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La rivoluzione socialista nei paesi imperialisti

  La Voce 38 del (nuovo)Partito comunista italiano

Tradurre il generale nel particolare e trattare il particolare alla luce del generale


 

Lenin

POSIZIONI DI PRINCIPIO SUL PROBLEMA DELLA GUERRA

 

Lenin scrisse queste note nel dicembre 1916. Il testo è estratto da Opere, vol. 23, la traduzione è stata rivista sull’originale - testo reperibile anche sul sito http://www.nuovopci.it - Classici del marxismo.

 


Presentazione della redazione

 In questo scritto Lenin riassume la posizione sua e del suo partito di fronte alla situazione rivoluzionaria creata dalla guerra imperialista, la prima Guerra Mondiale, ma riferendosi a un paese imperialista, la Svizzera. Lenin fu membro del Partito socialdemocratico svizzero e nel 1914-1917 partecipò attivamente alla vita del partito. Egli partecipò anche alla lotta contro l’adesione dei maggiori partiti socialisti (in particolare tedesco, francese e britannico), già membri della II Internazionale, alla guerra condotta dai rispettivi governi, in ogni paese in nome della difesa della patria. Da qui l’interesse particolare per noi di questo scritto di Lenin e più in generale della raccolta di suoi scritti La situazione rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti nei paesi imperialisti.

La situazione rivoluzionaria in sviluppo e i compiti dei partiti comunisti dei paesi imperialisti
Un esempio: la Svizzera negli anni 1916 - 1917

Antologia di scritti di Lenin

(supplemento a La Voce n. 25, http://www.nuovopci.it)

 

Lenin fu membro del Partito socialdemocratico svizzero e nel 1914-1917 partecipò attivamente alla vita del partito. Egli partecipò anche alla lotta contro l’adesione dei maggiori partiti socialisti dei paesi imperialisti (in particolare tedesco, francese e britannico), già membri della II Internazionale, alla guerra condotta dai rispettivi governi, in ogni paese in nome della difesa della patria. Da qui l’interesse particolare per noi della raccolta degli scritti in cui Lenin espone la sua concezione su come condurre la rivoluzione socialista in un paese imperialista nell’ambito di una situazione rivoluzionaria.

 

Lenin parte dal generale per arrivare al particolare e nel trattare il particolare lo inquadra sempre nel suo contesto, nel generale. La guerra mondiale è il risultato del sistema di relazioni sociali vigente nei paesi imperialisti e del sistema di relazioni internazionali che essi hanno imposto nel mondo. Per porre fine alla guerra bisogna porre fine a quel sistema, cioè instaurare il socialismo. Ma questa è una linea generale: per attuarla bisogna che il partito diventi per la sua organizzazione e la sua coscienza capace di tradurre questa linea generale in obiettivi particolari che il movimento di massa realizza.

 

Noi oggi siamo in una situazione analoga nel senso che siamo entrati nella fase terminale della seconda crisi  generale. Questa è il risultato del corso che l’attuale sistema sociale ha preso da quando si è attenuato e via via si è estinto lo slancio propulsivo impresso dal movimento comunista al progresso umano con la prima ondata della rivoluzione proletaria. La crisi è l’espressione del sistema capitalista conforme alla sua natura, libero cioè dal condizionamento che l’avanzata del movimento comunista nel mondo e la forza da esso raggiunta anche nei paesi imperialisti creavano per i capitalisti (“i lacci e lacciuoli” deprecati da Guido Carli). Porre fine alla crisi implica porre fine al sistema capitalista di cui la crisi è il risultato naturale. Ma per questo occorre un partito comunista capace, per la concezione che lo guida e per la sua organizzazione, di tradurre questo compito storico in obiettivi particolari. In questo consiste oggi promuovere la guerra popolare rivoluzionaria in un paese imperialista come l’Italia.

Limitarsi a denunciare le manifestazioni della crisi, limitarsi a porre obiettivi rivendicativi, rifiutare l’organizzazione clandestina del partito sono altrettante manifestazioni di un atteggiamento non serio di fronte alla crisi generale. Dirette da un partito comunista all’altezza dei suoi compiti, la classe operaia e le masse popolari di un paese imperialista come l’Italia possono instaurare il socialismo.

Possiamo adempiere a questo compito pur essendo un partito comunista piccolo, tenuto al bando dalle FSRS, dalla sinistra borghese e dai vertici dei grandi sindacati?

