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La Voce 44 del (nuovo)Partito comunista italiano

Orientamento, problemi aperti e prospettive

Mobilitare le OO e OP in mille iniziative di base

per prendere nelle proprie mani l’attuazione della parola d’ordine
“un lavoro utile e dignitoso per tutti”

Premessa

Oggi molti intellettuali della sinistra borghese disquisiscono a non finire a proposito di quali sono le misure finanziarie più efficaci per saziare speculatori e altre sanguisughe. Per lo più si tratta di un’attività che ha il risultato pratico di distogliere dall’azione per trasformare il mondo o di incanalarla sulla strada ambigua dei referendum.(1)

1. Da quando è diventato chiaro che i vertici della Repubblica Pontificia se ne fregano dei referendum e del loro esito, trovano scappatoie legali per non tenerli oppure semplicemente fanno come se il referendum non ci fosse stato (acqua, nucleare, finanziamento pubblico dei partiti, ecc.), proporre referendum, indirlo, raccogliere firme, ecc. sta diventando una moda, una via per sfuggire alla lotta anziché uno strumento di lotta. Una campagna referendaria è utile se è uno strumento per creare opinione pubblica o per creare organizzazione.

 

Ma il problema reale, la catastrofe che travolge le masse popolari non sono il Debito Pubblico, la crisi delle banche e delle altre istituzioni finanziarie, i crolli di borsa, lo spread.(2) Se si trattasse solo della crisi finanziaria, sarebbe una questione principalmente tra le classi dominanti e i loro governi, tra ricchi, banchieri, speculatori e le loro corti. Se fosse solo che il prezzo delle azioni, delle obbligazioni, dei titoli di Stato e dei titoli derivati scendono o salgono, la cosa riguarderebbe principalmente speculatori, finanzieri, banchieri e altri giocatori di Borsa. In realtà la crisi finanziaria è declamata ogni giorno per terrorizzare le masse popolari e nascondere e far subire la catastrofe reale che già colpisce duramente milioni e milioni di lavoratori, di giovani, di casalinghe, di immigrati, di pensionati e di bambini.

2. Spread - La differenza tra quello che paga lo Stato italiano e quello che paga lo Stato tedesco ai sottoscrittori di titoli a scadenza decennale del rispettivo Debito Pubblico. Ad esempio spread 300 significa che se su un titolo decennale lo Stato tedesco paga un interesse dell’1.5%, lo Stato italiano paga 4.5%: (4.5 - 1.5) x 100 = 300.

La vera catastrofe che travolge le masse popolari sono

1. la disoccupazione, le aziende che chiudono o delocalizzano e la precarietà,

2. il costo degli affitti e dei mutui, il degrado delle case, le persone che restano senza casa,

3. la riduzione e l’impoverimento dell’istruzione, della sanità, dei servizi pubblici e della ricerca,

4. la crisi culturale, intellettuale e morale, l’abbrutimento e la disgregazione sociale,

5. l’inquinamento dell’ambiente e la devastazione del territorio e delle sue risorse,

6. la mancanza di prevenzione e di protezione dalle calamità naturali (terremoti, inondazioni, ecc.),

7. l’eliminazione dei diritti conquistati e la distruzione della dignità di milioni di esseri umani,

8. il segreto di cui si circondano il governo, la pubblica amministrazione, le aziende, i ricchi e il clero,

9. la criminalità pubblica (nel nostro paese anche quella della Curia Vaticana, delle autorità americane e dei gruppi sionisti) e privata (in particolare nel traffico di droghe) che si combinano e a vicenda si alimentano,

10. la corruzione, il lusso e gli sprechi della borghesia imperialista, del clero e degli altri ricchi.

Sono dieci anelli della catena che sempre più strettamente strozza le masse popolari.

Tra questi anelli, quello da cui bisogna partire per mobilitare le masse popolari a spezzare l’intera catena, è la disoccupazione.

 

Da una parte la crisi economica si aggrava con smantellamento di aziende, aumento dei licenziamenti, crescita della disoccupazione e della precarietà. Il decreto Letta sul lavoro, che riforma la riforma Fornero, ha posto le basi giuridiche perché le aziende capitaliste possano assumere chiunque e dovunque con contratti a tempo determinato. Dall’altra parte i dirigenti della sinistra dei sindacati confederali e dei sindacati alternativi e di base, i sinceri democratici della società civile, gli esponenti della sinistra borghese (cioè le persone che, per la storia che abbiamo alle spalle, già oggi godono di qualche seguito e prestigio presso le masse popolari e dirigono organizzazioni che già oggi aggregano, orientano e mobilitano operai e altri lavoratori avanzati) tentennano, divagano ed esitano a mettersi con decisione a promuovere e indirizzare la mobilitazione delle Organizzazioni Operaie e Popolari (OO e OP) per costituire un loro governo d’emergenza.

Di fronte a questa situazione l’anno scorso (2012) il nostro Partito ha lanciato la linea di “mobilitare le OO e OP in mille iniziative di base” per difendere i posti di lavoro e crearne di nuovi: riaprire le aziende che i padroni hanno chiuso, tenere aperte quelle a rischio chiusura o ridimensionamento, allargare le attività di aziende capitaliste e di aziende pubbliche (imponibile di manodopera).(3) Non come “ammortizzatori sociali” analoghi a quelli proposti da Keynes negli anni ’30 del secolo scorso: mettere una parte dei disoccupati a scavare buche e l’altra parte a riempirle, pur di togliere dalla strada i disoccupati che costituivano di per se stessi un problema di ordine pubblico. Quindi non come mezzi cui la classe dominante ricorre per soffocare la lotta delle classi oppresse, come strumento di ordine pubblico.(4) Ma per far fronte ai problemi effettivi di risanamento della società e del territorio e mobilitare e organizzare anche per questa via le masse popolari fino alla costituzione di un loro governo d’emergenza. In definitiva come un passo del processo che deve sfociare nella trasformazione della società, nell’instaurazione del socialismo.

