La Voce 59 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XX - luglio 2018

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)Partito comunista italiano

Nel n. 58 della rivista, abbiamo trattato dell’applicazione del materialismo dialettico al lavoro per mobilitare gli operai avanzati nella rivoluzione socialista (Lavoro di massa e materialismo dialettico: andata e ritorno). Qui invece mostriamo un esempio di applicazione del materialismo dialettico nel lavoro per reclutare nuovi membri e di cura e formazione dei membri. Lo facciamo utilizzando il pregevole scritto di un compagno del P.CARC: anche se le forme concrete in cui lo traduce (il compagno parla ad esempio di militanti di base, che nel (n)PCI non ci sono, e di attività culturali - come presentazioni di libri, proiezioni di film, conferenze, ecc. - che noi non organizziamo direttamente) sono proprie di un partito pubblico come il P.CARC, il metodo che egli indica è valido e utile anche per un partito clandestino come il nostro. La scienza è una!

Uso del materialismo dialettico nella raccolta
ed elevazione delle forze rivoluzionarie

Dallo scritto di un compagno del P.CARC

Ai fini dello sviluppo del rapporto di direzione, è importante che il dirigente faccia un’analisi oggettiva della persona (conoscerla non per fare dello “psicologismo”, ma per capire qual è il modo migliore per valorizzarla e far avanzare il suo contributo alla lotta di classe) usando il criterio che ognuno è ciò che è, ma è anche ciò che può diventare sulla base della sua natura attuale. Questo approccio materialista dialettico è sintetizzato in quattro “domande-guida” che sto sperimentando.

1. Cosa unisce a noi quel compagno?

Bisogna partire dalla persona con cui abbiamo a che fare e non da noi: capire la sua storia, cosa l’ha fatto avvicinare al Partito e cosa lo lega a noi oggi. Chiaramente bisogna distinguere tra un membro del Partito (differenziando ulteriormente tra militante di base e quadro intermedio e superiore) e un contatto (definendo gli obiettivi che abbiamo su di lui).

2. Su quale terreno sviluppare, consolidare, elevare il rapporto?

Va individuato tenendo conto se è un membro o un contatto e, se si stratta di un contatto, del livello a cui è il rapporto e dei contesti in cui è già in qualche modo attivo.

Inoltre dobbiamo combinare il rafforzamento del suo legame con il Partito (sulla base della sua adesione alla causa, capiamo cosa chiedergli: che passi spingerlo a fare) con gli obiettivi e le necessità del Partito (l’interesse del Partito è chiaramente dirigente).

3. Da quale aspetto concreto partire?

Una volta definito il terreno, bisogna entrare nel concreto affidandogli dei compiti, pianificando delle esperienze da fargli fare. Ad esempio, se abbiamo capito che un contatto lo possiamo valorizzare e spingere avanti nel campo delle attività culturali pianificheremo con lui l’organizzazione di un’iniziativa o gli proporremo di correggere un testo della ERS oppure di scrivere un articolo per Resistenza o l’Agenzia stampa e simili.

4. Cosa devo fare/dire a quel compagno per trasformarlo?

Qui i dirigenti sono la causa esterna, cioè che agisce e favorisce la trasformazione sulla base della causa interna che rimane comunque quella principale. Per capirci: un sasso non potrà mai diventare un pulcino, un uovo potrà diventare un pulcino ma anche un frittata, dipende da come agiamo su di esso; per agire conformemente alla realtà e alle possibilità che essa ci offre, dobbiamo avere chiaro se quello su cui stiamo intervenendo è un sasso o un uovo.

Nella cura e formazione pensare che la causa esterna, cioè noi, sia principale o esclusiva rispetto a quella interna (classe di provenienza, concezione, mentalità e personalità, stile di vita, condizioni materiali, ecc. del diretto) ci porta nel vicolo cieco del soggettivismo: porta cioè a pensare che la nostra azione di dirigenti sia sufficiente per trasformare le idee di un  compagno e a sottovalutare gli aspetti esterni che lo circondano. Questo errore può essere “fatale” in un rapporto. Allo stesso tempo bisogna fare attenzione a non oscillare nella tendenza opposta e quindi sottovalutare l’importanza del nostro ruolo accodandoci al compagno che abbiamo di fronte. Insomma si tratta di combinare, secondo l’arte della direzione, i vari aspetti e questo si impara con la pratica: più ne facciamo e più impariamo, anche sbagliando e correggendo gli errori che commettiamo.

L’ordine in cui sono poste le quattro domande non è casuale. L’azione del dirigente non è alla fine perché meno importante, bensì vive in tutti e tre i passaggi precedenti ma in essi si esplica attraverso un’azione condotta per linee interne e applicando la linea di massa. La linea di massa non è solo un metodo di direzione verso l’esterno del Partito, ma anche verso l’interno. Nel Partito vige il principio organizzativo del centralismo democratico e cioè la subordinazione consapevole e cosciente - talvolta anche obbligata se necessario - del singolo al collettivo, della minoranza alla maggioranza e delle istanze inferiori alle istanze superiori, ma anche al nostro interno usiamo la linea di massa: individuare punti di forza e punti deboli dei compagni, far leva sui punti di forza per rafforzarli e superare i punti deboli, lavorare per linee interne. Si tratta di imparare a vedere i poli della contraddizione (positivo e negativo) che animano un compagno e lavorare per favorire quello positivo. Nella cura e formazione, la battaglia per partire dal positivo di un compagno attiene alla lotta contro lo scetticismo che nutriamo nella trasformazione di noi stessi e del mondo che ci circonda (passare dall’essere principalmente “contro” all’essere principalmente “per”).

In definitiva, dobbiamo imparare a calibrare la cura e formazione degli uomini e delle donne combinando le caratteristiche dei diretti e gli obiettivi che il Partito persegue.

 

Lenin spazza via re e capitalisti