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La Voce 50 del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVII - luglio 2015

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La lezione della Grecia

 

Il capitale finanziario oggi ha assunto a livello mondiale nella realtà il ruolo del Moloch delle antiche mitologie: un mostro che si nutre di sangue umano, che i suoi sacerdoti, i proprietari e gli amministratori del mercato finanziario e le loro istituzioni, succhiano per lui dalle masse popolari di ogni angolo del mondo. Le masse popolari sono in grado di sottrarsi alle voglie del Moloch, ma farlo vuol dire anche farla finita con il loro antico modo di vivere, prendere in mano la loro via e fondare un nuovo mondo.

Era fin troppo facile prevedere che l’avventura di SYRIZA sarebbe finita o in un salto in avanti promosso dal Partito comunista greco (KKE) che ha un’eroica tradizione fatta però anche di grandi sconfitte o nel rafforzamento della mobilitazione reazionaria di cui nella Grecia esistono antiche premesse organizzative.

Oggi 16 luglio la partita è ancora aperta.

SYRIZA non si era data i mezzi per realizzare le sue promesse. Il suo successo elettorale di gennaio era il risultato della crisi del sistema politico borghese greco e dell’agitazione promossa dal KKE (che ne era la punta trainante). Questi però non indicava alle masse popolari ancora preda del senso comune generato in esse dalla prima ondata della rivoluzione proletaria mondiale e dal suo esaurimento, una prospettiva che contemporaneamente si basasse sul loro senso comune e le conducesse a superarlo proprio nel corso della lotta per realizzare quella prospettiva.

L’illusione di farla finita facilmente con l’austerità, cioè con gli effetti della crisi generale del capitalismo, semplicemente contrattando con i padroni e gli amministratori del mercato finanziario è stata crudamente distrutta dai fatti. Le masse popolari greche si ritrovano alle prese con gli effetti della crisi. I sei mesi del governo SYRIZA-ANEL sono stati una grande lezione: il nemico principale delle masse popolari greche è all’interno, in Grecia. Le masse popolari greche possono liberarsi dai loro aguzzini ma per riuscire a farlo devono anzitutto tracciare una netta linea di demarcazione tra loro e i loro aguzzini greci: SYRIZA era l’organizzazione della loro unità con essi. Trattare con i padroni e gli amministratori del mercato finanziario senza essersi dati i mezzi per stare in piedi, guadagnare tempo senza avere un piano per sfruttarlo e creare le condizioni della ripresa: ecco la via per la sconfitta.

Perché i nostri lettori riescano a leggere gli avvenimenti di questi giorni e del futuro prossimo, diamo qui di seguito alcune Note per la lettura degli avvenimenti. Per la cronaca e il bilancio dei sei mesi passati rimandiamo invece ai Comunicati CC dell’anno in corso e al n. 49 di La Voce (marzo 2015).

 

Note per la lettura degli avvenimenti e vocabolario

La trappola del Debito Pubblico

 

A quelli che si domandano come ha fatto il Debito Pubblico (1) greco a esplodere dal 2010 al 2015 nonostante gli “aiuti” che la Troika vanta d’aver dato “alla Grecia”, qui di seguito mostro il meccanismo principale che ha funzionato negli ultimi anni. Vale per la Grecia, ma vale anche per altri paesi: Italia, Spagna, Portogallo e altri.

1. Qui e nel seguito di questo testo, pubblico va inteso come “dello Stato” quindi il Debito Pubblico è il Debito Statale. Non considerare anche gli altri enti pubblici con bilancio (entrate, uscite, amministrazione, contabilità) autonomo dallo Stato (comuni, aziende proprietà dello Stato, enti pubblici, ecc.) semplifica il ragionamento senza inficiarne l’affidabilità e il risultato.

Faccio la simulazione dell’andamento delle cose in un anno qualsiasi. Le cifre (in euro) sono arrotondate e approssimative, tuttavia all’oggi realisti che quanto all’ordine di grandezza e allo sviluppo che mostrano.

 

Debito Pubblico (DP) a inizio anno: 340 miliardi costituito per ipotesi da titoli pluriennali di valore nominale complessivo 340 miliardi al 2% di interesse annuo e ognuno con una scadenza alla quale verrà rimborsato al valore nominale

Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’anno in corso: 200 miliardi. Il PIL è un indice delle attività produttive compilato secondo procedure di calcolo uniformate (standardizzate) a livello internazionale del sistema imperialista mondiale, nell’ambito delle tecniche della contabilità pubblica. È un indice il cui significato reale è dubbio, ma tuttora in uso.