Le elezioni amministrative di maggio e i referendum di giugno hanno confermato la lezione data dalle mobilitazioni operaie e popolari succedutesi dal giugno 2010 (FIAT di Pomigliano d’Arco - referendum 22 giugno) fino a febbraio 2011. Quando un centro autorevole (autorevole per il ruolo svolto e le relazioni stabilite nel corso della storia che abbiamo alle spalle, quindi per il prestigio di cui gode e i legami che ha con le masse) chiama alla lotta contro la Repubblica Pontificia, una parte importante delle masse popolari del nostro paese risponde e si mobilita: la dimensione della parte delle masse popolari che si mobilita è tale da imprimere una svolta all’intero movimento politico del nostro paese. Questo è uno dei lasciti della prima ondata della rivoluzione proletaria. Questo è un aspetto della resistenza delle masse popolari al procedere della crisi.

Questa lezione è di grande importanza sia per comprendere in modo giusto quello che succede nel nostro paese sia per stabilire come fare per andare verso l’instaurazione del socialismo, cioè per condurre con successo la guerra popolare rivoluzionaria che promuoviamo per fare dell’Italia un nuovo paese socialista e contribuire così alla seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo. È una lezione di grande importanza per lo Stato Maggiore della classe operaia che questa guerra deve promuovere e dirigere, accumulando nel corso stesso della guerra anche il grosso delle forze necessarie per condurla. È la smentita di tutte le teorie e i discorsi elaborati e diffusi in questi anni da esponenti della sinistra borghese e da membri di varie FSRS (anche se si dichiarano e almeno alcuni di essi sinceramente si credono comunisti) che la rivoluzione socialista è impossibile, che le masse popolari sono arretrate, che gli operai sono imborghesiti, reazionari o sfiduciati. È anche la smentita di tutte le teorie e i discorsi che presentano il “berlusconismo” e il “leghismo” come degenerazioni sopravvenute nelle masse popolari italiane. Il ruolo politico svolto negli ultimi venti anni in Italia dalla banda Berlusconi e dalla Lega di Bossi risulta dalla combinazione tra le decisioni dei vertici della Repubblica Pontificia (che, sopravvenuta come conseguenza della crisi del “capitalismo dal volto umano” anche la crisi della DC, dovevano scegliere un altro regime politico) e il disfacimento definitivo del vecchio PCI (che, ridottosi solo a una politica rivendicativa oramai senza risultati stante la nuova crisi, ai vertici della Repubblica Pontificia poteva offrire solo una combinazione di affaristi e carrieristi quale è il PD). Di conseguenza la banda Berlusconi (con l’appendice della Lega di Bossi legatosi a Berlusconi nel 2000 con losche relazioni finanziarie e malavitose) e il circo Prodi  di sono alternati al governo della Repubblica Pontificia. Non la degenerazione delle masse popolari, ma la mancanza di una direzione già autorevole che nella situazione creata dalla nuova crisi generale le chiamasse alla mobilitazione: questo è ciò che ha indebolito la resistenza delle masse popolari, l’ha fatta scomparire dal teatrino della politica borghese e le ha tolto voce nel paese. La novità degli ultimi vent’anni non sono il berlusconismo e il leghismo. Questi sono solo il riemergere (in due forme specifiche) del serbatoio di concezioni, sentimenti e relazioni reazionarie e parassitarie, di uomini e comportamenti intellettualmente arretrati e moralmente corrotti anche rispetto al livello raggiunto nel mondo dalla borghesia, che la Chiesa Cattolica e la sua Corte Pontificia hanno perpetuato in Italia e che il successo del movimento comunista aveva ridotto, indotto a camuffarsi, messo a tacere (i fautori di questo serbatoio lo chiamavano “maggioranza silenziosa”), ma non eliminato. La novità degli ultimi vent’anni non sono il berlusconismo e il leghismo: la novità è la scomparsa della direzione autorevole che il movimento comunista aveva costruito con le lunga resistenza e la vittoria sul fascismo e che, pur via via decadendo nelle mani dei revisionisti moderni, si è protratta per alcuni decenni. I revisionisti moderni sono infine degenerati al punto che si sono ripartiti tra una destra moderata (PDS, PD, circo Prodi) che si è alternata con la banda Berlusconi nel governo per attuare lo stesso programma comune della borghesia imperialista e una sinistra borghese (PRC, PdCI e frammenti) messa fuori gioco dal suo soggiacere alla direzione della destra moderata (governo Prodi 2006-2008) di cui Bertinotti è stato l’eroe rinnegato ma non superato.

