaldini ha un bel plaudire agli operai dell’INNSE perché “hanno capito che la loro azienda poteva essere competitiva” (Prefazione a L’INNSE che c’è di Casati e Sacristani). Ma così ridimensiona il significato universale della loro lotta, che è poi ciò che rende importante anche la presentazione della Mozione 2 al Congresso CGIL: la lotta perché ogni adulto abbia un lavoro dignitoso, perché nessuna azienda chiuda. Infatti per una INNSE che poteva stare sul mercato, ci sono centinaia e migliaia di aziende che non hanno prospettiva in termini di mercato, che vivranno solo se instauriamo tra loro relazioni che prescindono dal mercato, il sistema configurato dalle sei misure del Governo di Blocco Popolare. La logica delle cose se continua a svilupparsi travolgerà le resistenze dei Rinaldini e i Rinaldini stessi se resteranno ancorati alle loro resistenze.

 

Il nostro compito è del tutto possibile e si sono create condizioni favorevoli per svolgerlo con successo. Dobbiamo solo fare la nostra parte. Per farla, dobbiamo afferrarci all’autonomia ideologica dalla borghesia e dal clero, dobbiamo assimilare profondamente e usare con libertà e audacia la nostra concezione del mondo, il marxismo-leninismo-maoismo.

 

Lo stato d’animo predominante, quello spontaneo che la cultura e le relazioni correnti alimentano nelle masse e che pervade anche noi se non lo combattiamo usando il marxismo-leninismo-maoismo, è che tutto crolla, tutto è confusione e non si sa cosa succederà. Ogni legame sociale e ogni orientamento razionale sono andati a farsi benedire. Non a caso vediamo individui e gruppi oscillare tra follia e rassegnazione, tra esasperazione e inerzia, tra suicidio e lotta. Ma in realtà quello che succederà dipende dall’orientamento che prenderanno le masse popolari. Se noi saremo capaci di fecondare il nuovo movimento popolare che fino ad un certo punto si sviluppa spontaneamente (ma che spontaneamente non può andare oltre un certo livello), se sapremo mobilitarne, orientarne, organizzarne e guidarne almeno una parte importante ad assurgere ad un’azione autonoma dalla borghesia e dal clero, succederà quello che le masse popolari organizzate faranno, l’umanità seguirà il percorso che i presupposti già oggi esistenti rendono possibile e che dà soluzione alle contraddizioni che l’umanità vive oggi che il capitalismo ha esaurito il compito positivo che poteva svolgere nella storia umana e ancora non ce ne siamo liberati: il percorso che il marxismo ha scoperto e descritto a grandi linee circa 150 anni fa.

In questo contesto, ogni individuo e ogni gruppo determina il suo futuro, partecipando all’organizzazione e all’opera collettiva. Chi si lascia scoraggiare dalla confusione e dal caos apparenti, in realtà resta nelle mani della borghesia e del clero, si rimette alla “bontà loro”, si rassegna alla sconfitta del movimento comunista. Mentre proprio ora la borghesia e il clero, se lasciati agire liberamente, non possono che affidarsi alla mobilitazione reazionaria (dei fascisti, degli istrioni e criminali di turno) perché a causa della crisi hanno perso e perdono anche gran parte dell’ascendente, del prestigio, dell’autorevolezza e dell’egemonia che la storia aveva loro lasciato in eredità. Mentre proprio ora si sono create condizioni, certo difficili, tormentose e penose ma favorevoli alla fine del maledetto periodo di depravazione e di diversione che abbiamo dovuto subire dopo l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria; condizioni favorevoli alla fine definitiva della guerra di sterminio non dichiarata che da alcuni decenni la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari in ogni angolo del mondo e che ha prodotto ogni anno milioni di morti, feriti, invalidi, individui mutilati fisicamente, intellettualmente o moralmente, emarginati; condizioni favorevoli alla vittoria del movimento comunista.

 

Noi oggi viviamo a livello mondiale una situazione che per alcuni aspetti essenziali è analoga a quella vissuta dalle masse popolari europee circa cento anni fa a metà della prima guerra mondale:

le larghe masse della popolazione sottoposte giorno dopo giorno a sofferenze e umiliazioni inaudite di cui non si vedeva la fine;

le classi dominanti incapaci di uscire dalla situazione in cui si erano cacciate e avevano cacciato l’umanità;

il movimento comunista organizzato estremamente debole (allora perché i maggiori partiti socialisti avevano tradito la causa del socialismo e si erano messi nelle mani ognuno della “sua” borghesia), quindi il completo disorientamento tra le masse popolari, che non sapevano cosa fare e mancavano degli strumenti per fare.

Come l’attuale, anche quella di allora era largamente percepita come una situazione senza via d’uscita. Eppure l’esperienza ha mostrato che le vie d’uscita c’erano e i veri comunisti grazie al marxismo promossero la prima ondata della rivoluzione proletaria e la rivoluzione socialista.

