La Voce 61 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - marzo 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Il lavoro del Comitato di Partito in una fabbrica


Cari compagni della redazione,

in questo contributo tratto dell’esperienza di lavoro operaio condotta dal mio CdP. In La Voce n. 58 scrissi un contributo, a cui la redazione ha risposto, in cui ponevo i miei problemi rispetto alla concatenazione (ogni attività è punto di partenza per la successiva). Da allora (inizio 2018) ad oggi ho fatto dei passi avanti e insieme ad un altro compagno abbiamo costituito un CdP. Il bilancio dell’esperienza che ho esposto nella mia lettera in La Voce n. 58 (Fare il primo passo pensando già al secondo e al terzo) ci è servito per correggere il tiro e fare meglio. In questa lettera parlo dei passi avanti fatti e dei nuovi problemi sorti.

Siamo due compagni che operano in organismi che raccolgono la base rossa: un’organizzazione sindacale di base, con all’interno compagni orfani del partito comunista ma alla ricerca di una soluzione alla crisi del capitalismo e al marasma della società, e un coordinamento di attivisti progressisti dove è presente anche base rossa.

Su spinta del fiduciario del CC, all’inizio dello scorso anno abbiamo avviato un intervento in un’azienda capitalista di circa 100 operai, molto importante nel nostro territorio e per la storia di lotta di classe che ha alle spalle. L’obiettivo era quello di scovare l’embrione di organizzazione operaia (OO) in azienda (dove non ci sono sindacati di base) e far lavorare in questo senso prima una (il sindacato di base), poi l’altra organizzazione (il coordinamento) di cui facciamo parte, mettendo in campo un lavoro in sinergia.

Abbiamo inizialmente portato, all’interno delle organizzazioni pubbliche in cui operiamo, la linea di legarsi agli operai e ai lavoratori della zona, seguendo le indicazioni dell’importante articolo pubblicato su La Voce n. 58 ( Mettere al centro della nostra azione il lavoro sulle organizzazioni operaie e popolari di azienda ).

In passato avevamo già provato a fare un intervento simile in un’azienda capitalista, ma ci siamo “bruciati”. In quell’occasione mettemmo in campo una serie di operazioni di propaganda puntando a stimolare reazioni tra gli operai di quello stabilimento (che effettivamente ci sono state, e molto positive!), ma senza avere: a) un effettivo piano composto di più interventi che si intrecciassero per raccogliere reazioni ed entrare in contatto con gli operai che avrebbero reagito alla propaganda e b) un’idea di come proseguire, a partire da quelle reazioni, l’intervento nell’azienda. La concezione che ci ha guidato in quell’attività di propaganda è stata movimentista: non abbiamo tenuto l’attenzione sui risultati organizzativi da raggiungere e su come “raccogliere” quanto seminato. Di conseguenza non siamo riusciti a dare subito seguito a quell’operazione. Pensavamo di fatto che l’importante era la reazione degli operai, suscitare in loro curiosità. Cosa che sottende l’idea che basta fare propaganda e dire parole d’ordine giuste e combattive, dare l’esempio, affinché gli operai si avvicinino a noi. Il risultato è che la seconda volta che siamo tornati dopo un po’ di tempo, non abbiamo avuto le stesse reazioni, il morale degli operai era sceso: è stato quasi un buco nell’acqua proprio perché non abbiamo saputo “battere il ferro finché era caldo”.

Forti del bilancio dell’esperienza passata (dove appunto ci siamo “bruciati”) abbiamo capito che dovevamo porci di più nell’ottica da guerra. Abbiamo quindi elaborato e attuato un piano, dettagliato, in cu i:

- abbiamo mobilitato le organizzazioni pubbliche di cui facciamo parte e quelle con cui siamo in contatto a fare inchiesta sull’area produttiva che ci interessava e in particolare l’azienda su cui volevamo aprire l’intervento (ci siamo affidati anche a singoli contatti, partecipazione ad assemblee pubbliche, testate locali, addirittura sindacalisti di regime, ecc.);

- abbiamo avviato un intervento davanti all’azienda promuovendo una serie di volantinaggi su iniziative pubbliche locali anche non strettamente legate all’ambito operaio, ma che ci servivano per entrare in contatto con i lavoratori. Per farlo, abbiamo valorizzato gli attivisti progressisti che si sono impegnati durante le ultime campagne referendarie e hanno quindi esperienza di volantinaggi e affissioni, banchetti, raccolta firme e molte conoscenze nel territorio. Abbiamo raccolto così alcuni contatti di operai;

- abbiamo valorizzato ciò che avevamo a disposizione, favorendo la partecipazione di operai (o contatti che conoscevano operai di quell’azienda) ad iniziative pubbliche di vario contenuto, valorizzando le sedi della struttura sindacale (mettendo in sinergia quindi le nostre organizzazioni pubbliche);

- abbiamo promosso attività di propaganda murale del (n)PCI con parole d’ordine che parlassero al cuore degli operai e alla loro mente, per linee interne, puntando a infondere fiducia a loro e alla base rossa delle nostre organizzazioni.

