La Voce 61 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - marzo 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Sulla Riforma Intellettuale e Morale dei membri e candidati del (nuovo)PCI


Pubblichiamo gli estratti di due lettere giunte al Centro del (n)PCI. Esse affrontano, da angolazioni differenti, percorsi concreti di Riforma Intellettuale e Morale condotti da membri e candidati del Partito: la lettera di una compagna alle prese con la lotta per emanciparsi dalla doppia oppressione e dal timore di essere “inadeguata” e la lettera di un giovane compagno che sta acquisendo, alla scuola del Partito, maggiore consapevolezza di cosa significa “dipende da noi”. Sono due lettere che permettono di “vedere dall’interno” il lavoro che stiamo facendo e i passi compiuti nel “consolidamento e rafforzamento del (n)PCI”.


Emancipazione delle donne e trasformazione in dirigenti comuniste

Cara compagna Chiara,

mi sono commossa quando ho letto il Comunicato del CC che annunciava la vostra partenza. Sul momento, infatti, sono stata forse preda del “senso comune”, la nostalgia di non potervi rivedere e di non potermi più confrontare con voi mi ha per un attimo pervaso e gettato nello sconforto e ci ho messo qualche giorno a “metabolizzare” la cosa.

Riflettendoci, poi, leggendo varie volte le vostre lettere, soprattutto la tua, ho sorriso di me stessa e mi sono detta che, in realtà, adesso mi siete più vicini che mai perché state portando avanti la battaglia da una postazione più avanzata grazie alla quale potrete contribuire ad un livello superiore all’opera a cui concorriamo, all’opera in cui anche io mi sto cimentando.

Le conversazioni che abbiamo avuto sulla doppia oppressione e il lavoro che abbiamo messo in campo nell’ultimo anno soprattutto, sono state per me fonte di grandi riflessioni: la lettera in cui hai annunciato la tua partenza per andare a rafforzare il Centro del Partito clandestino è una sintesi esemplare e concreta dell’origine, della fonte, della doppia oppressione che vivono le donne delle masse popolari e mi ha aiutato a mettere in fila le sensazioni, emozioni che in quanto donna, benché comunista, vivo in virtù delle relazioni sociali a cui sono sottoposta.

Non ti nascondo che l’assunzione di nuovi compiti un po' mi spaventa e che vivo il senso di inadeguatezza, la paura di non riuscire a conquistarmi un ruolo dirigente. Questo mi porta talvolta a vivere con ansia i miei compiti. Questo è il vecchio che prevale in me, il senso comune dettato però da una realtà oggettiva e cioè dal fatto che una donna deve fare il doppio della fatica in tutto. Ma oltre al vecchio c’è anche il nuovo che ogni giorno si rafforza in me stessa e il cui alimento principale sta nella fame di trasformarmi: trasformarmi per diventare adeguata, trasformarmi per rompere le catene della mia oppressione e quelle di milioni di donne e uomini delle masse popolari. Questa superiore comprensione della doppia oppressione a cui anche noi comuniste siamo sottoposte (in quanto donne) la devo principalmente a te e ai tanti confronti che abbiamo avuto.

Quello che dici sulla paura di non essere adeguata è vero e ripensando al mio percorso tante, tantissime, troppe volte mi sono preclusa la possibilità di imparare a fare cose nuove, di sperimentarmi per timore di non riuscire, per timore di essere giudicata incapace o non adeguata dal collettivo.

Ho deciso che non deve essere più così, principalmente perché, così facendo, arreco un danno al mio avanzamento e quindi all’avanzamento della rivoluzione socialista perché sì, è vero che dipende da noi! Quindi ho capito che non devo chiedermi se sono o non sono adeguata, ma se sono o non sono disponibile a trasformarmi per diventare adeguata: e io sono disponibile a farlo mettendoci cuore ma soprattutto testa (la nostra scienza).

Le condizioni oggettive per instaurare il socialismo nel nostro paese sono sempre più mature, la svolta politica che si è aperta con le elezioni del 4 marzo segna il picco a cui spontaneamente le masse popolari sono arrivate nella loro resistenza al programma comune della borghesia imperialista, battendo la borghesia, addirittura, sul campo dove da sempre è più forte (il teatrino della politica borghese) e allora perché ancora non abbiamo instaurato il socialismo? Per i limiti di noi comunisti, perché le masse popolari per emanciparsi dai millenni di oppressione hanno bisogno di una loro classe dirigente, di una loro avanguardia all’altezza dei compiti della fase.

Questo è un punto che per molto tempo mi è stato difficile accettare: accettare cioè che dovessi io in prima persona diventare una dirigente per essere coerente con le mie aspirazioni ma soprattutto con quello che dicevo di voler fare. Mi era difficile accettarlo non solo per le concezioni tendenzialmente anarcoidi che mi portavo dietro (quindi la tendenza a identificare il dirigente comunista come se fosse un dirigente borghese) ma anche e soprattutto per timore di non essere capace di “sostenere” questo ruolo. La paura mi portava a subire me stessa e le relazioni che mi circondavano, anziché trasformarle.

