La Voce 63 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXI - novembre 2019

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Sulla formazione dei quadri nella Carovana del (n)PCI

Lettera alla redazione

 

Cari compagni,

vi scrivo alcune mie riflessioni in merito alla diserzione di Angelo D’Arcangeli e Chiara De Marchis, in particolare rispetto alla formazione dei dirigenti comunisti (l’aspetto principale del ruolo specifico, Responsabile Nazionale Settore Organizzazione, che Angelo ha svolto nel P.CARC), formazione che la Carovana del (n)PCI si propone di migliorare. Sono un compagno che da poco si sta cimentando in esperienze di direzione di altri (compagni e no) e la vicenda dei due disertori mi ha fatto riflettere sulla mia esperienza.

La loro diserzione mi ha di certo scosso, ma al tempo stesso mi ha fatto ragionare sulla mia adeguatezza rispetto ai compiti rivoluzionari che mi sono assunto, sulla necessità di fare dei passi avanti e sui miei limiti. L’Avviso ai naviganti 91 credo sia, in termini di contenuti, una buona risposta ai limiti e alle difficoltà che abbiamo nella costruzione del partito che occorre per dirigere la guerra popolare rivoluzionaria contro la borghesia, una risposta ai limiti che D’Arcangeli in primis ha mostrato sia disertando sia con le affermazioni pubbliche fatte dopo la sua diserzione. In questo senso è stato anche foriero di insegnamenti per chi come me vede principalmente come individuali i limiti e le difficoltà, mentre in realtà sono comuni a molti e riguardano anche il lavoro di formazione che viene condotto per formare nuovi e migliori dirigenti comunisti.

Mi soffermo su due aspetti che emergono dall’Avviso ai naviganti 91 e che riguardano la relazione tra l’apprendimento, l’assimilazione e l’applicazione della concezione comunista del mondo (quindi la comprensione del corso delle cose, ma anche l’utilizzo della stessa per orientarsi e orientare e per fare) e la trasformazione di aspetti di mentalità e personalità: tema anche dell’articolo Combattere il pessimismo nelle nostre file! di La Voce 62.

 

Metodo Rousseau-Montessori” e concezione comunista del mondo

Negli ultimi numeri di La Voce avete trattato spesso della trasformazione della mentalità e in parte della personalità dei dirigenti del Partito e della Carovana, di quegli aspetti che ostacolano i compagni nell’adempimento dei loro compiti nella rivoluzione socialista. Nella mia esperienza, spesso per immetterci in un processo di crescita il dirigente si affidava ad esperienze pratiche da far fare ai compagni (vita collettiva per imparare a stare insieme agli altri, lavori manuali per imparare ad essere più pratici, ecc.). Questo approccio è sicuramente utile e anzi necessario, ma a mio avviso vede ancora scissi due aspetti complementari della formazione: la formazione ideologica (la formazione alla concezione comunista del mondo) deve andare di pari passo con la trasformazione della mentalità e della personalità. Anzi deve essere la guida sia per il dirigente (il medico) sia per il diretto (il paziente) nell’attuare questa trasformazione.

La società borghese ha sperimentato miriadi di metodi di insegnamento. Le scuole e università hanno sfornato numerosi professori capaci di insegnare la propria materia a schiere di studenti, capaci di innovare il proprio metodo, capaci di coinvolgere e convincere: alla rivoluzione socialista servono sicuramente buoni insegnanti, servono però innanzitutto buoni comunisti. Anche la trasformazione della mentalità e della personalità sono attività che la stessa borghesia sa fare e fa: istituti correttivi, psicologi e psicoterapeuti sono formati a trasformare o correggere la mentalità e la personalità degli individui, la manipolazione (individuale e di massa) è cosa corrente. Però insegnare ad un individuo a rimuovere e superare gli ostacoli che incontra nell’assolvere a determinati compiti che la lotta rivoluzionaria pone, non è questione di mestiere e basta, mestiere che possiamo imparare anche altrove. Formare buoni organizzatori non è solo formare  compagni che sanno dirigere altri a fare questo e quello e reclutarli (lo sanno fare anche i dirigenti borghesi e della sinistra borghese). Entrano in ballo anche ciò che i comunisti pensano, la loro capacità di comprendere il corso delle cose, il contenuto di ciò che dicono. La direzione che imprimono alla trasformazione della materia su cui lavorano, dipende sostanzialmente da cosa pensano. Per questo motivo sono d’accordo con l’affermazione, contenuta nell’Avviso ai naviganti 91, che il “metodo Rousseau-Montessori” è utile per noi ma solo secondariamente alla formazione alla concezione comunista del mondo. Nell’applicazione del metodo in questione infatti non si tiene necessariamente conto

1. delle classi e della storia degli individui, del contesto di classe in cui sono cresciuti (con questo metodo l’insegnante punta a formare “un gatto esperto e che prenda i topi” piuttosto che un “gatto rosso”). Gli individui che vengono dal campo della borghesia hanno sicuramente acquisito nel proprio ambiente d’origine capacità che sono utili e necessarie alla rivoluzione socialista (intraprendenza, piglio dirigente e altre): il “metodo Rousseau-Montessori” può farli emergere e via via valorizzare nella nostra lotta, può farli emergere anche in compagni di origine proletaria, ma senza la direzione data dalla concezione comunista del mondo possono diventare qualità proprie di un dirigente borghese;