Rispetto ad allora noi oggi abbiamo due vantaggi: l’eredità che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha lasciato tra le masse popolari in termini di coscienza che un altro mondo è possibile e in termini di esperienza organizzativa; la superiore coscienza che il movimento comunista ha acquisito e che è sintetizzata nel marxismo-leninismo-maoismo. Per questo aspetto la situazione attuale è una situazione assolutamente nuova. Mai prima nella storia umana si è presentata una situazione simile. Quindi nessuno può onestamente dire con assoluta certezza come funzionerà, di quanto l’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria accorcerà il tempo necessario perché le larghe masse prendano la strada della rivoluzione proletaria e dell’instaurazione del socialismo. Ma sono vantaggi che dobbiamo sfruttare per tutto quello che possono dare. Trascurarli, non tenerne conto è disfattismo. Bando ai rinunciatari! Chi è profondamente convinto che la nostra causa è giusta, chi comprende a fondo le leggi secondo cui si svolge la plurimillenaria evoluzione della specie umana, certamente non trascurerà questi vantaggi. Anche quando, neanche venti anni dopo, le armate di Hitler dilagarono per l’Europa, alcuni si persero di coraggio e considerarono oramai persa la partita: ma abbiamo vinto grazie a quelli che considerarono che la partita si era solo aperta e combatterono.

Abbiamo però rispetto ad allora anche uno svantaggio: il movimento comunista e in particolare i primi paesi socialisti nella seconda parte del secolo scorso hanno subito una sconfitta cocente. La prima ondata della rivoluzione proletaria si è esaurita senza aver completato il suo corso ed acceso in tutto il mondo la rivoluzione. Persino i primi paesi socialisti hanno avuto un lungo periodo di decadenza e sono infine crollati. Questo precedente ha prodotto e produce tra le masse popolari il dubbio di non essere capaci di costruire un mondo migliore dell’attuale. Ha ridato fiato alla lugubre predica dei preti che le attuali contraddizioni della società non sono un prodotto transitorio e naturale della nostra stessa storia, non sono una malattia infantile dell’umanità, non sono un passaggio dell’evoluzione plurimillenaria della specie umana, ma vengono dalla “natura umana” (dalla maledizione di dio, dal peccato originale, ecc.). Non a caso la borghesia e il clero nella condotta personale si discostano per forza di cose dai “comandamenti di dio”, ma la loro mentalità resta impregnata di religiosità e di fatalismo: godi il presente (potere, denaro e sesso) perché non c’è domani, questo è il migliore dei mondi possibili, la storia è finita.

È ovvio che la borghesia, il clero e tutti gli esponenti e portavoce delle classi dominanti cerchino con tutte le forze di moltiplicare l’effetto demoralizzante di questo precedente, la sfiducia che esso produce. Non solo Berlusconi, ma migliaia di intellettuali e politici di minor livello e anche meno sguaiati e libertini o più ipocriti di Berlusconi, si sgolano a proclamare che “il comunismo è morto e stramorto” (per usare le parole di Mercedes Bresso), che il movimento comunista è stato “un cumulo di errori ed orrori” (per usare le parole di Bertinotti) e a denigrare il movimento comunista e in particolare i primi paesi socialisti.

Anche solo i pulpiti da cui con tanto accanimento vengono ripetute e senza fine ripetute simili prediche, tiritere e giaculatorie e i risultati della società di cui simili predicatori sono esponenti autorevoli o portavoce, indurranno certamente prima o poi gli individui che onestamente cercano una via d’uscita dal marasma e dal marciume in cui la Repubblica Pontificia ci ha cacciato, a considerare l’esperienza dei primi paesi socialisti seriamente e autonomamente dalla cultura dominante (una traccia per questo studio la fornisce il Comunicato CP 28/09, 30 dicembre 2009 Attaccare con metodo e avanzare nella guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata! reperibile sul sito del Partito).

Comunque, un compito irrinunciabile, essenziale di noi comunisti, che dobbiamo attualmente abbracciare senza ulteriori indugi, è portare tra le masse popolari e precisamente nel nuovo movimento l’esperienza dei primi paesi socialisti (e il Manifesto Programma del (n)PCI ce ne offre analiticamente i mezzi) e farla valere traducendola in parole d’ordine (le sei misure indicate per il Governo di Blocco Popolare). Lenin ci ha insegnato (Che fare?) e la storia ha confermato che la classe operaia spontaneamente non può elaborare in massa la concezione comunista del mondo: sono i comunisti che la devono portare agli operai. Non perché gli operai siano imbecilli, ma per la posizione e la condizione in cui nella vita sociale la borghesia li relega. “Perché la massa degli operai possa imparare a capire i suoi interessi, le sue condizioni, imparare a condurre la propria politica, proprio per questo è necessario immediatamente e a tutti i costi l’organizzazione degli elementi d’avanguardia della classe, anche se all’inizio questi costituiscono una parte irrilevante della classe. Per servire la massa ed esprimere i suoi interessi giustamente compresi, il reparto avanzato, l’organizzazione, deve condurre tutta la sua attività tra la massa, attirandone tutte le forze migliori senza eccezione, controllando ad ogni passo con gran cura e obiettivamente se il legame con la massa si mantiene, è vivo. Così e soltanto così il reparto d’avanguardia educa e illumina la massa esprimendo i suoi interessi, insegnandole a organizzarsi, orientando tutta la sua attività verso una politica di classe cosciente.” (Lenin, Opere vol. 19, pag. 377)

