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La Voce 47

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVI

luglio 2014

Cura e formazione degli uomini e delle donne


Trattare le divergenze tra compagni politicamente e non come contrasti personali

Cinque passi per orientarsi e orientare nel trattare le contraddizioni nel Partito


Imparare a pensare significa anche comprendere che in ogni cosa c'è una contraddizione ("senza contraddizione non c'è vita") e che è l'unità e lotta tra i due poli della contraddizione a determinarne il movimento e lo sviluppo ("la lotta è costante, l'equilibrio è momentaneo").

L'emergere di contraddizioni nella nostra attività, con i compagni, con i collaboratori, con gli organismi con cui operiamo, tra le classi che compongono le masse popolari (contraddizioni in seno al popolo), tra noi e la borghesia imperialista e il Vaticano (contraddizioni tra noi e il nemico) e tra gruppi che compongono la classe dominante (contraddizioni inter-borghesi) deve essere concepita, dobbiamo imparare a concepirla come una forma normale, inevitabile del processo concreto della lotta di classe e non come un incidente di percorso, un problema, una seccatura. La lotta di classe è di per sé una contraddizione: tra borghesia imperialista e classe operaia (la contraddizione dirigente della nostra epoca e nel complesso principale), tra gruppi imperialisti e popoli oppressi (la contraddizione derivata dalla contraddizione dirigente), tra gruppi imperialisti (contraddizioni secondarie). La crisi generale è in sé una contraddizione: è distruzione e guerra di sterminio non dichiarata che la classe dominante conduce contro le masse popolari e, allo stesso tempo, origine e alimento della situazione rivoluzionaria in sviluppo. Il capitalismo in sé è una contraddizione: negazione della libertà per i proletari e loro oppressione e, allo stesso tempo, creazione dei presupposti oggettivi del socialismo. Il socialismo a sua volta sarà una contraddizione: fase di passaggio dal capitalismo al comunismo (all'estinzione delle classi sociali perseguita attraverso la collettivizzazione dei mezzi di produzione e la riorganizzazione delle produzione secondo gli interessi delle masse popolari, la dittatura del proletariato e lo sviluppo dei germi di comunismo).

"Educarci ed educare alla lotta di classe", significa esattamente imparare a vedere le contraddizioni, comprenderle e trattarle in modo avanzato, anziché temerle, cercare di evitarle, in definitiva subirle. Significa far sviluppare le contraddizioni positivamente (anziché in modo negativo, arretrato, distruttivo) e volgerle a favore della nostra impresa: fare dell'Italia un nuovo paese socialista.

Oggi siamo ancora lontani dal vedere le cose con quest'ottica e ancor di più dall’utilizzare questo orientamento nella nostra azione: al nostro interno le contraddizioni sono viste ancora principalmente come dei problemi, delle "grane" di cui si farebbe volentieri a meno.

Il nostro pensiero non è ancora dialettico, ma schematico (metafisico, materialista volgare). Abbiamo ancora un approccio principalmente "resistenziale" rispetto alle contraddizioni, tendiamo a subirle. Non concepiamo la nostra azione come agenti trasformatori della realtà, che sviluppano il lato positivo della contraddizione facendolo affermare su quello negativo, modificando dal punto di vista qualitativo la contraddizione stessa. Vorremmo che le cose procedessero in maniera lineare e senza troppi problemi da sole, anziché attraverso sistematici passi avanti e passi indietro, scoperte, correzioni di rotta e rettifiche, accumuli quantitativi e salti qualitativi. Da qui l'insofferenza che dallo stomaco sale verso la mente quando ci troviamo a dover affrontare delle contraddizioni.


In questa sede non affronteremo la tematica nel suo insieme. Ci concentreremo su un aspetto specifico: come trattare le contraddizioni al nostro interno quando si presentano divergenze di vedute, di analisi, di valutazioni tra compagni rispetto all'attività che conduciamo.