 

Noi stiamo costruendo una nuova direzione delle masse popolari. Oggi essa non è ancora una direzione autorevole: lo diventerà nel corso delle campagne e delle battaglie che via via conduciamo. Per questo oggi noi, con le nostre poche forze ma combinando il metodo della linea di massa e il metodo delle leve che ci permettono di orientare grandi forze, portiamo tra le OO e le OP la parola d’ordine di costituire il GBP e lavoriamo a creare le tre condizioni che rendono possibile la costituzione del GBP. Per questo lottiamo, con le nostre poche forze ma servendoci dei metodi della linea di massa e delle leve, affinché ogni Amministrazione Locale (a partire dalla AC di Napoli, di Milano, ecc.) diventi centro promotore dell’attuazione della parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti”. Per questo lottiamo, con le nostre poche forze ma servendoci dei metodi della linea di massa e delle leve, affinché ogni organizzazione della sinistra sindacale (a partire da FIOM, USB, ecc.) assuma il ruolo di centro di aggregazione del movimento per la costituzione del GBP. Se attueremo nel concreto il nostro piano tattico in modo che i nostri sforzi siano coronati dal successo e le OO e OP costituiscano il GBP, la rinascita del movimento comunista sarà fortemente accelerata e lottando per la prosecuzione dell’opera iniziata dal GBP formeremo la nuova direzione di cui c’è bisogno per instaurare il socialismo. Se i nostri sforzi non saranno coronati dal successo e non riusciremo a portare le OO e OP a costituire il GBP, dovremo diventare la direzione autorevole di cui c’è bisogno facendo fronte con le forze che abbiamo raccolto, alla mobilitazione reazionaria che avrà il sopravvento.

La nuova direzione delle masse popolari che comunque passo dopo passo costruiamo, è costituita dal Partito clandestino e dalle organizzazioni legali dirette dal Partito. Insieme costituiscono il centro attorno a cui si aggregherà il Nuovo Potere che crescerà fino a eliminare la Repubblica Pontificia e instaurare il socialismo.

La redazione di La Voce


 

 Tra i socialdemocratici svizzeri di sinistra esiste una posizione unanime riguardo alla necessità di respingere, in rapporto alla guerra attuale, il principio della difesa della patria. Anche il proletariato, o quanto meno i suoi elementi migliori, sono orientati contro questo principio.

Sembra pertanto che sulla questione più scottante del socialismo contemporaneo in generale e del partito socialista svizzero in particolare esista la necessaria unità. Eppure, se si esamina il problema più da vicino, si finisce inevitabilmente per concludere che questa unità è solo apparente.

In realtà non c’è la minima chiarezza - e ancor meno unità - di idee sul fatto che chi si pronuncia contro la difesa della patria si pone per ciò stesso obiettivi eccezionalmente alti sia quanto alla concezione guida sia quanto all’attività rivoluzionaria del partito che proclama questa parola d’ordine, a patto, s’intende, che non si tratti di una dichiarazione a vuoto. Proclamare questa parola d’ordine diventa una dichiarazione a vuoto se ci si limita a proclamare il rifiuto di difendere il proprio paese, senza aver chiara coscienza, cioè senza rendersi conto di che cosa questo rifiuto implica, senza capire che tutta la propaganda, l’agitazione, l’organizzazione, in breve, tutta l’attività del partito deve essere radicalmente rinnovata, “rigenerata” (per usare l’espressione di Karl Liebknecht) e adeguata a compiti rivoluzionari di livello più alto dell’attuale.

 

Esaminiamo con cura e in dettaglio cosa significa rifiutare di difendere la patria, se lo consideriamo una parola d’ordine politica da prendere sul serio, che dobbiamo realizzare in concreto.

1. In primo luogo, noi chiamiamo i proletari e gli sfruttati di tutti i paesi belligeranti e di tutti i paesi minacciati dalla guerra a rifiutare la difesa della patria. Oggi, attraverso l’esperienza di vari paesi belligeranti, noi sappiamo con assoluta precisione che cosa significa in realtà il rifiuto di difendere la patria nella guerra in corso. Significa negare tutti i fondamenti della moderna società borghese e minare alle radici il regime sociale vigente [perché la guerra attuale è il suo sbocco inevitabile e non è possibile non fare la guerra ma mantenere in vita la moderna società borghese]; questo non solo in teoria, non solo “in generale”, ma nella pratica, immediatamente. Ebbene, non è forse evidente che questo può farsi solo alla condizione non solo di essere giunti nel campo della teoria alla saldissima convinzione che il capitalismo è ormai pienamente maturo per essere trasformato in socialismo, ma anche di essere andati oltre e di ritenere che questa trasformazione, cioè la rivoluzione socialista, è realizzabile in pratica, immediatamente, subito?