Chi ha cercato o cerca una via d’uscita dal marasma e dal fango in cui la borghesia ci ha immerso prescindendo dall’esperienza dei primi paesi socialisti o addirittura contro di essa (al modo dei trotzkisti, degli anarchici o della “sinistra non comunista”), non va oltre ripetere e ripetere l’invocazione di una “prospettiva credibile” che non sa indicare. La sinistra non comunista o francamente anticomunista (alla Piero Bernocchi, Toni Negri, ecc.) non sa indicare alcuna “prospettiva credibile”: non va oltre invocare la lotta, il coordinamento delle lotte, la generalizzazione delle lotte, lo sciopero generale illimitato, la manifestazione nazionale, ecc. e formulare rivendicazioni che la borghesia e il clero dovrebbero soddisfare, “progetti quanto si voglia radicali, purché non comunisti” come glieli sollecita il PD per accettarli nelle sue alleanze elettorali o nei suoi favori. Come del resto si limitano a fare gli economicisti, anche quelli che si dichiarano maoisti ma per i quali la guerra popolare rivoluzionaria, di cui si dichiarano a gran voce fautori, resta una frase vuota di iniziative pratiche. Una categoria di cui Proletari Comunisti è rappresentante esemplare in Italia.

Contemporaneamente noi comunisti dobbiamo mostrare come è possibile superare i limiti ed evitare gli errori che hanno determinato l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria e la decadenza prima e poi il crollo dei primi paesi socialisti. Sarebbe infatti un errore grave lasciare ai nemici del comunismo l’argomento polemico delle nostre sconfitte, permettergli di sfruttarle contro il movimento attuale: proprio perché il movimento comunista può vincere, proprio perché il movimento comunista porta in sé il futuro dell’umanità, noi possiamo e dobbiamo imparare dalle nostre sconfitte e il Manifesto Programma del (n)PCI ci offre una guida di dettaglio per chiunque la voglia usare.

Nonostante i limiti e gli errori che l’hanno frenata e infine spezzata, la strada imboccata dai primi paesi socialisti (del potere proletario e della pianificazione economica) è la sola prospettiva positiva per l’umanità: indica come le masse popolari possono far fronte alla crisi del capitalismo, liberarsene in modo definitivo e riprendere su nuove basi la via del progresso al livello superiore reso possibile dai mezzi e dalle conoscenze di cui oggi l’umanità dispone.

 

“Fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire così alla nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo” è la sintesi dei compiti che noi comunisti dobbiamo portare nel nuovo movimento delle masse popolari che sorge attorno a noi per effetto della crisi economica, della crisi politica e della crisi ambientale.

Questa parola d’ordine è sintetica. Per la maggior parte delle persone a cui ci rivolgiamo con la nostra propaganda, è una parola d’ordine incomprensibile, suona come una formula vuota di significato, come una frase fatta. Ma grazie al Manifesto Programma del (n)PCI oggi i comunisti del nostro paese sono in grado di spiegare in dettaglio il suo ricco significato pratico e di tradurla in ogni situazione particolare e concreta, in parole d’ordine di lotta, in iniziative pratiche.

1. Limitarsi a proclamarla sarebbe rendere un cattivo servizio alla nostra causa, stante la denigrazione, l’intossicazione e la confusione seminate a piene mani dalle classi dominanti, in forme aperte e in forme subdole; stante l’ignoranza e l’ottusità degli intellettuali della sinistra borghese a cui la scelta di classe preclude la comprensione del mondo.

2. Evitare di proclamarla per paura dell’incomprensione, sarebbe rinunciare al nostro compito. Questa rinuncia è un aspetto e una forma di quella deviazione dalla concezione marxista della lotta di classe che chiamiamo economicismo.

 

In ambedue i casi, in pratica sarebbe non dare alle masse popolari la prospettiva indispensabile perché il movimento di rifiuto e di rivolta cresca e diventi movimento che instaura un nuovo sistema di relazioni sociali; lasciare dilagare la disperazione; lasciare via libera alla mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Senza movimento comunista cosciente e organizzato, senza la prospettiva di instaurare il socialismo e i mezzi per farlo, il rifiuto, la rivolta, la protesta e la rivendicazione non possono svilupparsi oltre un livello elementare. Privi di risultati duraturi e di prospettive, prima o poi si esaurirebbero, se non fossero illuminati, sorretti e rafforzati nelle masse popolari dalla prospettiva e dalla capacità di prendere in mano la situazione e costruire un nuovo mondo.

 

Le tre crisi contemporanee e combinate

Per far valere nel nuovo movimento delle masse popolari la logica che operai e lavoratori immigrati hanno innescato, i comunisti devono anzitutto ben capirla.

