Ritorna all'indice de La Voce 47  /-/ Ritorna all'indice completo dei numeri de La Voce


La Voce 47

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI

luglio 2014


Lotta di classe e instaurazione del socialismo

Dove sono i nostri dei CCW
e concezione comunista del mondo

Un primo passo è importante, seguiranno gli altri


Il libro dei Clash City Workers è un buon manuale per i compagni del (nuovo) PCI e della sua Carovana che vogliono conoscere la consistenza della popolazione italiana e la sua distribuzione tra generi, classi d’età, nazionalità, zone territoriali, tipo di attività e i rispettivi problemi contrattuali e rivendicativi (di organizzazione e azione sindacale) negli anni correnti: un quadro a grandi linee del contesto generale della nostra lotta. Quindi ne consigliamo la lettura (ed. LaCasaUscher, 10€).

Inoltre ai fini della nostra opera e della lotta di classe come noi l’intendiamo, il libro presenta tre pregi di fondo.

1. Afferma che in Italia esiste ancora una numerosa classe operaia, quindi, diciamo noi, capace di assumere il potere in ogni angolo del paese, se ha la coscienza e l’organizzazione necessarie. Quella dei CCW non è una presa di posizione banale, dato che da anni la sinistra borghese ha largamente intossicato la coscienza delle masse popolari politicamente attive con la tesi che non esistono più classi sociali e in particolare con la tesi che la classe operaia è ridotta a un’entità irrilevante se non del tutto scomparsa. Esponenti di punta e dichiarati di questa manipolazione delle coscienze sono stati Toni Negri e Marco Revelli (quest’ultimo però ha fatto pubblica ammenda della sua concezione dopo le lotte del 2010 degli operai FIAT di Pomigliano contro il piano Marchionne).

2. Afferma, sia pure confinandolo in una nota a pie’ di pagina (nota 6 pag. 23), che “la forza della classe operaia negli anni 60-70 [più indietro e oltre i confini nazionali i CCW non spingono l’esperienza da cui attingono] non era ... dettata tanto dal numero, ma dalla sua coscienza e dalla sua organizzazione”. Questo è un punto importante della concezione comunista del mondo. La coscienza e l’organizzazione sono i fattori che trasformano il proletariato in una forza politica invincibile (Marx, Indirizzo inaugurale dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori (I Internazionale), settembre 1864 - Opere Complete vol. 20, pag. 14). È una tesi fondamentale per andare oltre il livello elementare e spontaneo (rivendicativo, sindacale) della lotta di classe, per assolvere al compito di fare della classe operaia la nuova classe dirigente del paese.

3. Che la struttura di classe della società italiana si è semplificata e va semplificandosi: “la classe [un termine che nel linguaggio interclassista dei CCW indica quell’insieme di classi che noi nel nostro Manifesto Programma (cap. 2.2. L’analisi di classe della società italiana) chiamiamo masse popolari] oggi è molto più omogenea che in passato e nei prossimi anni lo sarà sempre di più” (pag. 191).

Questi e altri pregi di minor rilievo ci fanno considerare l’elaborazione e la pubblicazione del libro un passo in avanti dei CCW: da studenti e intellettuali che sostengono le lotte rivendicative delle masse popolari a comunisti. Non dubitiamo che altri passi seguiranno, perché la rivoluzione socialista che il nostro Partito promuove in Italia secondo la strategia della Guerra Popolare Rivoluzionaria e la seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo spingono in avanti tutti quelli che non vogliono retrocedere nel letamaio della mobilitazione reazionaria. Chi si ostinerà a sostenere che promuovere conflitto e lottare è tutto e il fine è nulla (la vecchia parola d’ordine di Eduard Bernstein), finirà inevitabilmente fuori corso.

 

Il libro dei CCW presenta però limiti che sarebbe sbagliato tacere, proprio ai fini dell’obiettivo che gli autori dichiarano e ai fini dei compagni ai quali ne consigliamo la lettura. Ne indichiamo i tre principali.