Entrate dello Stato (per imposte e altro) nell’anno in corso: 100 miliardi.

Avanzo primario dello Stato (differenza tra le entrate dello Stato e tutte le spese dello Stato escluso il servizio del Debito Pubblico): facciamo l’ipotesi che nell’anno in corso ammonti a 2% del PIL, cioè 4 miliardi.

L’avanzo primario dello Stato ha in linea di massima, cioè a parità di altre condizioni, un effetto depressivo sull’attività economica di un paese a economia capitalista. Infatti lo Stato (facendo pagare imposte, tariffe e altri prelievi: voci che compongono le entrate dello Stato) riduce i soldi in mano a famiglie, imprese ed enti. Riduce quindi i soldi che essi, se vogliono, possono spendere (e spendendoli creano una domanda di merci che stimola l’offerta, cioè la produzione o l’importazione). Ma a sua volta lo Stato i soldi che incassa non li spende tutti comperando merci (beni, servizi, forza lavoro (dipendenti pubblici)) o facendo trasferimenti alle famiglie (per pensioni, sussidi e servizi gratuiti o semigratuiti: con la spesa pubblica a cui le lotte popolari avevano obbligato lo Stato, questi prelevando ad alcuni e dando ad altri faceva una parziale “redistribuzione del reddito” - cioè correggeva la distribuzione del reddito che avveniva sul mercato).

Servizio del Debito Pubblico: è l’insieme dei soldi che lo Stato spende nell’anno in corso

1. per rimborsare (al loro valore nominale) i titoli del DP che vengono a scadenza nell’anno,

2. per pagare gli interessi sui titoli del DP in circolazione (in mano a istituzioni e aziende greche o estere, banche, privati, cioè tutti i titoli che lo Stato ha emesso e non ancora ritirato): per semplicità abbiamo assunto che tutti i titoli che compongono i 340 miliardi di DP siano al 2% di interesse e 2% su 340 miliardi di DP fa 6.8 miliardi di soli interessi,

3. per pagare commissioni e provvigioni a istituzioni finanziarie e banche che a qualsiasi titolo collaborano a collocare e gestire il DP.

Assumiamo che il Servizio del DP greco nell’anno in corso sia minimo, ammonti solo al 6% del PIL (che è 200 miliardi), cioè solo a 12 miliardi. Questo implica che i titoli venuti a scadenza nell’anno in corso sono ben pochi: dato che 6.8 miliardi dei 12 del servizio al DP vanno in interessi, l’ipotesi che il servizio del DB assorbe solo il 6% del PIL implica che rimborsi, commissioni e provvigioni non superano i 5.2 miliardi (altrimenti il servizio del DP sarebbe più alto). Assumiamo pure che di questi 5.2 miliardi, ben 5 siano restituzione di titoli venuti a scadenza e che solo 0.2 miliardi vadano in commissioni e provvigioni.

Risulta che lo Stato, che nell’anno in corso ha avuto un avanzo primario del 2% del PIL (4 miliardi), pagando il servizio al DP (12 miliardi) va in deficit del 4% del PIL (cioè 8 miliardi). Dove li prende questi soldi?

O vende proprietà dello Stato (aziende pubbliche, l’esercizio di pubblici servizi (energia elettrica, acqua, ecc.), concessioni d’esercizio o di sfruttamento di risorse naturali pubbliche, beni del demanio statale) oppure li deve prendere in prestito.

Se li prende in prestito, non essendo più padrone della Banca Centrale del paese, cioè del sistema monetario del paese, lo Stato dipende dai prestatori. Deve quindi offrire loro condizioni tali che un numero sufficiente di essi gli prestino i soldi che chiede. Supponiamo che decida di prendere in prestito tutti gli 8 miliardi (quindi nell’anno in corso niente privatizzazioni né vendite di beni demaniali).

