La Voce  57 - anno XIX, novembre 2017 - in formato PDF - Formato Open Office - Formato Word

del (nuovo)Partito comunista italiano

consolidamento e rafforzamento del (nuovo)Partito comunista italiano 

Napoli - Analisi del contesto

Contro le idee sbagliate e l’intossicazione diffusa dal Vaticano, dalla borghesia imperialista e dalla sinistra borghese

Fare analisi del contesto è attività indispensabile di ogni Comitato di Partito. La redazione pubblica volentieri nonostante i limiti evidenti lo scritto mandatoci da un compagno perché sia di stimolo a lui e ad altri a proseguire in questa attività.

 

Per risolvere un problema e progettare un intervento di trasformazione del contesto in cui vogliamo intervenire, bisogna indagare sullo stato attuale e sugli stati precedenti di quel contesto. Solo con un’indagine storica e in profondità è possibile comprendere come stanno realmente le cose e individuare linee di sviluppo, strumenti e passi da fare per risolvere quel problema, trasformare quel contesto.

L’analisi con il materialismo dialettico delle forme e condizioni della lotta di classe e della struttura della società, attuali e pregresse, del contesto in cui intervengono è la strada che devono seguire i comunisti per la rinascita del movimento comunista nel nostro paese. A nulla serve escogitare sistemi o lanciare parole d’ordine all’apparenza condivisibili e convincenti. Prendere decisioni senza fare inchieste, accontentandosi del sentito dire e dei racconti con cui la borghesia imperialista e il Vaticano intossicano la mente e il cuore delle masse popolari, vuol dire indebolire il movimento comunista, la classe operaia e le masse popolari nella resistenza che oppongono agli effetti più gravi della crisi generale del sistema capitalista e nella loro lotta per fare dell’Italia un paese socialista.

Questo scritto vuole essere, quindi, una spinta ad avviare un percorso di analisi metodica e rigorosa del contesto a partire dai compagni e dalle compagne della Carovana del (nuovo) PCI, in particolare da quelli che intervengono nel territorio di Napoli, nostro storico concentramento di forze, oggi punta avanzata della lotta di classe in corso a livello nazionale.

Qui lo sviluppo della seconda crisi generale del sistema capitalista e la conseguente mobilitazione montante delle masse popolari, anche in virtù della presenza di organismi della Carovana del (nuovo) PCI, ha portato allo sviluppo di una tendenza avanzata alla formazione di Nuove Autorità Pubbliche (vedi Comitato San Gennaro, Comitato Vele e altre esperienze simili). Questo unito all’attacco dei governi centrali contro queste esperienze mediante la promulgazione di misure economiche odiose, commissariamenti e attacchi all’Amministrazione Comunale (continua minaccia di fallimento per debito, di dissesto finanziario e del commissariamento) finiscono per creare ulteriori condizioni per la costituzione di un’Amministrazione Comunale d’Emergenza.

L’affermazione elettorale di Luigi De Magistris è passata attraverso il legame che, in qualche modo, quest’esperienza amministrativa è riuscita a costruire con la classe operaia e il proletariato napoletano. Basti pensare alle battaglie degli operai FCA di Pomigliano licenziati dal criminale Marchionne, alle mobilitazioni contro i licenziamenti degli operai impiegati nei call center di Almaviva, alle lotte operaie contro licenziamenti, delocalizzazioni e autoritarismo dell’Autorità Portuale all’interno del Porto di Napoli, ai presidi e alle contestazioni portate avanti dai lavoratori delle Società Partecipate (ultime in ordine temporale quelle di Campania Ambiente e di Azienda Napoletana Mobilità) fino alla rivolta montante all’interno degli ospedali e delle aziende sanitarie di tutta la città: ospedali occupati da utenti e lavoratori come il San Gennaro, sviluppo della pratica del ticket sociale quale sciopero alla rovescia dei lavoratori (ospedali San Gennaro e San Giovani Bosco) che forniscono gratuitamente il servizio sanitario alle masse popolari boicottando la cassa ticket,  fino al moltiplicarsi di assemblee di utenti e lavoratori degli ospedali con stesura di piani di gestione alternativi e mobilitazione per farli applicare.(1)

