La Voce 65 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII - luglio 2020

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Conoscere più a fondo i settori dell’attività economica

per far avanzare la guerra popolare rivoluzionaria,

per la costituzione e il rafforzamento di organizzazioni operaie e popolari

 

L’espansione del sistema di potere del proletariato richiede che noi comunisti conosciamo abbastanza a fondo la struttura produttiva del paese: settore per settore, cosa si produce, cosa si importa e cosa si esporta, come è strutturato il settore (produzione di prodotti finali e componenti), quanti sono i lavoratori impiegati e l’evoluzione delle istituzioni che producono servizi pubblici (sanità, scuola, ecc.). Non si tratta di diventare esperti di ogni settore. Si tratta di raccogliere le conoscenze che un vasto numero di persone per motivi diversi già hanno e le informazioni fornite dall’ISTAT e da altri enti (camere di commercio, associazioni di categoria, ecc.) e di interpretarle alla luce del materialismo dialettico (inquadrarle nei processi e nei contesti sociali a cui appartengono) per usarle ai nostri fini: dare indicazioni più concrete e di dettaglio alle organizzazioni operaie e popolari delle aziende capitaliste e pubbliche e indirizzare le attività del Governo di Blocco Popolare una volta costituito.

L’articolo su Alitalia pubblicato in VO 63 (novembre 2019) rientra in questo filone di lavoro, in questo numero continuiamo con la Whirlpool, FCA e il sistema sanitario nazionale.

Due esempi di lavori in questa direzione che segnaliamo ai nostro lettori sono

- il libro Dove sono i nostri pubblicato nel 2014 dai Clash City Workers, ed. LaCasaUscher (per una recensione che ne mette in luce pregi e limiti ai fini della lotta per instaurare il socialismo, vedasi “Dove sono i nostri” dei CCW e concezione comunista del inondo, in La Voce 47, pagg. 55-60),

- i Bollettini del 2016 Struttura produttiva del paese, a cura del Settore Lavoro Operaio e movimento sindacale del P.CARC (reperibili sul sito www.carc.it: il n. 1 del 19.01.2016 dà un quadro demografico e il n. 2 del 26.04.2016 dà un’immagine di primo approccio, tratta dalla rassegna ISTAT per il 2013, della struttura produttiva delle 19 regioni più le 2 province autonome di Trento e Bolzano), con la presentazione che riportiamo qui di seguito e che sottoscriviamo.

“I bollettini Struttura produttiva del paese non sono mirati a confutare, smentire, smascherare la Repubblica Pontificia e le sue istituzioni. Essi mirano a fornire informazioni veritiere a chi lotta per instaurare il socialismo. A noi è ben noto ed è cosa scontata che molte aziende hanno chiuso i battenti, che il numero dei lavoratori impiegati dai capitalisti, dalla Pubblica Amministrazione e dalle altre istituzioni della Repubblica Pontificia è diminuito e diminuisce e che i loro redditi vengono ridotti, che la pubblica istruzione e il sistema sanitario e pensionistico sono in via di liquidazione, ecc. Quello che ci interessa non è documentare l’avanzamento di questi processi, ci interessa principalmente conoscere le forze su cui possiamo e dobbiamo contare per rovesciarlo: dove troviamo quelli che organizzati e orientati saranno le autorità locali del futuro Stato: lo instaureranno, lo faranno funzionare e lo difenderanno.

Le informazioni sintetiche dei bollettini Struttura produttiva del paese servono a dare una visione veritiera di dove e come il corso corrente delle attività economiche e della vita ordinaria aggrega i lavoratori e il resto delle masse popolari che noi dobbiamo mobilitare, organizzare e orientare per condurre la rivoluzione socialista; delle attività e delle condizioni di lavoro e di vita delle varie classi sociali, la cui conoscenza è utile ai fini della traduzione della nostra linea generale nel particolare delle nostre attività volte a promuovere la rivoluzione socialista; delle risorse di cui le masse popolari italiane dispongono per far fronte all’aggressione (politica, finanziaria, commerciale, economica, militare) con cui la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti cercherà di soffocare il Governo di  Blocco Popolare”.