Eppure, quando si parla del rifiuto di difendere la patria quasi sempre si trascura proprio questo punto. Nel migliore dei casi si riconosce “teoricamente” che il capitalismo è maturo per essere trasformato in socialismo, ma non si vuole nemmeno sentir parlare dell’immediato e radicale rinnovamento di tutta l’attività del partito per renderla adeguata ai compiti della rivoluzione socialista imminente!

Si obietta che il popolo non sarebbe ancora preparato!

Ma qui siamo di fronte a una incongruenza perfino ridicola. Delle due l’una.

O noi non dobbiamo proclamare il rifiuto immediato di difendere la patria,

oppure noi dobbiamo svolgere o cominciare a svolgere immediatamente un’azione metodica di propaganda per la realizzazione immediata della rivoluzione socialista. Beninteso, in un certo senso il “popolo” è “impreparato” sia al rifiuto di difendere la patria sia alla rivoluzione socialista. Ma da ciò non consegue che noi abbiamo il diritto di rimandare per ben due anni - due anni! - l’inizio della preparazione sistematica della rivoluzione [Lenin si riferisce al periodo trascorso tra l’agosto 1914, quando iniziò la prima Guerra Mondiale e il dicembre del 1916]!

  

2. In secondo luogo, cosa si oppone alla politica della difesa della patria e della pace sociale? La lotta rivoluzionaria contro la guerra, le “azioni rivoluzionarie di massa”. Così è riconosciuto nella risoluzione del congresso del partito tenuto ad Aarau del novembre 1915. Si tratta, senza dubbio, di una risoluzione eccellente, ma... ma la storia del partito dopo quel congresso, la sua condotta effettiva mostrano che questa risoluzione è rimasta sulla carta!

Qual è l’obiettivo della lotta rivoluzionaria di massa? Ufficialmente il partito non ha detto niente al riguardo e in generale non si parla affatto di questo problema. Si considera del tutto naturale o si riconosce apertamente che l’obiettivo [della lotta rivoluzionaria di massa] è il “socialismo”. Al capitalismo (o all’imperialismo) si contrappone il socialismo.

Ma questa posizione è assolutamente illogica (sul piano teorico) e priva di contenuto sul piano pratico. Illogica, perché troppo generale, troppo vaga. Attualmente, non solo i seguaci di Kautsky e i socialsciovinisti, ma anche numerosi uomini politici borghesi sono dell’opinione, accettano la tesi che il “socialismo” in generale è il sistema da contrapporre al capitalismo (o all’imperialismo), il suo opposto, la meta verso cui l’umanità sta andando. Ma oggi non si tratta di contrapporre genericamente due sistemi sociali. Si tratta invece di opporre la pratica concreta della concreta “lotta rivoluzionaria di massa” ad un male concreto, cioè all’odierno rincaro della vita, all’odierno pericolo di guerra o alla guerra in corso.

Tutta la II Internazionale, dal 1889 al 1914, ha opposto il socialismo in generale al capitalismo e proprio a causa di questa “generalizzazione” troppo generica è arrivata al fallimento [nel 1914 i maggiori partiti aderenti alla II Internazionale accettarono di collaborare alla guerra agli ordini dei rispettivi governi]. Essa in effetti ha trascurato, non si è occupata del male specifico della sua epoca. Questo male è proprio quello che, quasi trent’anni or sono, il 10 gennaio 1887, Federico Engels indicava con le seguenti parole:

“... Un certo socialismo piccolo-borghese si è ricavato il suo spazio in seno allo stesso partito socialdemocratico e perfino nel suo gruppo parlamentare. Esso consiste in questo: si riconoscono giuste le concezioni basilari del socialismo moderno e l’esigenza del trapasso di tutti i mezzi di produzione in proprietà sociale, ma si ritiene e si dichiara che questa trasformazione sarà realizzata solo in un futuro lontano, tanto lontano che non ha alcuna influenza sull’attività pratica di oggi. In tal maniera per il presente si indirizzano gli uomini a un puro e semplice lavoro di rattoppatura sociale ...” (F. Engels, La questione delle abitazioni, prefazione).

