La Voce 53

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XVIII - luglio 2016

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Il partito clandestino

La questione decisiva della rivoluzione socialista in Italia, e la cosa vale per tutti i paesi imperialisti, è il partito comunista: la sua composizione, la formazione e selezione dei suoi membri, il suo modo di funzionamento, il ruolo che deve svolgere tra la classe operaia e il resto delle masse popolari e contro la borghesia imperialista e le classi sue alleate. È la lezione che tiriamo dalla dottrina del marxismo, dalla scienza della società borghese che questa dottrina contiene, dall’esperienza di quasi due secoli di movimento operaio e di movimento comunista, in particolare dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria: cento anni di storia che comprendono la sua ascesa a partire dalla vittoria dell’Ottobre 1917 in Russia e sintetizzata dai nomi di Lenin, Stalin e Mao Tse-tung e il suo esaurimento degli ultimi decenni.

Noi usiamo parole vecchie per dire cose nuove.

Non possiamo che fare così e quindi è grave e inevitabile il rischio di essere fraintesi e di non spiegarci a sufficienza, quanto necessario per essere capiti da chi ci deve capire e perfino da chi ci vuole capire. Spiegare e capire il senso nuovo che diamo a parole ed espressioni vecchie sono aspetti essenziali, decisivi e vitali del nostro lavoro e di chi si unisce a noi a fare la rivoluzione socialista.

Fare la rivoluzione socialista, promuoverla e dirigerla è certo anche questione di volontà, di slancio, di passione, di dedizione, ma quello che è decisivo è la dottrina che ci guida, la comprensione delle condizioni in cui operiamo, delle forme della nostra attività, dei risultati di ogni nostra azione.

Parlando di una figura eroica della rivoluzione socialista, Rosa Luxemburg, Lenin non a caso cento anni fa, nel luglio 1916, diceva: “Si sente nell’opuscolo di Junius l’uomo isolato, che non ha compagni nell’organizzazione clandestina abituata a elaborare fino in fondo le parole d’ordine rivoluzionarie e a educare sistematicamente le masse secondo il loro spirito. Ma questo difetto non è un difetto personale - sarebbe una profonda ingiustizia dimenticarlo - non è un difetto personale di Junius. È il risultato della debolezza di tutti i socialdemocratici tedeschi di sinistra [oggi direbbe di tutti i migliori dei comunisti dei paesi imperialisti], circondati da tutte le parti dall’ignobile rete dell’ipocrisia kautskiana [oggi direbbe dell’ipocrisia dei professori della sinistra borghese e dei revisionisti moderni], dalla pedanteria, dalla “benevolenza” dei kautskiani per gli opportunisti”.(1) Lenin parla della condizione di noi comunisti, dei migliori, dei più avanzati di noi comunisti oggi in Italia, in Europa e negli USA e ottimisticamente proseguiva: “I partigiani di Junius, malgrado il loro isolamento, sono riusciti a incominciare la pubblicazione di manifestini illegali e la guerra contro il kautskismo. Essi riusciranno a procedere oltre, sulla buona via”.

Rosa Luxemburg fu uccisa tre anni dopo (1919) dagli scherani delle borghesia imperialista e del clero e quelli che combattevano con lei attraverso tutte le intemperie e peripezie del secolo trascorso non sono ancora arrivati molto avanti sulla buona via.

 

1. A proposito dell’opuscolo di Junius, luglio 1916 - Opere vol. 22, reperibile in www.nuovopci.it.

 

Nelle parole di Lenin sui kautskiani lo sentiamo parlare dei discorsi che abbiamo sentito al Seminario Nazionale di Rete dei Comunisti (absit iniuria verbis! si direbbe in latino) a Roma il 18 giugno, all’Assemblea Costituente di Bologna il 24, 25 e 26 giugno e in mille altre occasioni in cui sentiamo parlare quegli esponenti della sinistra borghese che si  professano comunisti (2) o i ripetitori dei revisionisti moderni. I migliori di essi giustamente si sentono offesi dalle nostre parole (ma sta a ognuno di loro dimostrare con la loro attività politica, le azioni e le parole, che le cose stanno diversamente). Per ognuno di loro quello di cui parliamo non è una menomazione da cui non possono liberarsi. Parliamo della loro resistenza ad aderire al partito clandestino che “discute fino in fondo le parole d’ordine rivoluzionarie ed educa sistematicamente le masse secondo il loro spirito”.

 

2. “A noi sinistra borghese?”, giustamente si indignano Sergio Cararo e i migliori dei suoi compagni, forse si indigna persino Giorgio Cremaschi. Ma che forse instaurare il socialismo è il vostro obiettivo? Forse che l’obiettivo che voi perseguite è lo stesso che perseguivano Lenin, Stalin e i migliori esponenti del movimento comunista del secolo scorso e della Resistenza antifascista del nostro popolo? Non ve lo sentiamo mai dire in pubblico, molto raramente lo leggiamo nei vostri scritti! Non ve lo sentiamo mai spiegare a chi vi ascolta! Non vi sentiamo mai spiegare cosa intendete per socialismo: credete che oggi sia ovvio e scontato, cosa universalmente nota?