3. Imponibile di manodopera - Alla fine della seconda Guerra Mondiale, in alcune zone del Meridione grazie alla forza del movimento comunista gli agrari, che spesso lasciavano le terre incolte, furono obbligati ad assumere braccianti in proporzione all’estensione della terra che possedevano.

4. Ma attenzione alla lezione degli anni ’30 del secolo scorso: di fronte ad una crisi analoga all’attuale, strutturale e generale, gli ammortizzatori sociali non risolsero la crisi. La prima crisi generale del capitalismo cessò grazie alla prima ondata della rivoluzione proletaria e alle due guerre mondiali.

 

Cosa impedisce agli operai dell’ALCOA

e ai minatori del Sulcis di prendere in mano essi stessi le aziende che i padroni stanno facendo morire? Cosa lo impedisce agli operai dell’Irisbus, di Termini Imerese, di Pomigliano e di altre decine di aziende di ogni dimensione che pur si trovano in condizioni particolarmente favorevoli per farlo?

L’ostacolo principale è la mancanza della prospettiva di un nuovo governo generale del paese, della costituzione del Governo di Blocco Popolare (GBP). È questo che porta ora gli operai a limitarsi in migliaia di aziende alla protesta, a ricorrere addirittura a gesti di disperazione e di autolesione, invece di prendere in mano loro l’azienda che i padroni vogliono chiudere.

Bisogna invertire il percorso che abbiamo in mente, bisogna che smettiamo di aspettarci salvezza dall’alto. Di fatto non è possibile partire da un governo di persone benintenzionate che con la sua opera di coordinamento a livello nazionale e internazionale mobilita gli operai a tenere in marcia le aziende. Allora bisogna iniziare dagli operai che  tengono in marcia le aziende e a partire da questo loro atto di forza inducono tutto quello che c’è ancora di sano nelle organizzazioni sindacali, tra gli esponenti della società civile (intellettuali, sindaci, professionisti, ecc.), tra i protagonisti della sinistra borghese e persino nella borghesia imperialista e nel clero, a mettere in piedi a ogni livello Comitati di Salvezza Nazionale che organizzino la vita sociale fino a formare a livello nazionale un Governo di Blocco Popolare e a farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia e alle istituzioni del sistema imperialista europeo e americano. Solo così possiamo salvarci! Solo così possiamo liberarci dalla catena che ci strozza!

Gli operai che per primi si metteranno a farlo, mostreranno la strada agli operai delle mille altre aziende minacciate di chiusura, riduzione o delocalizzazione. Anche gli operai delle altre aziende imboccheranno la stessa strada e trascineranno con il loro esempio e la loro iniziativa il resto delle masse popolari. Le aziende diventeranno centri di organizzazione e di mobilitazione delle masse popolari per la rinascita di tutta la vita sociale, per il risanamento del paese, per la creazione di un nuovo sistema di relazioni internazionali. La resistenza delle masse popolari della Val di Susa mostra la forza che ha l’esempio. Hanno tenuto in scacco per anni gli speculatori e le autorità della Repubblica Pontificia che volevano fare affari devastando il territorio della valle e con la loro resistenza hanno conquistato appoggi in tutto il paese e all’estero. Gli operai e le masse popolari di Taranto protestano ma restano paralizzati dalla mancanza di una loro iniziativa per risanare la situazione, come se fossero impotenti di fronte al balletto dei sanguisughe di ieri e di oggi, di Riva, di Clini, [di Enrico Bondi], del vescovo, dei politicanti e sindacalisti profittatori e corrotti.

Se gli operai costituiranno le loro proprie direzioni aziendali e imporranno a banchieri, fornitori e clienti di continuare a fare per le nuove aziende quello che hanno fatto fino a ieri per gli affaristi e gli speculatori [cioè fare crediti], molto difficilmente i padroni e i vertici della Repubblica Pontificia riusciranno a impedire che il resto delle masse popolari imbocchi il percorso indicato dagli operai, a deviarle su altre strade” (Comunicato CC 33/2012 - 24 settembre 2012).

 

Oggi nel campo delle masse popolari la linea delle “mille iniziative di base” contende il terreno alla linea di chiedere al governo illegale e illegittimo Letta-Napolitano-Berlusconi di fare “scelte coraggiose per salvare il Paese”, di “dare risorse ai lavoratori”, di “fare un piano industriale”, di “fare nuovi investimenti che creino nuovo lavoro”, di pagare i debiti della Pubblica Amministrazione alle imprese, ecc. cioè di promuovere la ripresa economica: una linea senza sbocco e frustrante in cui finiscono per confluire sia gli opportunisti (quelli che tirano a campare), sia (al di là delle loro stesse intenzioni) i fautori del “lotta, lotta, lotta”, cioè quanti si ostinano a mantenere la mobilitazione delle masse popolari principalmente o addirittura unicamente sul terreno della rivendicazione e della protesta.