Nel nostro paese, come nel resto del mondo, sono in corso contemporaneamente tre crisi che oggettivamente si combinano tra loro: distinte benché si influenzino reciprocamente. Una crisi economica, una crisi politica e una crisi ambientale.

 

La crisi economica sostanzialmente si concretizza nella eliminazione dei posti di lavoro, comunque questa si presenti: licenziamenti, dimissioni incentivate, riduzione di orario di lavoro, contratti di solidarietà, prepensionamenti, mobilità, cassa integrazione, riduzione dei salari e dei servizi, lavoro in nero, precario e sottopagato, ecc. Essa colpisce i lavoratori dipendenti ma anche i lavoratori autonomi: questa è la base oggettiva su cui la classe operaia può e deve far leva per unire a sé i lavoratori autonomi.

Ma dire crisi economica non basta per adottare situazione per situazione una linea politica giusta, parole d’ordine giuste.

Bisogna rendersi ben conto che la crisi economica in corso non è una crisi ciclica.

La concezione della crisi attuale come crisi ciclica è propria della borghesia di sinistra, perché è la base concettuale per una politica riformista, per opporsi al movimento rivoluzionario, alla rivoluzione socialista. È per dogmatismo o per superficialità che su simile concezione della crisi ripiegano anche organizzazioni e individui che pure si dicono e sinceramente si credono rivoluzionari, comunisti e persino maoisti. Un esempio è Proletari Comunisti, anche pure si dichiara e persino sinceramente è per la rivoluzione.

Vi è una differenza pratica radicale tra una crisi ciclica e la crisi attuale.

La crisi ciclica per sua natura comporta un arresto degli affari per sovrapproduzione di merci. Ma per sua natura proprio l’arresto degli affari nel giro di un certo tempo crea le condizioni per la ripresa degli affari. Quindi la crisi ciclica per sua natura si produce e si risolve sul terreno economico, si svolge principalmente sul terreno economico, non comporta necessariamente un rivolgimento politico. Non produce necessariamente una crisi politica, rivoluzioni e guerre. Chi concepisce la crisi attuale come una crisi ciclica, deve trovare altre spiegazioni per la innegabile crisi politica che abbiamo sotto gli occhi e, come vedremo più avanti, questo lo porta fuori strada anche nella concezione della crisi politica e nella elaborazione delle linea per far fronte alla crisi politica.

In una crisi ciclica per i lavoratori si tratta di attenuare o annullare le conseguenze temporanee della crisi sui loro redditi, come se fosse una oscillazione congiunturale, solo di ampiezza e durata maggiori dell’ordinario. La rivendicazione di ammortizzatori sociali (salario garantito, sussidi antidisoccupazione, cassa integrazione, alleggerimenti fiscali, ecc.), il programma di Epifani, è del tutto ragionevole, è un modo spontaneo per far fronte a una simile crisi per il periodo limitato in cui essa dura: la rivoluzione non è una necessità imposta dalla sopravvivenza, l’unica alternativa alla mobilitazione reazionaria.

Se si trattasse di una crisi ciclica, gli ammortizzatori sociali sarebbero un rimedio efficace e sufficiente a coprire il tempo limitato che la crisi dura. I padroni e le loro Autorità oggi dispongono certamente dei mezzi monetari per finanziare gli ammortizzatori sociali e il loro finanziamento sarebbe anche un mezzo per attenuare la riduzione degli affari, aumentare in ogni paese gli acquisti di merci (la domanda), favorire lo smaltimento delle merci prodotte in eccesso e la ripresa degli affari. Gli scompensi e i problemi d’altro genere che il finanziamento degli ammortizzatori sociali creano nel sistema monetario, nelle relazioni tra banche e pubbliche autorità, tra queste e i proprietari del patrimonio monetario, sono problemi temporanei, le Autorità borghesi li possono risolvere e certamente li risolveranno ogni volta che saranno sottoposte ad adeguate pressioni. Quindi se si trattasse effettivamente di una crisi ciclica, la rivoluzione sarebbe un evento che certo si può auspicare, ma non sarebbe l’unica alternativa alla mobilitazione reazionaria; una politica riformista sarebbe la risposta spontanea e più semplice alla crisi, potrebbe avere successo. Per farla attuare si tratterebbe solo di essere abbastanza combattivi. Sarebbe nell’ordine delle cose che la sinistra sindacale fosse solo una forza ausiliaria della destra sindacale, l’ala più combattiva, utile alla stessa destra sindacale per far valere il suo programma. Non è un caso che la sinistra borghese e le organizzazioni sindacali che essa orienta o che comunque sono succubi della sua concezione della crisi, si battono anch’esse per gli ammortizzatori sociali e si limitano ad essi, recalcitrano ad andare oltre, allo sbocco politico del GBP: politicamente sono al seguito della destra sindacale, questuano alleanze e posti perché entrambe le ali sono ideologicamente succubi della borghesia, hanno la stessa concezione del mondo, sono entrambe convinte di avere a che fare con una crisi ciclica. È solo la logica degli avvenimenti che le trascina oltre la logica delle loro opinioni, la logica degli avvenimenti che deriva dal fatto che le uniche vie di sbocco, realistiche ma alternative, sono la mobilitazione rivoluzionaria e la mobilitazione reazionaria e che il successo di quest’ultima travolgerebbe non solo la sinistra sindacale ma anche la destra sindacale.