Nel condurre la nostra attività ci troviamo costantemente ad affrontare le tre contraddizioni che compongono il campo della conoscenza: vecchio e nuovo, vero e falso, concezione borghese e clericale e concezione comunista. Ogni nuovo passo in avanti che facciamo fa emergere una di queste contraddizioni o una combinazione specifica tra di esse. È normale, quindi, che emergano delle vedute differenti. In base al tipo di divergenze che emergono si sviluppa una specifica lotta tra le due linee, che è fonte di progresso e sviluppo per il nostro Partito e per la Carovana.(1)


1. A proposito della lotta tra le due linee, vedere L’ottava discriminante in La Voce 10, pagg. 35-42.


Al nostro interno oggi discutiamo poco di politica e nelle riunioni spesso ci concentriamo sui singoli aspetti della nostra attività (ambiti e settori di lavoro, singole iniziative e mobilitazioni). Siamo poco educati a discutere e a ragionare sulla situazione internazionale, nazionale e locale e a ragionare, andando a fondo, sul nostro preciso piano d'azione nazionale, sui diversi filoni in cui si articola e sulla sua traduzione a livello locale.

Stante questa situazione, quando emergono delle divergenze tra compagni rispetto agli obiettivi, alla linea, ai metodi, agli strumenti, alla valutazione del lavoro spesso esse, anziché essere trattate dal punto di vista politico (quindi analizzate alla luce dei compiti della fase e dell'analisi del contesto in cui si interviene), diventano contrasti personali tra compagni. Laddove non prevale la concezione comunista, prevale inevitabilmente il senso comune. Questo mina l'unità del collettivo, l'efficacia della sua azione e il morale stesso dei compagni.

Data la diffusa inesperienza e la scarsa capacità che esiste al nostro interno nel trattare le contraddizioni che emergono tra compagni, riteniamo opportuno fissare cinque passi utili per orientarsi e orientare nello svolgimento di questa importante attività.

Il primo passo da fare quando si analizzano le divergenze tra compagni è quello di fissare bene qual è il settore, l'ambito, l'attività su cui si concentrano i due (o più) compagni. Questo è il primo, fondamentale passo per iniziare a scomporre il "complesso" nelle sue varie componenti, per iniziare ad analizzarlo. Se non si definisce bene l'ambito o l'attività che bisogna trattare, si inizia a "svolazzare" da una parte all'altra ed è impossibile arrivare al nocciolo delle questioni.

Il secondo passo è quello di portare i due (o più) compagni ad illustrare nel modo più compiuto possibile (l'ideale sarebbe attraverso dei contributi scritti, perché la scrittura aiuta a pensare: se non hanno dimestichezza con la scrittura e l'elaborazione, valutare l'opportunità di affiancarli in questo lavoro) la loro posizione e a fissare quali sono i due, tre punti su cui a loro avviso bisogna rettificare il lavoro e qual è il legame che secondo loro esiste tra i due, tre aspetti che mettono in luce con le loro critiche (la causa, l'origine del problema). Questo è il secondo, fondamentale passo per procedere in modo giusto e arrivare passo dopo passo a mettere in luce i punti centrali di divergenza. Senza fissare i due, tre aspetti centrali e la loro origine si lascia campo all'eclettismo e al procedere a "ruota libera", a dire una cosa e il suo contrario, ecc.

Il terzo passo è quello di portare i due (o più) compagni ad indicare nel modo più preciso possibile (anche in questo caso l'ideale sarebbe per iscritto) qual è la strada che secondo loro bisogna seguire per rettificare il lavoro e perché (quindi: quali obiettivi bisogna perseguire e quali sono l’una o due operazioni da fare per iniziare ad avanzare verso il loro raggiungimento). Questo è il terzo, fondamentale passo per procedere in modo adeguato e insegnare ai compagni a non denunciare solo i problemi, ma a portare fino in fondo le loro analisi e a riflettere sulle soluzioni.

Il quarto passo è quello di analizzare ciò che dicono i due (o più) compagni alla luce:

- della nostra analisi della situazione internazionale, nazionale e locale (ogni attività si colloca in un contesto, non è avulsa dalla lotta di classe: anche se la scarsa abitudine a discutere e a ragionare di politica al nostro interno porta spesso a non considerare ciò che facciamo in connessione con la lotta di classe),

- dei nostri compiti nazionali e locali in questa fase (ogni attività deve essere finalizzata alla loro realizzazione e la sua efficacia si misura sulla base di quanto contribuisce al loro conseguimento: anche in questo caso la scarsa abitudine a discutere di politica al nostro interno porta a ridurre gli obiettivi del Partito ad uno slogan che si ripete per poi impostare un'attività che non è pensata e condotta per raggiungerli),