Gli autori di passaggio si dichiarano comunisti e persino marxisti e addirittura leninisti, ma al modo in cui è d’uso nella parte più di sinistra della sinistra borghese, cioè nella parte più a sinistra di quegli intellettuali e organismi che sono contrari all’attuale assetto sociale e sostenitori dichiarati delle aspirazioni e dei diritti delle masse popolari che la Repubblica Pontificia sta cancellando, ma a vario titolo hanno rotto con il movimento comunista cosciente e organizzato: rifiutano o ignorano il suo patrimonio teorico e non fanno tesoro dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria che nella prima parte del secolo scorso si è sviluppata in tutto il mondo. Infatti i CCW non assumono il marxismo come scienza materialista dialettica della società.

Gli esponenti dei CCW che non considereranno queste mie affermazione come un insulto (e non lo sono), ma cercheranno di capirne il senso, converranno con me. Cerco quindi di spiegarlo.

1. Gli autori del libro dividono i lavoratori in base all’attività economica che svolgono, intesa come il processo lavorativo a cui sono addetti: quali beni e servizi producono. La divisione ATECO (ATtività ECOnomica) di ISTAT E di EUROSTAT è la divisione base a partire dalla quale esaminano le condizioni dei vari gruppi di lavoratori e definiscono il lavoro che vi dovrebbe svolgere chi vuole “fare la rivoluzione e instaurare un diverso modo di produzione” (pag. 192). Una delle tesi base del marxismo è invece che protagonisti principali della trasformazione della società, attori delle lotte che ne determinano la trasformazione, sono le classi in cui gli uomini sono divisi (le classi sociali), le classi determinate dai rapporti di produzione. Gli autori parlano dei rapporti di produzione (a pag. 13 nota 3 citano addirittura Lenin, La grande iniziativa e la sua classica definizione di classe), fanno riferimenti a Marx (note 1 pag. 11 e 2 pag. 13). Ma quando si tratta di ricostruire la “anatomia del lavoro dipendente” e la “struttura produttiva italiana”, quello che considerano sono le divisioni tra lavoratori dipendenti e lavoratori non dipendenti secondo le sentenze della Corte di Cassazione (pag. 147 nota 1) e le divisioni per attività lavorativa secondo l’ISTAT: quali beni o servizi producono, a quale attività sono addetti. Ignorano i rapporti di produzione che (come gli stessi CCW fanno dire a Marx nella nota 2 pag. 13) sono qualcosa di cui l’attività lavorativa diretta è solo un aspetto e neanche il principale.

Questa adesione di fondo a una visione empirica della società (la realtà è ciò che si vede, la superficie, ciò che si dà a vedere) è tipica della sinistra borghese ed indicativa della sua soggezione ideologica alla borghesia, della sua adesione alla concezione borghese del mondo: è da almeno 150 anni che la borghesia rifugge dall’indagare a fondo i rapporti sociali, dalla scienza della società e del suo divenire intesa come studio e comprensione dei modi di produzione e dei rapporti di produzione, perché questa scienza mostra la fine inevitabile del capitalismo e l’avvento parimenti inevitabile del comunismo. Questa adesione di fondo a una visione empirica della società è alla base dello sviluppo del discorso dei CCW: la lotta di classe cui i CCW fanno riferimento nel loro libro è la lotta rivendicativa e sindacale (ovviamente combattiva, conflittuale, senza adesione a compatibilità e concertazione), quella che anche la borghesia e le sue istituzioni (uffici personale, ministeri, sindacati) ammettono, un aspetto del mercato: quindi in definitiva le vertenze, i contratti di lavoro e la legislazione del lavoro. Effettivamente i contratti di lavoro e la legislazione del lavoro sono costruiti sulla base delle attività lavorative, non sulle classi e i rapporti di produzione. Proprio per questo Dove sono i nostri è un manuale utile per chi ha bisogno di farsi una visione panoramica delle attività lavorative e dei conseguenti problemi relativi a contratti di lavoro e legislazione del lavoro: sarebbe invece fuorviante per chi lo prendesse come analisi della società, dei rapporti di produzione che della società sono la struttura portante.

2. Il secondo punto della dimostrazione della estraneità dei CCW al movimento comunista cosciente e organizzato è la posizione che essi assumono, nel loro libro in questione, circa l’origine della coscienza e dell’organizzazione. Dopo aver affermato, come sopra citato, che “la forza della classe operaia negli anni ’60-’70 ... era ... dettata ... dalla sua coscienza e dalla sua organizzazione”, logica vorrebbe che gli autori dicessero come si formano coscienza e organizzazione della classe operaia: come si erano formate, come sono scomparse, se e come possono ricomparire.