L’oggetto concreto della “lotta rivoluzionaria di massa” può consistere soltanto nelle misure concrete della rivoluzione socialista, non nel “socialismo” in generale. I compagni olandesi nel loro programma, pubblicato nel n. 3 del Bollettino della Commissione socialista internazionale (Berna, 29 febbraio 1916), hanno indicato con precisione queste misure concrete: annullamento dei debiti dello Stato (del debito pubblico), espropriazione delle banche, espropriazione di tutte le grandi imprese. Invece quando da noi si chiede di indicare esattamente queste misure concrete, come hanno fatto i compagni olandesi, se si propone di inserire queste misure concrete in una risoluzione ufficiale del partito e di illustrarle metodicamente e nelle forme più popolari nell’agitazione e nella propaganda quotidiane del partito, nelle assemblee, negli interventi in Parlamento, nelle proposte di legge, si riceve sempre la stessa risposta dilatoria, elusiva e sostanzialmente sofistica: il popolo non è ancora preparato, ecc. ecc.!

Bene, se non è ancora preparato, il nostro compito è di iniziare subito questa preparazione e di portarla avanti inflessibilmente!

  

3. In terzo luogo, il partito ha “riconosciuto” che occorre la lotta rivoluzionaria di massa. Benissimo! Ma è capace il partito di promuovere e dirigere una lotta rivoluzionaria di massa? Si sta preparando a questo compito? Studia questi problemi, raccoglie il materiale necessario? Crea organizzazioni e organismi adeguati? Discute questi problemi in mezzo al popolo, con il popolo?

Niente di tutto questo! Il partito continua ostinatamente e senza deviare d’un passo a procedere sulla sua vecchia carreggiata esclusivamente parlamentare, sindacale, riformista, legalitaria. Il partito continua a essere incontestabilmente incapace di promuovere e dirigere la lotta rivoluzionaria di massa. È chiaro e noto a tutti che il partito non si prepara affatto a questo compito.

 

La vecchia routine impera dappertutto incontrastata e le parole “nuove” (rifiuto di difendere la patria, lotta rivoluzionaria di massa) restano semplici parole! Ma i compagni della sinistra, dato che non ne hanno coscienza, non uniscono in maniera sistematica e perseverante le loro forze, dappertutto, in tutti i campi di attività del partito, per combattere questo male.

Non si può non allarmarsi quando, ad esempio, nelle tesi di Grimm [R. Grimm era un esponente del centro del partito, ma spesso si atteggiava a esponente della sinistra] sulla questione della guerra si legge la seguente frase finale:

“Gli organi del partito, in accordo con le organizzazioni sindacali del paese, devono prendere in questo caso [cioè se, dinanzi al pericolo di guerra, chiamano i ferrovieri allo sciopero di massa, ecc.] tutte le misure necessarie”.

Le tesi di Grimm sono state rese pubbliche nel corso di questa estate, ma il 16 settembre, nella Schweizerische Metallarbeiterzeitung, diretta da O. Schneeberger e da K. Dürr [due esponenti della destra del partito], si poteva leggere la seguente frase (stavo per dire: la seguente risposta ufficiale alle tesi o pie intenzioni di Grimm):

“... È di pessimo gusto l’espressione “l’operaio non ha patria” in un tempo in cui gli operai di tutta l’Europa, nella loro stragrande maggioranza, combattono da due anni contro i “nemici” della loro patria fianco a fianco con la propria borghesia e coloro che sono rimasti a casa vogliono “tener duro” nonostante la miseria e le privazioni. Nel caso d’un attacco straniero alla Svizzera vedremmo senza dubbio lo stesso spettacolo”!!!

Non si conduce forse una politica “kautskiana”, una politica fondata sulle frasi impotenti, su declamazioni di sinistra combinate con una pratica opportunista, quando, da un lato, si propongono risoluzioni in cui si dice che il partito, “in accordo con le organizzazioni sindacali”, deve chiamare gli operai a scioperi rivoluzionari di massa e, dall’altro lato, non si combatte in alcun modo contro la tendenza grütliana [la Lega di Grütli era un’organizzazione esterna al partito socialdemocratico svizzero con diramazioni interne ad esso] che è socialpatriottica, riformista e puramente legalitaria e contro i suoi fautori nel partito e nei sindacati?