- del nostro orientamento generale rispetto all'intervento nel settore, ambito, attività oggetto di analisi (la nostra attività locale è in funzione di quella nazionale e risponde a determinati obiettivi, principi, criteri, linee: nel valutare l'azione che si svolge bisogna partire dagli obiettivi e dall'orientamento del Partito rispetto al campo specifico oggetto di analisi),

- dell'orientamento e degli obiettivi che a livello locale perseguiamo rispetto all'intervento nel settore, ambito, attività oggetto di analisi,

- delle caratteristiche soggettive del collettivo in cui queste contraddizioni emergono (ogni collettivo ha delle sue specificità di cui bisogna tener conto: una sua storia, un suo percorso, le trasformazioni che ha attraversato, una sua composizione, un suo ruolo nella lotta di classe che si sviluppa nella zona in cui opera, i suoi limiti e i suoi aspetti positivi).

Solo tenendo conto dell'insieme di questi cinque aspetti possiamo analizzare bene il contenuto delle divergenze. Le divergenze, in sintesi, vanno trattate alla luce della nostra analisi della situazione, del nostro preciso piano d'azione, del contesto in cui operiamo.

Per fare un esempio: se trattiamo delle divergenze che emergono tra due compagni sul Lavoro Operaio e non teniamo conto degli obiettivi che il Partito persegue in questa fase (creazione delle 3+1 condizioni e accumulazione delle forze), dell'obiettivo che ha definito nello specifico del Lavoro Operaio (costruire CdP nelle grandi aziende capitaliste, creazione e intervento sulle Organizzazioni Operaie, attuazione della linea "occupare le fabbriche, uscire dalle fabbriche"), della situazione specifica a livello territoriale, della situazione specifica delle nostre forze e della linea particolare per il Lavoro Operaio che abbiamo definito a livello locale, giriamo a vuoto e il dibattito diventa un circo equestre dove ognuno dice quello che vuole, senza tener conto del Partito di cui fa parte, degli obiettivi del Partito e senza tirare le conclusioni operative delle sue valutazioni.

Il ruolo del dirigente è fondamentale per trattare in modo adeguato queste contraddizioni. Se lui stesso non ha le idee chiare in merito, deve sviluppare un ragionamento alla luce dei cinque punti in cui si scompone il quarto passo. Il dirigente deve essere il primo a "mettere la testa" in questo ragionamento (confrontandosi anche con il Centro se ha dubbi, perplessità, ecc.). Se non lo farà, inevitabilmente il dibattito non andrà a buon fine (si svilupperà senza direzione) e, anziché favorire l'elevazione dei compagni e quella del collettivo di cui fanno parte, alimenterà la contrapposizione personale tra compagni e indebolirà l'organismo.

Il quinto passo è quello di giungere ad una sintesi del dibattito, definire la linea da seguire e attuarla. Quando si sviluppa un dibattito di questo tipo, bisogna giungere necessariamente alla definizione dell'orientamento, degli obiettivi e della strada da percorrere e attuarla poi nella pratica.

Il dibattito può articolarsi anche attraverso una o anche più riunioni (con rispettivi contributi scritti) se la situazione lo richiede. Ma ad un certo punto deve concludersi e bisogna giungere a delle decisioni. Il dibattito non è fine a se stesso (non siamo dei perdigiorno che non sanno come impiegare il loro tempo) e neanche un "regolamento di conti" tra compagni o uno "sfogatoio". Il dibattito serve per costruire un'unità superiore ed elevare la nostra azione di agenti trasformatori della realtà.

Un dibattito che non si conclude con una sintesi, che quindi "resta sospeso in aria" è diseducativo e alimenta demoralizzazione, sfiducia tra i compagni, facendo sviluppare negativamente la contraddizione insoluta che alla prima occasione salterà di nuovo fuori.

Anche nel compiere questo quinto passo il ruolo del dirigente è decisivo. È sua la responsabilità di far giungere il dibattito ad una sintesi il più avanzata possibile e di tradurla poi in azione concreta.