 

Per poter parlare con efficacia alle masse, per poter con successo promuovere la mobilitazione delle ampie masse, i comunisti devono anzitutto raggrupparsi tra loro nella clandestinità, nell’organizzazione clandestina, imparare a discutere fino in fondo le parole d’ordine. Pensare è un’attività individuale che si sviluppa nel confronto, nello scontro, nella discussione. Se discutete sempre o comunque gran parte del tempo di banalità, se avete a che fare con persone abituate ed educate a riempire la loro vita di mille banalità, incapaci di vivere senza quello e quello, le mille cose che il sistema borghese non a caso impone come necessarie e ovvie, il vostro pensiero non si sviluppa. Anzi tendete a regredire, come chi sta a lungo con bambini e finisce col parlare anche lui il loro linguaggio, tanto lo prende lo sforzo di comunicare con loro. In un primo tempo i comunisti devono raggrupparsi tra loro e trattare tra loro liberamente delle parole d’ordine della rivoluzione socialista, senza la preoccupazione di come farsi capire da coloro a cui le porteranno, di come non farsi fraintendere dai distratti, di come non urtare troppo troppe persone perbene, di come non prestare il fianco ai nemici della rivoluzione socialista, agli agenti del regime della controrivoluzione preventiva. Devono discutere senza esitare a usare le categorie e persino il gergo più adatti al pensiero scientifico, più sintetici, gli strumenti più efficaci dell’elaborazione.

 

**** Manchette

Organizzazioni di massa

e partito comunista

Organizzazioni di massa e partito comunista appartengono a due generi diversi. Si entra in un’organizzazione di massa per quello che si è. Si chiede di far parte del partito comunista per quello che si vuole diventare.

Chiamiamo organizzazioni di massa quelle di cui sono membri tutti quelli che lo richiedono e che si impegnano a seguire la linea di condotta che l’organizzazione decide e osservarne lo statuto. Chi aderisce a un’organizzazione di massa non assume l’impegno di trasformare la propria concezione, la propria mentalità e in una certa misura anche la propria personalità e di compiere la Riforma Intellettuale e Morale. Questo impegno è invece condizione indispensabile per essere ammesso a far parte del partito comunista. Il partito comunista non potrebbe essere all’altezza del proprio ruolo di educatore, formatore e organizzatore delle masse popolari se i suoi membri non si assumessero questo impegno e se il partito non si desse i mezzi per guidare i suoi membri a mantenerlo e per controllare che lo mantengano.

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 In un secondo tempo devono darsi i mezzi per portare le loro parole d’ordine con efficacia alle ampie masse, incominciando il loro lavoro dove il terreno meglio si presta. Imparare ad educare sistematicamente e su grande scala le masse popolari secondo lo spirito delle loro parole d’ordine finché esse non hanno sgomberato le macerie della società, le istituzioni putride e maleodoranti della borghesia imperialista e della Corte Pontificia che rovinano il nostro paese, finché non hanno eretto al loro posto le strutture della nuova società, imparando passo dopo passo a farle solide e belle.

Noi insegniamo alle masse popolari quello che esse oggi non sono in grado di imparare da sole, perché la borghesia e il clero in mille modi le distolgono dal pensare, si guardano bene dall’insegnare loro a pensare, combinano le condizioni correnti di lavoro e di vita in modo tale che per le masse popolari è difficile pensare, in particolare per quelli che non hanno mai imparato a pensare.

Noi diciamo cose nuove con vecchie parole. I lettori frettolosi, quelli che ci ascoltano con tablette o telefonino in mano, non ci capiscono: “Ripetono cose vecchie e mille volte inutilmente sentite” pensano - quando pensano a quello che scorrono, a quello che sentono e non capiscono, a quello che noi scriviamo e diciamo. A quelli che lasciano perdere le mille cose dietro cui corrono normalmente e pensano a quello che devono fare e a quello che stiamo facendo, noi diciamo con parole vecchie le cose nuove che devono fare, che noi stiamo facendo.