Non sempre potevamo essere sul campo, dati gli impegni lavorativi di ognuno di noi. Abbiamo quindi spinto le nostre organizzazioni pubbliche ad avere continuità nell’intervento e raccogliere via via elementi (attraverso piccoli resoconti, telefonate, discutendo a latere degli incontri programmati nell’attività ordinaria) per rilanciare l’attività, perché ci siamo resi conto via via che, anche se le nostre organizzazioni raccolgono compagni della base rossa e in alcuni casi anche compagni con una certa esperienza, in loro prevale l’influenza della sinistra borghese e quindi una certa sfiducia negli operai e nelle masse popolari. Inoltre non dobbiamo sopravvalutare la loro capacità di autonomia nell’azione, ma dirigere fin nel dettaglio anche operazioni apparentemente “semplici” come un’affissione o un volantinaggio.

Alla fine il risultato di questa azione è stato che abbiamo individuato ben tre operai che compongono il nucleo di OO nonostante apparentemente non ci siano in azienda avanguardie di lotta. Per motivi di compartimentazione e attività clandestina, diciamo solo che questi tre operai non si aggregano sulla classica lotta rivendicativa: per ora “limitano” la loro attività a iniziative di tipo culturale e a fornirci informazioni sull’azienda.


Da questa attività abbiamo ricavato una serie di conferme e di insegnamenti. I principali sono:

1. ogni azienda capitalista ha al suo interno uno o più embrioni di OO: è frutto della combinazione della crisi del capitalismo, dell’attuazione del “programma comune” della borghesia e della resistenza spontanea che operai e masse popolari oppongono alla crisi. La resistenza assume varie forme a seconda della coscienza dei singoli, del contesto sociale ed economico in cui si trovano e della sua storia. Dobbiamo essere noi in grado di vedere il “fuoco che cova sotto la cenere”, le manifestazioni di questa resistenza;

2. gli embrioni di OO non sono necessariamente organismi di lotta, delegati sindacali che promuovono lotte rivendicative oppure operai che apertamente manifestano il proprio odio di classe: spesso assumono forme diversificate a seconda del contesto. Possono manifestarsi sotto forma di operai che fanno parte di associazioni culturali ma che in fabbrica non sviluppano attività politica o sindacale, squadre di calcetto che dopo la partita parlano di politica, fino a quelli che si riuniscono al bar per “sparlare” del padrone o del capo reparto anche se non hanno ancora il coraggio di denunciare pubblicamente le loro malefatte;

3. dobbiamo imparare a definire un piano, in cui individuiamo già 5-6-7 passi da fare in sinergia e concatenazione tra loro (ad esempio, la richiesta della sede per un’iniziativa culturale a un sindacato che ha delegati nell’azienda che ci interessa!), che vada fino nel dettaglio delle operazioni da mettere in campo, perché le nostre organizzazioni, infarcite ancora di economicismo e riformismo e del disfattismo che per anni la sinistra borghese ha promosso a piene mani, non sono in grado di elaborare piani veri e propri ma solo un intervento più o meno “spot” e senza progettualità. Questo piano deve avere il suo fulcro nel valorizzare tutto quello che è valorizzabile, al fine di individuare, promuovere e rafforzare le OO e OP o i suoi embrioni;