Proprio su questa questione il movimento comunista cosciente e organizzato ha fatto il salto dal marxismo al leninismo. Con il Che fare? di Lenin (1902) e con la conseguente lotta del partito comunista che Lenin diresse, il movimento comunista cosciente e organizzato si è liberato dalla concezione che coscienza e organizzazione nascono negli operai a causa del rapporti di produzione o che addirittura nascono dall’attività lavorativa che svolgono, quindi spontaneamente. La coscienza è portata alla classe operaia dall’esterno delle sue condizioni di lavoro e di vita, è portata dal Partito comunista la cui essenza è di essere depositario ed elaboratore della concezione comunista del mondo e di usarla per trasformare il mondo come un medico usa la scienza medica per guidare la popolazione a liberarsi da una epidemia.

La concezione comunista del mondo è il risultato massimo a cui gli uomini sono giunti nella comprensione della loro vita sociale: è un prodotto di uomini che pensano. Pensare è una specifica attività che gli uomini hanno sviluppato passo dopo passo nel corso dei millenni. Pensare non è come cagare, titolava giustamente un Avviso ai naviganti del CC del (n)PCI (4 agosto 2013) rivolto ai promotori dell’Assemblea “Uniti si vince”, tenuta a Napoli il 29 luglio. Questa specifica attività umana (pensare) richiede strumenti e condizioni adeguati e suoi propri.


*** manchette ***


Lenin sviluppa in esteso nel capitolo III di Che fare? www.nuovopci.it/classic/lenin/chefar3a.htm, intitolato La spontaneità delle masse e la coscienza della socialdemocrazia l’argomentazione contro i suoi contemporanei fautori delle concezioni 1. che la coscienza necessaria per “fare la rivoluzione e instaurare un diverso modo di produzione” si sviluppa spontaneamente negli operai e 2. che la lotta sindacale è la base o la parte fondamentale di questa lotta: cioè contro i fautori di due delle tesi che oggi i CCW candidamente ripetono come verità ovvie in un libro che vari recensori hanno presentato come “opera scientifica”.


*** ***



Proprio per la divisione della società in classi, la classe dominante esclude da essi le masse popolari e in particolare la classe operaia. Le condizioni oggettive di lavoro e di vita, il rapporto di produzione in cui sono inseriti (non la specifica attività lavorativa - esempio: coltivare un campo per farci crescere orzo - che può essere svolta e infatti è stata svolta nell’ambito di modi di produzione del tutto diversi: dallo schiavo, dal servo della gleba, dalla famiglia patriarcale, dal contadino libero produttore di merci, dal mezzadro, dal salariato agricolo) rendono gli operai in massa capaci di assimilare e usare come guida della propria lotta la concezione comunista del mondo. Ma assolutamente non li rendono capaci di pensare al livello superiore a cui occorre farlo per arrivare a una comprensione scientifica, cioè materialista dialettica, della società umana in generale e della società borghese in particolare. Da qui nasce che per il successo della loro lotta di classe agli operai sono indispensabili il Partito comunista e il suo ruolo di organizzatore, promotore e dirigente della lotta di classe. Che non basti dichiararsi comunisti e Partito comunista, la prima ondata della rivoluzione proletaria lo ha ben mostrato, come ha mostrato anche i limiti per cui i partiti comunisti dei paesi imperialisti non sono arrivati a instaurare il socialismo. Ma ha anche mostrato che chi non era comunista non è andato oltre, anzi! Noi comunisti abbiamo subito una sconfitta: i non comunisti hanno sbagliato strada! Noi comunisti non siamo riusciti a creare coscienza e organizzazione a livello sufficiente, ma si è anche confermato che né la lotta né le sciagure creano di per sé, fanno sorgere spontaneamente coscienza e organizzazione.

