La Voce 53

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - luglio 2016

Scaricate il testo di La Voce n. 53 in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

 

L’apparenza e il nesso tra eventi e fenomeni

 

Una lettera di Marx a Ludwig Kugelmann

A proposito di quelli che vanno predicando che “il mondo è complesso”, che “è cambiato tutto”, che non è possibile una scienza dei rapporti di produzione, in generale che non è possibile alcuna scienza della società e delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia e che noi comunisti siamo ancorati a idee vecchie che non rispecchiano più il mondo reale, ammesso che le idee di Marx e di Lenin lo abbiano mai rispecchiato, presentiamo ai nostri compagni la lettera che Marx inviò l’11 luglio 1868 al suo amico Ludwig Kugelmann di Hannover, quando infuriavano gli attacchi contro le tesi sostenute da Marx nel libro I di Il capitale che era stato pubblicato ad Amburgo nel settembre 1867. Le note sono nostre.

Il mondo è effettivamente complesso per chi, invece di assimilare la scienza già elaborata dal movimento comunista e arricchirla con quanto insegna la pratica che compie per trasformare i rapporti di produzione, si lascia invadere e si sprofonda nelle narrazioni, nelle immagini e nelle farneticazioni del mondo virtuale e nello studio delle operazioni finanziarie degli operatori della “finanza creativa” e dei propositi dei caporioni della borghesia imperialista: come esempio indichiamo la relazione Oltre la nazione. Sviluppo delle forze produttive e polo imperialista europeo (disponibile su www.retedeicomunisti.org) presentata dal prof. Luciano Vasapollo al Seminario Nazionale La ragione e la forza - Il ruolo dei comunisti tra passato e futuro promosso da Rete dei Comunisti il 18 giugno 2016 a Roma (http://www.retedeicomunisti.org/index.php/interventi/1314).

 

Londra, 11 luglio 1868

Caro amico,

le bambine vanno abbastanza bene, benché siano ancora deboli.

La ringrazio molto per i suoi invii.[1] Mi raccomando, non scriva a Faucher. Altrimenti quel mannequin pisse [2] si crede troppo importante. Tutto ciò che ha raggiunto è che io, quando verrà una seconda edizione, arrivando al punto relativo alla quantità di valore, assesterò al Bastiat alcuni colpi ben meritati.[3] Non è stato già fatto perché il III volume [4] dovrà contenere un apposito capitolo particolareggiato sui signori dell’“economia volgare”.[5] Del resto le sembrerà naturale che Faucher e consorti deducano il “valore di scambio” dei loro scarabocchi non dalla quantità della forza-lavoro spesa per redigerli, bensì dall’assenza di questo dispendio, cioè dal “lavoro risparmiato”. Questa “scoperta”, tanto gradita a quei signori, il degno Bastiat non l’ha nemmeno fatta lui stesso, ma, secondo la sua maniera, l’ha soltanto “copiata” da autori assai anteriori. Le sue fonti sono naturalmente sconosciute al Faucher e consorti.

 

1. Alla sua lettera del 9 luglio Ludwig Kugelmann aveva allegato alcune recensioni del libro I di Il capitale.

 

2. Celebre statua di Bruxelles di un bambino che piscia in pubblico, diventata simbolo di individuo impertinente e libero pensatore.

 

3. Bastiat Frédéric (1801-1850), economista francese, fautore della conciliazione degli interessi di classe all’interno della società capitalista. Marx i colpi qui annunciati li assestò nel 1872, nel poscritto alla II edizione del libro I di Il capitale.

 

4. Il libro III di Il capitale verrà pubblicato da Engels solo molto più tardi, nel 1894, ma Marx, prima della pubblicazione del libro I, a conclusione dei suoi lunghi ed esaurienti studi dell’economia capitalista e di quanto su di essa avevano scritto fino allora tutti quelli che l’avevano studiata, tra il 1861 e il 1863, in 23 quaderni, aveva esposto, con una visione d’assieme benché in forma ancora provvisoria dal punto di vista dello stile e del linguaggio, tutto l’insieme delle dottrine che verranno successivamente con un paziente lavoro editoriale pubblicate da Engels (che inoltre si avvarrà degli abbozzi del libro II e III ulteriormente stesi da Marx tra il 1863 e il 1867, mentre dava la versione definitiva al libro I) e poi da Kautsky nei libri II, III e IV (noto quest’ultimo con il titolo di Teorie sul plusvalore) di Il capitale.

 

5. Le parti dei quaderni scritti nel 1862-1863 in cui Marx tratta degli economisti volgari (denominazione con cui Marx indica gli economisti che avevano abbandonato lo studio dei rapporti di produzione, di cui gli economisti classici avevano trattato arrivando a conclusioni che facevano presagire la fine inevitabile dell’epoca del capitalismo, e si occupavano invece del mercato, dei prezzi e di altri aspetti fenomenici dell’economia) sono inserite nell’appendice della parte 3 delle Teorie sul plusvalore (vol. 36 delle Opere complete, Editori Riuniti).

