La Voce 63 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - novembre 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Spersonalizzare la direzione

Lettera alla redazione

 

Il Partito è la spina dorsale della classe operaia.

Il Partito è l’immortalità della nostra opera.

Il Partito è l’unica cosa che non tradisce”

(V. Majakowskij)

 

A seguito della diserzione di Angelo d’Arcangeli e Chiara De Marchis e il conseguente fallimento dell’operazione di rafforzamento del Centro clandestino, all’interno di tutta la Carovana del (n)PCI è in corso un salutare dibattito sugli insegnamenti che ne ricaviamo per migliorare il nostro lavoro.

Rimando alla recente pubblicistica nostra e del P. CARC in materia per una visione più complessiva e mi concentro invece qui su un aspetto specifico che è emerso da questa sconfitta e che è stato promosso in maniera confusionaria da parte dei due disertori: il rapporto dirigente – diretto nella sua dimensione collettiva, il Partito, e nel suo ancoraggio alla linea elaborata dall’organizzazione.

Nel Partito comunista la direzione non può dipendere da un rapporto personale tra il singolo dirigente e il singolo diretto: il senso della direzione risiede proprio nel rapporto di Partito che con essa si instaura. È importante che il singolo dirigente sia creativo e che stabilisca e alimenti una relazione positiva con il diretto, ma egli deve assumere come bussola nel rapporto la causa del Partito e l’applicazione della linea. Il singolo dirigente non è che il terminale di un collettivo e al contempo è espressione particolare di, per dirla Mao Tse-tung, un “nucleo dirigente”,(1) ovvero di una elaborazione collettiva che ha come punti cardinali la linea del Partito e la cura degli uomini e delle donne, il loro inquadramento e i loro compiti. Ecco, in sintesi, cosa significa “spersonalizzare la direzione” e non far dipendere l’adesione alla causa di un membro del Partito dal rapporto personale che egli ha e/o intrattiene con il proprio dirigente. Questo vale ancora di più nel Partito clandestino, dove le relazioni sono mediate anche dalla compartimentazione tra le istanze di Partito e da una chiara e definita vita interna regolata dal centralismo democratico, fino ad arrivare alle massime istanze di Partito e agli organismi di lavoro: questi ultimi richiedono anche un funzionamento “militare” (gerarchia, disciplina, ecc.).

 

1. Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione in Rapporti Sociali n. 11. Testo fondamentale perché è una sintetica guida per l’azione e la verifica della direzione di un quadro.

 

 

Da qui discendono diversi corollari, tutti uniti dal filo rosso della divisione dei compiti alla luce di una direzione unica, centralizzata e collettiva che poggia sul centralismo democratico e la democrazia proletaria (la direzione deve promuovere la crescita dei diretti, chi è avanzato insegna a chi è arretrato, chi è arretrato impara da chi è avanzato, ecc.). Infatti dirigere significa proprio educarsi al rispetto cosciente del centralismo democratico contro un egualitarismo che inevitabilmente ereditiamo dalle forme spontanee ed elementari della lotta contro la borghesia (la partecipazione alla democrazia borghese) e verso cui l’influenza borghese inevitabilmente ci spinge. L’egualitarismo nel Partito esprime e comporta una limitata comprensione del ruolo dei comunisti all’interno e all’esterno dell’organizzazione stessa:

- rispetto al metodo, un comunista (un dirigente comunista) deve staccarsi dalle masse per poi tornarci perché “in tutto il lavoro pratico del Partito, una direzione giusta è necessariamente basata sul seguente principio: dalle masse alle masse”, per dirla con le parole di Mao Tse-tung;(2)

 - rispetto al contenuto, dirigere significa far fare ciò che spontaneamente un diretto non fa, guidandolo con l’esempio, lo studio, la sperimentazione pratica, il comando e la forzatura: portare a fare è l’essenza della direzione, il cui ulteriore scopo è formare altri (e superiori) comunisti.

 

2. Sempre in Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione in Rapporti Sociali n.11.

 

 

All’interno del Partito non siamo tutti eguali: non c’è una divisione di compiti tra individui ognuno dei quali è grossomodo capace di svolgere qualsiasi compito, ma c’è diversità di livello quanto ad adesione alla causa, capacità di orientarsi e capacità di orientare. Ognuno di noi si è formato in una società caratterizzata da divisione e oppressione di classe, dall’esclusione della massa della popolazione dalle attività specificamente umane, dalla deresponsabilizzazione delle masse proletarie, ecc. Il compito storico che tutti i membri del Partito condividono (instaurare il socialismo e guidare l’umanità al comunismo) e le esigenze contingenti della lotta di classe impongono una differenziazione tra i singoli e la sua accettazione e pratica coscienti: non è né una questione di morale né di etichette, ma piuttosto di aderenza al ruolo assunto, di materialismo dialettico. Il Partito comunista, e il (n) PCI lotta per essere all’altezza di questo ruolo, è lo Stato Maggiore della costruzione della rivoluzione socialista. Ciò richiede e presuppone la formazione di tutta la catena di comando degli ufficiali: una guerra “speciale” quale è la nostra, per essere condotta vittoriosamente, ha bisogno 1. di un piano che deriva dall’elaborazione scientifica e 2. di una salda e chiara direzione.