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Whirlpool di Napoli e settore elettrodomestici


Lettera della redazione di La Voce a un compagno di Napoli.

Caro compagno,

siamo convinti che se pubblichiamo un quadro della situazione del settore elettrodomestici in Italia diamo un contributo alla lotta degli operai della Whirlpool di Napoli e di altre aziende. Certamente è un quadro che tu o altri con cui sei o puoi metterti in contatto conoscono. Un quadro grossomodo comprensivo dei seguenti elementi.

Quali sono i principali elettrodomestici (articoli finiti per il mercato) prodotti e venduti in Italia?

Volumi delle produzioni, aziende (società) e unità locali in cui ognuno è prodotto (con per ogni unità locale volume della produzione e numero di operai impiegati a tempo indeterminato, precari, in somministrazione, per prestazioni in appalto).

Fornitori di componenti (unità locali con tipi di componente, numero operai impiegati, ecc.).

Mercato Interno: quanti articoli finiti vendono all’anno (produzione in Italia, importazioni).

Mercato Estero (esportazioni).

Contatti in atto tra lavoratori delle varie unità locali della stessa società e tra lavoratori delle varie società del settore (Whirlpool, Electrolux, ecc.) e dei fornitori di componenti.

Sei in grado di fornirci (o farci fornire da persone con cui sei o puoi metterti in contatto) un quadro simile, affine o analogo?

Il compagno ci ha risposto quanto segue.

La pubblicazione di un quadro della situazione del settore elettrodomestici in Italia è certamente cosa utile, anche per affrontare una delle contraddizioni di orientamento nella lotta in corso in Whirlpool, ossia quella tra localismo della lotta e sviluppo nazionale della lotta. La lotta degli operai infatti non è “di Napoli” né è strettamente a Napoli che può trovare soluzione positiva, ma è la testa di ponte della lotta contro una delle più importanti multinazionali operanti nel nostro paese e per il recupero della sovranità nazionale sull’apparato produttivo. Un quadro d’insieme è utile però anche per gli operai di Napoli, perché l’esigenza di allargare il quadro della lotta dalla vertenza di stabilimento alla dimensione di lotta per il lavoro degli operai del gruppo e dell’indotto è più urgente che mai, a fronte delle rigidità della Whirlpool rispetto alla chiusura del sito napoletano e alla ristrutturazione coatta, a scaglioni e progressiva, di tutti gli altri stabilimenti e al disimpegno del governo quanto alla soluzione della vicenda.

Per adesso vi invio la scheda informativa generale del gruppo Whirlpool-Italia che ho preparato a marzo 2020, contenente alcune delle informazioni che mi avete chiesto: gli stabilimenti, cosa producono quanti dipendenti hanno (non però i precari né quelli in somministrazione) e il punto della situazione dell’indotto in Campania.

WHIRLPOOL EMEA - Italia

Nel 1988 IRE-Ignis, storico marchio della produzione italiana di elettrodomestici, diventa una joint venture tra Philips e Whirlpool, marchio americano che entra nel capitale sociale con il 53% delle azioni, divenendo socio di maggioranza. L’azienda americana nel 1991 rileva per intero la Ignis, assumendo la denominazione Whirlpool Italia S.r.l. e successivamente Whirlpool Europe.

Nel 2010 Whirlpool Europe Region cambia il proprio nome in Whirlpool Europa, Medio Oriente e Africa (EMEA) e, lo stesso anno, apre un nuovo reparto di piani cottura a Cassinetta (VA). Nel 2017 Whirlpool EMEA decide la chiusura dello storico stabilimento di Comerio (VA), dove ebbe avvio nel 1946 la Guido Borghi e Figli, diventata l’anno  successivo Officine Elettrodomestiche Ignis Guido Borghi e Figli s.n.c (la Ignis, appunto) e rimasta sede europea della multinazionale statunitense fino al 2017, quando è stata trasferita a Pero (MI).