 

Dal 2012 ad oggi i Comitati di Partito (CdP) e in altro modo anche le organizzazioni pubbliche della carovana del (n)PCI (in particolare il P.CARC e il SLL), oltre a propagandare tra operai e lavoratori la linea delle “iniziative di base” per attuare la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti”, hanno promosso una serie di esperienze di applicazione di questa linea e instaurato rapporti di vario livello con lavoratori che hanno intrapreso o stanno intraprendendo esperienze di autogestione della produzione. Il P.CARC ha sostenuto e partecipato ad alcune lotte di gruppi di lavoratori per tenere aperte aziende a rischio chiusura o ridimensionamento (come la Richard Ginori di Sesto Fiorentino e il S. Raffaele di Milano) o riaprire quelle chiuse (come l’Irisbus di Avellino). Il Sindacato Lavoratori in Lotta di Napoli per mobilitare i disoccupati a fare pressione sull’amministrazione comunale ha organizzato alcune iniziative di “sciopero allo rovescia” (di cui abbiamo parlato nell’Avviso ai Naviganti 9, 14.05.12) riprese poi dal Comitato Disoccupati Organizzati di Cecina (vedasi Comunicato CC 10/2013 - 8 marzo 2013) e sta conducendo una campagna di organizzazione e mobilitazione dei lavoratori delle Aziende Partecipate del Comune e della Provincia di Napoli e della Regione Campania per difenderle dai tentativi di smantellamento, utilizzarle per svolgere servizi utili per le masse popolari, rafforzare il loro organico e crearne di nuove con l’assunzione di disoccupati e precari.

 

Questo articolo è una messa a punto dei principali insegnamenti che il Partito ha via via tratto da questo multiforme lavoro, dei problemi che restano ancora aperti e delle prospettive di sviluppo. Noi stiamo promuovendo e dirigendo la Guerra Popolare Rivoluzionaria che culminerà nell’eliminazione della Repubblica Pontificia (RP) e l’instaurazione del socialismo. Dobbiamo arruolare in misura crescente le masse popolari a partecipare ad essa, come durante la Resistenza (1943-1945) masse crescenti di uomini e donne si unirono ai Partigiani e si arruolarono nella lotta contro i nazifascisti. Quindi è una questione di responsabilità curare (come esperienza tipo) ogni singola battaglia per tenere aperte le aziende, riaprire quelle chiuse e crearne di nuove, condurla fino in fondo, considerare ognuna di esse come battaglia di una guerra, tirarne gli insegnamenti, propagandarli tra le masse popolari e rilanciare a un livello superiore la guerra che porterà in un primo tempo alla costituzione del GBP e in un secondo tempo all’eliminazione della RP e all’instaurazione del socialismo.

 

1. Le quattro vie. Sono quattro le vie attraverso cui, prese singolarmente o combinate, OO e OP riaprono le aziende che i capitalisti hanno chiuso, tengono aperte le aziende che i capitalisti vogliono chiudere o ridurre (loro dicono “ristrutturare”), aprono nuove aziende e prendono in mano i servizi pubblici (sanità, istruzione, ecc.), la cura (la protezione e il miglioramento) del territorio, la ricerca nel campo delle scienze naturali e delle scienze umane, la manutenzione  e la valorizzazione del patrimonio edilizio e artistico del paese (edifici, infrastrutture, monumenti storici, opere d’arte) del paese: tutte cose che nell’ambito del capitalismo sono trascurate e lasciate andare in malora o privatizzate e riservate ai ricchi.

In sintesi, sono quattro le vie per attuare la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti”:

1. - l’autogestione della produzione e l’autorganizzazione del lavoro,

2. - le ACE/ALE: una sorta di imponibile di manodopera ampliando le attività delle aziende pubbliche o partecipate e creandone di nuove,

3. - l’intervento sui capitalisti: un nuovo capitalista che rileva l’azienda (tipo INNSE) o imponibile di manodopera alle aziende capitaliste,

4. - nazionalizzazione: questa via però presuppone un governo che voglia nazionalizzare, quindi con un governo dei vertici della RP la nazionalizzazione può essere solo un’eccezione; come via generale la nazionalizzazione finché non avremo costituito il GBP non esiste: quelli che la lanciano non per denunciare l’inerzia e la complicità delle Autorità della RP, ma come misura pratica, in realtà vogliono solo cavarsi d’impaccio, non sanno cosa fare. Al punto che alcuni, quelli di formazione trotzkista come PdAC, PCL e altri, indorano la pillola e dicono “nazionalizzazione sotto controllo operaio”, senza preoccuparsi di spiegare perché operai tanto forti da poter imporre ai padroni il proprio controllo, non prenderebbero addirittura la direzione della fabbrica.

 

Tra le quattro indicate sopra, l’autogestione della produzione e l’autorganizzazione del lavoro costituiscono sicuramente la via di livello superiore, perché educa un ampio numero di operai a organizzare e a dirigere e pone l’iniziativa completamente nelle mani dei lavoratori e delle masse popolari. Ma noi non siamo fautori dell’autogestione e dell’autorganizzazione ad ogni costo e ovunque, promuoviamo una o l’altra delle quattro vie sulla base dell’analisi delle particolari condizioni concrete e con una visione dialettica delle cose.

1. - Sulla base dell’analisi delle particolari condizioni concrete.