 

Infatti la crisi attuale non è una crisi ciclica. È la fase terminale delle seconda crisi generale derivante dalla sovrapproduzione assoluta di capitale. Per sua natura una crisi del genere non ha soluzione sul terreno economico. Non può essere risolta con misure economiche. Non è che non possa essere risolta dalla borghesia, ma anche la borghesia per farci fronte deve ricorrere a soluzioni politiche. La crisi in corso ha soluzione solo sul terreno politico: richiede uno sconvolgimento e una trasformazione delle relazioni politiche nei singoli paesi e nel sistema di relazioni internazionali. Da qui viene che la crisi economica genera una crisi politica, che la crisi economica attuale può sfociare solo in una delle due soluzioni politiche: o mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari o mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

Questo è il contesto in cui si colloca la nostra opera, in questo contesto la guerra popolare rivoluzionaria, la rivoluzione socialista non è in concorrenza con una politica riformista. Un corollario di questo è che noi comunisti possiamo e dobbiamo appoggiare, mettere alla prova ogni velleità, proposito e tentativo riformista: il fallimento porterà per esperienza alla rivoluzione quella parte delle masse che si è fatta illusioni. Noi comunisti non abbiamo paura delle rivendicazioni, delle richieste di riforme: le prendiamo in parola, esigiamo che siano perseguite realmente e le portiamo alla loro conclusione: a rivelarsi un’illusione. Gli economicisti sono in concorrenza con i riformisti e per questo li considerano “i peggiori nemici della rivoluzione” (per usare le parole di Proletari Comunisti). Noi comunisti invece possiamo e dobbiamo usare i riformisti. Per questo li sosteniamo. “Come la corda sostiene l’impiccato”, si diceva un tempo con esagerata e macabra fantasia, quando il maoismo non aveva ancora imposto con chiarezza nel movimento comunista la concezione della trasformazione e della linea di massa. Noi li sosteniamo e li dividiamo in due: chi si trasforma e viene dalla nostra parte e chi incancrenisce e confluisce nella mobilitazione reazionaria. La mobilitazione reazionaria se vince travolge anche i riformisti. Nella prima metà del secolo scorso anche i riformisti furono vittime dei fascisti e dei nazisti ed è da addebitarsi ai limiti del movimento comunista di allora il non aver saputo approfittare della contraddizione antagonista tra fascisti e socialdemocratici, importante benché i socialdemocratici fossero contro la rivoluzione. Non a caso Lenin diceva che in Italia i comunisti dovevano espellere Turati dal PSI e poi contro i fascisti allearsi con i socialisti che avrebbero seguito Turati. Noi comunisti, forti dell’insegnamento di Mao, dobbiamo far fruttare a favore della rivoluzione socialista la contraddizione antagonista tra mobilitazione reazionaria e riformisti, per forti che siano l’orientamento controrivoluzionario e le illusioni riformiste di questi.

Il riformismo non è una concezione e una linea realista. La mobilitazione reazionaria lo è. La rivoluzione socialista è in concorrenza in ogni paese con la mobilitazione reazionaria di cui ci sono già mille tentativi attorno a noi (le “prove di fascismo”) e con la guerra sul piano internazionale per cui i governi dei maggiori paesi stanno già facendo svariati preparativi diplomatici e militari.

La crisi politica è questa. La crisi economica genera inevitabilmente la crisi politica. È quello che non capiscono e non possono capire quelli che sostengono che l’attuale crisi economica è una crisi ciclica, perché vedono le cose con gli occhiali e i cannocchiali delle classi dominanti. Da questa incapacità dei riformisti a capire il carattere rivoluzionario della situazione attuale e dei nostri compiti vengono anche la concezione secondo cui l’attuale regime sarebbe “moderno fascismo” e le esitazioni degli economicisti a porre apertamente l’obiettivo della rivoluzione socialista, la loro tendenza a mascherarsi dietro obiettivi rivendicativi con la scusa che “gli operai non capirebbero”.

La concezione dell’attuale regime come “moderno fascismo” è associata alla concezione della crisi come crisi ciclica. Anche questa tesi è nata e ha corso nella sinistra borghese ed è coerente con la sua posizione sociale, con la posizione che le impedisce di avanzare verso la rivoluzione socialista se non è costretta e trascinata a compiere passi da cui spera e conta di ritrarsi “appena possibile”. Le organizzazioni e gli individui che si dicono e sinceramente si credono comunisti e persino maoisti e che mutuano dalla sinistra borghese simile concezione, lo fanno per superficialità e per abitudine a eludere l’analisi della situazione riempiendosi la bocca di “parole forti” e di declamazioni altisonanti. Anche in questo campo il caso più esemplare è costituito da Proletari Comunisti.

