La Voce 52

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - marzo 2016

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Note sul senso della vita e la “ragione di vivere”

 

Capita spesso di sentire frasi del tipo: “che senso ha la vita che faccio?”, “che senso ha la vita?”, “faccio una vita senza senso”, “almeno ho la sensazione di far qualcosa di utile!”. Spesso noi comunisti abbiamo una reazione di insofferenza: “con tutto quello che c’è da fare, quante fisime!”

In realtà quelle frasi mettono in luce una situazione sociale (delle classi delle masse popolari) e storica (dell’epoca imperialista) di grande interesse per noi comunisti. Propongo qui di seguito alcune note sui cui chiedo che i redattori di VO e i suoi lettori facciano le loro riflessioni e le mettano in comune. La rinascita del movimento comunista cosciente e organizzato ne guadagnerà. Anche la lettera che la redazione di Resistenza (P.CARC) ci ha passato [vedi pag. 43] illustra quello che voglio dire.

 

La conclusione che ho tratto dalle mie riflessioni e dalle poche discussioni a cui finora ho partecipato è che oggi le classi dominanti, la borghesia imperialista e il suo clero, non sono più in grado di inculcare negli individui delle classi oppresse e sfruttate, vale a dire delle masse popolari, la sensazione che la vita ha un senso, di indicare a ogni individuo una buona “ragione di vivere”, perché il regno della borghesia imperialista e del suo clero non ha avvenire. Il clero, finché ha avuto un ruolo positivo nello spingere l’umanità a progredire (ossia, riferendomi all’Europa, nell’epoca feudale della sua storia) e la borghesia che ha combattuto contro il clero e gli è succeduta in quel ruolo (dal periodo della Comune di Parigi (1871) in qua il clero è diventato una forza ausiliaria della borghesia nella lotta che l’ha opposta al proletariato europeo e ai popoli delle colonie), hanno inculcato in ogni individuo delle classi oppresse il senso della vita, hanno dato a ogni individuo una “ragione di vivere”. Oggi non gliela inculcano più perché non hanno più la possibilità di farlo: esse non hanno più un ruolo positivo nel percorso dell’umanità, non hanno futuro. Molti elementi delle classi oppresse se ne rendono conto e ne soffrono perché, per motivi oggettivi e ben definiti, consistenti nella loro condizione di classi oppresse che la borghesia e il clero escludono dalle attività specificamente umane (vedi Manifesto Programma [MP] nota 2), non sono in grado di darsi essi stessi una “ragione di vivere”, né il movimento comunista oggi è abbastanza forte da dargliela. Questo oggi è la sola fonte che gliela può dare e che può condurre le classi oppresse di oggi a creare quella società i cui membri si daranno essi stessi la “ragione di vivere”: l’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione del libero sviluppo di tutti. Non a caso è indicando l’avvento di questa associazione che finisce il capitolo II del Manifesto del partito comunista redatto da K. Marx e F. Engels nel 1848.

 

**** Manchette

Storicamente superato

Quando parliamo della lotta per procurarsi di che nutrirsi e proteggersi, “storicamente superato” significa che gli uomini dispongono già delle condizioni (forze produttive e conoscenze) necessarie per produrre cibo, vestiti, abitazioni e quanto altro serve alla vita civile di tutti (oggi ed es. la quantità di cibo comunque prodotta è più del doppio di quella consumata (quindi metà viene smaltita come rifiuti o riciclata a qualche altro uso) e la difficoltà di smaltire la produzione assilla gli agricoltori di tutti i paesi grandi produttori di derrate alimentari). Il fatto che una parte importante degli uomini non disponga di quanto necessario a una vita civile, è dovuto al sistema capitalista di rapporti sociali che non lo consente. In conformità a questo sistema ogni proletario dispone di quanto necessario per vivere solo se contribuisce alla valorizzazione del capitale. Ma sovrapproduzione assoluta di capitale significa appunto che il capitale non può far contribuire tutti alla propria valorizzazione perché ne ricaverebbe una massa di plusvalore inferiore a quella che ricava facendovi contribuire solo una parte.

Quando un istituto sociale è “storicamente superato”, a difesa della continuità della sua vita e a dare dignità sociale ai vigliacchi e agli abbrutiti che non vogliono sobbarcarsi i rischi e le fatiche della sua effettiva abolizione a cui le classi dominanti con ogni mezzo si oppongono, sorgono normalmente intellettuali che approfittano dei fenomeni in cui il superamento storico si manifesta per proclamare che quell’istituto è già superato anche di fatto, che non esiste più. Avviene per la legge del valore-lavoro e avviene per la divisione della società in classi sociali.

Negli ultimi decenni in Italia il principe di questi cialtroni è stato il prof. Toni Negri (fine della legge del valore-lavoro, moltitudine, ecc.) e il manifesto è stato la loro gazzetta. Non c’è deviazione in tal senso che il manifesto non abbia presentato e celebrato come una grande scoperta, il non plus ultra che qualche testa d’uovo aveva contrapposto al “becero dogmatismo” dei “vecchi stalinisti” (salvo piagnucolare sul triste presente che è seguito alla sconfitta dei “vecchi stalinisti”).

 

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Le espressioni con cui ho iniziato sono quindi un segnale prezioso del punto a cui l’umanità è arrivata nel suo percorso storico: un segnale di quanto è necessaria la rivoluzione socialista e di quanto è necessario per ogni individuo partecipare alla rivoluzione socialista, arruolarsi nelle file del movimento comunista cosciente e organizzato.