Delle condizioni oggettive: ci sono aziende che i padroni vogliono chiudere (o hanno chiuso) principalmente per operazioni speculative. Alcune aziende potrebbero continuare la produzione al volume a cui era (era il caso ad esempio della INNSE) mentre altre non potrebbero comunque continuare la produzione che facevano al volume a cui era (ad esempio la FIAT per le automobili). Alcune aziende potrebbero addirittura incrementare la produzione: pensiamo all’Irisbus che faceva autobus per il trasporto pubblico locale e oggi il 70% degli autobus che circolano nelle nostre città è obsoleto e/o inquinante. Ci sono aziende che i padroni vogliono delocalizzare, ma che potrebbero continuare la produzione così com’è (esempio l’ALCOA, l’Indesit) e che i proprietari non vogliono vendere a un altro capitalista proprio perché non vogliono lasciare in campo un concorrente. Ci sono aziende a rischio chiusura perché non hanno commesse e ordinativi o a causa della strozzatura del credito (è il caso di molte piccole e medie imprese). Ci sono grandi aziende ancora pubbliche (ad esempio Fincantieri) in via di smantellamento. Ci sono infine aziende che non vengono aperte benché ve ne sia un’estrema necessità perché i capitalisti non ne ricaverebbero profitti (a proposito del “lavoro che c’è” di alcune parole d’ordine!). Basti pensare all’immenso lavoro che va fatto nel nostro paese per la rimessa in sicurezza e la manutenzione del territorio, per la messa in sicurezza delle scuole, di altri edifici e delle infrastrutture (adeguamento alle norme antisismiche, ecc.). Ma sono iniziative che non frutterebbero profitti. Per loro natura sono incompatibili con la proprietà (individuale o di gruppo) dei capitalisti e con l’iniziativa economica finalizzata al profitto, richiedono invece che le forze produttive siano al servizio degli uomini e della collettività.

Delle condizioni soggettive: in alcune aziende gli operai sono particolarmente coesi (penso ad esempio agli operai della ex Bertone di Grugliasco, che hanno mantenuto un alto livello di coesione nonostante lunghi anni di cassaintegrazione), hanno alle spalle una tradizione di organizzazione, il movimento comunista vi aveva messo radici profonde. In altre (specialmente al sud) è ancora forte la mentalità del “metalmezzadro” (il lavoratore che si divide tra l’azienda agricola familiare e il lavoro salariato) o vige il ricatto del lavoro precario oppure il paternalismo padronale. In generale gli operai e i pubblici dipendenti rispetto ai disoccupati e ai precari si trovano in condizioni più favorevoli per organizzarsi e sviluppare una coscienza comune.

2. - Con una visione dialettica della situazione.

In alcuni casi la preparazione (la minaccia) dell’autogestione, può essere uno strumento per arrivare ad un altro capitalista che rileva l’azienda. In altri casi il fallimento del tentativo di trovare un altro capitalista che subentri, può preparare il terreno per l’autogestione. Dove esistono amministrazioni comunali che per una serie di motivi sono più permeabili alla pressione delle masse popolari organizzate, puntiamo sull’ampliamento delle attività delle aziende pubbliche o la creazione di nuove aziende pubbliche estendendo su ampia scala iniziative che oggi sono principalmente di nicchia: vedasi ad esempio la Cooperativa Cantieri Sociali costituita dal X Municipio di Roma, di cui parla Sandro Medici nell’intervista disponibile sul sito: www.carc.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1578 .

 

La costituzione di imprese autogestite appartiene a una campagna di operazioni di lotta, di operazioni di disobbedienza. È un’operazione di guerra, un’operazione del movimento per costituire il GBP. Però non occorre che ogni iniziativa abbia queste caratteristiche. Occorre che ci sia un grande fiume di iniziative di questo tipo, in cui “fanno massa”, confluiscono, anche quelle più legalitarie per la concezione e la condotta dei suoi animatori, nei quali però è fattore positivo e foriero di progressi (capacità di diventare altro di quello che sono) la volontà di esistere, resistere e progredire.

 

2. La condizione fondamentale per ognuna delle quattro vie è che vi sia o che si formi un gruppo di lavoratori determinato a non cedere: non la linea del “meno peggio”, ma la linea del “combattere e vincere”. Su questa base è possibile che si formi anche un gruppo di operai deciso ad attuare l’autogestione. Nella stragrande maggioranza dei casi infatti la situazione di partenza è che gli operai sono contrari all’autogestione o molto scettici. Stante la storia che abbiamo alle spalle e il livello arretrato a cui è la rinascita del movimento comunista, è ovvio che la maggior parte degli operai non hanno fiducia in se stessi e nei loro compagni di lavoro. L’aspetto principale è che si formi un gruppo di operai decisi ad attuare l’autogestione e capaci di portare gli altri operai a volerla. “Portare” significa combinare un’opera di convinzione e trascinare gli altri a fare con la propria iniziativa pratica (e sfruttando anche il fallimento delle vie alternative). Non si tratta principalmente di convincere (di creare a priori un’opinione), ma di mettere in moto un processo che trascini anche gli altri operai.

L’autogestione implica come sua premessa la volontà di un gruppo abbastanza vasto di lavoratori e la loro organizzazione. Senza questo non vi può essere autogestione. La società borghese ci ha abituato che promotore dell’unità produttiva collettiva, specie se grande e inserita in una rete di scambi con altre, suo organizzatore e depositario delle conoscenze e delle relazioni necessarie per farla funzionare è il padrone, il capitalista o un suo amministratore. Quindi la volontà e l’organizzazione di un gruppo di lavoratori che si sostituiscono al padrone non ci vengono dalle abitudini correnti, non “sono nell’aria”, non corrispondono al senso comune alimentato dalla borghesia e dal clero. Ma non nascono tuttavia dal nulla. Nascono dalla volontà di non cedere alla disperazione, di non rassegnarsi alla miseria e dalla combinazione di questo con la coscienza avanzata dei comunisti e di compagni che alla concezione comunista e all’esperienza del movimento comunista sono in qualche modo vicini.