Per avere 8 miliardi di denaro fresco, deve far collocare da operatori finanziari (società finanziarie o banche a cui  paga adeguate commissioni e provvigioni) nuovi titoli sul mercato finanziario. Supponiamo che emetta titoli ciascuno da 10.000€ (come valore nominale) al 2% pluriennali (cioè a scadenza (rimborsabili) tra tot anni al loro valore nominale, sui quali lo Stato pagherà annualmente il 2% di interesse). Stante la poca fiducia che corre circa la solvibilità dello Stato greco, date le altre possibilità di investimento e dati sia il gioco tra domanda e offerta sia gli eventuali accordi (teoricamente illegali) tra operatori finanziari per “giocare al ribasso” (far abbassare il prezzo dei titoli), supponiamo che per prestare soldi allo Stato greco i proprietari di capitale finanziario vogliano ricavarci almeno il 10% annuo a copertura del “rischio” (in certi momenti hanno addirittura già chiesto il 20%). Ne risulta che un titolo di valore nominale 10.000€ al 2%, che rende quindi 200€ l’anno di interesse, lo acquistano solo se lo Stato glielo vende a (200/0.1) = 2.000€ (un titolo pagato 2.000€ che rende 200€ l’anno, rende appunto il 10%). Per avere 8 miliardi di denaro fresco lo Stato greco deve quindi emettere titoli di debito per un valore nominale complessivo di (8/2.000)x10.000) = 40 miliardi al 2%. Se i prestatori si accontentassero di un rendimento del 5% annuo, il nuovo debito ammonterebbe a (8/4.000)x10.000 = 20 miliardi. Se pretendessero un rendimento annuo del 20%, il nuovo debito ammonterebbe a (8/1000)x10.000 = 80 miliardi. Sulle pretese dei prestatori influisce fortemente il corso dei titoli del DP greco già sul mercato (che abbiamo fatto l’ipotesi ammontino a un valore nominale complessivo di 340 miliardi).

Continuiamo la simulazione supponendo che il nuovo debito sia di 40 miliardi.

Alla fine dell’anno in corso il DP dello Stato greco è diventato 340 + 40 (nuovo debito) - 5 (titoli venuti a scadenza e rimborsati) = 375 miliardi. Così esplode il Debito Pubblico greco.

In alternativa lo Stato può “fare cassa” (incassare gli 8 miliardi che gli occorrono) vendendo beni del demanio statale (dalle isole al Partenone), aziende pubbliche, concessioni per l’esercizio di servizi pubblici o per l’uso di risorse pubbliche.

La conclusione in ogni caso è che lo Stato dipende dalla comunità dei ricchi e delle istituzioni bancarie e finanziarie. Queste dispongono di molta liquidità (il totale del capitale finanziario mondiale è dell’ordine di 10 milioni di miliardi di dollari), possono influire sul corso dei titoli nel mercato finanziario, sul cambio delle valute, sulla fiducia dei ricchi e degli speculatori nello Stato greco. Gli speculatori internazionali e greci (quelli per cui l’austerità e la crisi greca sono una manna) giocano professionalmente sulla previsione del corso futuro dei titoli del DB greco. Le istituzioni finanziarie come il FMI, la BCE, le banche centrali dei singoli paesi istituzionalmente detengono forti quantità di titoli degli Stati a cui sono interessati e possono influire sul corso mettendo in vendita o comperando grandi quantità (con questo creando atmosfera di panico o di euforia (corse alla vendita o all’acquisto) nella massa degli “investitori minori (i perdenti) in titoli finanziari” che prima o poi saranno spennati).

Lo spread è la differenza moltiplicata per 100 tra il tasso di rendimento annuale effettivo (cioè l’interesse stabilito sul valore nominale del titolo, ma rapportato al corso effettivo del titolo (al suo costo effettivo)) e l’analoga grandezza per un titolo di riferimento: nel linguaggio corrente in questo periodo lo spread è riferito al bund decennale tedesco, un titolo molto richiesto e quindi con un tasso effettivo di interesse particolarmente basso (è trattato come un mezzo di risparmio e di tesaurizzazione, quindi richiesto anche a interesse zero). Se un titolo di valore nominale 1000 € al 5% (cioè rende 50€ all’anno) è acquistabile a 800 €, il suo rendimento effettivo è 50/800 = 6.25 %. Se nello stesso momento il rendimento effettivo del bund tedesco è 2.50%, lo spread è 6.25 - 2.5 = 3.75 moltiplicato cento, quindi 375.