È anche in ciò che risiede la forza del Partito. Essa non dipende in prima istanza dal singolo membro ma dalla capacità complessiva di essere fucina

di elaborazione scientifica, dotandosi di metodi e principi che ne salvaguardano l’esistenza e contemporaneamente ne consentono l’azione, senza la pretesa di concepire il tutto come un processo lineare. La sua opera è sperimentale (come lo è la sua scienza, forgiata con il materialismo dialettico) e mette al centro la realtà per quella che è ai fini della sua trasformazione. È per questo motivo che tutto, anche l’organizzazione, deve essere in funzione della linea, altrimenti si devia e si arriva, come nel caso dei due disertori, a ribaltare principale e secondario, politico e personale. Agire così è sintomo di inadeguatezza dell’individuo al compito che assume, del suo “essere” al suo “poter e dover diventare”, cosa che deve essere riportata, per noi, sul piano della Riforma Intellettuale e Morale: ci dobbiamo trasformare. Nessuno “nasce comunista”: lo si diventa proprio sotto la direzione del Partito e questo processo è lungo tutto l’arco della nostra vita. Ognuno di noi è sia soggetto sia oggetto della rivoluzione socialista. Trasformarsi è un’esigenza dettata dalla lotta di classe per assolvere ai nostri doveri e compiti, con la democrazia proletaria che dà la possibilità a tutti, nel Partito, di trasformarsi.

 

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Istanza di partito e organismo di lavoro

Un’istanza di partito è composta da compagni con un livello abbastanza affine di comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati dell’attività dell’istanza e al suo interno vige il centralismo democratico. Un organismo di lavoro comprende e combina vari ruoli: da chi dirige (svolge un lavoro per cui occorre una preparazione, una formazione e un addestramento) a chi fa le pulizie o batte a macchina (lavori indispensabili ma che comunemente molti sanno fare); chi dirige può anche far le pulizie, viceversa no (salvo che il far pulizie sia un modo di camuffare il ruolo di direzione); nell’organismo di lavoro non vige il centralismo democratico, ma la compartimentazione e la direzione gerarchica: i membri di un organismo di lavoro di regola fanno parte di istanze di partito differenti.

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Anche per questo il Partito non può dipendere dal singolo perché non si può escludere a priori un suo crollo (chi ha letto La mia vita con Lenin di N. Krupskaja di recente pubblicata da ERS-RSP, ha letto di numerosi casi del genere) e  soprattutto il singolo di per sé, per quanto “illuminato”, non può sostituirsi al collettivo, che ne è suprema espressione. Si è grandi dirigenti all’interno del Partito, non fuori. In questo senso la diversione su Ulisse promossa dai due disertori “sta a zero”: implica una visione idealista, irreale se non mistica del dirigente e dell’esclusiva dipendenza del successo della nostra opera dal singolo.

 

Certamente bisogna essere dialettici: dirige chi ha un’assimilazione superiore della nostra scienza, ma in ultima istanza è il Partito comunista, tramite la sua concezione e linea e il legame che costruisce con la classe operaia e il resto delle masse popolari, a determinare le sorti della nostra opera. Anche per questo il senso profondo dell’assumersi nuove responsabilità e dell’andare oltre la “personalizzazione” del dirigente sta nel mettere al centro la causa.

Per realizzare ciò non si può non porre attenzione alla cura e alla formazione dei quadri perché “la linea cammina sugli uomini” e la trasformazione di cui sopra vive pienamente nei singoli comunisti: per questo, e qui gli Avvisi ai naviganti 91 e 92 sono puntuali, è necessario mettere al centro la formazione a partire dal primato della concezione comunista del mondo perché è da qui che discende la capacità di orientarsi da soli (principio di Dimitrov)(3) e di orientare altri da parte dei quadri, cosa questa che attiene specificatamente alla battaglia della fase attuale, quella di diventare comunisti di nuovo tipo.(4)

Abbiamo bisogno di uomini e donne che si assumono la responsabilità di dirigere la rivoluzione socialista in corso, di diventare “capi” per la classe operaia: anche per questo la venuta meno di due dirigenti è un danno e un duro colpo per il Partito.

 

3. Vedi G. Dimitrov, Per l’unità della classe operaia contro il fascismo, conclusioni presentate al VII Congresso dell’Internazionale Comunista, parte VII: “Sui quadri”.

 

4. Riferimento a Noi comunisti italiani di nuovo tipo e il primo PCI (1921-1989) e Il Partito comunista di nuovo tipo, articoli entrambi in La Voce 57 - novembre 2017.

 

 

In sintesi, per combattere la guerra è necessario assumere un ruolo e per condurla vittoriosamente è necessario uno stile di vita e uno stile di partito che non si possono improvvisare, che vanno rispettati e a cui bisogna tendere nella trasformazione.

È la pratica della Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata ad essere la chiave di lettura e di verifica del nostro agire, cosa che impone di riconoscere la necessità di imparare e di mettersi alla scuola, teorica e pratica, del Partito (la RIM è un processo pratico).

Non dobbiamo temere il carattere peculiare della rivoluzione socialista, ovvero essere una guerra e quindi dobbiamo avere chiaro che per avanzare, dentro e fuori dal Partito, le lacerazioni e le rotture sono parte integrante del percorso, anzi senza di ciò non si può avanzare qualitativamente.

Lo scriveva Lenin: “un passo avanti, due passi indietro… è ciò che accade alla vita dei singoli, ed accade nella storia delle nazioni e nello sviluppo dei Partiti”. Cioè avanzamenti e arretramenti, vittorie e sconfitte sono nell’ordine delle cose proprio per il carattere sperimentale della nostra opera: la differenza del Partito comunista è che si dà i mezzi per imparare anche dalle sconfitte (che per loro natura comportano invece il rischio dello sbandamento e della rinuncia), trasformandole in vittorie future (bilancio dell’esperienza). In ultima istanza, vince chi impara anche dalle sue e altrui sconfitte.

La strada che la Carovana ha intrapreso va in questa direzione, senza finire nelle sabbie mobili del chiacchiericcio e dell’opinionismo che porta al “tifo”.