La Voce 58 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX marzo 2018

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)Partito comunista italiano

La lettera della compagna (candidata del P.CARC) illustra bene alcune delle idee che con gli articoli che cita, Alle origini del vecchio PCI e Noi comunisti italiani di nuovo tipo e il primo PCI (1921-1989), la redazione di VO vuole promuovere tra i propri lettori, che per lo più sono membri, collaboratori o simpatizzanti delle organizzazioni della Carovana del (n)PCI. Sono propedeutiche all’adesione al Partito. Un buon esempio anche di Note di Lettura. Per questo la pubblichiamo in questa rubrica.

Cari compagni,

in questo contributo provo a tirare le somme del mio percorso di candidata del P.CARC e di come alcune delle tesi principali apprese fino a questo momento hanno influito nella mia esperienza politica e personale. Per ogni esperienza è fondamentale e necessario fare un bilancio al fine di tracciare una linea guida che metta al riparo dagli errori commessi in passato. Punto di partenza di questo contributo è stata la lettura degli articoli Alle origini del vecchio PCI e Noi comunisti italiani di nuovo tipo e il primo PCI (1921-1989) del n. 57 di La Voce. Da vari articoli di questo numero della rivista emerge che lo studio e l’elaborazione dell’esperienza sono elementi imprescindibili per comprendere e orientare la rivoluzione socialista oltre che tratto distintivo del (n) PCI rispetto a tutti coloro (partiti, organizzazioni e singoli cittadini) che si definiscono comunisti, sinceramente convinti di esserlo, ma che in definitiva non si danno i mezzi necessari a costruire la rivoluzione e un nuovo ordine del mondo. Difatti è solo attraverso un bilancio puntuale e sistematico, solo dandosi una linea concreta, solamente aderendo al partito, comprendendo e assimilando la scienza comunista che è possibile essere e agire da comunisti. Per questo è importante mettere al centro lo studio, l’elaborazione e la pratica della linea del partito e farlo fino in fondo e nel migliore dei modi, quindi trasformando anche se stessi (riforma intellettuale e morale (RIM) e percorsi di critica-autocritica-trasformazione - CAT). Ognuno ha il preciso dovere, per portare a compimento la rivoluzione dentro di sé e al di fuori di sé, di dare battaglia agli aspetti della sua personalità, della sua mentalità, della sua concezione del mondo e della sua condotta che contrastano la sua opera di comunista e quanto più gli ostacoli ci spaventeranno sembrandoci insormontabili, tanto più il cambiamento sarà profondo e proficuo. Per questo non dobbiamo temere di spingerci fino alla rottura, visto che a volte è l’unica strada per costruire ad un livello superiore: quindi è importante imparare a ragionare sempre in prospettiva per non cadere vittime delle angosce del presente che rischiano di immobilizzarci. Il compito non è facile e lo vediamo nella vita di tutti i giorni: nei rapporti personali, nelle relazioni che ci accompagnano da una vita, in tutta una serie di circostanze che a volte sembrano ostacolare il nostro processo di crescita personale e politica.

Occorre avere metodo e pazienza: pretendere un rapido cambiamento da parte di chi ci circonda (in una prima fase anche a livello di semplice comprensione) sarebbe illusorio, oltre che controproducente perché, di fatto, potrebbe portare a un cambiamento estremamente superficiale. Con questo non voglio dire che dobbiamo allinearci all’altro e non esporci. Al contrario, ogni occasione deve essere spunto di riflessione, discussione, spiegazione delle proprie convinzioni, arrivare fino alla rottura se necessario (per poi ricostruire a un livello superiore), il tutto però tenendo sempre presente con chi ci rapportiamo e quali sono le leve adatte da toccare. In poche parole, dividere l’uno in due per conquistare il futuro! quindi non rifiutare di riconoscere quello che siamo, ma neanche appiattirsi su di esso (principio che vale tanto a livello personale quanto a livello sociale).

