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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX marzo 2018

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La logica del percorso dell’umanità

K. Marx, Lettera a J. Weydemeyer - 5 marzo 1852


Presentazione della redazione di La Voce

In questa celebre lettera Marx attacca Karl Heinzen (1809-1880), pubblicista radicale. Heinzen nel 1849 aveva preso parte per un breve periodo alla sollevazione del Baden-Palatinato. In seguito era emigrato in Svizzera, quindi in Inghilterra e infine negli Stati Uniti. Egli respingeva ciecamente e furiosamente la concezione che Marx ed Engels avevano proclamato anche all’inizio del Manifesto del partito comunista del 1848: “La storia di ogni società sinora esistita è storia di lotte tra classi”. Come ogni nostro lettore constata, è una posizione oggi molto diffusa: gran parte degli esponenti della sinistra borghese attribuiscono il corso catastrofico delle cose che la borghesia impone alle classi e ai popoli oppressi, alla cattiva volontà o alla stupidità di uomini politici, ad accidenti vari o ad altro ancora. Mentre il fattore decisivo per porci fine è mobilitare le classi oppresse contro la borghesia imperialista. Da qui un motivo di interesse per la lettera.

La fama della lettera è tuttavia dovuta principalmente al fatto che in essa Marx dà un’esposizione sintetica e brillante della concezione comunista del mondo: dalla comparsa della divisione dell’umanità in classi come aspetto di precise fasi dello sviluppo della produzione delle condizioni materiali della sua esistenza, alla società comunista senza più divisioni in classi, passando attraverso la dittatura del proletariato.

Joseph Weydemeyer (1818-1866) fu un esponente importante del movimento operaio tedesco e americano. Nel 1845 si dimise dall’esercito prussiano dove era tenente dell’artiglieria. Nel 1848-1849 prese parte alla rivoluzione in Germania e nel 1850 alla riorganizzazione della Lega dei comunisti. Nel 1851 emigrò negli Stati Uniti dove prese parte, come colonnello dell’esercito nordista, alla guerra civile 1861-1865. Giornalista e direttore di giornali prima in Germania e poi negli USA, contribuì vigorosamente alla diffusione del marxismo negli Stati Uniti.

Il testo che segue è tratto da Marx-Engels, Opere complete vol. 39, Editori Riuniti 1972 pagg. 534-538. Abbiamo rivisto la traduzione sull’originale tedesco. Le note inserite nel testo tra parentesi quadre e con l’annotazione ndr sono della redazione di La Voce. Le altre note, inserite nel testo tra parentesi quadre e finali, sono degli Editori Riuniti. Il testo integrale della lettera è reperibile sul sito www.nuovopci.it.


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5 marzo 1852

Karl Marx - Londra, 28, Dean Street, Soho

a Joseph Weydemeyer - New York


(...) non c’è bisogno per l’Inghilterra di richiamarsi solo agli “estremisti”. In Inghilterra, quando un membro del parlamento diventa ministro deve farsi eleggere di nuovo. Disraeli dunque, il nuovo cancelliere dello scacchiere, Lord of the Exchequer, scrive ai suoi elettori in data 1° marzo:

Noi ci adopereremo per porre fine a quella lotta tra classi che negli ultimi anni ha avuto un’influenza così nociva sul benessere di questo regno”.

In proposito il Times del 2 marzo osserva:

Se qualcosa in questo paese può dividere le classi su di un punto nel quale non è possibile alcuna conciliazione, ciò sarebbe un’imposta sul grano straniero”.

E affinché un ignorante “uomo di carattere” come Heinzen non si immagini magari che gli aristocratici sono per e i borghesi contro le leggi sul grano, perché quelli vogliono il “monopolio” questi invece la “libertà”, - un galantuomo come Heinzen conosce gli antagonismi solo in una siffatta forma ideologica [riduce il contrasto per interessi economici a contrasto tra due principi ideali, il monopolio e la libertà - come oggi vari pubblicisti riducono il contrasto tra proletariato e borghesia alla deriva generale verso “il pensiero unico”, “l’ordoliberalismo”, il “neoliberismo” e altre “concezioni errate della realtà”, ndr], resta solo da osservare che nel diciottesimo secolo in Inghilterra gli aristocratici erano per la “libertà” (nel commercio) e i borghesi per il “monopolio”, la stessa posizione che noi troviamo riguardo alle leggi del grano in questo momento in Prussia, tra le due classi. La Neue Preussische Zeitung è liberoscambista per la pelle.