La definizione della situazione attuale come “moderno fascismo” va respinta. È una definizione da sinistra borghese, mutuata dalla sinistra borghese: Asor Rosa e altri. Anche Di Pietro tende in questa direzione. Non a caso è in voga anche in altri paesi europei.

Ovviamente non è una questione di nomi. Si tratta della concezione che viaggia sotto questo nome e dei compiti politici che ne derivano. La concezione presenta due aspetti politici negativi.

1. Nasconde il contenuto effettivo della mobilitazione reazionaria delle masse popolari, la barbarie a cui la mobilitazione reazionaria giungerà se prevarrà sulla mobilitazione rivoluzionaria. Andremo ben oltre le misure razziste ed eversive (della Costituzione e della legalità) promosse e già praticate dal governo della banda Berlusconi e il regime autoritario e arbitrario (“patrimoniale”: il paese trattato come patrimonio da cui ricavare un beneficio, un pizzo, una rendita e la Pubblica Amministrazione trattata come struttura di gestione di un’azienda privata della banda) che la banda sta instaurando giorno dopo giorno.

Abbiamo già visto che la concezione limitata, addolcita, abbellita del regime politico che la borghesia metterà in campo per far fronte alla crisi economica, è strettamente connessa alla analisi sbagliata e riduttiva della crisi economica, come crisi ciclica (come crisi a V), una crisi le cui punte estreme potrebbero quindi essere attenuate con misure economiche e allo Stato sostanzialmente si richiederebbe di tener buone le masse popolari combinando repressione e ammortizzatori sociali per tutto il tempo necessario alla ripresa degli affari.

2. Dà per persa la battaglia (la gara, la corsa a chi prevale) tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria che invece è ancora in corso, è appena all’inizio. Su questo rimando alla Dichiarazione che la Delegazione della CP ha presentato alla Conferenza organizzata il 30-31 gennaio a Parigi da Proletari Comunisti, pubblicata in questo numero della rivista (pag. 23).

Chi condivide la concezione “moderno fascismo”, non vede le “prove di fascismo” in corso, quindi non le combatte, tanto meno le combatte efficacemente. Mentre in questo campo noi comunisti dobbiamo mobilitare (su due gambe) tutte le componenti antifasciste che esistono nel nostro paese e i movimenti antixenofobia, di difesa degli immigrati e costituiti da immigrati stessi, contro le discriminazioni sessiste, religiose, ecc. Alla luce della lotta contro le “prove di fascismo”, le organizzazioni di immigrati e iniziative come PrimoMarzo2010 sono elementi di collegamento tra lotte relative a crisi politica e lotte relative a crisi economica.

La crisi ambientale alimenta a sua volta la crisi politica. Lo si è visto chiaramente in Piemonte con la lotta NO TAV, in Veneto con la lotta NO Dal Molin, in Campania con la lotta sullo smaltimento dei rifiuti, in varie regioni nella lotta contro la privatizzazione dell’acqua, lo si vedrà nella lotta contro il nucleare. Dato lo sfascio idrogeologico del nostro paese la mancanza di opere di manutenzione e di protezione, la distrazione della Protezione Civile dai suoi compiti istituzionali, le grandi opere a scopo speculativo e le servitù militari si combinano con i fattori generali a rendere nel nostro paese la crisi ambientale particolarmente grave.

Tre sono le questioni essenziali su cui sta a noi comunisti portare tra le masse popolari un giusto orientamento, in primo luogo mobilitare la sinistra delle centinaia di organismi tematici costituiti per far fronte a questo o quell’aspetto della crisi ambientale.

1. La borghesia non può porre rimedio alla crisi ambientale, perché il saccheggio del Pianeta e l’inquinamento ambientale nascono proprio dalle relazioni economiche capitaliste. Tanto meno può porci rimedio ora che è alle prese con la crisi economica. L’economia verde nel capitalismo è solo chiacchiere. Le illusioni di trovare un rimedio alla crisi ambientale nell’ambito dell’attuale sistema di relazioni sociali vanno combattute principalmente esigendo che i loro fautori portino avanti seriamente e praticamente i progetti e le rivendicazioni che ne derivano, fino a rivelarsi per quello che sono: illusioni.

2. L’umanità oggi dispone dei mezzi materiali e delle conoscenze necessari per porre fine al saccheggio delle risorse naturali e all’inquinamento dell’ambiente. Per farlo non deve ricorrere né alla decrescita, né alla riduzione della popolazione, né allo scontro tra i popoli dei paesi imperialisti e i popoli dei paesi oppressi. Deve eliminare le divisioni dell’umanità in classi sociali, il sistema di rapporti di produzione da cui quelle divisioni derivano, le relazioni sociali che corrispondono a questi rapporti di produzione, le concezioni, le idee, i sentimenti e le mentalità che risultano da quelle relazioni sociali.

