La Voce 52

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - marzo 2016

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Contro l’offensiva della borghesia imperialista e del suo clero

La nostra lotta sul fronte ideologico

 

La borghesia imperialista e il clero (ricordare papa Woityla) hanno celebrato come loro vittoria l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria. In effetti l’estenuazione del nemico che inutilmente per alcuni decenni avevano cercato di stroncare, anche se avvenuta per cause interne ad esso, è stata comunque una loro vittoria. Ne hanno approfittato per farla apparire tale e consolidarla nella mente e nel cuore delle classi e dei popoli oppressi di tutto il mondo, in particolare dei paesi imperialisti. Hanno dispiegato a un livello superiore la controrivoluzione preventiva in campo ideologico e in generale nel campo degli strumenti, istituti e vie di confusione, diversione e intossicazione.

La borghesia e le sue succursali della sinistra borghese hanno proclamato in tutte le salse che è impossibile agli uomini conoscere il mondo come è, tanto meno avere una comprensione scientifica della società e delle sue trasformazioni. Hanno presentato come un’intollerabile violazione della libertà intellettuale e morale degli individui la “pretesa” dei comunisti che le attività con cui gli uomini fanno la loro storia sono oggetto di conoscenza scientifica e che questa fornisce i mezzi per trasformare la società ed è confermata dai successi dell’attività di trasformazione della società quando è condotta non più alla cieca ma guidata dal marxismo-leninismo-maoismo. Una pretesa ben peggiore di quella di Lavoisier e degli altri pionieri della chimica del tutto intolleranti verso gli alchimisti e le loro opinioni; di quella di Copernico, di Galilei, di Newton e degli altri pionieri della fisica moderna intolleranti verso i cultori delle fantasticherie cosmologiche e fisiche d’un tempo; di quella di tutti i pionieri di ognuna delle scienze naturali fiorite negli ultimi secoli assieme al predominio della borghesia e del modo di produzione capitalista.

La baldanza della borghesia imperialista, del suo clero e dei loro ripetitori della sinistra borghese di questi anni, sono analoghi a quanto successo in altri periodi dopo la sconfitta del movimento rivoluzionario.

Lenin in L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo, (1920, Opere complete, Ed. Riuniti vol. 24 pag. 18) facendo a grandi linee la storia della rivoluzione in Russia scrive:

“Anni di reazione (1907-1910). Lo zarismo trionfa. Tutti i partiti rivoluzionari e d’opposizione sono sconfitti. Scoraggiamento, demoralizzazione, scissioni, sfacelo, tradimento, pornografia invece di lotta politica. Si accentua la tendenza all’idealismo filosofico; si rafforza il misticismo come copertura dello spirito controrivoluzionario. Ma al tempo stesso proprio la sconfitta è per i partiti rivoluzionari e per la classe rivoluzionaria una lezione pratica e molto utile, una lezione di dialettica storica, una lezione che fa loro capire e assimilare l’arte di condurre la lotta politica. Gli amici si conoscono nella sventura. Gli eserciti sconfitti sanno trarre insegnamenti dalla sconfitta.”

Riferendosi allo stesso periodo, Stalin nel capitolo IV di Storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS, (1938) scrive:

“La reazione di Stolypin. Decomposizione nei ceti intellettuali di opposizione. Abbattimento morale. Passaggio di una parte degli intellettuali aderenti al Partito nel campo dei nemici del marxismo e tentativi di revisione della teoria marxista. Lenin batte in breccia i revisionisti nel suo libro Materialismo ed empiriocriticismo. Difesa dei principi teorici del partito marxista. [...]

L’offensiva controrivoluzionaria si sferrò anche sul fronte ideologico. Si presentò alla ribalta tutta una banda di scrittori venuti di moda che si mise a “criticare” e a “demolire” il marxismo. Costoro denigravano e sbeffeggiavano la rivoluzione, esaltavano il tradimento e perversioni sessuali d’ogni genere in nome del “culto dell'individuo”.

 Nell’arena filosofica aumentarono i tentativi di “critica”, di revisione del marxismo e si videro pure apparire, sotto il manto di pretesi argomenti “scientifici”, le correnti religiose più svariate. La “critica” al marxismo divenne di moda.