 

Le istituzioni della Troika e affini che vantano “aiuti alla Grecia” e ricattano il governo greco per i suoi debiti in modo da aiutarlo a imporre l’austerità ai lavoratori greci (taglio delle pensioni, abolizione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, aumento di imposte indirette e di contributi, ecc.), in realtà hanno speculato e speculano sul Debito Pubblico greco: se hanno indebitato lo Stato greco per 100 miliardi in titoli nominali, in realtà hanno pagato 20 miliardi e probabilmente anche meno (la simulazione sopra descritta illustra il meccanismo che hanno seguito per indebitarlo di 40 miliardi pagandone solo 8) e anche solo al 2% di interesse annuo sul nominale (100 miliardi) hanno percepito 2 miliardi di interesse ogni anno: quindi se non hanno già avuto, in interessi, più dei 20 miliardi che hanno realmente dato, li riceveranno nel giro di pochi anni, mentre il debito dello Stato greco aumenta di anno in anno. Con buona pace di Matteo Salvini (Lega Nord) e di Norma Rangeri (il manifesto) che all’unisono spacciano al pubblico i titoli greci in mano allo Stato e ad altre istituzione italiane come “credito degli italiani nei confronti dei greci” che Salvini e seguaci vogliono far pagare a ogni costo e a cui invece i fedeli del manifesto rinunciano per non infierire sul “poveri greci” (non dice niente il nome di Onassis?).

 Tutti i finanzieri e le loro Autorità sanno che mai lo Stato greco pagherà il debito, ma cosa importa? Intanto è un’ottima macchina per tenere sotto pressione le masse popolari greche, aiutare il governo greco a spremere loro tutte le conquiste che avevano strappato e diventare padroni del suolo e delle risorse del paese (con la complicità del governo greco: Papandreu, Samaras o Tsipras il gioco non è cambiato perché non è questione di moralità e intelligenza di individui, ma di rapporti di classe, di sistema di relazioni sociali). Non durerà in eterno? I capitalisti per loro natura non possono pensare al lungo termine. “Alla lunga noi saremo tutti morti” rispondeva Keynes a chi gli chiedeva dove conducevano alla lunga le procedure che lui consigliava per l’immediato. Ogni capitalista ha il problema immediato di valorizzare il suo capitale, non di occuparsi del destino dell’umanità!

 

Quello che ho detto fin qui nella simulazione riferita allo Stato greco, vale in realtà per ogni Stato che non dispone della Banca Centrale del paese e quindi per finanziare il suo deficit dipende dai prestiti di proprietari e operatori del mercato finanziario. Quindi vale per tutti gli Stati dell’eurozona. Per l’Italia però questa situazione risale a molto prima della creazione dell’euro: il divorzio tra Stato e Banca d’Italia venne deciso nel 1981 alla chetichella con un accordo tra il Ministro del Tesoro (Nino Andreatta, sinistra DC e moroteo) e il benemerito Carlo Azeglio Ciampi (presidente della Banca d’Italia) con il tacito avallo di tutti quelli che “sapevano e tacendo acconsentivano”. Un avvenimento per i dettagli del quale rimando a Capitale finanziario ed economia reale capitalista di Ernesto V. e Nicola P. in La Voce 44 (luglio 2013).

Ma a volte per uno Stato non si tratta solo di finanziare il deficit annuale. Facciamo un esempio. Nel 2007-2008 esplose la bolla finanziaria dei crediti senza adeguata garanzia (“subprime”) praticata per alcuni anni dalle Autorità USA per far marciare l’economia. Tutto il sistema finanziario del dollaro minacciava di crollare: le banche di molti paesi avevano come loro attivi (a copertura dei prestiti che facevano: se occorreva denaro fresco vendevano i titoli “che avevano in portafoglio”) titoli che sul mercato nessuno comperava più e quindi valevano quanto la carta straccia. Di conseguenza le banche non facevano più prestiti, chiedevano rientri che chi non poteva non pagava e quindi a loro volta le banche non pagavano. Per non lasciar fallire le banche e tenere in piedi il sistema finanziario del dollaro (che le autorità e istituzioni USA in definitiva governano a loro discrezione, ma da cui tutto il mondo capitalista dipende) in ogni paese il rispettivo Stato assunse come proprio debito i titoli carta straccia che le banche avevano al loro attivo (lo Stato prese in prestito dal mercato finanziario denaro fresco per rimpolpare il capitale delle banche del paese). Il Debito Pubblico fece un balzo, tanto più che gli stessi proprietari e operatori del mercato finanziario giocarono al ribasso sui titoli che gli Stati mettevano sul mercato per risanare le banche: lo Stato per avere 100 di danaro fresco da dare alle banche, doveva collocare titoli per un valore nominale fino a due, tre, cinque o più volte tanto, quindi indebitarsi di altrettanto.