Tutto questo non viene affrontato dagli autori di Dove sono i nostri. Non solo, ma è una problematica a cui restano del tutto estranei. Proprio per questo da una parte (pag. 20) scrivono che “è infatti un certo modo di produzione a creare determinate classi sociali, determinate relazioni fra le classi [e fin qui siamo d’accordo, precisando che il modo di produzione non crea, ma comporta, implica, consiste nell’esistenza di determinate classi sociali e di determinate relazioni fra le classi], una certa coscienza e percezione di sé ...” [e qui proprio non ci siamo!]. Ma proprio perché per gli autori il problema dell’origine della coscienza che fa forte la classe operaia è irrilevante, non è un problema, questo non esclude che in altre parti del libro compaiano qua e là affermazioni che a rigor di logica implicano una concezione opposta (che la coscienza viene portata agli operai dall’esterno), che alludono a una coscienza che non c’è e che i CCW si propongono di portare, di creare: “la prima indicazione pratica che emerge dunque dalle nostre pagine è quella di ricostruire la filiera, agendo su ogni punto di essa per creare l’alleanza più vasta possibile fra i lavoratori coinvolti in questa produzione ‘estesa’” (pag. 180). Quindi ricostruzione della filiera, alleanza ecc. che non sorgono spontaneamente tra i lavoratori coinvolti. Ci sono nel libro molti altri passaggi di questo genere che rimandano, anche più esplicitamente di quello che ho riprodotto, al bisogno di portare agli operai coscienza e organizzazione dall’esterno. Ma ci sono altrettanti passaggi che dicono il contrario o comunque presuppongono una concezione contraria. Come se la questione fosse irrilevante benché definire cosa fare sia l’obiettivo dichiarato del libro.

Stante che questa è una questione capitale per il movimento comunista, non trattarla, trattarla in modo eclettico dicendo una cosa e anche il suo contrario nella stessa pagina e in qualche pagina prima o dopo, vuol dire estraneità al movimento comunista. Vuol dire posizionarsi in una fase primitiva del movimento comunista, quando lo sviluppo della lotta di classe non aveva ancora fatto di questa questione una questione discriminante. 

3. Un terzo punto è l’impiego di categorie proprie (l’impiego di termini nel significato proprio) della cultura corrente e addirittura del diritto e della legislazione borghesi invece di usare le categorie proprie del marxismo. Che è come voler descrivere le relazioni della società attuale impiegando le categorie della religione cattolica e del codice di diritto canonico. Quando vogliono precisare cosa intendono per operaio, per lavoratore dipendente e indipendente, per lavoro produttivo e improduttivo, per valore, per profitto, ecc. gli autori sistematicamente ricorrono alle definizioni mistificanti degli istituti di Statistica, dei magistrati, dei vocabolari, dei legislatori borghesi. E non è casuale: avendo saltato la questione del modo di produzione capitalista, dei rapporti di produzione suoi propri e della rispettive evoluzioni che hanno avuto nel tempo (cioè i capitoli chiave dell’analisi della società borghese fatta dal movimento comunista cosciente e organizzato), è giocoforza rifarsi alle categorie correnti della cultura borghese (è quello che più frequentemente fanno gli autori) oppure, nei rari casi in cui usano termini propri del marxismo, rifarsi a versioni primitive del marxismo: alle “categorie più semplici che esprimono i rapporti dominanti in una società meno sviluppata” che non l’attuale società imperialista o “i rapporti che in una società più sviluppata sopravvivono come rapporti secondari, rapporti che storicamente esistevano prima che la società si sviluppasse nella direzione espressa da una categoria più concreta” (vedi Il metodo dell’economia politica, in K. Marx Grundrisse pag. 27 ed. Einaudi 1976 e passim). Che oggi il capitale finanziario si valorizzi è indubbio come è indubbio che si valorizza senza passare attraverso l’operaio che produce valore e plusvalore producendo merci (beni o servizi). Oggi un lavoratore “produce valore” perché è impiegato in una unità produttiva montata e gestita dal capitalista per valorizzare il suo capitale, non per quello che fa lui personalmente: personalmente lui fa quello che il padrone o la sua gerarchia gli dicono di fare.

