La Voce 54 - del (nuovo)Partito comunista italiano - anno XVIII  - novembre 2016

La rivoluzione socialista che stiamo facendo

Che la rivoluzione socialista non scoppia è un’affermazione che abbiamo detto e ripetuto più volte, a partire almeno dal lontano 1995, centenario della morte di Engels, quando le Edizioni Rapporti Sociali diedero alle stampe Federico Engels - 10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del partito comunista.

Ma la concezione che la rivoluzione socialista scoppia entra inavvertitamente ancora nei nostri ragionamenti direi quotidiani e capillarmente e inavvertitamente frena e inquina il nostro lavoro quotidiano,

tanta è la frequenza con cui l’espressione si presenta anche nelle opere dei classici del movimento comunista, ivi compresi negli scritti di Lenin e Stalin (anche se contrasta con la realtà della loro opera e con la dottrina espressa nei loro scritti: “organizzare la rivoluzione (OC vol. 8 pagg. 151-159) è la parola d’ordine che fin dal 1905 Lenin contrappose alla “tattica-processo” dei menscevichi, ma in realtà l’aveva fatto già nel Che fare? del 1902 e prima ancora da quando nel 1895 iniziò la sua attività politica con gli operai di Pietroburgo) e nella letteratura dei partiti comunisti della III Internazionale (era un modo di dire, ma anche una concezione che i partiti comunisti ereditarono dalla II Internazionale e dai partiti socialisti da cui provenivano);

tanto l’idea è radicata nella mentalità corrente (per chi non ha partecipato alla rivoluzione, la sua vittoria è un evento inatteso, non ha visto che stava arrivando e viene spontaneo identificare la rivoluzione con la sua vittoria, con la sua conclusione: l’instaurazione della dittatura del proletariato, la presa del potere, la costituzione del suo governo);

tanto questa concezione è utile alle classi dominanti e in mille forme veicolata dalla loro cultura destinata alle masse (devia i seguaci di questa concezione dall’occuparsi di fare la rivoluzione qui e ora, dall’inquadramento rigoroso dell’attività del momento in una strategia (un piano) che sfocia nell’instaurazione del socialismo, fa sconfinare nelle rivendicazioni e nella partecipazione alla lotta politica borghese, nelle mille attività politiche ognuna presa a sé, nell’avventurismo e movimentismo da una parte o nell’inerzia e nell’opportunismo dall’altra).

Sostenere che noi stiamo preparando la rivoluzione socialista, implica ritenere che la rivoluzione socialista è un evento che scoppia quando la preparazione è giunta a un certo livello, o che scoppia per fattori che non dipendono dalla nostra attività e che la nostra attività attuale serve a essere preparati ad approfittare dell’evento. Ritenere che stiamo preparando la rivoluzione socialista porta ad attribuire al lavoro di massa che facciamo oggi un ruolo in se stesso, al di fuori della sua connessione con la guerra popolare rivoluzionaria (GPR), al di fuori della sinergia e concatenazione con le altre attività del Partito, come se esso creasse una realtà che ha valore di per se stessa indipendentemente dal seguito che il Partito le dà, ad attribuire alla singola lotta rivendicativa solo il suo obiettivo particolare e corporativo, ad attribuire alla nostra partecipazione alla lotta politica borghese un ruolo suo proprio. Nega insomma la sinergia e la concatenazione di eventi di cui invece il Partito deve essere soggetto e che insieme costituiscono la guerra popolare rivoluzionaria (GPR): è inutile conquistare una posizione, se non hai un piano per sfruttarla e proseguire; al contrario un obiettivo che pare fuori strada, perfino sbagliato in termini di principio, è importante se ti apre la via a una manovra importante. Porta ad attribuire a ogni singola iniziativa un valore in sé (genericamente “prepara le condizioni”) al di fuori della sua connessione consapevole con la GPR, del ruolo che ha nella GPR: cioè con la creazione e moltiplicazione del numero di organizzazioni operaie e popolari, con il rafforzamento di ognuna di esse, del suo collegamento con altre organizzazioni operaie e popolari e della sua influenza, con l’elevazione della sua coscienza e il rafforzamento del suo orientamento a costituire un proprio governo d’emergenza oggi (GBP) e del suo legame con il partito comunista per l’instaurazione della dittatura del proletariato domani; con un movimento di cui il Partito è l’artefice decisivo, visto che le condizioni oggettive della rivoluzione socialista sono date.