  

Per quanto riguarda il “Centralblatt”,[6] il suo articolista fa la concessione più ampia possibile, riconoscendo che bisogna essere d’accordo con le mie conclusioni se alla parola “valore” si vuole dare un qualche significato. Quel disgraziato non vede che l’analisi dei rapporti reali, data da me, conterrebbe la prova e la dimostrazione del reale rapporto di valore, anche se nel mio libro non vi fosse nessun capitolo dedicato al “valore”. Il cianciare sulla necessità di dimostrare il concetto di valore è fondato solo sulla più completa ignoranza, sia della cosa di cui si tratta, sia del metodo della scienza. Che sospendendo il lavoro, non dico per un anno, ma solo per un paio di settimane, ogni nazione creperebbe, è una cosa che ogni bambino capisce. E ogni bambino capisce pure che le quantità di prodotti, corrispondenti ai diversi bisogni, richiedono quantità diverse, e quantitativamente definite, del lavoro complessivo compiuto nella società intera. Che questa necessità della distribuzione del lavoro sociale in proporzioni definite non è affatto annullata dalla forma definita della produzione sociale, ma che quello che può cambiare è solo il suo modo di apparire, è cosa di per sé evidente. Le leggi di natura non possono mai essere annullate. Ciò che può mutare in condizioni storiche diverse è solo la forma con cui quelle leggi si impongono. E la forma in cui questa distribuzione proporzionale del lavoro si afferma, in una data situazione sociale nella quale la connessione tra le parti del lavoro sociale si fa valere come scambio privato dei prodotti individuali del lavoro, è appunto il valore di scambio di questi prodotti.

La scienza consiste appunto in questo: mostrare come la legge del valore si impone. Se dunque si volessero “spiegare” a priori tutti i fenomeni apparentemente contrastanti con la legge, nella propria argomentazione bisognerebbe usare la scienza prima ancora di avere elaborato ed esposto la scienza. È appunto l’errore che fa Ricardo, nel suo primo capitolo, in cui tratta del valore.[7] Egli assume già come date, prima ancora di averle elaborate ed esposte, tutte le categorie possibili, allo scopo di dimostrare che sono conformi alla legge del valore-lavoro.

 

6. Giornale di Lipsia che il 4 luglio 1868 aveva pubblicato una recensione del libro I di Il capitale.

 

7. David Ricardo, Principi di economia politica, cap. 1 “Sul valore”, III ed., 1821.

 

È vero d’altra parte, come lei giustamente ha supposto, che la storia della teoria ovviamente mostra che la concezione del rapporto di valore è stata sempre la medesima, più o meno chiara, più guarnita di illusioni o scientificamente più definita. Siccome il processo stesso del pensare nasce dalle ben definite condizioni in cui nasce ed è esso stesso un processo naturale, il pensare che veramente comprende le cose reali non può che essere sempre lo stesso e può variare solo molto lentamente, man mano che procede lo sviluppo delle cose e dunque anche lo sviluppo dell’organo con cui si pensa. Tutto il resto son ciance.

L’economista volgare non se lo sogna nemmeno che i concreti, quotidiani rapporti di scambio e le quantità di valore non possono essere immediatamente identici. Il senso della società borghese consiste precisamente in questo, che a priori non ha luogo nessun cosciente disciplinamento sociale della produzione. Ciò che per la sua stessa natura è razionale e necessario, nella società borghese si impone soltanto come risultato statistico in un mondo che agisce ciecamente. E poi l’economista volgare crede di fare una grande scoperta se, di fronte alla esposizione del nesso intrinseco delle cose, insiste sul fatto che le cose appaiono invece del tutto diverse [da come afferma chi mostra il loro nesso intrinseco]. Infatti l’economista volgare è fiero di attenersi all’apparenza e di sostenere che è impossibile andare oltre di essa. Ma a che serve una scienza se è impossibile andare oltre ciò che immediatamente appare?

Qui però la faccenda ha ancora un altro sfondo. Una volta che si è mostrato il nesso intrinseco che esiste tra le cose, nella testa degli uomini crolla ogni fede nella necessità ed eternità delle condizioni esistenti, prima ancora che esse siano superate nella pratica. Qui vi è dunque l’assoluto interesse delle classi dominanti a perpetuare la confusione che deri va dalla mancanza di pensiero. E a quale altro scopo sarebbero pagati i sicofanti cialtroni che non hanno altra carta scientifica da giocare se non l’affermazione che nel campo dell’economia politica comunque è impossibile pensare?

Comunque di questo abbiamo già parlato fin troppo. Comunque quanto questi pretacci della borghesia sono corrotti lo dimostra il fatto che operai e persino fabbricanti e commercianti hanno compreso il mio libro e ne sono venuti a capo, mentre queste teste d’uovo (!) si lamentano che io pretendo dalla loro intelligenza cose assai sconvenienti.

Non consiglierei la ristampa degli articoli di Schweitzer, sebbene per il suo foglio Schweitzer abbia fornito delle cose buone.[8] Le sarò obbligato per l’invio di alcuni “Staatsanzeiger”. Potrà certamente sapere l’indirizzo di Schnacke chiedendolo presso l’“Elberfelder”.

I migliori saluti a sua moglie e a Fränzchen.

suo K. M.

PS. A proposito. Ho ricevuto un saggio di Dietzgen sul mio libro;[9] lo spedisco a Liebknecht.

 

8. Nella sua lettera del 9 luglio, Kugelmann aveva chiesto a Marx se riteneva conveniente far stampare in opuscolo la lunga recensione del libro I di Il capitale che Johann Baptist von Schweitzer (presidente dell’Associazione generale degli operai tedeschi dopo la morte di Lassalle) aveva pubblicato sul “Social-Demokrat”, lo informava di aver stampato alcune copie della recensione di Engels pubblicata il 4 luglio sullo “Staatsanzeiger” di Hannover e gli chiedeva l’indirizzo di Schnacke.

 

9. Joseph Dietzgen (1828-1888), operaio tedesco autodidatta e grande propagandista del marxismo, stava scrivendo una recensione del libro I di Il capitale. Aveva allegato alla sua lettera del 3 giugno a Marx la prima parte di essa.