L’avere chiaro da dove arriviamo e dove stiamo andando dissipa molti dubbi e incertezze. Una precisa analisi dei meccanismi della società e il mettere in pratica la linea dedotta dall’elaborazione dell’esperienza passata tenendo conto delle reali condizioni oggettive presenti è fondamentale. A seconda dei casi concreti occorre agire in modo diverso guidandosi con la concezione comunista del mondo. Lenin, in L’estremismo, malattia infantile del comunismo in cui tratta del cambiamento che devono compiere i comunisti per essere all’altezza del ruolo di classe dirigente (essere classe dirigente di tipo nuovo e quindi non solo la migliore avanguardia di lotta), dice chiaramente: “la classe rivoluzionaria per adempiere al suo compito, deve sapersi rendere padrona di tutte le forme o di tutti i lati, senza la minima eccezione, dell’attività sociale […] la classe rivoluzionaria deve essere pronta alla sostituzione più rapida e inattesa di una forma con l’altra. […] In politica sono ancora minori le possibilità di sapere anticipatamente quale mezzo di lotta sarà utile e adatto per noi nelle circostanze future. Se non siamo padroni di tutti i mezzi di lotta, possiamo subire una sconfitta terribile - talvolta perfino decisiva - qualora mutamenti, indipendenti dalla nostra volontà, nella situazione delle altre classi, mettono all’ordine del giorno una forma di attività nella quale noi siamo particolarmente deboli. Se siamo padroni di tutti mezzi di lotta, vinceremo sicuramente, giacché rappresenteremo gli interessi della classe effettivamente avanzata, effettivamente rivoluzionaria”.

La formazione (teorica e pratica) gioca un ruolo fondamentale in questo processo di trasformazione: senza avere chiaro l’obiettivo, senza essere sufficientemente preparati, senza aver dato il giusto peso allo studio, alla comprensione e all’assimilazione della concezione comunista del mondo, non sarà possibile agire con prontezza e creatività con il rischio reale di cedere al dogmatismo.

La trasformazione che ognuno deve compiere oggi su di sé è terreno di prova per un compito ben più grande che ci attende durante la fase della dittatura del proletariato: la trasformazione di milioni di persone nate e cresciute dentro il sistema borghese e da questo intossicate. Sempre Lenin, nello stesso scritto, chiamando al loro dovere i comunisti “di sinistra” italiani, afferma: “Voi sembrate a voi stessi “terribilmente rivoluzionari”, cari astensionisti e antiparlamentaristi [in quel preciso periodo storico il Parlamento era una forma legale di lotta utilizzabile e necessaria], ma in realtà vi siete spaventati per le difficoltà relativamente piccole della lotta contro le influenze borghesi in seno al movimento operaio, mentre la vostra vittoria creerà quelle stesse difficoltà in misura ancora maggiore, incommensurabilmente maggiore […] perché il comunismo non si può fondare se non con il materiale umano creato dal capitalismo, perché non si possono mettere al bando e annientare gli intellettuali borghesi ma bisogna vincerli, rifarli, trasformarli, rieducarli, così come si devono rieducare, nel corso di una lunga lotta, sul terreno della dittatura del proletariato, i proletari stessi che dai loro pregiudizi piccolo-borghesi non si liberano di punto in bianco, per miracolo […] ma soltanto nel corso di una lotta di massa lunga e difficile contro le influenze piccolo-borghesi di massa. […] Soltanto per mezzo di una lotta ripetuta, instancabile, lunga, tenace basata sull’organizzazione e sulla disciplina proletarie noi vinceremo gradualmente questo male”.

Tre sono, a mio parere, gli aspetti fondamentali di questo passo: 1) l’importanza della trasformazione (oggi diremmo RIM) per essere all’altezza del proprio ruolo nella guida delle masse popolari; 2) la necessità di ammettere l’esistenza del compromesso e che non tutti i compromessi sono uguali, acquisendo così la capacità di analizzare le circostanze e le condizioni concrete di ogni specie di compromesso; 3) la consapevolezza che la lotta per la rieducazione non è né rapida né indolore. Avere chiari questi obiettivi è fondamentale: se non siamo capaci di valutare i tipi di compromessi che incontriamo sul nostro cammino e quindi agiamo mossi da principi generali giusti ma senza valutare nella pratica la tattica più appropriata per attuarli; se non siamo capaci di metterci in discussione fino in fondo dando vita per primi, anche se è difficile, al cambiamento che riguarda in primo luogo noi stessi, in che modo e su quali basi speriamo di avanzare con i giusti mezzi e le giuste competenze verso l’instaurazione del socialismo?