Come spiega il nostro Manifesto Programma (cap. 3.3) la rivoluzione socialista è la guerra popolare rivoluzionaria  promossa dal partito comunista e condotta dalla classe operaia alla testa del resto delle masse popolari contro la borghesia e il suo clero, quindi contro i vertici della Repubblica Pontificia. È una combinazione di tutte le lotte di massa e le iniziative di partito che oggi conduciamo, scelte e condotte ognuna nel quadro della guerra che stiamo promuovendo e finalizzate alla nostra vittoria, quindi con obiettivi da raggiungere, una strategia per ogni obiettivo e tattiche per realizzare ogni strategia.

Oggi noi non sappiamo ancora fare la guerra: impariamo a farla facendola. Chi malignamente gode dei nostri errori, è il caso di alcuni di quelli che hanno disertato le nostre file, non sa che ogni grande impresa inizia con una fase di apprendistato, in cui l’essenziale non è non sbagliare, ma non arrendersi e correggersi. Non è possibile altra via, non c’è una scuola che insegna come fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista. Abbiamo l’esperienza di alcuni tentativi fatti nel nostro paese e in Europa e finiti in sconfitte o nell’esaurimento della guerra a causa della corruzione e dispersione delle nostre forze: da ognuno di essi impariamo. Abbiamo l’esperienza della Russia, un paese che aveva alcune caratteristiche da paese imperialista e dove i nostri a partire dal 1895 hanno fatto una vittoriosa rivoluzione socialista in stretta connessione con la lotta di classe che si svolgeva nei paesi imperialisti d’Europa e d’America ma basata sulle premesse e le condizioni sociali e nazionali che derivavano dalla storia russa. Da essa impariamo. Abbiamo la nostra concezione comunista del mondo e con essa impariamo dalla lotta di classe in corso.

Noi stiamo facendo la rivoluzione socialista, stiamo percorrendo la strada che ci avvicina all’instaurazione del socialismo, alla vittoria: la costituzione del GBP è un salto, una svolta, un tratto di questa strada. Costituirlo vuol dire portare la rivoluzione socialista in una fase nuova, superiore all’attuale.

La GPR non è principalmente e tanto meno solo una guerra nel senso militare del termine: è anzitutto una guerra politica, guerra per conquistare il potere. Le armi sono solo uno dei mezzi, principale e decisivo solo in alcune circostanze. Un esercito politico non è un esercito di soldati. Un comando militare entra in guerra con un esercito già pronto: il Partito invece deve costruire il proprio esercito nel corso della guerra stessa, nel corso dei conflitti di classe, mano a mano che porta le masse, e in primo luogo la classe operaia a rendersi conto, per propria esperienza diretta, passo dopo passo, che le parole d’ordine del partito sono giuste, che la sua politica e la sua direzione sono giuste, che la via che il Partito persegue è l’unica via di salvezza.

Per chi ha chiaro che stiamo conducendo una GPR per la cui vittoria esistono le premesse, è chiaro anche che per promuoverla, dirigerla e vincere, il fattore determinante è avere, e quindi costruire uno Stato Maggiore all’altezza dell’impresa. Oggi il malcontento e l’indignazione delle masse popolari è grande ed è il livello del suo Stato Maggiore, il (nuovo)Partito comunista italiano, che determina la velocità a cui la rivoluzione socialista avanza nel nostro paese. La lotta che conduciamo nel Partito per la Riforma Intellettuale e Morale dei suoi membri, i processi di critica, autocritica e trasformazione sono un aspetto indispensabile della GPR. I vecchi partiti comunisti dei paesi imperialisti se ne sono curati poco. La bolscevizzazione lanciata su grande scala dal V Congresso dell’Internazionale Comunista (giugno-luglio 1924) ha fatto poca strada. Per questo non hanno instaurato il socialismo nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976) e in seno ad essi si è gradualmente rafforzata la destra e in definitiva i revisionisti moderni hanno preso la direzione e hanno portato il Partito alla corruzione e poi alla disgregazione e alla liquidazione o, il ché è sostanzialmente lo stesso, alla sua trasformazione in ala sinistra della democrazia borghese.

Corruzione non significa solo smodatezza nel mangiare, nel bere, nell’uso di droghe e nelle attività sessuali; non significa solo avidità di denaro e ricchezza, prostituzione di ogni valore e relazione al denaro. Per noi comunisti significa anche mancanza di rigore e profondità nel pensare e di costanza e determinazione nell’adempiere i compiti che proclamiamo di assumere. Avere una linea giusta e perseguirla senza riserve è infatti la base della ferrea disciplina che deve regnare in un partito comunista e la condizione prima per stabilire un solido legame con le masse popolari e conquistare il loro consenso e la loro convinta e attiva partecipazione alla lotta diretta dal Partito. Anche la combattività  delle masse popolari dipende quindi in definitiva dal Partito, nei paesi imperialisti ora più che ieri e più che negli altri paesi.

Anna M.