 

Finché lo Stato disponeva della sua Banca Centrale (l’istituzione che emetteva la moneta del paese, regolava la quantità di denaro in circolazione e l’attività (l’attività di prestito, gli investimenti finanziari e speculativi) delle banche del paese) le cose procedevano in altro modo. Se lo Stato chiudeva il suo esercizio in deficit (le spese superavano le entrate, supponiamo di 10 miliardi), lo Stato chiedeva alla Banca Centrale di prestargli la cifra mancante. La BC era tenuta a prestarla. In cambio lo Stato gli dava titoli pluriennali per un valore nominale complessivo di 10 miliardi al 2% di interesse (o comunque all’interesse corrente). La BC teneva in cassa questi titoli equivalenti al denaro prestato e li metteva sul mercato (li vendeva) solo se reputava opportuno farlo per drenare liquidità dal circuito monetario (avere meno denaro in circolazione). Al contrario, comperava una parte dei titoli già in circolazione se reputava opportuno aumentare la liquidità (aumentare la quantità di denaro in circolazione).

 

Abbiamo così preso in considerazione due situazioni distinte:

 1. Stato che opera tramite la Banca Centrale che in un modo o nell’altro segue le direttive dello Stato e collabora con esso, oltre a fare le operazioni necessarie per regolare la quantità di moneta in circolazione, l’attività delle banche e il cambio con le monete estere;

2. Stato che dipende dal mercato finanziario.

Il denaro è il potere sociale (potere di comandare il lavoro di altri, lavoro diretto come prestazione o nella forma dei beni che ha prodotto) che porto nelle mie tasche” diceva Marx in un’epoca in cui il denaro esisteva ancora principalmente nella forma di monete e di biglietti di banca. Questo vale ancora oggi perché l’economia è ancora capitalista e mercantile. Gli Stati europei che hanno rinunciato al potere di creare denaro attraverso la loro banca centrale, come facevano tutti gli Stati sovrani (ma ad esempio non le colonie “emancipate con riserva” come i paesi dell’Africa Francese), hanno rinunciato alla loro sovranità: anche negli affari interni al paese ognuno di essi può decidere solo nella misura in cui “il mercato finanziario” è disposto a finanziarlo.

In ambedue le situazioni siamo sempre nell’ambito di una economia capitalista: i capitalisti sono proprietari delle condizioni della produzione (mezzi di produzione, denaro, conoscenze, tecnologia e relazioni), solo loro sono in condizioni di poter prendere l’iniziativa di avviare imprese produttive di un qualche rilievo. Essi prendono una data iniziativa se prevedono di ricavarne profitti maggiori di quelli che possono ricavare per altre vie. Lo Stato e la Banca Centrale (le Autorità Pubbliche) possono solo prendere alcune iniziative (variazioni della quantità e qualità della spesa pubblica, variazioni delle domanda di alcuni beni o servizi, interventi a ostacolare o facilitare l’importazione o l’esportazione (accordi commerciali), variazione dei tassi dei prestiti bancari e degli investimenti azionari mediante interventi sulla quantità del denaro in circolazione, ecc.) con cui mirano a rendere più o meno profittevoli determinate iniziative ai capitalisti. Sta però sempre a questi prendere o non prendere l’iniziativa (l’iniziativa economica privata consacrata anche dalla Costituzione del 1947). A loro volta i capitalisti possono premere sulle Autorità Pubbliche (con campagne di opinione pubblica, con manovre parlamentari, con contribuzioni e sottoscrizioni, con la corruzione delle persone giuste, ecc.: questa è la democrazia borghese!) per fare in modo che le Autorità Pubbliche rendano più profittevoli i loro affari.