La questione della RIM è centrale. La formazione intellettuale e morale dei membri del movimento comunista decide l’esito della rivoluzione socialista e il punto di partenza è l’assimilazione della concezione comunista del mondo. A questo proposito, c’è una sostanziale differenza tra la nascita del partito comunista in Russia e la nascita dei vari partiti comunisti europei, una differenza che ha pesato sulla mancata rivoluzione proletaria nei paesi imperialisti. Il percorso storico dei partiti comunisti dei paesi imperialisti ha il suo punto di partenza nelle lotte rivendicative della parte più avanzata della classe operaia, ragione per cui i comunisti si concepivano come la parte più agguerrita e radicale del movimento operaio. Al contrario, il processo storico della formazione del movimento comunista in Russia parte da presupposti differenti. In Russia la scienza fondata da Marx e Engels, guida del movimento comunista, è stata presa dall’Europa e “tradotta in russo” da un gruppo di intellettuali borghesi indipendentemente dallo sviluppo dalle lotte operaie, come sviluppo naturale del pensiero tra gli intellettuali socialisti rivoluzionari. In Russia, durante l’Impero zarista, un gruppo di intellettuali rivoluzionari fa propria la scienza marxista e la diffonde tra gli operai al fine di creare un movimento organizzato e combattivo in grado di prendere il potere. Nei paesi imperialisti e in Russia, il processo tra apprendimento della scienza marxista e lotte operaie è inverso, diametralmente opposto e comporta differenti conseguenze. Se nel primo caso il punto di partenza sono le lotte spontanee del movimento operaio (e Lenin in Che fare? afferma: “la storia di tutti paesi attesta che la classe operaia con le sue sole forze è in grado di elaborare soltanto una coscienza rivendicativa sindacale”), nel secondo caso invece è la scienza comunista l’elemento di unità nel partito che proprio su questa base guida gli operai verso il rovesciamento del sistema capitalista per l’instaurazione del socialismo.

La scienza non viene spontaneamente dalla pratica delle lotte operaie, il marxismo non è opera della classe operaia, mentre è vero che la classe operaia, per le proprie caratteristiche, è la classe più predisposta ad assimilare la dottrina marxista. I movimenti comunisti dei paesi imperialisti nacquero, quindi, da presupposti che dovevano essere superati per assolvere pienamente al loro compito e, a questo proposito, Lenin sollecitò più volte questo processo.

In Italia, alla nascita del PCI, la situazione era complessa. Due erano le linee: quella di Gramsci e quella di Bordiga. Lenin appoggiava, pur consapevole dei limiti, la linea di Gramsci. Ma Gramsci non assunse subito la direzione del movimento comunista: problemi di personalità (alla cura della personalità di ciascuno non era data la stessa importanza che noi diamo oggi) e un’errata concezione dei Consigli di fabbrica lo frenarono. In sostanza, Gramsci credeva ancora che la scienza, guida per la rivoluzione socialista, derivasse dalla pratica del movimento operaio, ma, come abbiamo già visto, la scienza non nasce in seno al movimento operaio e ad esso arriva tramite il partito comunista. Bordiga, invece, non credeva che la scienza comunista derivasse dal movimento operaio ma al contempo non riconosceva i Consigli di fabbrica come organismi del potere operaio; di fatto, riconoscendo il partito comunista come centro e organo del potere ne escludeva la classe operaia, vera fonte di potere del nuovo Stato. Se Gramsci non divideva l’uno in due appiattendosi sugli operai (atteggiamento codista), Bordiga (eletto come segretario generale del partito) si allontanava del potere operaio scadendo nel settarismo. In entrambe le linee non c’è autonomia ma, comunque, Lenin appoggiava la linea portata avanti da Gramsci (che attingeva alla classe operaia) in quanto migliore base di partenza; proprio per questo fece andare Gramsci in URSS a studiare la scienza comunista. Anche da questa esperienza, emerge che è vitale promuovere la lotta tra due linee, la rottura se necessario, e l’importanza della formazione.