Noi però abbiamo alle spalle una storia penosa e tortuosa di declino del movimento comunista che si è prolungato per decenni nel nostro paese e nel mondo. Decenni di arrogante predominio della borghesia e del clero e del senso comune conforme al loro dominio che essi hanno imposto come pensiero unico, tanto ovvio che non si discute neanche. Quindi non ereditiamo da questo passato prossimo una coscienza avanzata, scientifica dei rapporti sociali e politici con la volontà e l’organizzazione che ne deriverebbero. Perciò il primo passo è crearle e alimentarle. Poi, una volta avviata, l’autogestione sarà, assieme alle altre condizioni e agli altri risultati della lotta di classe, una potente fucina in cui volontà e organizzazione si rafforzeranno e cresceranno creando via via una coscienza e una mentalità superiori. Combinata con le altre forme della lotta di classe e di organizzazione, l’autogestione diventerà un potente fattore di organizzazione e di crescita della coscienza dei lavoratori e delle altre classi delle masse popolari: ispirerà nei lavoratori fiducia in se stessi, ci educherà a una disciplina rigorosa e solidale, farà vedere che i lavoratori possono fare a meno dei capitalisti, farà fiorire idee sulle nuove relazioni sociali che gli uomini possono stabilire, sarà una componente fondamentale del movimento che creerà le condizioni necessarie per costituire il GBP e per farlo ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia. Proprio per questo la borghesia imperialista, il clero e tutti gli individui e i gruppi da questi influenzati, sono decisamente contro l’autogestione e rafforzano tra noi la corrente degli sfiduciati, dei rassegnati, dei depressi e dei disfattisti.

 

3. L’autogestione della produzione. Come già detto, tra le quattro vie indicate sopra, l’autogestione della produzione è sicuramente quella di livello superiore, perché educa un ampio numero di operai a organizzare e a dirigere. È una soluzione possibile, però occorre riunire una serie di condizioni. Oltre alla formazione di un gruppo di operai decisi ad attuarla e a portare gli altri operai a volerla, che è la condizione principale, bisogna considerare altre condizioni che rispondono alle obiezioni che più correntemente vengono mosse da parte degli operai stessi all’autogestione.

 

Gli operai organizzati sono capaci di gestire le aziende?

 

Lo sono se lo vogliono e se, per incominciare, almeno un certo numero di essi traducono la loro volontà in comportamenti concreti coerenti con le leggi proprie del ruolo che devono svolgere.

Certo la gestione delle aziende non è un’arte che gli operai già conoscono, ma la possono imparare, come tutti abbiamo imparato a leggere, a scrivere e a far di conto: cosa che per secoli era stata riservata ai preti e ai ricchi. Ma cosa fare nell’immediato, subito? Gli operai organizzati devono mettere a lavorare i tecnici e i professionisti: gli esperti a cui anche i padroni fanno del resto ricorso. I proprietari delle aziende, gli azionisti, gli investitori, le autorità superiori, i direttori, i funzionari dei fondi d’investimento non sanno neanche loro gestire le aziende: si servono di tecnici e di professionisti. Lo stesso faranno gli organismi operai, solo che tecnici e professionisti lavoreranno secondo direttive stabilite dagli operai organizzati (cioè dai comitati formati dagli operai e dai loro delegati e dalla struttura gerarchica dei comitati: come in qualche misura già hanno mostrato i Consigli di Fabbrica negli anni ’70 del secolo scorso).

Le attività di organizzazione del lavoro, di ricerca per l’innovazione del prodotto e del processo di produzione e distribuzione, per l’amministrazione e la commercializzazione sono attività che il capitalista fa svolgere a impiegati, tecnici e specialisti che oggi anch’essi in gran numero soffrono della disoccupazione, sono frustrati nelle loro migliori aspirazioni e costretti ad arrangiarsi. Un gruppo di lavoratori organizzati che promuove l’autogestione, trova quindi in abbondanza persone disposte a collaborare: bisogna solo imparare a mobilitarle. La collaborazione di scuole, istituti di ricerca e università contribuirà a dare a questi problemi le soluzioni al livello più alto disponibile. La grande sensibilità e anche organizzazione già presente nel nostro paese per trasformare prodotti, condizioni di lavoro e processi produttivi in senso compatibile con la salute e la sicurezza dei lavoratori e con la gestione razionale dell’ambiente e delle risorse, contribuiranno anch’esse a rafforzare l’autogestione. Ogni gruppo di lavoratori organizzati può e deve legarsi al movimento delle ampie masse, per acquisire collaborazioni, sostegni e tessere alleanze. Deve imparare a dirigere. I capitalisti dirigono, i lavoratori lo possono fare in condizioni molto migliori. Questo retroterra riguarda principalmente le relazioni e le contraddizioni in seno alle masse popolari.

 

Come possono le nuove aziende gestite da operai organizzati trovare fornitori, clienti, crediti (denaro) per pagare fornitori e salari?

 

Un gruppo di lavoratori organizzati che si impegnano nell’autogestione deve risolvere anche questioni attinenti al carattere commerciale, monetario e capitalista del contesto nazionale e internazionale in cui devono operare per un tempo indeterminato: si tratta di trovare crediti, clienti e fornitori per l’azienda autogestita.

 

Le aziende autogestite possono trovare crediti per pagare i fornitori e i salari (e persino imposte e tasse se le autorità riconoscono le aziende autogestite): devono solo indurre, con le buone o con le cattive, i banchieri a concedere crediti nella misura necessaria. Il denaro attualmente è solo credito concesso dalle banche (quindi dai dirigenti delle banche) a loro discrezione. In definitiva un direttore di banca che concede un credito ha meno difficoltà di un direttore di supermercato che subisce una “spesa proletaria”: il credito alla sua banca non costa nulla.