La differenza più importante tra le due situazioni è che lo Stato, reso dipendente dal mercato finanziario, ha sostanzialmente perso il suo potere sovrano di creare o distruggere moneta, di fare le spese e gestire le entrate in base a considerazioni politiche (quanta “redistribuzione del reddito” fare, quanto sviluppare l’iniziativa economica pubblica o tramite aziende pubbliche o tramite contributi ad aziende private). Può fare solo nell’ambito che i proprietari e operatori del mercato finanziario suoi finanziatori consentono. Benché anche i poteri dei finanziatori non siano illimitati. Non solo per la concorrenza tra di loro, ma anche perché ognuno di loro deve in qualche modo investire il capitale finanziario di cui dispone: solo così lo valorizza (accresce). Deve ricavare soldi da interesse sui titoli finanziari, da plusvalenze (dalla differenza tra il prezzo di vendita di titoli finanziari e il prezzo a cui li ha acquistati) o da profitti delle aziende di cui ha in mano le azioni. Estinguere il Debito Pubblico degli Stati sarebbe ridurre il loro terreno di pascolo.

 

Di fronte all’attuale corso delle cose alcuni gruppi borghesi, di destra (come in Italia la Lega Nord) o di sinistra borghese (come in Italia il Movimento Popolare di Liberazione, la Rete dei Comunisti, il M5S e altri) propongono come via per porre fine alla crisi il ricupero della sovranità nazionale, l’uscita dell’Italia dall’euro, il ritorno alla moneta nazionale. In questa sede non mi interessa distinguere chi lo fa per demagogia (mobilitazione reazionaria: giocare al nemico tedesco come si gioca al nemico immigrato) da chi per ignoranza e da chi lo fa per non sapere a che santo votarsi. In questa sede mi interessa solo mettere in chiaro che si tratta di proposte alla base delle quali vi è la convinzione (proposte che stanno in piedi solo nell’ipotesi) che la crisi in corso sia solo o principalmente una crisi finanziaria: cioè derivante da una cattiva regolazione della emissione e circolazione della moneta e dei titoli finanziari. Mentre in realtà, come abbiamo in altra sede più volte e in dettaglio mostrato, la crisi in corso è una crisi strutturale, deriva dalla impossibilità di valorizzare tutto il capitale accumulato come capitale produttivo di plusvalore nel circuito denaro - merci - produzione - nuovemerci - piùdenaro.

Che poi la crisi in corso non sia dovuta al governo e alle autorità tedesche e nemmeno al sistema dell’euro e all’Unione Europea è dimostrato dal fatto irrefutabile che in essa sono coinvolti tutti i paesi che fanno parte del sistema imperialista mondiale, anche quelli che non fanno parte dell’UE e della zona euro (Gran Bretagna, USA, Giappone, ecc.).

A scanso di equivoci, voglio precisare che le proposte demagogiche o campate in aria di risolvere la crisi in corso semplicemente uscendo dall’euro, dall’UE, creando una mini Unione Europea con i paesi europei più deboli, i PIGS  (Alba Mediterranea la chiama il prof. Luciano Vasapollo di Rete dei Comunisti) non hanno nulla a che fare con la costituzione del Governo di Blocco Popolare (per la quale il (n)PCI e il P.CARC creano giorno dopo giorno le condizioni) che effettivamente butterà in aria l’UE, l’eurozona, l’euro e romperà anche le catene della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti.

 

A modo di conclusione, due note finali.

1. Il capitale finanziario esiste nella forma di titoli finanziari. Ogni titolo finanziario è denominato in una moneta data, ha un valore nominale (ad es. un titolo da 10 mila €, un titolo da 10 mila $, ecc.) con annesse condizioni di interesse e una scadenza. Per il mercato dei titoli finanziari valgono alcune leggi che valgono anche per il mercato internazionale di beni (petrolio, minerali, derrate alimentari, ecc.). È importante in quale moneta fiduciaria (oramai le monete che hanno corso sono tutte monete fiduciarie (impegni a pagare della cui serietà chi li accetta in pagamento ha fiducia), non merci con un valore intrinseco, come lo erano l’oro, l’argento e altre monete del passato) in cui sono denominati, perché gli operatori finanziari sono obbligati ad operare in quella moneta. Gli operatori che commerciano e gli investitori che comperano titoli in moneta diversa da quella prevalente, sono sottoposti al rischio di cambio (ad esempio: chi tratta titoli denominati in € in un mercato che opera in $, ha a che fare non solo con il prezzo corrente (il corso) del titolo ma anche con il cambio della moneta). La Banca Centrale e le altre Autorità e istituzioni che sono in grado di aumentare o diminuire la quantità della moneta in circolazione e di influire sui tassi di cambio godono attraverso questo di grandi poteri anche in altri campi non direttamente monetari. I gruppi imperialisti che impongono la propria moneta nel mercato finanziario la impongono anche come moneta di riserva e come moneta nel commercio internazionale e nelle transazioni internazionali. A ragion veduta negli anni ’40 del secolo scorso i gruppi imperialisti USA imposero il dollaro come moneta internazionale nonostante le mille buone ragioni a favore di un paniere di monete sostenute da Keynes (a nome del governo britannico) nelle trattative che precedettero l’Accordo di Bretton Woods. Il predominio del dollaro nel commercio internazionale, nelle riserve bancarie e nel mercato finanziario, permette al governo USA di spendere anche all’estero praticamente senza limiti, di indebitarsi a sua volontà, di ricattare e influenzare altri governi e potenze politiche e non politiche, di manovrare il corso internazionale delle altre monete.

