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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX - luglio 2018

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)Partito comunista italiano

Lettera alla redazione

Da un compagno che viene dall’attività pubblica
e si cimenta nella costruzione di un CdP

Cari compagni,

vi scrivo a distanza di un anno dall’inizio del percorso per costruire un Comitato di Partito (CdP). Vi scrivo per condividere alcune riflessioni sul mio operato, porre alcuni interrogativi e proporre risposte, perché utili a me certamente per capire come proseguire e rafforzare il lavoro di costruzione del Partito e, considero, utili anche ad altri, affinché possano acquisire una comprensione superiore a proposito di alcune questioni di merito e di metodo. Questioni che oggi, ritengo, limitano la nostra azione e quindi lo sviluppo del Partito e della guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata (GPR) che promuove.

Nel corso di questi mesi ho faticato a tenere fede al piano di lavoro stilato originariamente per il CdP. Tante le “buone” motivazioni che mi sono dato: le molteplici responsabilità che ho nell’attività pubblica di attivista sindacale; i compiti che questa pone e impone; la necessità di “stare sul pezzo” nel movimento di resistenza che le masse popolari oppongono all’avanzare della crisi. Tutte “priorità” dettate da “condizioni esterne” della lotta e “far quadrare il cerchio” con l’attività clandestina non mi è semplice. Quindi, pazienza! Faccio quello che posso e recupero il resto man mano, più avanti, all’occorrenza. Era questo quello che pensavo. Così, in un certo senso e in una certa misura, giustificavo ritardi o spostamenti nel piano di attività e tendevo ad “autoassolvermi”. Il punto però, mi rendo oggi conto, non è “quadrare il cerchio” né giustificare le proprie mancanze o fatiche. Il punto è invece andare più a fondo a proposito delle difficoltà riscontrate e della non osservanza di piani di lavoro e obiettivi. Comprendere la radice ideologica di quelle difficoltà per affrontarle in termini di concezione e superarle nel concreto. Superare così innanzitutto quel senso di frustrazione suscitato dall’autoassolvimento (pratica da concezione clericale) o dalle risposte comode e giustificatorie (pratica da concezione borghese ad uso delle classi oppresse non addette alla produzione).

Non appena ho iniziato ad approfondire l’analisi dei fatti con il collettivo e con il Centro, infatti, sono risultati evidenti gli errori di concezione in cui mi muovevo: 1. elettoralismo riformista, che sostituisce all’attività politica rivoluzionaria, alla sua natura e obiettivi, ai suoi modi e forme, la riduzione della lotta politica delle masse popolari a tempi, modi e forme della loro partecipazione al teatrino della politica borghese e riduce l’azione dei comunisti a corrente di sinistra di quel teatrino, con le sue varianti e le sue declinazioni e 2. legalitarismo, che, al di là di ogni dichiarazione diversa d’intenti, porta a considerare di fatto l’attività clandestina in subordine a quella pubblica, come se fosse una sorta di “piano B” a cui ricorrere se la borghesia dovesse mettere fuori legge il comunismo. Errori che, detto in sintesi, manifestano insufficiente assimilazione del materialismo dialettico quale metodo per conoscere la realtà e quale scienza della sua trasformazione.

Altro che difficoltà a “far quadrare il cerchio”, dunque! Riflettendo sulla mia pratica nel lavoro di Partito nell’ultimo anno e tracciandone il bilancio, vedo oggi, con maggiore lucidità, che il mio tendere ad anteporre il lavoro pubblico a quello clandestino è manifestazione diretta di una delle tare nelle quali il primo movimento comunista si è imbattuto e si è consumato. Non solo. A questa tara, riflettendoci bene, nella mia attività se ne accompagnava un’altra, speculare e apparentemente opposta, ma indice dello stesso errore: la fascinazione verso chi pratica e ha praticato la lotta armata, nel nostro paese al tempo delle Brigate Rosse e in altri paesi ancora oggi, quale risposta proletaria, e manifestazione di for za, alla repressione che la classe dominante esercita, in Italia tramite gli apparati e misure della controrivoluzione preventiva, in ultima istanza tramite l’utilizzo dispiegato e violento delle forze armate.

Un’ammirazione, la mia, che denota una non approfondita assimilazione della GPR né delle ragioni profonde della natura clandestina del Partito nel tempo della nuova rivoluzione proletaria, pur conoscendo a memoria passi e diciture che spiegano la concezione del Partito. Ed è ancora “piano B”, a ben vedere. Come dire, se le cose dovessero precipitare, la struttura clandestina del Partito sarà utile ad “attrezzarsi” di conseguenza. Fino a quel momento, la clandestinità sarebbe “un di più”, una precauzione finalizzata ad “aprire le danze” all’occorrenza e per necessità.

 

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Gli intellettuali della sinistra borghese, anche quelli pieni di buone intenzioni e di generose aspirazioni, non sanno vedere oltre le apparenze, andare oltre la superficie delle cose. Vedono solo il marasma, fanno denunce. Non vedono le premesse del socialismo perché non è quello che cercano, non sono promotori della rivoluzione socialista. Al seguito della borghesia, rifiutano di riconoscere che l’evoluzione della specie umana nel corso dei millenni che conosciamo mostra una logica che condanna la società borghese e indica che, giunti a questo punto, si tratta semplicemente di fare la rivoluzione socialista. Non lasciamoci ingannare né deviare dalle loro mille parole. Una persona imbevuta di pregiudizi borghesi, anche se passa per un esperto, anche se si applica con determinazione e intelligenza a studiare questo o quell’aspetto della realtà, non vede quello che noi promotori della rivoluzione socialista abbiamo bisogno di vedere, quello che con il materialismo dialettico vediamo e che ci serve per trasformare la società. Un raccoglitore di frutti non cerca e non vede in un albero quello che vi vede e vi trova un falegname. Quando il leone ruggisce, la pecora pensa che si tratti di una pecora che bela in modo strano.