3. L’umanità dispone dei mezzi e delle conoscenze necessari per migliorare il Pianeta su scala più larga di quanto lo ha fatto nel passato. La specie umana ha fortemente migliorato il Pianeta fin dai tempi antichi: limitazione delle frane, delle alluvioni, degli incendi, coltivazione del terreni, rimboschimenti, creazione di nuove specie animali e vegetali. Il nostro paese è per natura geologicamente fragile e ha particolare bisogno di questo intervento umano a miglioramento delle condizioni naturali del Pianeta. Con i mezzi e le conoscenze di cui dispone oggi l’umanità potrà fare molto di più e meglio che nel passato, quando non ne sarà più impedita dai rapporti di produzione capitalisti che sottopongono il Pianeta al saccheggio e alla devastazione.

La parola d’ordine “migliorare l’ambiente” contrasta con la concezione malthusiana (anche con quella moderata), che considera la presenza dell’uomo come fondamentalmente negativa: con effetti comunque negativi sul Pianeta, che nel migliore dei casi si potrebbero limitare. La concezione malthusiana rispecchia la posizione sociale, lo stato d’animo e il punto di vista delle classi sfruttatrici che sono al tramonto, che di positivo non possono fare più di quello che hanno fatto, perché il loro tempo è scaduto. In proposito consigliamo lo studio del Comunicato CP 27/09 - 03.12.09 reperibile sul Sito Internet del Partito.

 

Il Governo di Blocco Popolare e le prossime elezioni

La combinazione delle tre crisi suscita un movimento spontaneo di resistenza e di protesta. Questo movimento può durare, rafforzarsi e svilupparsi solo se si dà uno sbocco politico, se assurge a un livello politico più alto. Come semplice movimento di presa di coscienza, di protesta e di rivendicazione non può avere vita lunga. La mobilitazione reazionaria gli taglierebbe le gambe approfittando della mancanza di risultati, della precarietà dei risultati che raggiunge, dei sacrifici e degli inconvenienti che questi risultati comportano, delle contraddizioni tra parti delle masse popolari, in particolare della contraddizioni tra paesi imperialisti e paesi oppressi e della contraddizione in ogni paese tra autoctoni e immigrati.

Il Governo di Blocco Popolare (GBP) è lo sbocco politico immediato che la situazione rende possibile, in alternativa alla mobilitazione reazionaria. Esso può essere sbocco immediato perché non esige una trasformazione della mentalità e delle aspirazioni tanto vasta e una diffusione della concezione comunista del mondo tanto larga quanto lo richiede l’instaurazione del socialismo.

Chi condivide la concezione della crisi ciclica e quindi del “moderno fascismo” non ne vede la necessità, perché non vede che siamo solo all’inizio dello scontro, alle “prove di fascismo”. Non vede che la mobilitazione rivoluzionaria può ancora prevalere sulla mobilitazione reazionaria. Non vede che la mobilitazione reazionaria, se prevarrà, dovrà andare ben oltre l’autoritarismo e la privatizzazione dello Stato che la banda Berlusconi ha portato avanti in collaborazione con i suoi oppositori, continuando l’opera che aveva iniziato con Craxi.

Condizione essenziale e decisiva per la costituzione del GBP è la volontà delle Organizzazioni Operaie (OO) e delle Organizzazioni Popolari (OP) di costituirlo. Ma è anche la condizione da cui siamo ancora più lontani, stante le persistenti illusioni che le rivendicazioni di ammortizzatori sociali bastino a far fronte alla crisi. Cosa che sarebbe vera se si trattasse di una crisi ciclica e quindi ci attendesse una ripresa dell’attività economica in tempi relativamente brevi, mentre in realtà ci attende un aggravamento della crisi economica anche se con alti e bassi e con andamenti sfasati da paese a paese, una ulteriore riduzione dei posti di lavoro. Quindi l’essenza del lavoro propagandistico di noi comunisti è dimostrare che la costituzione di un governo di emergenza da parte delle OO e delle OP è l’unica alternativa realistica e praticabile alla mobilitazione reazionaria. Mentre l’essenza del nostro lavoro pratico consiste nel portare movimenti e gruppi fautori di ammortizzatori sociali a provare fino in fondo i loro progetti. Si tratta di due lavori contraddittori, ma che dobbiamo combinare, con i criteri già sopra indicati. I nostri soli veri nemici sono i fautori della mobilitazione reazionaria e la borghesia di destra che li incoraggia, li protegge e si attende salvezza da essi.

 

Gli ultimi comunicati della CP

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Comunicato 28/09 - 30 dicembre 2009

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Comunicato 27/09 - 3 dicembre 2009

·               Imporre ad ogni costo e con ogni mezzo alle Autorità e ai padroni i provvedimenti urgenti indispensabili per far fronte agli effetti più gravi della crisi!

Comunicato 26/09 - 23 novembre 2009

reperibili sul sito

http://www.nuovopci.it

 

 

Perché il Governo di Blocco Popolare è possibile benché la rinascita del movimento comunista sia ancora agli inizi?