 

1. Queste sono solo alcune delle principali mobilitazioni degli ultimi anni portate avanti dalla classe operaia e dal proletariato di Napoli. Ad esse vanno aggiunte le mobilitazioni per il diritto alla casa e a un lavoro utile e dignitoso, contro la distruzione dell’istruzione pubblica e la devastazione dell’ambiente, a sostegno di immigrati, rom e altre fasce deboli delle masse popolari particolarmente aggredite dalla mobilitazione reazionaria e dalla guerra tra poveri promossa e alimentata dalla borghesia imperialista, dal Vaticano e dalla Camorra.

 

A fronte del ruolo di capocordata dei sindaci in rottura con il governo centrale che l’Amministrazione De Magistris ha in parte assunto - ad esempio la battaglia dei comuni ricattati dal predissesto e dissesto finanziario o la mobilitazione dei sindaci nell’attuazione della Costituzione del 1948 - il collo di bottiglia che quest’Amministrazione non riesce ancora a sfondare sta proprio nel fatto che non riesce a legarsi fino in fondo e senza riserve alle masse popolari della città e a valorizzare la grossa mobilitazione che queste esprimono. Si riduce al lancio di appelli generali (potere al popolo, governare facendo la rivoluzione) e tratta il grosso delle questioni che riguardano la città non con gli occhi della lotta tra le classi ma come questioni giuridiche, amministrative e meramente istituzionali.

 

L’esperienza dell’Amministrazione De Magistris (e, nel piccolo, anche di quella di Josi Della Ragione a Bacoli) ricorda quanto accadde nel 1799 con la Repubblica Partenopea. Questa fu il primo tentativo di rivoluzione borghese in Italia, nella fase di passaggio dal modo di produzione feudale (di cui il Vaticano in Italia è il baluardo fatto forte anche dal suo ruolo a livello mondiale) al modo di produzione capitalista. Fu, in sostanza, un governo rivoluzionario e democratico che cercò di scalzare la monarchia feudale borbonica, sotto la guida di una borghesia dalla composizione principalmente intellettuale, che fallì per le difficoltà che incontrò perché non mobilitava le masse popolari contro il re, si riduceva a lanciare appelli generali e a passare giorni e giorni a stendere decreti e delibere inattuabili senza la mobilitazione delle masse popolari. A fronte della debolezza da parte della borghesia nel mobilitare in massa i contadini contro il re, furono da un lato l’aristocrazia cittadina a mobilitare le masse popolari urbane (impiegate nei lavori di servitù della corte), dall’altro il Vaticano, molto influente nelle campagne attorno alla città, a mobilitare i contadini (che chiedevano una riforma agraria) contro la borghesia.

Gli eroi borghesi della Napoli rivoluzionaria finirono giustiziati in piazza. Le forze reazionarie feudali, soprattutto il Vaticano, ebbero la meglio.

Attorno a episodi come questo, che riguardano la storia della città di Napoli, la borghesia, il clero, i revisionisti moderni prima e poi la sinistra borghese, hanno alimentato narrazioni delle condizioni oggettive e soggettive della città completamente devianti e intossicanti, fondate sul disprezzo e la denigrazione della classe operaia e delle masse popolari.

Quello che la borghesia e le classi reazionarie cercano di scaricare sulle masse popolari, attiene invece al passaggio dal modo di produzione feudale a quello capitalista e alla particolarità con cui esso si è sviluppato nel nostro paese, dove ha sede l’espressione più forte del modo di produzione feudale a livello europeo se non mondiale, il Papato.