Tutti questi signori, nonostante i loro colori disparati, si proponevano un unico scopo: distogliere le masse dalla rivoluzione.”

Ovviamente qui Stalin, come noi quando trattiamo dell’argomento, non ci occupiamo delle intenzioni degli individui. Parliamo di quello che sono stati e che hanno fatto, non di quello che volevano e credevano di fare. Indichiamo l’origine e gli effetti dell’attività di intellettuali, scrittori, pubblicisti, insegnanti e professori del sistema scolastico, operatori dei mezzi di comunicazione di massa e dell’industria dello spettacolo, del cinema, del teatro, della musica, del ballo e delle altre varie arti, della pubblicità e della moda. Indichiamo il ruolo sociale che essi hanno esercitato, i loro effetti sul modo di pensare delle masse popolari, sul senso comune nelle sue mille espressioni. Anche il pensiero, apparentemente un prodotto eminentemente individuale, ha invece una sua storia che è sociale ed essa si svolge secondo leggi che si tratta di scoprire.

Ma proseguiamo con lo scritto di Stalin:

“Dall’abbattimento morale e dallo scetticismo furono colti anche taluni intellettuali aderenti al nostro Partito che, pur pretendendosi marxisti, non si :erano mai tenuti fermamente sulle posizioni marxiste. Tra questi vi erano scrittori come Bogdanov, Bazarov, Lunaciarski (nel 1905 coi bolscevichi), Iusckevic e Valentinov (menscevichi). Essi rivolsero una “critica” simultanea tanto ai fondamenti filosofici e teorici del marxismo, cioè al materialismo dialettico, quanto alle sue basi scientifiche nella storia, ossia al materialismo storico. La loro critica differiva da quella solita in quanto non era svolta in modo aperto e onesto ma in modo velato e ipocrita, sotto la bandiera della “difesa” delle posizioni marxiste fondamentali.

Noi, dicevano, siamo in sostanza marxisti ma vogliamo “migliorare” il marxismo, liberarlo da alcuni dogmi (in realtà si trattava di principi fondamentali). Erano ostili al marxismo, cercavano di scalzare le sue basi teoriche, sebbene a parole, con ipocrisia, negassero la loro ostilità e continuassero perfidamente a dichiararsi marxisti. Tale critica ipocrita era pericolosa poiché mirava a ingannare i militanti della base e poteva trarli effettivamente in errore. E quanto più ipocrita diventava quella critica che mirava a scalzare le basi teoriche del marxismo, tanto più pericolosa diventava per il Partito, poiché tanto più strettamente si univa alla crociata generale scatenata dai reazionari contro il Partito, contro la rivoluzione. Alcuni di questi intellettuali disertori del marxismo erano giunti a predicare perfino la necessità di creare una nuova religione (vennero chiamati “cercatori di dio” e “costruttori di dio”).

Un compito improrogabile s'imponeva ai marxisti: battere in breccia, nel modo dovuto, questi rinnegati della teoria marxista, strappare loro la maschera, metterli con le spalle al muro e salvaguardare in tal modo le basi teoriche del Partito marxista.

Si poteva pensare che Plekhanov e i suoi amici menscevichi, i quali si consideravano come “noti teorici marxisti”, si sarebbero accinti a questo compito. Invece si limitarono a rispondere per pura formalità con un paio di articoli insignificanti, a guisa di “note” critiche, per ritirarsi poi ciascuno nel suo guscio.

Fu Lenin che assolse questo compito nel suo celebre libro Materialismo ed empiriocriticismo, pubblicato nel 1909.

“In meno di sei mesi abbiamo visto uscire - scrive Lenin - quattro libri, principalmente e quasi esclusivamente dedicati ad attaccare il materialismo dialettico. Vi è innanzitutto la raccolta di articoli di Bazarov, Bogdanov, Lunaciarski, Bermann, Hellfond, Iusckevic, Suvorov intitolata Saggi sulla (avrebbero dovuto dire: contro la) filosofia marxista (Pietroburgo, 1908). Seguono il libro di Iusckevic Materialismo e realismo critico; quello di Bermann La dialettica alla luce della teoria contemporanea della conoscenza; quello di Valentinov Le costruzioni filosofiche del marxismo. ... Tutti questi personaggi, uniti - nonostante le divergenze manifeste delle loro concezioni politiche - dall'ostilità verso il materialismo dialettico, pretendono cionondimeno di essere, in filosofia, dei marxisti! La dialettica di Engels è una  “mistica”, dice Bermann; le concezioni di Engels sono “invecchiate”, lancia Bazarov di sfuggita, come cosa ovvia. Così il materialismo sembra confutato da questi nostri coraggiosi guerrieri che invocano fieramente la “teoria contemporanea della conoscenza”, la “filosofia moderna” (o “positivismo moderno”), la “filosofia delle scienze naturali contemporanee”, o addirittura la “filosofia delle scienze naturali del XX secolo”.(1)