Se nonostante l'analisi collettiva e il dibattito le divergenze persistono e non si riesce a giungere ad una sintesi comune, si attua il centralismo democratico e si decide la linea a maggioranza. Una volta presa la decisione, tutto l'organismo è mobilitato al meglio delle sue possibilità e capacità ad attuarla (compresi i compagni che non condividono la linea della maggioranza). Questo è spirito da Partito. Sarà l'esperienza e il suo bilancio a permettere di verificare le decisioni prese. La verifica però sarà effettiva solo se ogni compagno dell'organismo attuerà la linea stabilita al meglio delle sue possibilità e con lealtà. È assolutamente escluso sabotare nei fatti la linea decisa mobilitandosi poco o niente, applicandola senza impegno e burocraticamente (insomma mettendo al centro se stessi e la volontà di affermazione individuale ["devo dimostrare di avere ragione io!"] e non del collettivo e delle sue decisioni).

Noi diamo a tutti i compagni la possibilità di formarsi ideologicamente, politicamente e moralmente, di imparare a pensare e di contribuire al meglio delle proprie capacità allo sviluppo del processo rivoluzionario. Ogni compagno può esprimersi, illustrare le sue valutazioni, critiche, autocritiche e proposte e lo aiutiamo affinché le argomenti e sviluppi al meglio. Il collettivo, alla luce della nostra concezione, del nostro preciso piano d'azione e dell'analisi del contesto, studia con serietà le analisi e proposte dal compagno e poi decide la strada da percorrere. Una volta presa la decisione, tutti i membri dell'organismo devono adottare la stessa linea, la cui efficacia sarà valutata in sede di bilancio dopo averla sperimentata nella lotta di classe. Questa è la nostra democrazia: la democrazia proletaria.

 

Vogliamo aggiungere un altro aspetto, per quanto riguarda le divergenze tra compagni e il loro divenire contrasti personali se non trattate adeguatamente.

In un collettivo in cui ci sono anche membri tra cui esistono legami familiari o affettivi, occorre prestare particolare attenzione affinché non si inneschino dinamiche di tipo familistico e sviluppare un'apposita azione di formazione o un processo di critica-autocritica-trasformazione (CAT) se queste emergono.

Allo stadio attuale del nostro sviluppo (in cui stiamo lottando per l'apprendimento, assimilazione e uso della concezione comunista del mondo), in un collettivo con queste caratteristiche spesso il personale si mescola con il politico in modo arretrato, sulla base del senso comune. La coppia, i fratelli o i cognati che fanno parte dello stesso collettivo, possono facilmente cadere in due tipi di errori.

1. L'errore di fare gruppo a sé, ossia sviluppare in separata sede, fuori dal controllo del collettivo, un dibattito in merito all'attività politica, oscillando tra lo "sfogatoio" (in sostituzione del dibattito franco e aperto finalizzato alla CAT nel collettivo), posizionamenti basati sui personalismi (legami di parentela o sentimentali) e non sulla linea, atteggiamenti protettivi (e quindi liberali) rispetto al compagno-fratello, al campagno-fidanzato o al compagno-cognato (vale anche per il sesso opposto, chiaramente). Questi sono i presupposti per la formazione di una "cricca", ossia di un organismo composto da membri del Partito ma che sfugge al controllo del Partito, che ha una vita propria fuori dai principi e dal regole del Partito (dalla democrazia proletaria), che non è leale e trasparente nei confronti del Partito e quindi lo lede, una sorta di Partito nel Partito (di frazione), che nuoce all'unità dell'organismo, al suo sano funzionamento e all'elevazione stessa dei compagni legati da vincoli familiari o sentimentali. Il sorgere di queste situazioni vanno trattate in maniera risoluta nel collettivo sul nascere, prima che si incancreniscano, sviluppando un processo di trasformazione e CAT con i compagni coinvolti. Il "quieto vivere" (liberalismo) apre le porte inevitabilmente a degenerazioni.