La particolarità di questo passaggio sta in sintesi nel fatto che la Chiesa per mantenere il proprio ruolo di centro di potere mondiale contro il progresso verso cui il sistema capitalista e la borghesia invece stavano conducendo l’umanità, con la Controriforma di fatto bloccò nella penisola lo sviluppo dei rapporti di produzione capitalisti. La Chiesa, mentre nel frattempo rafforzava il proprio ruolo sui contadini, nella direzione spirituale delle donne e nell’educazione dei fanciulli, in vari modi represse l’attività imprenditoriale della borghesia e la indusse a rinunciare in tutto o in parte agli affari e a trasformarsi in proprietaria terriera pur mantenendo la propria residenza nelle città.

 Le città avevano già e conservarono un’abbondante popolazione composta di servitori, impiegati, addetti ai servizi pubblici, poliziotti, soldati, fannulloni, ladri, prostitute, artigiani, intellettuali, artisti e professionisti che soddisfacevano, per lo più retribuiti in denaro, ai bisogni e ai vizi dei proprietari terrieri, delle Autorità e del clero. Le città, in particolare Roma e Napoli, divennero quindi enormi strutture parassitarie: consumavano quello che il clero, i proprietari terrieri e le Autorità estorcevano ai contadini e non davano nulla in cambio a questi. La borghesia cittadina napoletana, quindi, a differenza di quella francese o degli altri paesi in cui lo sviluppo del modo di produzione capitalista proseguì con più decisione, era una borghesia principalmente illuminista, intellettuale, meno forte nelle trasformazioni strutturali che il nuovo modo di produzione realizzava in altri paesi. Tra l’altro ancora non si poneva reali propositi di unificazione nazionale dell’intera penisola, diversamente da quanto avveniva in altri paesi europei.

In definitiva la vera radice della questione meridionale è l’anomalia italiana. Il centro dell’anomalia è la presenza del Papato e il ruolo di blocco che questo ha avuto nello sviluppo del modo di produzione capitalista in Italia. Il problema non è quindi l’arretratezza storica o razziale delle masse popolari e dei contadini meridionali o l’inguaribile spirito da perdigiorno del “popolo napoletano”.

 

Questo breve passaggio sulla storia più o meno recente di Napoli è utile per comprendere come, nel corso dei decenni e degli sviluppi successivi della lotta di classe in città, si è sviluppata la visione denigratoria delle masse popolari. In essa le masse popolari napoletane vengono raccontate come una massa di straccioni e lazzaroni che vivono alla giornata con una pletora di mille azzeccagarbugli, di preti miscredenti, di camorristi “antistato” e di martiri della legalità. La narrazione di una città senza operai e senza comunisti che si sarebbe liberata dal nazifascismo con il coraggio spontaneo di valorosi scugnizzi. Sono queste tutte sonore balle con cui la borghesia imperialista, i revisionisti moderni e la sinistra borghese hanno intossicato e deviato l’analisi dello sviluppo oggettivo e strutturale della città.

In definitiva nella narrazione quotidiana la città di Napoli e le masse popolari napoletane vengono presentate come corpi estranei al resto del paese, come una massa di lazzaroni intenti a sbarcare il lunario e che mai riusciranno a organizzarsi, a partecipare a un processo di ricostruzione della città e a governare anche solo un condominio. Continuamente su tutti i canali TV, in decine di libri e trasmissioni radiofoniche l’impegno è quello di affermare che Napoli, la Campania e l’Italia del Sud sono terre di nessuno, ricche di risorse ma abitate da pigri sfaccendati e laboriosi criminali.

Tutta questa paccottiglia di balle genera due filoni culturali all’apparenza opposti ma uniti dalla stessa concezione.