 

È congruente con questa estraniazione dal movimento comunista cosciente e organizzato, dall’esperienza storica della prima ondata della rivoluzione proletaria e dal suo patrimonio di concezioni e di metodi, che i CCW riducano il che fare alla “politicizzazione delle lotte rivendicative”. Dove con questa espressione intendono non solo che la lotta rivendicativa (il lavoro sindacale) qui e ora (cioè proprio in una fase in cui le conquiste che con la lotta rivendicativa i lavoratori riescono a strappare sono quanto mai ridotte se non nulle) è l’attività principale a cui deve dedicarsi chi vuole “fare la rivoluzione e instaurare un diverso modo di produzione” (pag. 192), ma che il suo lavoro deve essere “la definizione quanto più chiara possibile dell’interesse proletario” (pag. 200), “la denuncia sistematica e la manomissione di ogni istituto di incontro tra associazioni padronali e rappresentanze dei lavoratori” (pag. 196), “l’opposizione al neocorporativismo” in attesa dell’offensiva, diffondere tra i lavoratori la conoscenza che altri lavoratori stanno anche loro combattendo la stessa battaglia contro “la figura padronale egemone” (pag. 180), coordinare le lotte, creare ed estendere il conflitto e, la perla, “la costruzione della coscienza di classe prima della proposta di qualsiasi ‘soluzione’” (pag. 200).

Se i CCW arriveranno a studiare l’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, se impareranno dalle ripetute sconfitte cui va incontro qui e oggi la lotta rivendicativa (il lavoro sindacale), si renderanno conto che le masse popolari (“la classe” nel loro linguaggio interclassista) dispiegano al massimo grado la loro combattività anche nelle lotte rivendicative solo quando hanno alla testa il Partito comunista che indica la soluzione dell’instaurazione del socialismo e costruisce la rivoluzione socialista: infatti in questo caso anche se nelle lotte rivendicative subiscono sconfitte, non si deprimono e disperdono, ogni sconfitta diventa scuola di comunismo e rafforza la lotta politica, che, al di là di fumisterie, simbolismi e allegorie, è la lotta per la conquista del potere (del governo della società) e l’instaurazione del socialismo. Quindi il compito fondamentale qui e ora è la costruzione del Partito comunista, capendo e risolvendo tutti i problemi che questo comporta in un paese imperialista e compiendo tutti i passi a ciò necessari.

 

Infine vale la pena spendere qualche parola a proposito delle presentazioni e recensioni di Dove sono i nostri. Alcune hanno detto cose sagge. Una per tutte è la recensione Cosa fanno “i nostri”? Lavorano... di Francesco Piccioni, pubblicata su Contropiano online domenica 9 marzo 2014: una recensione che merita di essere letta per se stessa, indipendentemente dal libro dei CCW cui si riferisce. Certamente molte altre contengono sparse qua e là anche affermazioni importanti e giuste. Ma un elemento presente in quasi tutte è l’esaltazione di Dove sono i nostri come di un’opera scientifica. Perché scientifica?

Alcune presentazioni e recensioni lo dicono anche espressamente: perché non racconta opinioni, ma le dimostra facendo grande uso di numeri, di tabelle, di dati, di diagrammi e di immagini. E in effetti il libro ne è zeppo, tratti da questo e da quello (saltando senza criterio dall’uno all’altro) dei 1.427 istituti pubblici, semipubblici, privati e semiprivati, con o senza fine di lucro o tali sedicentisi che, copiandosi tra di loro in alcuni casi ed elaborando con criteri propri in altri, sfornano numeri, tabelle, dati, grafici e immagini che schiaffano in Internet a disposizione dei gonzi che li prendono per oro colato e li usano a “dimostrazione” di qualunque opinione vogliono dimostrare. Perché per ogni opinione si trova in Internet qualche dato a sostegno. La sofistica è un’arte antica.

Noi comunisti per opera scientifica intendiamo la ricostruzione nella mente del mondo concreto come sistema di determinazioni e di relazioni, quindi un’attività di pensiero in cui dalle categorie più semplici, fissate e astratte analizzando il mondo reale, si risale alle categorie più complesse fino a ricostruire il mondo concreto come totalità ricca di molte determinazioni e relazioni. Insomma una costruzione fatta secondo quello che Marx, nel passo già citato dei Grundrisse, chiama “metodo scientificamente corretto”. Questa è anche la scienza che consente, a chi la possiede e ne fa uso, di trasformare il mondo e il successo della sua opera di trasformazione è quello che si chiede sia alla scienza sia al metodo con cui nel contesto concreto la si è applicata. Non sono numeri, tabelle, dati, diagrammi e immagini che fanno di un libro un trattato scientifico e della sua elaborazione un’opera scientifica.

Nicola P.