La rivoluzione socialista è quello che stiamo facendo, le nostre azioni di oggi sono operazioni della rivoluzione socialista in corso, la marcia di avvicinamento all’instaurazione del socialismo. Costruire lo Stato Maggiore della guerra popolare rivoluzionaria che gli operai faranno con il resto delle masse popolari che essi trascineranno a fare la guerra come oggi ogni volta che danno luogo a grandi mobilitazioni trascinano in strada a fare la dimostrazione. Che è una guerra perché finirà solo con l’eliminazione della borghesia imperialista e del suo clero e dei loro alleati, delle loro istituzioni e del loro sistema di relazioni sociali, nonostante tutte le manovre e i crimini a cui la borghesia e il clero ricorreranno per prolungare la vita del loro sistema. È una guerra perché noi non possiamo e non dobbiamo contare in alcun modo sulla bontà, sulla moderazione, sulla lealtà e sulla legalità della borghesia imperialista, del suo clero e dei loro alleati e agenti. “Bisogna soffocare il bambino finché è ancora nella culla” era la parola d’ordine di Churchill nel 1918 contro il governo sovietico. È una guerra popolare e rivoluzionaria perché la facciamo e la dobbiamo fare con i nostri metodi e le nostre armi, non imitando quelli della borghesia e delle altre classi reazionarie. Dobbiamo farla usando quelli che ci sono utili e quando ci convengono, e anzi obbligando noi loro a rincorrerci sul nostro terreno, dove noi siamo più forti e loro saranno quindi sconfitti.

 

3. Nell’opuscolo Cristoforo Colombo (reperibile ora in www.nuovopci.it) Pippo Assan spiegava nel 1983 ai suoi compagni delle Brigate Rosse che il grande risultato che avevano raggiunto stava nel fatto che di fronte a una ingiustizia e a un’offesa migliaia di proletari in Italia pensavano e alcuni addirittura gridavano: “Ci vorrebbero le Brigate Rosse” e indicava come approfittare di questa vittoria per avanzare.

 

Impossibile? No, è possibile! La prima ondata della rivoluzione proletaria ha mostrato che papi, preti, presidenti di grandi potenze si sono dovuti adattare a scimmiottare noi comunisti, a scendere sul nostro terreno. Hanno dovuto cercare di farci concorrenza, si sono dovuti ingegnare a convincere le masse popolari che ascoltavano i comunisti ed erano tentate di seguirli, che con loro avrebbero potuto avere tutto quello che i comunisti le chiamavano a conquistare lottando, che avrebbero potuto averlo senza tanti sforzi e tanto sangue, per bontà loro. Perché i comunisti erano riusciti a farsi ascoltare dalle grandi masse, le avevano portate ad avere una certa fiducia nei comunisti e nella loro direzione, al punto che erano tentate di seguirli.(3) Abbiamo visto Giovanni XXIII e Paolo VI, abbiamo visto Franklin Delano Roosevelt negli USA e Attlee e Bevan in Gran Bretagna (i paesi anglosassoni che adesso il sistema di intossicazione dell’opinione  pubblica dipinge come le patrie da sempre della libera iniziativa dei capitalisti), abbiamo visto De Gasperi, Fanfani e Moro promettere casa e lavoro, abbiamo visto cento altri personaggi della buona società alla ricerca del consenso delle masse popolari e sono riusciti a farcela solo perché i revisionisti moderni che erano alla direzione dei partiti comunisti hanno convinto e comunque indotto i nostri compagni a far credito alla borghesia e al clero, ad avere fiducia, a metterli alla prova. La rivoluzione socialista è la marcia di avvicinamento all’instaurazione del socialismo. La rivoluzione socialista è una guerra popolare rivoluzionaria che noi comunisti promuoviamo: noi portiamo le masse popolari a farla. È una guerra che finirà con l’eliminazione della borghesia imperialista, delle sue istituzioni di potere e della sua proprietà sulle aziende che saranno confiscate e nazionalizzate.

Fare la rivoluzione socialista non è aspettare che scoppi la rivolta, agitarsi a destra e a manca sperando che prima o poi scoppi, raccogliere compagni per essere in numero sufficiente ad approfittare della rivolta quando scoppierà. La prima ondata della rivoluzione proletaria ha mostrato che la rivoluzione non scoppia. Fare la rivoluzione socialista è quello che dobbiamo fare oggi per mobilitare operai ed esponenti di altre classi delle masse popolari, dipendenti di aziende e di istituzioni pubbliche, casalinghe, studenti, disoccupati, pensionati, immigrati e “tutti gli altri” che hanno di che vivere solo se trovano un lavoro da fare. Imparare noi a mobilitare loro perché si organizzino, formino organizzazioni operaie e organizzazioni popolari che agiscano nel loro posto di lavoro e nella zona attorno come nuove autorità pubbliche, sempre più capaci di dire quello che bisogna fare e sempre più autorevoli in modo che quelli a cui parlano facciano quello che loro dicono che bisogna fare. Così si costruisce il nuovo potere, la rete di organizzazioni operaie e popolari che copre l’intero paese e lo sgombera delle istituzioni della Repubblica Pontificia, quelle della ferrovia Adria-Corato, dei pensionati, immigrati e famiglie qualsiasi alla mensa della Caritas, dei ragazzini che spacciano, delle mille persone in cerca di lavoretti. Così si crea nel paese un potere fatto di organizzazioni operaie e popolari che crescono di forza passo dopo passo fino a rovesciare a proprio favore l’attuale rapporto di forza.

Rosa L.