2. della dialettica tra insegnante e studente: non mettendo al centro l’obiettivo al quale la trasformazione è finalizzata (perché devo essere meno timido? Perché altrimenti non raccolgo contatti nelle aziende, che è il primo passo per individuare operai avanzati da cui partire per costruire un’organizzazione operaia!), essa è fine a se stessa, spinge il diretto all’autoperfezionamento. Per formare un comunista potrebbe andar bene anche un dirigente che conosce e sa usare la concezione comunista del mondo “così così”. Ma un vasaio che lavora la creta, certamente la lavora e la trasforma perché conosce le leggi di trasformazione della creta e certamente non pensa ad una sedia, ma lavora ben diversamente a seconda che pensa a un vaso o a dei cocci. Quindi, bisogna tenere in considerazione anche la concezione del mondo di chi insegna. Da qui la concezione comunista del mondo come aspetto principale e decisivo della trasformazione in comunisti: un comunista viene forgiato alla lotta rivoluzionaria se impara (e gli viene insegnato) il marxismo come metodo di conoscenza della realtà.

Il mio vecchio dirigente, ad esempio, era molto carente su questo secondo aspetto. Nelle riunioni, nonostante il mio studio (lo ammetto, non costante) e la produzione di note sui testi studiati, non prendeva quasi mai in considerazione il contenuto di quello che avevo scritto né lo correggeva. Riduceva il contenuto delle nostre riunioni all’attività svolta e da svolgere. Non vi era nemmeno uno studio collettivo approfondito. Il dirigente alimentava la mia adesione alla causa principalmente facendomi “volare alto” sull’attività, mostrandomi aspetti positivi di quello che avevo fatto, incitandomi a sviluppare i passi avanti che facevo, indicandomi classici del movimento comunista da leggere. Quando lui, nonostante le sue doti, ha fatto un passo indietro nella lotta di classe, mi sono reso conto che un limite del mio dirigente era proprio quello di non studiare e di rimanere a una conoscenza superficiale e frammentaria delle leggi oggettive della società e della concezione comunista.

 

La trasformazione della mentalità e personalità, il rafforzamento caratteriale dei quadri sono anche pratica cosciente del dirigere altri

L’Avviso ai naviganti 91 afferma che l’aspetto decisivo per i comunisti è la comprensione, l’assimilazione e l’uso della concezione comunista del mondo per trasformare la propria condotta, per alimentare la propria adesione alla causa, per imparare ad orientarsi ed orientare. Su questo aspetto sono d’accordo, al tempo stesso però credo che nella formazione dei quadri vediamo ancora la formazione alla concezione comunista del mondo troppo staccata dalla pratica. Questa per i quadri non vuol dire solo “fare cose pratiche”. Fare pratica vuol dire principalmente dirigere, fare esperienze di direzione: i comunisti servono le masse se le dirigono a fare quello che spontaneamente non fanno. Per usare la concezione comunista del mondo non è sufficiente comprenderla e spiegarla (questo è il passo che si fa per certi aspetti  più facilmente). Bisogna anche calarla nel concreto: ogni quadro del partito può farlo solo se dirige, se si cimenta nella direzione (di OO e OP, di membri, simpatizzanti e collaboratori, ecc.) per diventare capace di orientarsi da solo e di orientare gli altri. È nella pratica dell’orientare gli altri (dirigere altri, fare esperienze-tipo di direzione del lavoro di massa e degli organismi) e dell’orientarsi da soli (dirigere se stessi, la propria vita in funzione dei compiti che ci si assume e degli obiettivi che si perseguono) che si trasformano via via quegli aspetti di mentalità e anche in una certa misura della personalità che sono ostacoli alla direzione.

Un esempio semplice è quello del ritardo. Un dirigente non può affermare in una riunione che non bisogna fare tardi, se lui stesso è il primo a fare spesso tardi: non può dirigere, educare e formare altri se la sua condotta è in contraddizione con quanto afferma. È quindi correggendo la sua condotta che via via anche la sua capacità di orientare gli altri si eleva (unisce teoria e pratica), e vedendo nella pratica il beneficio della puntualità, che questa è necessaria per il lavoro rivoluzionario vi si abitua alimentando così la sua adesione alla causa. Un dirigente non può dire in una riunione che i compagni devono avere un approccio superiore all’elaborazione dell’attività, se lui stesso è poco creativo, non studia a sufficienza, non approfondisce, non lega i contenuti dell’attività che svolge e di quella che svolgiamo con l’analisi e la linea generali, non affida ad ognuno compiti precisi su cui cimentarsi.

Credo quindi che nella formazione dei quadri del Partito e della Carovana vada fatta fare più esperienza di direzione, in particolare di direzione del lavoro di massa, verso la classe operaia e le masse popolari. Il lavoro di massa educa i dirigenti ad acquisire una superiore coerenza tra ciò che dicono e ciò che fanno, a lottare contro l’idealismo con più tenacia, a verificare e sperimentare l’elaborazione della linea mettendo direttamente le mani in pasta, in un processo in cui bisogna di continuo elevare la propria autonomia ideologica dalla borghesia e la propria capacità di orientarsi da soli e di orientare gli altri per far avanzare la rivoluzione, passando da una adesione alla causa identitaria ad una più cosciente, da una applicazione superficiale e parziale della scienza comunista ad una più profonda e ampia. Questo deve essere a mio avviso anche uno dei criteri di selezione e verifica dei dirigenti.

La diserzione è stata sicuramente un colpo duro. Questo non deve fermarci: la guerra contro la borghesia e il clero continuano. Forgeremo i nostri dirigenti nel fuoco della lotta, nella pratica della lotta di classe e sono certo che ne formeremo sempre di migliori.

Diego G.