Ovviamente ogni banca opera in rete con le altre banche e con le istituzioni finanziarie, secondo leggi, regolamenti e abitudini dettate dal sistema bancario e finanziario nazionale, europeo e mondiale (cioè dalla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti). Queste tollerano molti comportamenti illegali e “creativi” delle singole agenzie e banche (il caso del Monte dei Paschi di Siena è una manifestazione attuale di questo; lo scandalo dei titoli speculativi messi in piedi negli anni ’90 da Mario Draghi quando era direttore generale del Ministero del Tesoro è uno spiraglio sulle abitudini e le licenze di finanzieri e banchieri). Esse certamente saranno contrarie a concedere credito ad aziende autogestite. Ma come potranno impedirlo se le masse popolari, le autorità locali, ecc. lo impongono ai dirigenti delle banche locali?

L’Italia è un paese troppo importante nel sistema monetario, bancario e finanziario internazionale perché la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti la isolino. La vicenda di Cipro, un paese minuscolo, insegna molte cose. In più l’Italia è la sede del Vaticano, uno dei pilastri della Comunità Internazionale: isolare l’Italia sarà anche per questo più difficile.

Certamente minacceranno, cercheranno di creare difficoltà di ogni genere, economiche (sanzioni), monetarie e finanziarie, ma nessuno dei membri di questa poco onorevole Comunità Internazionale vuole fallire sacrificandosi per il bene della loro Comunità Internazionale. E il fallimento del sistema bancario e finanziario italiano per alcuni di loro comporterebbe perdite molto serie.

In conclusione farsi fare crediti è principalmente 1. una questione di “forza di convinzione” da parte delle masse popolari organizzate, compresi gli impiegati delle banche, nei confronti dei dirigenti delle banche e 2. una questione di capacità di far leva sulle debolezze dei membri e amministratori della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti per far fronte alle loro sanzioni e ai loro attacchi.

Quindi è questione di connettere ogni singola autogestione 1. al movimento generale che crea le condizioni per la costituzione del GBP e che lo farà ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia e 2. alla lotta che il GBP condurrà con la Comunità Internazionale.

Nella situazione attuale l’autogestione è in generale un’operazione di guerra economica, finanziaria e politica contro i vertici della RP: è possibile vincere, ma bisogna essere decisi a combattere e vincere.

 

Le aziende autogestite possono trovare clienti: basta che producano oggetti o servizi di cui nel nostro paese e nel mondo c’è bisogno. Noi in Italia siamo in grado di produrre molte cose che molti paesi, in particolare molti dei paesi oppressi dalla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti e dei “paesi canaglia” (Venezuela, Iran, Bolivia, Corea del Nord, Sudan, Cuba, ecc. ecc.) boicottati da essa, non producono, mentre essi producono e possono produrre molte cose che noi in Italia non possiamo produrre. Si tratta quindi di organizzare, su base di scambio monetario o di accordi di collaborazione e solidarietà, un efficace sistema di distribuzione e circolazione. Cosa difficile se non impossibile per un singolo gruppo di lavoratori organizzati che con l’autogestione vuole costruirsi la sua “nicchia felice”, ma del tutto possibile anche se non facile per ogni gruppo di lavoratori organizzati che è strettamente legato al movimento che lotta per la costituzione del GBP.

 

Le aziende autogestite possono trovare fornitori: una volta assicurato il credito necessario per pagare le forniture, trovare fornitori è in definitiva la cosa più semplice tra le tre (crediti, clienti, fornitori), nonostante le sanzioni che la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti certamente decreterà. Ai singoli capitalisti i cui capitali sono impegnati nella produzione di beni e servizi, la crisi del capitalismo si presenta principalmente nella veste di mancanza di clienti per le loro merci. Questo e gli interessi e la solidarietà degli “paesi canaglia” già messi al bando dalla Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti permetteranno certamente a ogni gruppo di lavoratori organizzati di avere tutte le forniture necessarie.

 

4. Il problema del credito: lotta al legalitarismo per linee interne. Invito i lettori di questo articolo a leggere l’intervista realizzata dal P. CARC a Erasmo Olivella, presidente della MancCoop (ex Evotape), una fabbrica autogestita di Castelforte (LT), intervista disponibile sul sito: [www.carc.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1684]. Questa intervista conferma dall’interno di una esperienza concreta alcune degli aspetti indicati al punto precedente, contemporaneamente mostra alcuni problemi aperti.

Uno è sicuramente quello del credito, che è comune a tutte (o comunque alla stragrande maggioranza) delle iniziative di autogestione esistenti. Lo stesso problema si è posto al Comitato Disoccupati Organizzati di Cecina (LI): il 15 febbraio scorso hanno fatto uno “sciopero alla rovescia” per la manutenzione del muro della villa comunale Guerrazzi (l’Amministrazione Comunale la lascia andare in rovina) e, raccontano, avevano portato gli arnesi ma non hanno potuto riparare il muro, perché non avevano i soldi per comperare la calce. Per di più, aggiungiamo noi, lo sciopero alla rovescia si fa per dimostrare che il lavoro da fare c’è; ma anche negli scioperi alla rovescia il lavoro deve poi essere pagato (solo i ricchi possono lavorare gratis perché altri lavorano per loro!). Se non si provvede a questo, la forma di lotta non può svilupparsi su larga scala.

Il problema di dove trovare i soldi è un problema che si pone e si porrà ogni volta che in un paese ancora basato su un’economia mercantile le masse popolari organizzate si lanceranno in un’iniziativa, piccola o grande che sia.