Il primo filone è quello dell’orgoglio meridionalista. Nella sua versione di sinistra questo filone mette al centro l’idealizzazione della Napoli ribelle tanto in voga tra le FSRS, tra le organizzazioni di radice autonoma e della sinistra borghese presenti in città (Partenope Ribelle, Napoli Direzione Opposta, ecc.). Il protagonista di questo filone è l’intellettuale meridionale che rivendica il suo essere lazzaro, si atteggia a sottoproletario e arriva in alcuni casi a vedere in questa classe sociale il “soggetto rivoluzionario”, ma finisce sotto sotto a disprezzarla perché essa è incapace di rispondere agli appelli generali lanciati dall’alto delle accademie. Nella sua versione di destra questo filone è invece incarnato dai gruppi neoborbonici che evidentemente rimpiangono la fame e la miseria dei contadini nel Regno delle Due Sicilie e a queste vogliono in qualche modo ritornare. Entrambe le versioni rimuovono completamente il ruolo della classe operaia e del proletariato nello sviluppo della storia cittadina, mentre in realtà per lungo tempo nel novecento Napoli è stata la quarta città industriale d’Italia a cui va aggiunto un numero enorme di proletari che lavoravano e ancora lavorano nel pubblico impiego. Esse nella loro narrazione riducono la lotta di classe alla lotta contro un generico “potere” da combattere, un potere che schiaccia le masse popolari del Sud in quanto rozze, disorganizzate e arretrate; quando non addirittura a uno scontro tra casati e bande delle classi reazionarie e degli oppressori in cui le masse popolari possono solo sce gliere per chi parteggiare.

Il secondo filone è quello del complesso d’inferiorità rispetto agli emancipati “popoli” del Nord. Nella sua versione di sinistra questo filone si manifesta nella promozione di battaglie di civiltà e di contrasto al degrado, alla microcriminalità, all’abbandono scolastico e nella lotta alle organizzazioni criminali. È la versione espressa principalmente dalla società civile, da pezzi della sinistra borghese legata al vecchio movimento comunista, dalla sinistra della borghesia imperialista illuminata e liberale di cui la giunta De Magistris è in larga misura espressione. Nella sua versione di destra questo filone si manifesta invece come vero e proprio strumento contro le masse popolari utilizzato dalla borghesia imperialista, dal Vaticano e dalla Camorra. Essa è incarnata da imprenditori criminali come Alfredo Romeo e Franco Caltagirone, da politicanti come Vincenzo De Luca e i centri di potere di cui è garante, da alti prelati, preti imprenditori e spettabili membri del clero (2) come il cardinale Sepe e da foche ammaestrate come Roberto Saviano, lo scribacchino sionista amico del PD.(3)

 

2. Il Vaticano, la Curia e oltre cento fra confraternite, arciconfraternite e associazioni cattoliche possiedono mezza città e un numero di chiese superiore perfino a quello di Roma pur tuttavia sede del Vaticano.

 

3. Un uomo buono a indicare i problemi della città perché la città mai si rialzi e mai li risolva. Uno che attraverso il disgusto crea il mito dell’inguaribile malvagità dell’uomo, che si lamenta dei morti di Camorra e non spende una parola per le donne e i bambini palestinesi che il criminale Stato d’Israele ammazza da quasi un secolo. Teorico della definizione, che fu di Benedetto Croce, di Napoli come “paradiso abitato da diavoli”, ha trovato il suo mestiere nel disprezzare le masse popolari e convincerle della propria arretratezza. Altro che lotta alla Camorra, Saviano è lotta contro le masse popolari!

 

Entrambi i filoni sono prodotto della propaganda anticomunista della borghesia imperialista, intenta a nascondere il fatto che Napoli in realtà ha una storia luminosa. Per secoli è stata una delle capitali della cultura nazionale e mondiale. È qui che hanno operato e si sono formati uomini e donne di scienza, arte e pensiero filosofico come Gianbattista Vico, Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri, Eleonora Pimentel Fonseca, Giordano Bruno, Vincenzo Cuoco, Carlo Pisacane, Carlo Cafiero, Francesco De Sanctis, Antonio Cardarelli, Giuseppe Marotta, Enrico Caruso, Vittorio Parisi, Edoardo Scarfoglio, Matilde Serao, Benedetto Croce, Eduardo De Filippo, Antonio De Curtis (Totò) e i più recenti Luciano De Crescenzo, Massimo Troisi e Pino Daniele: tutti espressione di una città che è stata polo di elaborazione e produzione culturale di prima grandezza.  