Si “educano” le masse o si tende invece a corromperle e a demoralizzarle, quando non si dice loro e non si dimostra nella lotta di ogni giorno che i compagni “dirigenti” O. Schneeberger, K. Dürr, P. Pflüger, H. Greulich, Huber e molti altri ancora si attengono alle stesse concezioni socialpatriottiche e conducono la stessa politica socialpatriottica che Grimm denuncia e condanna “arditamente”... quando si tratta dei tedeschi che vivono in Germania e non degli svizzeri? Ingiuriare gli stranieri e proteggere i “propri connazionali”: è questo forse un comportamento “internazionalista”? È forse un’azione “democratica”?

 

 Hermann Greulich [un esponente della destra del partito, come già sopra indicato] ha delineato come segue la situazione degli operai svizzeri, la crisi del socialismo svizzero e la sostanza della politica grütliana in seno al partito socialista:

“Il tenore di vita è stato migliorato in misura insignificante e solo per gli strati più alti [udite! udite!] del proletariato. La massa degli operai vive, come prima, in uno stato di miseria, tra preoccupazioni e disagi. Perciò di tanto in tanto si dubita che la strada che abbiamo seguito fino a questo momento sia stata giusta. I critici cercano nuove strade e ripongono le loro speranze in azioni più energiche. Facciamo tentativi in questo senso, ma di regola (??), non riescono (??) e questo ci costringe a ritornare alla vecchia tattica” [non è che il desiderio è anche qui padre dell’idea?]. “Ed ecco la guerra mondiale... Il grave peggioramento del tenore di vita, che diviene miseria persino per gli strati che un tempo avevano un’esistenza sopportabile. Dilagano sentimenti rivoluzionari” [udite! udite!]. “In effetti, la direzione del partito non è stata all’altezza dei compiti che doveva affrontare e troppo spesso cede (??) all’influenza delle teste calde (??) ... Il Comitato centrale della Lega di Grütli è impegnato, da parte sua, ad attuare una “politica nazionale pratica”, che esso vuole condurre fuori del partito ... Perché non la conduce all’interno del partito?” [udite! udite!]. “Perché lascia quasi sempre a me l’incombenza di combattere gli ultraradicali?” (Hermann Greulich, Lettera aperta alla Lega grütliana di Gottinga, 26 settembre 1916).

Ecco che cosa dice Greulich. Quindi non si tratta (come pensano in segreto o dicono allusivamente sulla stampa i grütliani che militano nel partito e come affermano apertamente i grütliani che sono fuori delle sue file) di alcuni “stranieri male intenzionati”, i quali, in un accesso d’impazienza personale, desidererebbero iniettare spirito rivoluzionario in un movimento operaio che essi vedrebbero con “occhiali stranieri”. Oh, no! È proprio Hermann Greulich - la cui funzione politica equivale di fatto a quella di un ministro borghese del lavoro in una piccola repubblica democratica - a informarci che solo gli strati superiori del proletariato godono di un qualche miglioramento del tenore di vita, mentre la massa degli operai continua a versare in uno stato di miseria e che “i sentimenti rivoluzionari dilagano” non a causa di maledetti “sobillatori” stranieri, ma a causa del “grave peggioramento del tenore di vita”.

 

E allora?

Allora è assolutamente giusto dire che:

o le masse popolari svizzere patiranno la fame, una fame ogni settimana più terribile e correranno il rischio di essere coinvolte da un giorno all’altro nella guerra imperialista, cioè di farsi massacrare per gli interessi dei capitalisti,

oppure esse seguiranno il consiglio della parte migliore del suo proletariato, raduneranno tutte le loro energie e faranno la rivoluzione socialista.

La rivoluzione socialista? Un’utopia! Una cosa certo possibile, ma in un’“epoca lontana e praticamente non definibile”!

Questa rivoluzione non è più utopistica del rifiuto di difendere la patria in questa guerra o della lotta rivoluzionaria di massa contro questa guerra. Non bisogna farsi inebriare dalle proprie parole né spaventare dalle parole degli altri. Quasi tutti sono pronti ad accettare la lotta rivoluzionaria contro la guerra. Ma si deve pur immaginare l’immensità del compito di mettere fine a questa guerra con la rivoluzione! No, non è un’utopia! La rivoluzione sta avanzando in tutti i paesi. Oggi non si tratta più di scegliere tra continuare a vivere in maniera  tranquilla e sopportabile o buttarsi invece nell’avventura. Oggi si tratta di decidere se continuare a soffrire la fame ed essere mandati al massacro per interessi estranei, per gli interessi di altri, o se fare invece grandi sacrifici per il socialismo, per gli interessi dei nove decimi dell’umanità.