Nell’area EMEA, Whirlpool fattura 5 miliardi di euro e impiega complessivamente 24.000 lavoratori in 15 stabilimenti dislocati in 8 paesi. In Italia la Whirlpool impiega circa 5.000 lavoratori nei seguenti 6 stabilimenti (+ più 2 sedi amministrative, gestionali e di ricerca e diversi punti assistenza sparsi per il Paese).

1. Cassinetta di Biandronno (Varese): 1.753 operai tra linee produttive e uffici, producono elettrodomestici da incasso (microonde, frigoriferi, forni);

2. Siena: circa 400 operai, producono congelatori a pozzetto (orizzontali);

3. Melano (Ancona): circa 700 operai, producono piani cottura a gas, elettrici e a induzione e prodotti speciali di alta gamma;

4. Comunanza (Ascoli Piceno) : 365 operai (325 in linea produttiva + 40 impiegati d’ufficio), producono lavatrici a caricamento frontale e lava-asciuga di alta gamma;

5. Napoli: 370 operai (dai 420 di pochi mesi fa, 30 sono andati in pensione, una ventina si sono licenziati, 2 sono morti), producono lavatrici a carica frontale di alta gamma per mercati EMEA;

6. Carinaro (Caserta): 320 operai, producono parti di ricambio e accessori.

Sito collegato alla Whirlpool è quello della ex EMBRACO di Riva di Chieri (TO), dove lavoravano 537 operai che producevano compressori ermetici, unità di condensazione e unità sigillate, per uso domestico e commerciale (ndr: la situazione è ancora quella denunciata dagli operai nella lettera pubblicata in VO 63 - novembre 2019).

Indotto Whirlpool Napoli: si tratta di 7 aziende, che producono guarnizioni e componenti per le lavatrici dello stabilimento di Napoli oppure fanno servizio di manutenzione macchinari, dislocate come segue.

- Provincia di Avellino

1. PASELL: 60 dipendenti, 60% produzione Whirlpool,

2. CELLUBLOOK: 40 dipendenti circa, 70% produzione Whirlpool,

3. SCAME MEDITERRANEA: 58 dipendenti, 100% produzione Whirlpool.

- Comune di Napoli

1. SOMECA S.r.l: 10 addetti, 80% produzione Whirlpool,

2. DELBAN S.r.l: 15 addetti, 100% produzione Whirlpool.

- Provincia di Caserta

1. CO.MA.P. SUD S.r.l: 57 addetti, 70% produzione Whirlpool,

2. ACROPLASTICA S.r.l: 55 addetti, 15% produzione Whirlpool.

 

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Bloccare la liquidazione del comparto autoveicoli e componenti

Contro il progetto degli Agnelli-Elkann


Alla produzione di autoveicoli (auto, furgoni, camion, pullman, autobus, macchine agricole, ecc.) nelle aziende che fanno capo al gruppo Agnelli-Elkann e nelle aziende di componentistica per autoveicoli attualmente in Italia lavorano circa 273.000 lavoratori (di cui poco più di 53.000 dipendenti diretti di FCA e gli altri 220.000 divisi tra CNH e Ferrari, anch’esse parte del gruppo AgnelliElkann, e aziende dell’indotto fornitrici di componenti). Non consideriamo qui i circa 120.000 lavoratori addetti a distribuzione, vendita e assistenza di autoveicoli (il grosso dei quali lavorerebbero anche se tutti i autoveicoli venduti in Italia e i relativi componenti fossero prodotti all’estero). La famiglia