Noi diciamo “indurre, con le buone o con le cattive, le banche a finanziare ogni attività utile e dignitosa decisa dalle masse popolari organizzate”. Gli operai della ManCoop (ma lo stesso vale per altre iniziative di autogestione) hanno seguito vie legali (con i problemi che indicano nell’intervista). Le iniziative di rottura ci sono e si vanno diffondendo (vedi i sequestri degli esattori di Equitalia o le irruzioni nelle sue sedi). Però sono iniziative di rottura sul terreno della protesta e non ancora su quello della costruzione: per prendersi salario non percepito o pagarsi un lavoro non pagato.

Non dobbiamo contrapporre le vie di rottura alle vie legali, che sono quelle più accessibili al senso comune. Dobbiamo:

- guidare i tentativi di percorrere le vie legali per portare all’occorrenza a percorrere le vie di rottura, tenendo presente che senza mobilitazione percorrere le vie legali spesso vuol dire impantanarsi in cavilli a non finire, mentre intanto gli amici degli amici di banchieri, amministratori pubblici, funzionari la fanno da padroni;

- partire da iniziative di rottura percepite come giuste anche nel senso comune: ad esempio, tornando all’esempio del Comitato Disoccupati Organizzati di Cecina, se avessero preso a forza in un supermercato o in un deposito la calce e quant’altro necessario per effettuare la manutenzione del muro in un supermercato o in un deposito, certamente a molti la cosa sarebbe sembrata giusta e avrebbero solidarizzato.

Un’altra forma di pagamento è quella di farsi pagare il lavoro svolto scalandolo dal pagamento delle rate per l’asilo, dalle bollette, dai ticket sanitari, ecc. coinvolgendo quindi l’Amministrazione Pubblica. Cioè estendere iniziative come quella della riduzione organizzata della bolletta dell’acqua promossa dal Comitato per l’acqua pubblica di Aprilia (LT).

 

5. Autogestione e cooperative. La cooperativa è una forma di difesa dal disastro della crisi, non la prefigurazione dell’organizzazione della produzione del futuro, come a volte la presentano Guido Viale e altri (in genere sottacendo che essi prescindono dalla furibonda lotta di classe in corso nel presente). Una furibonda lotta di classe è quello che caratterizza il presente, anche se la grande maggioranza dei commentatori, degli intellettuali e degli uomini politici non la chiamano col suo nome (e proprio questo conferma che sono al servizio o comunque sotto l’influenza della classi dominanti). Ed è destinata a diventare ancora più furibonda nel futuro prossimo.

Chi prescinde da essa “stona, anche se canta bene”: canta per un pubblico che oggi non esiste e che domani quando esisterà sceglierà esso stesso la musica di suo gradimento. Infatti in definitiva il futuro sarà caratterizzato, in contrasto con tutto il passato della specie umana, dall’unità organizzata e cosciente di tutta la specie umana a livello mondiale e dalla partecipazione universale (cioè di tutti gli individui, ognuno secondo le sue specifiche capacità individuali sviluppate però tramite un avanzato sistema di educazione e formazione che riguarderà tutti i bambini fin dal loro concepimento) alla gestione della società e al patrimonio scientifico, artistico e culturale sviluppato dall’umanità. Questa sarà certamente la condizione del futuro, perché essa è condizione indispensabile non solo per l’ulteriore progresso della specie umana, ma perfino per la sua sopravvivenza e per la gestione razionale e lungimirante da parte di essa del pianeta su cui vive e delle sue risorse e del miglioramento generale di esso e della sua relazione con l’universo che lo attornia. Ovviamente questo tratto del futuro si ripercuoterà anche sull’organizzazione minuta, in piccolo, nella singola unità che produce beni e servizi. Questa quindi assumerà forme molto diverse dalle attuali di cui ci occupiamo oggi.

Al presente le cooperative sono tante imprese che lavorano senza un piano comune. In alcuni paesi socialisti come la Jugoslavia sono state usate espressamente come alternativa alla pianificazione socialista. Noi oggi non diciamo che facendo la cooperativa facciamo il socialismo in piccolo, anche se pratichiamo una forma di rapporti tra soci che per alcuni aspetti si potrà realizzare in esteso e a un livello superiore nel socialismo.

Nel socialismo il lavoratore non ha con il lavoro il rapporto che ha oggi: oggi il lavoro è un obbligo e una costrizione per chi non è ricco. Il lavoratore nella società socialista nei rapporti di produzione si distingue per tre fattori:

- il lavoratore non è condannato a fare un determinato lavoro a vita (costrizione);

- la disciplina nel lavoro è giustificata da motivi generali accettabili da ogni lavoratore anche se in alcuni casi individualmente comportano una costrizione ed è sempre più cosciente (non vi può essere produzione collettiva senza direzione, ma sempre più è la direzione dei lavoratori associati);

- il lavoratore ha un ruolo nella società ed è questa che decide cosa fare e come (il lavoratore è un cittadino in senso pieno e reale: nel socialismo vi è la partecipazione organizzata e stimolata delle persone alla gestione della società). Ogni singolo lavoratore e singola unità produttiva eseguono un piano: ma come lavoratori organizzati partecipano all’elaborazione del piano, alla sua gestione e al bilancio della sua esecuzione. Senza partecipazione attiva dei lavoratori si ha capitalismo di stato e non socialismo. Nel socialismo ognuno viene educato, incoraggiato e stimolato a partecipare attivamente alla gestione della società. Quello che per i capitalisti è un problema (gli operai che vogliono sapere, conoscere il processo produttivo, che vogliono capire il perché delle cose), nel socialismo viene invece incoraggiato e stimolato. Questo fu uno dei campi principali da cui iniziò la rottura del revisionismo moderno con la costruzione del socialismo (Kruscev e i suoi seguaci dal XX Congresso del PCUS nel 1956): l’autonomia commerciale, finanziaria e gestionale delle singole aziende, con i dirigenti che decidevano loro senza rendere conto agli operai.