Ci dicono che la rivoluzione socialista è un’utopia! Ma, buon dio, il popolo svizzero, non parla una lingua “autonoma”, “indipendente”! Parla tre lingue mondiali, che sono quelle dei paesi belligeranti limitrofi. Non stupisce quindi che il popolo svizzero sappia molto bene che cosa accade in questi paesi. In Germania si è giunti al punto che da un unico centro si dirige la vita economica di 66 milioni di uomini. Da questo centro si organizza l’economia di un paese di 66 milioni di cittadini. Si impongono sacrifici immani alla stragrande maggioranza del popolo perché trentamila privilegiati possano intascare i miliardi dei profitti di guerra. Milioni di uomini sono mandati al macello a vantaggio dei “migliori e più nobili esponenti della nazione”. Dinanzi a questi fatti, di fronte a questa esperienza, è forse utopistico pensare che un piccolo popolo, senza monarchia e senza nobiltà terriera, con un capitalismo molto evoluto, organizzato in associazioni di vario genere forse meglio che in qualsiasi altro paese capitalista, pur di sfuggire alla fame e al pericolo di guerra faccia la stessa cosa che è stata sperimentata praticamente in Germania? Con la sola differenza, beninteso, che in Germania si mandano a morte e si rendono invalidi milioni di uomini per far arricchire pochi privilegiati, per impadronirsi di Bagdad, per conquistare i Balcani, ecc., mentre in Svizzera basta espropriare al massimo trentamila borghesi, non cioè mandarli a morire ma solo condannarli al “terrificante destino” di avere un reddito di “soli” 6.000-10.000 franchi e di consegnare il resto al governo operaio socialista, al fine di salvaguardare il popolo dalla fame e dal pericolo di guerra.

Sì, però le grandi potenze non tollererebbero in nessun caso una Svizzera socialista e i primi germi della rivoluzione socialista sarebbero subito soffocati dalla schiacciante preponderanza di forze di tali potenze!

Le cose andrebbero innegabilmente così, se, da un lato, l’inizio di una rivoluzione in Svizzera non suscitasse un movimento di solidarietà di classe nei paesi vicini, e se, dall’altro lato, le grandi potenze non si trovassero nel vicolo cieco d’una “guerra di logoramento”, che ha ormai esaurito quasi del tutto anche la pazienza dei popoli più pazienti. Oggi, l’intervento militare delle grandi potenze, tra loro ostili, [contro l’inizio della rivoluzione socialista in Svizzera] sarebbe soltanto il prologo allo scoppio della rivoluzione in tutta l’Europa.

Non crediate però che io sia tanto ingenuo da pensare di poter risolvere “con la persuasione” un problema come quello della rivoluzione socialista.

Gli insegnamenti che ricaviamo da Lenin

Porre al partito non l’instaurazione del socialismo in generale, ma il compito di fare la rivoluzione socialista oggi. La promozione e direzione della guerra popolare rivoluzionaria, le campagne in cui essa si articola, le battaglie in cui si articola ogni campagna e le operazioni tattiche che costituiscono  ogni battaglia compongono l’attività quotidiana del partito, Stato Maggiore della classe operaia che lotta per conquistare il potere.

 

Porre all’attività delle masse come obiettivi attuali i passaggi concreti della rivoluzione socialista. Le lotte rivendicative, economiche e politiche e l’irruzione delle masse popolari nella politica borghese (campagne elettorali e azione nelle istituzioni borghesi) sono attività indispensabili, ma tutte subordinate alla condotta della guerra popolare rivoluzionaria e rafforzate da essa.

 

Adeguare il partito, per la concezione che lo guida e per la sua organizzazione clandestina che si avvale di una fitta rete di organizzazioni legali e mobilita la sinistra in ogni ambiente ricavando quanto possibile da ogni organismo, ambiente e individuo tramite il metodo delle leve, ai compiti della rivoluzione socialista in corso. Il partito deve essere costruito nella clandestinità e dalla clandestinità. La concezione comunista del mondo e la strategia della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata sono la base dell’unità del partito.