Al tuo posto infine osserverei, a proposito dei signori democratici in via di principio, che costoro farebbero meglio a prendere conoscenza della letteratura borghese, prima di pretendere di abbaiare contro chi ne è l’antagonista [Marx stesso, ndr]. Questi signori per esempio dovrebbero studiare le opere storiche di Thierry, Guizot, John Wade, ecc., per informarsi sulla passata “storia delle classi”. Dovrebbero prendere conoscenza degli elementi primi dell’economia politica, prima di mettersi a criticare la critica dell’economia politica [cioè la concezione di Marx, ndr]. Per esempio basta aprire la grande opera di Ricardo per trovare in prima pagina le parole con cui egli apre la prefazione.

Il prodotto della terra, tutto quanto viene ottenuto dalla sua superficie con l’applicazione unita di lavoro, macchine e capitale, si distribuisce tra tre classi della comunità: cioè il proprietario della terra, il proprietario del capitale necessario a coltivarla e gli operai con il cui lavoro la terra viene coltivata”.[1]


1. David Ricardo, On the principles of political economy and taxation, terza edizione, Londra, 1821, p. V.

 

2. H.C. Carey, Essay on the rate of wages, Philadelphia, Londra 1835.


Ora [siamo nel 1852, ndr], negli Stati Uniti la società borghese è ancora troppo poco sviluppata per rendere evidente e comprensibile la lotta delle classi: di ciò fornisce la dimostrazione più brillante C.H. Carey (di Philadelphia),[2] l’unico importante economista nordamericano. Egli attacca Ricardo, l’esponente [sopra la parola esponente, Marx ha scritto interprete] più classico della borghesia e l’avversario più stoico del proletariato, come un uomo la cui opera sarebbe l’arsenale per gli anarchici, i socialisti, insomma per tutti i nemici dell’ordinamento borghese. Egli rimprovera non solo a lui ma anche a Malthus, Mill, Say, Torrens, Wakefield, MacCulloch, Senior, Whately, R. Jones, ecc., a questi capifila dell’economia politica in Europa, di dilaniare la società e di preparare la guerra civile, quando dimostrano che i fondamenti economici delle varie classi devono provocare tra di esse un antagonismo inevitabile e sempre crescente. Egli cerca di confutarli, non certo come lo sciocco Heinzen collegando l’esistenza delle classi all’esistenza di privilegi e monopoli politici, bensì cercando di dimostrare che le condizioni economiche (rendita (proprietà fondiaria), profitto (capitale) e salario (lavoro salariato)), invece di essere condizioni della lotta e dell’antagonismo, sono piuttosto condizioni di associazione ed armonia. Naturalmente egli non fa che dimostrare che le condizioni “non sviluppate” degli Stati Uniti sono per lui le “condizioni normali”.

Per quanto mi riguarda, non a me compete il merito di aver scoperto l’esistenza delle classi nella società moderna e la loro lotta reciproca. Molto tempo prima di me, storiografi borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi ed economisti borghesi la loro anatomia economica. Ciò che io ho fatto di nuovo è stato:

1. dimostrare che l’esistenza delle classi è legata puramente a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione;

2. che la lotta delle classi conduce necessariamente alla dittatura del proletariato;

3. che questa dittatura medesima non costituisce se non il passaggio all’abolizione di tutte le classi e a una società senza classi.

Mascalzoni ignoranti come Heinzen, i quali non solo negano la lotta, ma persino l’esistenza delle classi, dimostrano soltanto, nonostante i loro latrati sanguinari e le loro pose umanitarie, di ritenere le condizioni sociali nelle quali domina la borghesia come il prodotto ultimo della storia, come il non plus ultra della storia [“la storia è finita!” proclamò Fukuyama nel 1989, ndr], di non essere che servi della borghesia, una servitù che è tanto più ripugnante, quanto meno questi cialtroni riescono a capire anche solo la grandezza e la necessità transitoria del regime borghese stesso.