L’uomo è un essere sociale. Lo è di fatto, anche quell’individuo che non ne è cosciente. Ogni individuo sorge dalla società (la causa dell’esistenza di ciascuno è semplicemente il fatto che i suoi genitori naturali si sono accoppiati nelle condizioni giuste), è formato dalla società, cresce in relazioni sociali dapprima come centro passivo (unicamente o principalmente destinatario) di esse e poi via via come centro sia attivo che passivo di relazioni sociali, quando la sua vita individuale finisce quel che resta di lui è il risultato delle relazioni di cui è stato centro attivo. È dal sistema di relazioni sociali proprio della società di cui è membro che un individuo riceve la ragione della sua vita e quindi il senso della sua vita, ciò che lo motiva a vivere. Come in dettaglio spiega Engels nella seconda sezione del suo Anti-Dühring (1878 - Ed Riuniti, Opere complete vol. 25), le classi dominanti sono sorte e hanno affermato la loro autorità grazie al ruolo positivo che hanno avuto in un dato periodo del percorso storico dell’umanità.

“Da che mondo è mondo”, gli uomini (intesi ora come società) hanno avuto come occupazione principale quella di strappare al resto della natura quanto necessario per vivere e proteggersi dalle intemperie. Alla lotta contro la natura e avendo in questa la sua origine, si sono via via aggiunte la divisione in classi e la lotta di classe.

Da quando la società è divisa in classi di sfruttati e sfruttatori, di oppressi e oppressori, le classi dominanti hanno assegnato a ogni individuo delle classi oppresse il compito di produrre. Questo per ogni individuo era espressione particolare del principale compito dell’intera società. Quindi il compito che la classe dominante imponeva al singolo individuo aveva salde radici nel compito proprio dell’intera società.

Certo, i singoli membri non erano consapevoli di quella “ragione di vivere” che dominava la vita di tutta l’umanità dalle sue lontane origini. Alla coscienza di ognuno di essi le classi dominanti presentavano la ragione per cui lui viveva sotto altre vesti: sotto vesti che rendevano accettabili e comunque compatibili con la miseria e la fatica delle classi lavoratrici anche il lusso e lo sperpero delle classi dominanti. Ma quella era la vera ragione di vita che dava forza alle immagini contraffate di essa. Queste erano maschere, rappresentazioni immaginarie di una solida realtà.

Sotto la direzione e per impulso della borghesia oggi l’umanità dispone di forze produttive (MP nota 5) di una potenza tale che procurarsi di che vivere e proteggersi dalle intemperie e calamità naturali oggi è un problema “storicamente superato”. È venuta meno per la società quel compito (la lotta contro la natura) su cui poggiava la “ragione di vivere” del singolo membro delle classi oppresse, “ragione di vivere” che nel singolo individuo esisteva trasfigurata nelle rappresentazioni immaginarie che le classi dominanti ne davano.

Oggi questa realtà è venuta meno e le maschere che la borghesia imperialista, il clero e le altre classi dominanti cercano di far sopravvivere hanno perso vigore e forza di persuasione. Metà dell’umanità è composta di individui che si sentono  “esuberi” e sono socialmente trattati (dalle autorità, dalle istituzioni sociali e da una parte delle stesse masse popolari) come esuberi, come un peso per i quali “la società” deve stanziare pensioni e ammortizzatori sociali e che gravano sul bilancio dello Stato e delle collettività locali. I bambini vengono al mondo e crescono sentendosi un peso, inutili: non sono coinvolti in niente di quanto è necessario e utile per la società in cui crescono. Quelli delle classi benestanti sono viziati e turbati nella loro formazione, perché i figli sono diventati la “ragione di vita” dei loro genitori e familiari.

In realtà l’umanità, quindi ogni società umana, per sopravvivere e prosperare oggi deve risolvere un compito comune: superare il sistema di relazioni sociali che ha ereditato dalla storia e che è impersonato dalla borghesia imperialista, sistema che questa e il suo clero difendono con ogni mezzo.

Ogni membro delle classi sfruttate e dei popoli oppressi si trova quindi a condurre una vita senza senso, a non sentire una ragione di vivere perché la vecchia ragione di vivere è venuta meno e la nuova (la lotta di classe) non è interiorizzata e per lo più neanche praticata.

Gli effetti psicologici, intellettuali e morali di questo nuovo stato delle cose sono particolarmente visibili nei paesi imperialisti, già osservabili a livello di massa. Qui, da quando si è esaurita la prima ondata della rivoluzione proletaria, sono cresciuti masochismo e sadismo, suicidi e azioni distruttive senza motivo apparente se non il disagio mentale e psicologico degli autori e il malessere dell’ambiente che li circonda.

Noi comunisti dobbiamo tener conto di questa condizione. Nei paesi imperialisti ha già oggi una grande importanza politica. Lo vediamo anche nelle nostre fila, nelle difficoltà che presentano i compagni che si arruolano, in particolare i giovani. Se paragoniamo le condizioni della nostra lotta con quelle dei comunisti dell’Impero Russo, della Cina, del Vietnam e di altri paesi, vediamo che il loro compito era più facile del nostro. Alle masse che mobilitavano e a loro stessi si imponeva evidente e spontaneo il compito di portare le masse popolari del proprio paese al livello dei paesi più avanzati nel ricavare dal resto della natura quanto necessario all’esistenza. Nei paesi imperialisti, e ancora più dopo l’ulteriore grande sviluppo delle forze produttive e l’illimitato sviluppo di esse oggi già a portata di mano, il compito di noi comunisti è condurre le masse popolari a darsi un ordinamento sociale che le porti non solo a padroneggiare anche di fatto il ricambio organico tra gli uomini e il resto della natura ma anche a superare l’alienazione per cui il sistema dei loro rapporti sociali si impone agli uomini come un dio misterioso e onnipotente e a far esprimere a ogni individuo il meglio che può fare nelle attività specificamente umane, quelle che distinguono la nostra specie da tutte le altre specie animali (MP nota 2).

Tonia N.