 

No. Voglio fare solo un esempio, riferendomi, per di più, solo a una questione specifica, di quali cambiamenti bisogna operare in tutta la propaganda del partito, se si vuole affrontare con la serietà necessaria il problema del rifiuto di difendere la patria. Voglio solo illustrare una questione specifica, un punto solo: non pretendo di più.

 

Infine, sarebbe assolutamente sbagliato pensare che la lotta immediata in favore della rivoluzione socialista ci permette o impone di accantonare la lotta per le riforme. Tutt’altro! Non possiamo sapere in anticipo quanto tempo sarà necessario per avere la meglio, quando cioè le condizioni oggettive consentiranno la vittoria di questa rivoluzione. Dobbiamo quindi sostenere ogni minimo miglioramento, ogni miglioramento effettivo della situazione economica e politica delle masse. La differenza tra noi e i riformisti (cioè, in Svizzera, i grütliani) non sta nel fatto che noi siamo contrari e loro sono favorevoli alle riforme. Non è questo il punto. La realtà è che essi si limitano alle riforme e quindi si degradano alla semplice funzione di “infermieri del capitalismo”, secondo la efficace espressione di un (raro!) collaboratore rivoluzionario della Schweizerische Metallarbeiterzeitung (n. 40).  Noi invece diciamo agli operai: votate pure per la proporzionale, ecc., ma non limitate a questo la vostra attività. Mettete piuttosto in primo piano la propaganda sistematica dell’idea della rivoluzione socialista immediata. Preparatevi a questa rivoluzione e operate a tale scopo i cambiamenti profondi che si rendono necessari in tutta l’attività del partito! Le condizioni della democrazia borghese ci costringono troppo spesso ad assumere questa o quella posizione su tutta una serie di piccole e minute riforme. Ma bisogna saper prendere o imparare a prendere posizione a favore delle riforme in modo tale che - per dirla in termini alquanto semplificati onde essere più chiari - in ogni nostro discorso della durata di mezz’ora dedichiamo cinque minuti alle riforme e venticinque alla rivoluzione imminente.

 

La rivoluzione socialista non può essere realizzata, se non si combatte un’accanita lotta rivoluzionaria di massa, una lotta che costa molti sacrifici. Ma sarebbe incoerente accettare la lotta rivoluzionaria di massa, riconoscere come giusta l’aspirazione a metter fine subito alla guerra e al tempo stesso respingere la rivoluzione socialista immediata! La prima senza la seconda sarebbe soltanto parole a vuoto!

Non si può, d’altra parte, evitare di combattere duramente all’interno del partito. Saremmo solo sdolcinati e ipocriti e faremmo la politica filistea dello struzzo, se pensassimo che sia possibile che in generale nel Partito socialdemocratico svizzero regni la “pace interna”. Non si tratta di scegliere tra la “pace interna” e la “lotta intestina”. Basta scorrere la lettera di Hermann Greulich citata più sopra e ricordare le vicende del partito negli ultimi anni, per capire che questa ipotesi è assolutamente sbagliata.

In realtà, la questione si pone in termini diversi: o le forme attuali di lotta interna, che camuffano la lotta e demoralizzano le masse, o invece una lotta aperta, di principio, tra la tendenza internazionalista rivoluzionaria e la tendenza grütliana, all’interno e all’esterno del partito.

Una “lotta intestina” in cui H. Greulich si avventa sugli “ultra-radicali” o sulle “teste calde”, senza chiamare per nome questi mostri e senza definire esattamente la loro politica, mentre R. Grimm pubblica nella Berner Tagwacht articoli assolutamente incomprensibili per il 99 per cento dei lettori, articoli pieni di allusioni e di ingiurie contro gli “occhiali stranieri” o i “reali ispiratori” dei progetti di risoluzione sgraditi a Grimm, una tale lotta interna demoralizza le masse, che vi ravvisano o intuiscono una sorta di “rissa tra i capi”, senza comprendere di che cosa si tratta nella sostanza.

Ma una lotta in cui la tendenza grütliana all’interno del partito - ben più importante e pericolosa di quella che opera fuori delle sue file - è costretta a contrastare apertamente la sinistra, una lotta in cui le due tendenze intervengono in ogni occasione con le loro posizioni autonome e con la loro politica e si scontrano sul terreno dei principi, demandando realmente alla massa dei compagni di partito, e non solo ai “capi”, la soluzione delle principali questioni di principio, una tale lotta è necessaria e utile, in quanto sviluppa nelle masse lo spirito di autonomia e la capacità di assolvere la propria funzione storica rivoluzionaria.