Perché se le OO e le OP vorranno costituirlo e lotteranno per costituirlo, una parte della stessa classe dominante e in particolare del clero non si opporrà, stante l’aggravarsi della crisi economica, della crisi politica e della crisi ambientale, ma in particolare della crisi economica e stante la mancanza di soluzioni alternative che non sia la mobilitazione reazionaria delle masse popolari.

Una parte della classe dominante ha paura della mobilitazione reazionaria, la considera una pericolosa avventura. Quindi opterà per appoggiare un GBP dall’esterno o addirittura parteciparvi, in attesa di riprendere pienamente in mano la situazione quando la crisi economica si sarà un po’ calmata. Lo considererà come un “male minore”.

Il passato ha insegnato molte cose anche alla borghesia e al clero. Ha insegnato che la mobilitazione reazionaria può finire male per loro: nella prima crisi generale del capitalismo, nella prima parte del secolo scorso, rischiò di rovesciarsi nel trionfo della rivoluzione proletaria e della rivoluzione socialista in tutto il mondo. Solo l’inesperienza del movimento comunista consentì alla borghesia e al clero di recuperare il terreno già perduto (un terzo dell’umanità di allora e il resto pencolante).

Una parte della borghesia e del clero ha fatto esperienza del settore pubblico dell’economia. L’ex direttore centrale dell’IRI, Duccio Valori, scrive su il Manifesto che un settore pubblico dell’economia sia pure fuori mercato, finanziato dal fisco, è meglio della disoccupazione e dell’emarginazione (il Manifesto 6 febbraio 2010). Il clero vaticano anima già oggi una miriade di opere pie, di istituzioni caritative, ecc. Il settore no profit gode già di una certa popolarità negli ambienti della classe dominante. Il fallimento del mercato come sistema per assicurare l’ordine pubblico è già ammesso e lo sarà sempre di più. Lo schieramento di questa parte della classe dominante a favore del GBP se non trascinerà, certamente indebolirà la parte che propende per la mobilitazione reazionaria, isolerà la parte che ne è già decisa fautrice e paralizzerà le forze armate e repressive di cui questa dispone. Questo rende la soluzione del GBP una soluzione realistica nell’immediato, se le OO e le OP la fanno propria e ne diventano promotrici. Quindi è all’interno delle masse popolari che si decide della costituzione o meno del GBP, unica alternativa realistica al successo della mobilitazione reazionaria delle masse popolari. Il futuro dipende da noi comunisti.

 

Solo chi non è convinto delle sue idee non osa fare compromessi con correnti, gruppi e individui con cui non è d’accordo al cento per cento, con cui può fare solo un pezzo di strada. Noi comunisti siamo sicuri delle nostre ragioni e delle nostre concezioni e siamo certi di poter portare la rivoluzione socialista fino in fondo. Siamo certi che l’esperienza pratica e su larga scala messa in moto dal GBP dimostrerà alle larghe masse popolari le ragioni che per ora sono patrimonio solo nostro e di piccoli gruppi, comunque non ancora sufficienti perché instaurare il socialismo sia un obiettivo immediato. Farà progredire rapidamente la rinascita del movimento comunista. Porterà alla seconda fase della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata che stiamo conducendo e che è l’unica strategia per instaurare il socialismo.

 

Coerentemente con quanto fin qui esposto, nelle elezioni regionali delle prossime settimane noi comunisti e tutti gli organismi che in qualche modo seguono la strategia della guerra popolare rivoluzionaria, tutti gli organismi che lottano per instaurare il socialismo, tutti i gruppi e le persone che sono favorevoli alla instaurazione del socialismo e tutti quelli che sono favorevoli alla costituzione di un Governo di Blocco Popolare come prima forma immediata di avvicinamento all’instaurazione del socialismo, devono in ogni comune, provincia e regione associarsi alle liste più ostili alle “prove di fascismo” presenti, partecipare attivamente alla costituzione delle liste e alla campagna elettorale portando però in ogni sede e in ogni circostanza la parola d’ordine della costituzione del Governo di Blocco Popolare, illustrando le sei misure necessarie per far fronte immediatamente alle conseguenze più gravi della crisi economica e ambientale, indicando la instaurazione del socialismo come unica via d’uscita definitiva e completa dal marasma in cui la Repubblica Pontificia, la borghesia e il clero ci hanno condotto. Non devono lasciarsi fermare da nessuna obiezione dei promotori e dei candidati delle liste a cui partecipano o a cui comunque danno il loro attivo appoggio propagandistico ed elettorale.

Noi comunisti non appoggiamo i promotori, i padrini e i candidati di quelle liste perché loro lo vogliono o perché ci hanno concesso o promesso favori e posti. Li appoggiamo di nostra iniziativa, per nostra decisione autonoma, perché così conviene a noi fautori, promotori e costruttori della rivoluzione socialista, così conviene alla rivoluzione socialista che stiamo costruendo. Così facendo smaschereremo la destra e mobiliteremo ed educheremo la sinistra. Useremo le campagne elettorali per la causa della rivoluzione socialista.

Rosa L.