 

1. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo (1909), in Opere complete, Ed. Riuniti vol. 14.

 

Rispondendo a Lunaciarski il quale, per giustificare i suoi amici revisionisti in filosofia, aveva detto: “Può darsi che noi ci sbagliamo, ma noi cerchiamo”, Lenin scriveva:

“Quanto a me, sono anch'io, in filosofia, fra coloro che “cercano”. Per essere più precisi: in queste note [si tratta del libro Materialismo ed empiriocriticismo] mi sono proposto di ricercare che cosa fa sragionare coloro che ci offrono, sotto il manto del marxismo, qualcosa di incredibilmente incoerente, confuso e reazionario”.

In realtà il libro di Lenin ha di molto oltrepassato questo compito modesto. In realtà il libro di Lenin non è soltanto la critica di Bogdanov, Iusckevic, Bazarov, Valentinov e dei loro maestri in filosofia (Avenarius e Mach), che avevano tentato di divulgare nei loro scritti un idealismo raffinato e levigato, in antitesi al materialismo marxista. Il libro di Lenin è, nello stesso tempo, una difesa dei principi teorici del marxismo - del materialismo dialettico e storico - e una generalizzazione materialista di tutte le conquiste più importanti e sostanziali fatte dalla scienza e, innanzitutto, dalle scienze naturali in un intero periodo storico, dalla morte di Engels (1895) alla pubblicazione del libro di Lenin Materialismo ed empiriocriticismo.

Dopo una critica serrata degli empiriocriticisti russi e dei loro maestri stranieri, Lenin nel suo libro giunge alle seguenti conclusioni contro il revisionismo teorico e filosofico:

1.  “Una falsificazione sempre più sottile del marxismo, contraffazioni sempre più sottili del marxismo con dottrine antimaterialiste: ecco ciò che caratterizza il revisionismo contemporaneo tanto in economia politica quanto nelle questioni tattiche e nella filosofia in generale”.

2.  “Tutta la scuola di Mach e di Avenarius va verso l'idealismo”.

3.  “I nostri seguaci di Mach si sono tutti impegolati nell'idealismo”.

4.  “Non è possibile non scorgere, dietro la scolastica gnoseologica dell'empiriocriticismo, la lotta dei partiti in filosofia: lotta che esprime, in ultima analisi, le tendenze e l'ideologia delle classi nemiche nella società contemporanea”.

5.  “La funzione oggettiva, di classe, dell'empiriocriticismo si riduce interamente a servire i fideisti [reazionari che preferiscono la fede alla scienza] nella loro lotta contro il materialismo in generale e contro il materialismo storico in particolare”.

6.  “L'idealismo filosofico è... la via dell'oscurantismo clericale”.(2)

Per apprezzare l'importanza immensa dell'opera di Lenin nella storia del nostro Partito e per comprendere quale tesoro teorico Lenin abbia difeso contro ogni sorta di revisionisti e di elementi degeneri nel periodo della reazione di Stolypin, è necessario conoscere, almeno in modo sommario, i principi del materialismo dialettico e storico.

Ciò è ancora più necessario poiché il materialismo dialettico e il materialismo storico costituiscono la base teorica del comunismo, i principi teorici del partito marxista. Quindi la conoscenza di questi principi e la loro assimilazione costituiscono il dovere di ogni militante attivo del nostro partito. Dunque: 1. Che cos'è il materialismo dialettico? 2. Che cos'è il materialismo storico?”