Da qui viene che la lotta che ogni gruppo imperialista deve condurre anche contro gli altri gruppi imperialisti (“siamo in guerra” riconosce Marchionne) per valorizzare il suo capitale, si traduce in misura crescente in contraddizione tra i gruppi imperialisti americani (e sionisti, che sono una famiglia particolare all’interno dei gruppi imperialisti americani) e i gruppi franco-tedeschi per difendere il ruolo vacillante del dollaro i primi, per imporre l’euro al posto del dollaro i secondi. Sostituire l’euro al dollaro darebbe alle istituzioni dell’Unione Europea (in sostanza ai gruppi imperialisti franco-tedeschi) il potere sul mondo intero che oggi è del governo USA (in sostanza dei gruppi imperialisti americani). In questa lotta cercano di inserirsi i BRICS con le istituzioni finanziarie internazionali che vengono annunciando e via via creando: ultima la costituzione della Banca dello Sviluppo nel VII Vertice del gruppo che si è chiuso sabato 11 luglio a Ufa (Russia). In un mondo in cui “tutto” è in vendita, chi ha denaro compera “tutto” e chi produce denaro che “tutti” accettano in pagamento, è padrone di “tutto”. A queste catene si sfugge solo sottraendosi al sistema imperialista mondiale, all’economia capitalista, all’economia mercantile. Quello che l’Unione Sovietica, la Repubblica Popolare Cinese e gli altri paesi socialisti avevano fatto, dandosi i mezzi per farlo. È una questione di dittatura del proletariato e di lotta di classe nel paese, prima di essere una questione di lotta di classe a livello internazionale. Chi propone di farlo senza regolare i conti con la borghesia nel proprio paese, senza rompere con l’economia capitalista e mercantile nel proprio paese, o fa della demagogia, oppure è ignorante o non sa a che santo votarsi. Il successo di una moneta al posto di un’altra fa parte delle lotte tra gruppi imperialisti ognuno con le sue Autorità Pubbliche.

 

 2. Il vizio principale e le maggiori difficoltà di comprensione dell’informazione corrente derivano dal fatto che i suoi operatori insistono a non considerare che “in ogni paese esistono due nazioni contrapposte”: la popolazione è divisa in classi. Gli affari possono andare benissimo, il PIL crescere a gonfie vele e i titoli finanziari del paese essere altamente richiesti sul mercato finanziario mondiale, lo spread essere nullo o quasi e contemporaneamente la disoccupazione aumentare, il reddito di parti importanti della popolazione diminuire, l’emarginazione sociale e l’abbrutimento dilagare, i diritti civili e politici essere ridotti, la precarietà e l’insicurezza crescere. Per capire il corso delle cose nel paese bisogna studiare la sua composizione di classe e la lotta di classe in corso nel paese. In tutti i paesi imperialisti nel corso degli ultimi 40 anni, le differenze tra le classi nella ricchezza posseduta e nel reddito si sono allargate: è l’effetto combinato dei due principali fenomeni dell’epoca: 1. l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria (il declino del movimento comunista) e 2. lo sviluppo della seconda crisi generale del capitalismo. Invece la sinistra borghese (gli estimatori di Thomas Piketty, ecc.) denuncia le differenze come causa della crisi in corso.

Ernesto V.