 

6. Le “mille iniziative di base” e la costruzione del GBP. Un compito specifico di noi comunisti è fare in modo che ogni singola iniziativa di base, quale che tra le quattro sia la via attraverso cui ha vinto, confluisca nel movimento per la trasformazione generale del paese (costituzione del GBP, instaurazione del socialismo) e lo alimenti. Ogni singola iniziativa può durare solo se si moltiplica e se crea il contesto nazionale e internazionale necessario alla sua vita. Di seguito indico alcuni dei modi per farlo:

- far valere che il fattore essenziale della vittoria sono state in ogni caso la volontà di vincere e l’organizzazione della parte di operai (o altri lavoratori) determinati a vincere, la creazione di alleanze le più vaste possibili, il legame con il movimento politico e il suo apporto;

- far valere il ruolo importante della direzione della sinistra sindacale che non si limita a criticare la destra, a denunciare la sua linea di resa, ma prende in mano la direzione e promuove la lotta;

- quando vi è il subentro di un nuovo capitalista, far emergere le condizioni specifiche e concrete che hanno reso possibile tenere aperta quell’azienda attraverso il subentro, in modo che sia chiaro che è una strada ma non l’unica e che in quel caso è stata possibile per motivi precisi che in altre aziende possono non esserci: quello che è comune è la volontà dei lavoratori di vincere e la loro organizzazione;

- non considerare finita la battaglia con la ripresa della produzione della propria azienda: gli operai hanno concluso vittoriosamente una fase, ma finché non avranno costituito un GBP e, ancora di più, finché non avranno sostituito all’azienda creata e gestita dal capitalista per aumentare il suo capitale l’unità produttiva costruita e gestita dai lavoratori organizzati (finché non avremo instaurato il socialismo), non avranno vinto la guerra;

- non c’è via di salvezza individuale o di piccolo gruppo. Proprio per questo la lotta prosegue sotto forma di sostegno alle lotte di altri operai alle prese con lo stesso problema, dei disoccupati e dei precari, ecc. e di promozione/partecipazione al movimento generale per costituire un governo che assegni a tutti gli adulti un lavoro utile e dignitoso, affidi a ogni azienda compiti produttivi, ecc.;

- creare forme di coordinamento tra gruppi di operai e altri lavoratori, disoccupati, ecc. per potenziare quanto ogni gruppo fa, valorizzare le iniziative di lotta e gli insegnamenti di altri organismi e movimenti, mettendole in connessione, rafforzando in ognuna la coscienza della propria importanza, delle proprie possibilità e della propria forza, dando modo a ogni organizzazione di imparare e insegnare alle altre, di sostenersi a vicenda, di mettere in comune conoscenze, esperienze e strumenti di lotta;

- mettere a contribuzione per altre aziende chiuse, a rischio chiusura o ridimensionamento, gli amministratori, gli esponenti politici, i tecnici, ecc. che sono stati solidali con quella lotta specifica e hanno contribuito alla sua vittoria;

- far valere il peso che ha sul rapporto di forze il legame che nella lotta si crea tra i lavoratori più avanzati e noi comunisti: i padroni e il clero hanno paura che i comunisti ritornino alla testa delle masse popolari, che il movimento comunista ritorni forte come lo era diventato alla metà del secolo scorso.

 

Conclusioni. La crisi andrà avanti. Sempre più numerosi saranno i casi in cui i lavoratori dovranno costruirsi le condizioni del proprio lavoro. Si tratta di mettere in campo iniziative di autogestione e autorganizzazione, ACE/ALE, ecc.: le quattro vie sopra indicate. Nel contempo questo deve servire a costruire il GBP, perché queste iniziative hanno prospettiva di durata e di sviluppo solo se creiamo il contesto nazionale e internazionale adatto. La crisi del capitalismo la risolveremo definitivamente solo con l’instaurazione del socialismo nei paesi imperialisti, a partire dallo sconvolgimento e rovesciamento a livello mondiale dei rapporti di forza tra borghesia imperialista (in sostanza la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti) e le masse popolari con il loro nucleo principale, la classe operaia. Uno sconvolgimento dei rapporti di forza a livello mondiale che con ogni probabilità si determinerà a partire dal primo paese imperialista in cui le masse popolari instaureranno un loro governo d’emergenza. Di esso abbiamo delineato i contorni e l’azione chiamandolo Governo di Blocco Popolare e abbiamo indicato come creare le condizioni per costituirlo e farlo almeno provvisoriamente ingoiare ai vertici della Repubblica Pontificia, come soluzione provvisoria al fatto che le masse popolari impediscono loro di governare il paese con i mezzi di cui dispongono.

Proprio perché la crisi in corso non ammette altra soluzione che l’instaurazione del socialismo, noi comunisti e tutti gli elementi avanzati dobbiamo mettere in opera da subito iniziative e operazioni con cui le masse popolari fanno almeno in qualche modo fronte ai bisogni immediati e nello stesso tempo passo dopo passo creano in se stesse l’organizzazione e la coscienza necessarie per instaurare il socialismo: il tutto nonostante l’opposizione e la repressione messe in opera dalle classi dominanti.

Vera Z.