Nel percorso di questi ultimi mesi, soprattutto, ho maturato una cosa che prima non avevo: la volontà di diventare una dirigente comunista, l’orgoglio verso me stessa per le scelte che ho fatto, la cura verso me stessa che non ho mai avuto, anzi ho sempre teso a sminuirmi, colpevolizzarmi, punirmi per quello che capivo di non essere e che non riuscivo a diventare. Non ci riuscivo sostanzialmente perché non volevo, perché farlo implicava buttare giù muri, maschere che nella mia vita mi sono servite a tenere botta, a resistere ma che oggi stante il ruolo che mi sono assunta sono solo ostacoli. Non voglio più vivere così, non voglio più precludermi la possibilità di liberarmi e di liberare altre donne e uomini (come posso liberare altri se io stessa sono oppressa dal senso comune?!): noi abbiamo una scienza, la scienza scoperta da Marx ed Engels; una scienza potente e rivoluzionaria perché, per la prima volta nella storia dell’umanità, ha spiegato ai proletari le ragioni della loro condizione e soprattutto come cambiare quelle condizioni. Per farlo però servono, serviamo noi comunisti e cento ne nasceranno fino a quando il potere della borghesia non sarà abbattuto perché sta nell’ordine delle cose che oggettivamente si sviluppano: la società marcia verso il socialismo e il comunismo; è questo il fatto su cui poggia il senso del nostro ruolo e il concreto reale su cui poggiano e devono poggiare le nostre scelte (…)

Certo che vinceremo: dobbiamo e possiamo farlo, guidati dall’esempio e dagli insegnamenti dei comunisti nostri predecessori, guidati dall’amore verso le masse popolari e la nostra classe.

Un forte abbraccio!

Monika

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Assumersi nuove responsabilità

Caro compagno,

nella tua ultima mi invitavi a fissare un primo bilancio dall’avvio della candidatura nel (n)PCI e sono d’accordo nel ritenere che i tempi sono maturi per farlo, anche alla luce (rispondendoti) delle varie questioni che sollevi per l’appunto nella tua lettera.

La partenza di Angelo e Chiara e il V Congresso del P.CARC mi hanno fatto comprendere il senso profondo dell’“assumersi nuove responsabilità”: è una questione legata principalmente alla RIM. Un aspetto pratico di disponibilità a trasformarsi a partire dalla spinta delle condizioni oggettive, dei bisogni e dei tempi della lotta di classe e dalle necessità del Partito Comunista. Non si possono assumere nuove responsabilità, nell’accezione di alimentare la costruzione della nostra opera, se non si comprende che la RIM è qualcosa di pratico, che risponde alla realtà esistente e da cambiare. Assumersi compiti superiori, nel nostro campo, significa impostare con maggior scienza il percorso da compiere, dando battaglia per realizzare quella continuità che apre al salto e conquistare coscientemente il proprio posto nella lotta di classe.

Ad esempio, assumersi la responsabilità di dirigere (essere dirigente comunista) significa dover avanzare nell’imparare ad essere classe dirigente delle masse popolari, cosa strettamente legata alla costruzione della rivoluzione socialista e quindi dirigere non è un compito burocratico ma un campo di battaglia al cui centro o si mette la lotta di classe o si finisce con l’isolarsi dalle masse fino a disprezzarle. Ecco perché bisogna assumersi nuove responsabilità, ovvero per essere aderenti e conseguenti con la propria scelta di vita (temprandola) ed essere realmente al servizio della nostra opera, al servizio nel senso di protagonisti (soggetto e oggetto).

Non c’è assunzione se non c’è trasformazione. Senza trasformazione si sconfina nel campo della burocrazia, cosa che immobilizza la nostra crescita. Effettivamente, se si leggono così i sommovimenti nella Carovana (il rafforzamento del Centro del (n)PCI e l’allargamento del gruppo dirigente nel P.CARC) si comprende che non è arroganza dire che il movimento comunista avanza e che si sta dando i mezzi per essere all’altezza dei compiti che si è coscientemente (con scienza) assunto. Questo non per accomodarci “sugli allori” ma per avere una visione di prospettiva che rafforza la fiducia tra le nostre file: con il 2018 abbiamo allargato parecchio il raggio d’azione della promozione della scienza nelle nostre organizzazioni e all’esterno, grazie allo studio, all’assimilazione (vedi ad esempio i cicli di studio sul marxismo a partire da La Voce n. 58) e alla sua applicazione (vedi la linea dell’“allargamento della breccia”). Questa è un’ulteriore cartina tornasole dei passi avanti fatti, all’interno della Carovana tutta, cosa dimostrata anche dal dibattito nel V Congresso del P.CARC e dall’esigenza di avere “gruppi dirigenti più operativi” (…)

Senza il legame con il (n)PCI non avrei conquistato una visione d’insieme della nostra opera (e della sua inevitabilità) tale da spingermi a mettermi alla scuola di Partito e a comprendere il reale ruolo dei comunisti. Senza il passo della proposta di candidatura sarei rimasto in un limbo, mentre quest’anno di “doppia militanza” mi ha consentito di porre solide basi per diventare un dirigente comunista: da una visione romantica della lotta di classe all’intervento diretto in essa secondo un preciso piano d’azione che comprendo maggiormente via via che lo attuo. La nostra scienza “muove davvero le montagne” e nel corso di quest’anno l’ho potuto verificare in prima persona, nel duplice significato della mia trasformazione e dell’azione condotta all’esterno. La “via maestra” dello studio non è quindi soltanto una lente sul mondo ma è quel grimaldello che ti dà serenità nella guerra in corso, perché ti consente di non farti sorprendere dagli eventi e di scoprire ricchezze anche dove questa società tenta di creare aridi deserti: le masse popolari.

In sintesi, è il legame con il (nuovo)PCI che ha concretizzato la mia scelta di vita anche perché, se visto da un’angolatura più “terra terra”, legarsi ad un’organizzazione clandestina significa non aspirare a nessun riconoscimento, ma lavorare davvero per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti (mettere al centro, oltre le parole, la lotta di classe nella propria vita e trovare in essa un senso pieno all’esistenza) (…)

Guido