 

2. Lenin, Quaderni filosofici, raccolta di note di lettura ed estratti del periodo 1903-1916, la maggior parte del periodo 1914-1916, gli anni delle prima Guerra Mondiale e dello sfacelo della II Internazionale, in Opere complete, Ed. Riuniti vol. 38.

 

Ritorniamo a noi. Dopo l’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria, la controffensiva della borghesia  imperialista e del suo clero, riecheggiata dalla sinistra borghese, è più ampia e radicale di quella descritta da Lenin e da Stalin: per alcuni ovvi motivi.

Anzitutto non si tratta di un movimento che ha il suo epicentro in un paese arretrato, teatro di una lunga ed eroica rivoluzione democratica. Qui si tratta di un movimento mondiale che ha il suo epicentro nei paesi storicamente più avanzati nell’evoluzione storica dell’umanità, gli USA e l’Europa.

La baldanza e l’“audacia” della borghesia e del suo clero sono proporzionali alla gravità del rischio che il movimento comunista ha fatto gravare su di essi per decine di anni, quando la sua avanzata in tutto il mondo era sembrata inarrestabile e aveva colpito anche all’interno delle file borghesi, dove pensatori e governi si erano messi a scimmiottare la pianificazione economica e lo “stato del benessere”. La borghesia e il clero celebrano in pompa magna lo scampato pericolo.

La nostra sconfitta non è stata una sconfitta sul terreno, in uno scontro militare, ma una graduale, lenta, subdola e ipocrita corrosione e disgregazione condotta dall’interno dei partiti comunisti e dei primi paesi socialisti. In Italia avvenne prima sotto la direzione dei revisionisti moderni (Togliatti & C) in nome del partito nuovo, del policentrismo, della via italiana al socialismo, della via democratica e parlamentare al socialismo e delle riforme di struttura. Poi sotto la direzione della sinistra borghese (Berlinguer, Rossanda e i loro successori fino a Bertinotti) in nome della continuazione del capitalismo dal volto umano senza più proporsi il socialismo come obiettivo e senza i vincoli del legame con il movimento comunista internazionale (l’internazionalismo).

I rivoluzionari russi avevano, avuto anche nel periodo della sconfitta e della ritirata 1907-1910, una forte sponda internazionale (“il fondamento solidissimo della teoria marxista” impersonato (ironia della storia!) dalla II Internazionale, la cui importanza Lenin indica in L’“estremismo”, malattia infantile del comunismo (pagg. 15 e 16 dell’edizione sopra citata). Noi non abbiamo avuto alcuna sponda del genere. Abbiamo dovuto rifarci all’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e al suo patrimonio teorico (il marxismo, il leninismo, il maoismo), che nessuno più impersonava. Henver Hodja (1908-1985) ne faceva una caricatura. Kim Il-Sung (1912-1994) e Fidel Castro (1927-) erano su posizioni diverse, ma entrambi concentrati sulla sopravvivenza dei rispettivi regimi.

Gli effetti della controffensiva reazionaria sul fronte ideologico sono stati aggravati dall’arretratezza del vecchio movimento comunista dei paesi imperialisti proprio sul fronte ideologico. La mancata bolscevizzazione e l’incapacità rivoluzionaria che i partiti comunisti qui avevano ereditato dai partiti socialisti della II Internazionale, che Lenin aveva indicato come tara di tutti i partiti della II Internazionale da cui dovevano correggersi i partiti comunisti nati “con solo una spruzzatina di colore rivoluzionario” per scissione da essi, di cui la preminenza data alla lotta economica e alla partecipazione alle istituzioni della democrazia borghese era l’espressione più evidente.

È sul fronte ideologico che noi comunisti dovevamo sferrare la nostra offensiva contro la reazione per adempiere con successo il nostro compito di instaurare il socialismo nei paesi imperialisti e sviluppare la seconda ondata della rivoluzione proletaria. È quello che la Carovana del (n)PCI ha incominciato a fare con la rivista Rapporti Sociali fondata nel 1985. Questa offensiva dobbiamo continuare nelle file della base rossa che lo sfacelo definitivo della sinistra borghese in campo politico (2008) costringe a cercare la “ricostruzione del partito comunista” e tra gli elementi avanzati delle masse popolari che la fase acuta e terminale della crisi generale del capitalismo spinge a cercare una soluzione.

Anna M.