2. L'errore di trasformare divergenze di linea e critiche ricevute in contrasti e contrapposizioni personali, mescolando in modo arretrato e malsano il personale e il politico e alimentando l'insofferenza rispetto al fratello, fidanzato o cognato (vale anche per il sesso opposto, chiaramente) che "non mi ha dato ragione", "non mi ha difeso dalle critiche", "mi ha criticato", "non ha indicato me per svolgere quel ruolo", "non mi riconosce come dirigente", ecc. Può anche avvenire il fenomeno contrario, ossia riversare nell'attività politica contrasti personali, far diventare l’attività politica uno dei campi di battaglia in cui "far pagare" al parente o al partner cose che non vanno sul piano personale. Anche in questo caso ci troviamo nel pieno del senso comune, dei ragionamenti fatti di stomaco e infarciti di concezione borghese e clericale. Questa tendenza, come la precedente, nuoce al collettivo, al suo corretto funzionamento e alla crescita ed elevazione dei compagni coinvolti in questa dinamica. Il collettivo deve trattare e superare apertamente queste manifestazione di arretratezza, sviluppando il dibattito franco e aperto e la CAT.(2)

Nello svolgere questo intervento di CAT, il collettivo deve anche curare la formazione e l'educazione dei compagni affinché i legami personali che li uniscono si sviluppino positivamente e in modo costruttivo, alla luce della concezione comunista del mondo e non del senso comune. Anche questo significa operare per sviluppare positivamente le contraddizioni.(3)


2. Queste sono due delle forme in cui al nostro interno il familismo si esprime, interferisce con l’analisi della situazione e la definizione della linea. Esiste però una terza forma, ancora più importante, di familismo che è quella di mettere la famiglia davanti alla lotta rivoluzionaria e in contrapposizione con essa, anziché considerare la lotta per il socialismo un alimento prezioso, positivo e costruttivo per la propria famiglia (alimento ideologico, morale e culturale, fonte per un'educazione sana e avanzata per i propri figli e per la costruzione di una coppia emancipata dal senso comune clericale e borghese che soffoca l'amore e gli individui stessi, avvolgendoli in una rete melmosa di ipocrisia, insofferenza reciproca, sensi di colpa, immoralità intesa come egoismo, cinismo e noncuranza verso le sorti dell'umanità e, sempre più spesso, violenza domestica) e l'unico contributo concreto e reale in questa situazione storica per costruire un futuro migliore per i propri figli. Anziché concepire e utilizzare quindi l'attività rivoluzionaria e la concezione comunista del mondo come il faro e la guida per la famiglia, l'attività politica è considerata una sorta di hobby, di passione personale che va coltivata ma che deve interferire il meno possibile con la famiglia che vive dominata dal senso comune. L'attività rivoluzionaria, essendo concepita in questo modo, è subordinata agli "interessi della famiglia" e i criteri e principi seguiti sul piano morale, pedagogico, sentimentale, ecc. sono i dettami del "buon genitore" e del "buon marito (o moglie)" stabiliti dal senso comune borghese e clericale (quindi dalle classi dominanti). Esiste una scissione tra personale e politico, una doppia morale (quella professata e quella seguita) che costituisce una vera e propria zavorra appesa al collo dei compagni, che influisce negativamente sulla propria trasformazione, sulla propria opera e anche sull'azione che sviluppano nella propria famiglia. Trattare questa forma di familismo e guidare i compagni ad impostare la propria vita (e su questa base anche la propria famiglia) su basi più avanzate costituisce un campo fondamentale su cui concentrarci con sempre maggiore attenzione e cura in questa fase, per favorire processi di crescita e sviluppo degli uomini e delle donne del Partito e della Carovana e costruire uno Stato Maggiore all'altezza dei compiti che la situazione ci pone.


3. A questo tema in questo numero di La Voce è dedicato un apposito articolo Lettera ad un giovane compagno sul suo rapporto di coppia.



Dobbiamo imparare a vedere e a trattare le contraddizioni, con spirito d'avanguardia e con un'ottica positiva e costruttiva, superando le incertezze e le arretratezze con cui spesso ancora ci muoviamo di fronte ad esse. Ogni contraddizione contiene in sé una possibilità di sviluppo e di avanzamento, se trattata in modo adeguato (alla luce della nostra concezione e imparando dall'esperienza). Non dobbiamo temere le contraddizioni, perché sono il germe di ogni possibile trasformazione. Temerle significa temere la lotta di classe, il cambiamento, la rottura di vecchi equilibri a favore di nuove e superiori sintesi. Noi abbiamo tutto da guadagnare con lo sviluppo del processo rivoluzionario. Lasciamo la paura e l'inquietudine del cambiamento e di ciò che è nuovo e più avanzato alla borghesia imperialista e al clero, guardiamo le cose con sguardo lungimirante e con maggiore serenità.

Il comunismo è il futuro dell'umanità!