Ad oggi, nonostante il lascito della prima ondata della rivoluzione proletaria, non possiamo pretendere dagli operai una visione complessiva del sistema sociale. La divisione in classi impedisce alla maggioranza delle persone delle classi oppresse l’accesso alla comprensione e alla direzione delle attività della società. L’eguaglianza è possibile e necessaria, ma bisogna crearla: occorre mettere in atto un processo continuo in cui chi è avanti si impegna a far progredire chi è indietro e questi ultimi si impegnano ad emanciparsi delegando sempre meno. Nella guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata, l’adesione delle masse popolari va costruita, utilizzando le leve giuste, attraverso un percorso difficile ma vitale. Chi si definisce comunista (ad esempio Rete dei Comunisti) ma afferma che la rivoluzione scoppia e non si costruisce, generando così disfattismo e attendismo nelle masse popolari, rifiuta di assumersi la responsabilità di promuovere realmente la rivoluzione. Ancora una volta, la RIM risulta essere decisiva per la rivoluzione.

Per quanto mi riguarda, l’esperienza come candidata nel P.CARC ha influito su diversi aspetti della mia vita, sia dal punto di vista politico sia da quello personale. Attraverso lo studio e la pratica sul campo ho imparato molte cose utili, ho consolidato convinzioni e al tempo stesso ne ho cambiate altre. Inoltre il confronto continuo con il collettivo ha stimolato una serie di riflessioni profonde, partendo proprio dal rapporto che intercorre tra individuo e collettivo. Per caratteristiche personali e soggettive (autonomia e riservatezza) e oggettive (l’essere cresciuta in questo sistema che promuove l’individualismo) avevo molte resistenze nell’affidarmi e fidarmi di un collettivo, mossa anche dalla paura di una sorta di “appiattimento” della personalità (anche qui influenzata dalle logiche borghesi). Ebbene, niente di più lontano dalla realtà! All’interno del collettivo (e un individuo si forma e si sviluppa solo se c’è un collettivo) ognuno trova lo spazio necessario per esprimersi e valorizzarsi, crescere e imparare: l’individuo cresce facendo crescere il suo collettivo.

Lo studio, la pratica, la conoscenza sono mezzi importanti per fare chiarezza su ciò che ci circonda oltre che strumento fondamentale per sentirsi più presenti a se stessi e “piantati” nel mondo. Di conseguenza, anche la gestione dei rapporti personali migliora avanzando di pari passo con la propria emancipazione. Sento che la “struttura del partito” è affine alla mia “struttura personale”. Mi spiego meglio: quando ho conosciuto il partito la mia paura più grande era quella di trovarmi di fronte ad un’organizzazione desiderosa di rovesciare il sistema, ma spinta esclusivamente da sentimenti di rabbia verso il mondo (ovviamente legittimi). Partendo dal presupposto che, a mio parere, chi agisce unicamente perché spinto da sentimenti di collera verso il nemico compie, più che atti rivoluzionari, atti di ribellione (atti che vanno comunque valorizzati e incanalati nella giusta direzione) e quindi si attesta a una dimensione “adolescenziale”, un partito che, grazie a un’elaborazione puntuale e sistematica, agisce con l’intento di costruire la rivoluzione e si dà i mezzi per farlo, è invece una “struttura adulta”. Quando Lenin parla dell’estremismo come malattia infantile del comunismo (“di sinistra”) e dell’importanza del capire i vari tipi di compromessi (compromesso è una parola adulta, solo chi è un cieco adolescente pretende di esserne esente) credo che si riferisca anche a questo, cioè alla necessità, per essere all’altezza del ruolo di classe dirigente, di compiere una trasformazione, personale e politica profonda e radicale, adulta e sempre meno condizionata dalle influenze borghesi.

 

Una compagna candidata del P.CARC