4. dobbiamo imparare a dare alla base rossa una linea che è confacente ai nostri obiettivi (individuare gli embrioni di OO e rafforzarli) e che allo stesso tempo si lega alle migliori aspirazioni della sinistra delle organizzazioni pubbliche in cui militiamo operando per linee interne (facendo leva sul legame con la prima ondata della rivoluzione proletaria per alcuni, sulla necessità di organizzare gli operai con altri, sul ritorno alle “vecchie e sane” lotte della classe operaia con altri ancora, valorizzando anche gli aspetti positivi dell’economicismo e dell’elettoralismo). Facendo poi il bilancio dei risultati, eleviamo anche la coscienza dei membri più avanzati degli organismi di cui facciamo parte, eleviamo la loro organizzazione e infondiamo loro fiducia nelle proprie capacità. È fondamentale che noi che dirigiamo teniamo la barra dritta: dobbiamo ragionare per fasi (inchiesta, raccolta contatti, ecc.). I risultati non arrivano subito (spesso i primi risultati ci sembrano eccezionali, ma sono specchietti per le allodole se non li inseriamo in un piano di guerra!) e riusciamo a legare ogni operazione all’altra se facciamo bilancio e rilanciamo l’attività dalle posizioni conquistate. Un lavoro che può durare mesi, anche un anno, come nel nostro caso, ma che se condotto in ottica da guerra ci insegna a ragionare su ogni tendenza positiva, mettere in campo attività che valorizzano queste tendenze, contrastando quelle negative e portando le organizzazioni di cui facciamo parte ad un livello superiore di coscienza e organizzazione.


Essendo la realtà contraddittoria e la guerra popolare rivoluzionaria sperimentale quanto alla sua attuazione, vogliamo mettere in guardia gli altri membri del Partito che conducono esperienze simili su due limiti in cui siamo incorsi:

1. il primo limite è il rischio di appiattimento sull’attività pubblica: il CdP deve mantenere una sua autonomia di ideazione (senza quella, non si parte nemmeno!) ma anche organizzativa e di azione. Questa si deve concretizzare promuovendo operazioni sia di propaganda del (n)PCI e delle sue parole d’ordine, sia per lo sviluppo organizzativo del partito (reclutamento, legame di operai e OO con il (n)PCI). Non bisogna quindi lasciare solo nelle mani delle organizzazioni pubbliche la gestione dei contatti raccolti: dobbiamo al contrario elaborare piani per valorizzarli in sinergia con il piano di guerra che abbiamo elaborato per scoprire l’embrione di OO e individuare chi tra questi contatti curare in dettaglio (“cuocerli a fuoco lento”) per legarlo maggiormente a noi. Decisivo è quindi che ogni CdP abbia un proprio lavoro ordinario e lo pianifichi, si riunisca per fare il punto con una certa regolarità, studi collettivamente alla luce anche dell’evoluzione della fase politica (considerando che con l’apertura della breccia il “fuoco sotto la cenere” si alimenta più velocemente indipendentemente dall’azione dei comunisti) e sulla base di questo svolga anche un’attività autonoma da quella pubblica: in sostanza attività puramente clandestine;

2. un secondo limite che abbiamo riscontrato è stata la scarsa valorizzazione dei collaboratori già effettivi del CdP: ci siamo appiattiti sul mobilitarli principalmente per le operazioni di propaganda, ma senza coinvolgerli, per quel che è possibile stante la compartimentazione, nell’elaborazione e nel bilancio di quelle esperienze: di fatto li abbiamo trattati da manovalanza, senza valorizzarli e fargli fare una scuola di comunismo, ragionando con loro sui risultati del lavoro svolto e su come replicarli in altri contesti a loro vicini e in cui possono adoperarsi nella collaborazione con il (n)PCI. Questo ci pone di fronte alla necessità di elaborare meglio la nostra attività clandestina, capire meglio fino a dove ci possiamo spingere senza svelare la nostra appartenenza e come mettere in sinergia l’attività clandestina con quella pubblica anche nella cura dei nostri collaboratori. Uno dei metodi utilizzabili per combinare questi due aspetti (tutela dell’identità dei membri del partito e valorizzazione dei collaboratori) può essere quello di coinvolgere i collaboratori del CdP in iniziative di bilancio delle attività che riguardano le organizzazioni pubbliche in cui operiamo, in modo che vedano nella pratica gli effetti della propaganda e dell’azione del (n)PCI a cui loro hanno contribuito.


È importante spendere alcune parole sugli effetti della nostra propaganda che spesso viene sottovalutata. La propaganda del (n)PCI ha avuto effetti positivi e ha aperto contraddizioni sia tra gli operai dell’azienda, sia nelle file delle nostre organizzazioni pubbliche. La propaganda è stata fatta sia con scritte murali (che tenevano conto dei principali sentimenti e delle aspirazioni degli operai di quell’azienda – ad esempio, andare in pensione il prima possibile!), sia con gli adesivi, le locandine e un comunicato.