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Questa suggestione, in realtà, relega la lotta armata alla dimensione di mito, a un qualcosa che verrà se verrà. E siccome ancora non sembra essere tempo, in fondo allora sarebbe accettabile e persino lodevole la scelta di chi oggi parte per arruolarsi nelle fila della resistenza di popoli oppressi in altri angoli del mondo. Come se effettivamente questa fosse una scelta di coraggio e coerenza e non, com’è effettivamente, l’implicita ammissione dell’incapacità di azione nel nostro paese e una fuga dalle responsabilità che i comunisti hanno nel costruire la rivoluzione in un paese imperialista qual è il nostro. Tanto più che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha messo in luce che la rivoluzione socialista in un paese imperialista è la componente della rivoluzione proletaria più difficile da farsi ma anche quella decisiva.

Trovandomi oggi a lavorare con un compagno operaio che è persuaso che la rivoluzione è sostanzialmente lotta armata e rendendomi invece conto che questa tesi, in fondo, implica la convinzione che è impossibile fare oggi la rivoluzione “a casa nostra”, nel nostro paese, mi sono trovato a dover fare i conti con la mia doppia morale al riguardo: nello spiegargli la GPR così come sintetizzata nella letteratura del Partito, quanto la mia pratica era corrispondente alla teoria che professavo? Ero davvero convinto di quanto riuscivo a esporre così a menadito? Pur avendo sostenuto in diverse occasioni le tesi del Partito sulla strategia della rivoluzione socialista nel nostro paese, quanto il mio dire trovava corrispondenza nella mia pratica? Quanto invece era accademia, unità di facciata con il Partito o “partito preso”? Sono convinto davvero che la rivoluzione è un processo che si costruisce e che è in corso, una guerra di lunga durata e non solo la guerra guerreggiata, un’insurrezione? Se sì, perché le difficoltà a rispettare i piani di lavoro del CdP cui partecipo? Per ché il “primato” di fatto del lavoro pubblico rispetto a quello, invece principale, del lavoro rivoluzionario?

Mi pongo questi interrogativi non per problematizzare astrattamente. Ritengo invece che sono gli interrogativi giusti, ossia quelli che vanno più a fondo nell’esame della concezione e della condotta e permettono la verifica, rispetto alle domande (che restano in superficie) sul perché non si rispettano i piani di lavoro o si posticipa l’attività di Partito, subordinandola a quella pubblica.

Insomma, in fondo in fondo, nel pormi queste domande mi sono ritrovato io stesso a fare i conti con quelle posizioni, disfattiste, massimaliste e inconcludenti, che tanto aspramente ho criticato in pubblico: quelle di chi sostiene che oggi la clandestinità è inutile, fintantoché esisteranno i margini di agibilità democratica entro i quali organizzarsi e fino a quando non decideremo di “mettere mano ai ferri”.

Ogni fatto è un fatto, lo sappiamo. Ma i fatti vanno compresi nei loro legami oggettivi e, trattandosi di condotta e di azioni, nella concezione dalla quale hanno origine: il motivo per cui il CdP che sto promuovendo non ha ancora preso il via è nelle deviazioni della mia concezione attestate, contraddittoriamente, dalla mia pratica.

Di tutto quanto detto e altro, io e il CdP in formazione abbiamo iniziato a trattare. Con l’orientamento del Centro abbiamo definito non solo che quanto sinteticamente esposto in questa mia è giusta autocritica e, insieme, aperta richiesta di sostegno, ma anche che i passi concreti per avanzare nel rafforzamento e nella crescita del CdP consistono intanto nella ripresa dello studio 1. della strategia della GPR, 2. del lavoro di ricostruzione del Partito svolto negli anni ‘90 da quella che è diventata la Carovana del (n)PCI e 3. delle sintesi cui essa è giunta circa natura e compiti del Partito. La letteratura del Partito sul punto è ampia, articolata e generosa. I testi da cui partiremo sono La Voce n. 1, Quale Partito Comunista? e il Federico Engels. 10-100-1000 CARC.

Per avere una pratica più avanzata occorre scienza. La scienza è il presupposto fondante della coscienza e dell’organizzazione conseguente. Evidentemente, laddove necessario e utile, ritornare allo studio dei fondamentali è doveroso se, alla prova dei fatti, quei fondamentali non sono stati assimilati a sufficienza. È quello che il CdP in formazione cui partecipo farà. Di qui, poi, le giuste valutazioni del Centro, che ha rivisto il piano del CdP, ridimensionandolo opportunamente e concentrandolo in alcune attività di base. Verificando queste attività e tramite queste, io e i miei compagni di CdP ci daremo la possibilità di riscontrare nel concreto quanto effettivamente abbiamo assimilato la concezione della GPR e della pratica di base della clandestinità: studiare collettivamente e individualmente, organizzare riunioni e curare la corrispondenza in condizioni di sicurezza, conservare documenti in luoghi sicuri e svolgere attività con le misure di vigilanza rivoluzionaria è la palestra che ci occorre per far avanzare il lavoro clandestino, senza pressapochismo o ansie, ma nelle giuste condizioni di organizzazione, di guerra e di vittoria.

Domenico P., 21 giugno 2018

 

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