Una città che ha mostrato innanzitutto un grosso fermento dal punto di vista della lotta tra le classi: dalla rivolta di Masaniello nel 1647, alla rivoluzione borghese sconfitta del 1799; dai ripetuti moti popolari durati per quasi tutto l’ottocento (che attrassero tanti rivoluzionari della Prima Internazionale: il più celebre fu Michail Bakunin), ai metalmeccanici che durante il primo sciopero operaio della storia unitaria, nel 1863, furono ammazzati e feriti a Pietrarsa; dall’eroismo dei “briganti” che combatterono contro la colonizzazione e l’annessione armata da parte del Regno di Sardegna nel 1861, passando per i comunisti e gli operai che insieme al resto delle masse popolari diedero vita alle Quattro Giornate di Napoli durante la Resistenza, giorni che fecero di Napoli la prima città a liberarsi dalle truppe nazifasciste per iniziativa propria, prima dell’arrivo delle truppe anglosassoni; alla fondazione della prima sezione del vecchio PCI ad opera di Amadeo Bordiga, alle lotte operaie e per il lavoro negli anni sessanta, oltre alle varie esperienze rivoluzionarie degli anni settanta; al valoroso esempio che gli operai dell’Italsider di Bagnoli diedero all’intero paese quando nel secondo dopoguerra ricostruirono da soli e in anticipo rispetto ai piani definiti dallo Stato, la fabbrica distrutta da anglosassoni e da tedeschi; ai grandi Consigli di Fabbrica della Indesit, dell’Italsider, della FIAT e delle altre grandi aziende che facevano di Napoli, fino alla fine della fase del capitalismo dal volto umano (1975/80), la quarta città operaia d’Italia dopo  quelle del triangolo industriale del nord ovest (Milano, Genova e Torino).

 

È importante analizzare questo tipo di concezioni e di distorsioni della realtà di Napoli perché esse hanno influenzato e influenzano il modo di analizzare le contraddizioni in essa presenti da parte del movimento comunista che oggi rinasce in Italia con la Carovana del (nuovo) PCI. Questa proprio a Napoli ha un suo storico concentramento di forze. Napoli è la città in cui oggi si giocano in misure consistente gli equilibri nazionali, in termini di costruzione e moltiplicazione di Nuove Autorità Pubbliche, in termini di fomentazione dell’ingovernabilità dal basso e in termini di scontro tra governo centrale e amministrazioni locali in rottura. Per guidare questo processo noi comunisti dobbiamo elevarci all’altezza del nostro compito e analizzare il contesto con gli occhi del materialismo dialettico e non del senso comune.

La giunta che oggi amministra la città di Napoli è espressione della lotta in corso tra le classi, tra il movimento comunista e la borghesia imperialista. La lotta tra linee che si sviluppa all’interno dell’Amministrazione Comunale la porta da un lato a fare dei passi a sostegno delle masse popolari e della loro mobilitazione, dall’altro a ridursi al ruolo di “buona amministrazione” cercando di conciliare le imposizioni della Repubblica Pontificia con gli interessi delle masse popolari, finendo per consegnare l’Amministrazione e le masse popolari in mano a chi conduce una guerra di sterminio non dichiarata contro queste ultime. Il limite di De Magistris oggi è quello di cercare di conciliare l’inconciliabile, di addolcire il caffè usando il sale, finendo per vivere nell’eterna indecisione a rompere fino in fondo col governo centrale e muovere altri passi sulla strada del sostegno, appoggio e mobilitazione delle masse popolari ed essere quindi conseguente con le parole agitate nei comizi elettorali e dare effettivamente il “potere al popolo”.

In questo ambito noi comunisti dobbiamo arrivare a padroneggiare adeguatamente il materialismo dialettico e acquisire un’adeguata conoscenza delle forme e degli sviluppi della lotta di classe in corso. Allora dirigeremo con successo la classe operaia e il resto delle masse popolari a sviluppare le potenzialità che questa Amministrazione esprime per arrivare a rompere con il governo delle Larghe Intese e aprire la strada alla costruzione di Amministrazioni Locali di Emergenza.

Sirio L.