Gli effetti principali ottenuti e riscontrati tra gli operai e all’interno dell’azienda sono stati:

1. l’utilizzo da parte di un sindacalista di regime di pezzi della nostra propaganda in un’assemblea sindacale con gli operai facendo leva, per tenerli buoni a fronte della CIG imminente, sui temi da loro più sentiti e che noi avevamo propagandato: questo dimostra che la nostra propaganda ha avuto degli effetti sugli operai, altrimenti un sindacalista giallo ben inquadrato nelle logiche del suo sindacato non si sarebbe mai sognato di usare i termini e i toni che ha utilizzato;

2. l’emergere di operai base rossa che si avvicinavano ai volantinaggi delle nostre organizzazioni, e anche una componente di immigrati di vecchia generazione dell’Europa Orientale legati ai primi paesi socialisti, che anche se in maniera critica si fermavano a parlare del socialismo con i membri dell’organizzazione pubblica che interveniva davanti ai cancelli e parlavano dei temi portati dal (n)PCI pur essendo quella un’organizzazione pubblica e non il (n)PCI!

Gli effetti principali ottenuti e riscontrati tra i membri delle organizzazioni pubbliche sono per alcuni aspetti simili e per altri diversi:

1. in entrambe, la parte più legata al vecchio movimento comunista (più identitaria) si è distinta con più precisione e si è manifestata in chi ha visto la propaganda del (n)PCI come un supporto importante, ha infuso in loro fiducia e hanno posto “l’argomento (n)PCI” alla discussione nel loro ambiente;

2. in entrambe, la parte più arretrata (più legata alle concezioni elettoraliste) ha visto un’invasione di campo “non concordata” del (n)PCI (su cui hanno fatto leva gli opportunisti di mestiere che esistono al loro interno!), ha messo al centro la concorrenza a chi si accaparrava più consenso da parte degli operai piuttosto che mettere al centro il contenuto di quella propaganda e i suoi benefici per gli operai nella lotta contro i padroni.

Per noi non è stato semplice trattare queste contraddizioni anche perché non potevamo svelare la nostra appartenenza: con le giuste leve abbiamo spinto ad approfondire il ragionamento sul (n)PCI (chi sono? cosa dicono e perché lo dicono?) e, anche se su alcune questioni le organizzazioni pubbliche non sono d’accordo (come è ovvio che sia), abbiamo spinto il ragionamento su: quali sono gli effetti positivi sugli operai? Va o meno a vantaggio della causa della classe operaia il contenuto di quella propaganda? Va a vantaggio o meno degli operai stimolare la concorrenza piuttosto che accettare che anche il (n)PCI faccia propaganda? E senza esporci troppo, usando la linea di massa (facendo leva su quella parte delle organizzazioni pubbliche che vede nel socialismo e nella falce e martello il futuro dell’umanità) abbiamo inizialmente fatto “digerire” alla parte più arretrata e agli opportunisti di mestiere la presenza della propaganda del (n)PCI. Questo ha aperto la strada a entrare di più con la propaganda del (n)PCI anche nelle organizzazioni pubbliche di cui facciamo parte.


Oggi la difficoltà (e la sfida) che ci si pone davanti è quella di rafforzare l’embrione che abbiamo trovato, combinando l’intervento sugli organismi pubblici in cui operiamo (dobbiamo elevare l’orientamento su di loro, andare più a fondo nel bilancio dell’esperienza, dirigerli nel fare nella pratica cose che oggi non sono in grado di fare con autonomia, ecc.) a partire dal loro livello ideologico e organizzativo e al tempo stesso dobbiamo iniziare a intervenire direttamente su quell’embrione individuato, in maniera creativa (con comunicati mirati, incontri “a due”, interventi nel loro contesto, ecc.), facendogli fare i passi che possono fare per cominciare a organizzarsi contro la morte lenta della propria azienda, allargando anche le forze che possono collaborare con le nostre organizzazioni pubbliche e così rafforzare l’intervento sull’azienda e l’embrione di OO.

Stenderemo un nuovo piano di guerra che parte da questi risultati, consapevoli che solo organizzando la classe operaia in OO e rafforzando la loro azione avanziamo anche nella raccolta delle forze: le masse popolari e principalmente la classe operaia ripongono fiducia nei comunisti sulla base dei fatti e della coerenza tra quello che dicono e quello che fanno, se le loro parole d’ordine sono giuste e verificabili nella pratica. Questo aprirà la strada alla costruzione di CdP aziendali.

Avanti nella costruzione di organizzazioni operaie in ogni azienda capitalista! Avanti nella costruzione del nuovo potere!

Lucio