Agnelli-Elkann sta liquidando la produzione di autoveicoli in Italia: è un piano che gli Agnelli hanno adottato circa 20  anni fa e che da 20 anni a questa parte stanno attuando sistematicamente. È il piano alla cui attuazione ha dato un grande contributo il non compianto Sergio Marchionne, che ha diretto come Amministratore Delegato l’operazione dal 2004 alla sua morte nel 2018 e ha a suo carico la chiusura di varie aziende e la riduzione di altre, il peggioramento delle condizioni dei lavoratori residui, la fusione FIAT-Chrysler con fondazione di FCA nel 2010 e il trasferimento della produzione in altri paesi, il rafforzamento dello spostamento in campo finanziario del centro dell’attività capitalista degli Agnelli. Impedire la riduzione e liquidazione del comparto autoveicoli e componenti per i lavoratori attualmente addetti rientra nella difesa del loro posto di lavoro; per noi comunisti fa parte della creazione delle condizioni necessarie per la costituzione del Governo di Blocco Popolare. Mobilitare i lavoratori in ogni azienda del comparto autoveicoli e componenti a organizzarsi e costituire organismi che, oltre a occuparsi di posti di lavoro, di salari e condizioni di lavoro, si coordinano con organismi di altre aziende del settore e oltre e con le organizzazioni popolari operanti sul territorio costituendo con esse la rete del potere delle masse popolari organizzate, è parte della nostra strategia ma risponde anche agli interessi immediati di ogni lavoratore del settore. Uno dei primi passi da fare è creare e rafforzare anche tra gli operai più attivi la coscienza che la famiglia Agnelli-Elkan sta effettivamente attuando un piano di liquidazione del settore.

A dicembre 2019 FCA e Peugeot Societè Anonyme (PSA) hanno siglato l’accordo per l’avvio del processo di fusione dei due gruppi che secondo le loro dichiarazioni dovrebbe concludersi entro il primo trimestre del 2021. Dal compimento di questa operazione dovrebbe sorgere il quarto monopolio automobilistico mondiale (denominazione annunciata STELLANTIS) con una capacità produttiva (dati vendite 2019) di 7.056.676 (somma di 4.064.328 auto vendute da FCA e 3.436.419 vendute da P SA).(1)

 

1. Di seguito la classifica mondiale dei primi 9 produttori auto sulla base dei dati delle vendite del 2019: 1. Volkswagen: 8.878.607, 2. Toyota Group: 8.517.681, 3. Renault Nissan: 8.174.177, 4. PSA-FCA: 7.056.676, 5. General Motors: 6.317.737, 6. Hyundai Kia: 5.933.296, 7. Ford Group: 4.362.540, 8. Honda Motor: 4.283.632, 9. Mercedes Daimler: 2.339.839.

 

Gli Agnelli-Elkann e tutta la borghesia hanno esaltato l’accordo e le “magnifiche” prospettive che comporterebbe per l’industria automobilistica “italiana”. In realtà quella che viene presentata come una fusione alla pari è l’acquisto di FCA da parte di PSA. Infatti, sulla base degli accordi stilati, PSA deterrà la maggioranza del Consiglio di Amministrazione del nuovo gruppo FCA-PSA (6 consiglieri su 11 a PSA e 5 a FCA), nominerà l’Amministratore Delegato (Carlos Tavares, già AD e presidente PSA) e deciderà della nuova sede operativa centrale del gruppo.

Nel giro di pochi mesi l’emergenza Covid-19 e il prestito da 6,3 miliardi chiesto da FCA a Intesa Sanpaolo e garantito per 1’80% dallo Stato italiano tramite SACE filiale di Cassa Depositi e Prestiti (garanzia concessa in pochi giorni dal governo Conte a FCA) (2) hanno tacitato il teatrino e messo bene in luce che la “razza padrona” ha intenzione di sfruttare l’emergenza sanitaria.

 

2. La garanzia accordata dal governo Conte di restituire tra 3 anni l’80% del prestito a Intesa Sanpaolo se non lo fa FCA è subordinata a molte condizioni di salvaguardia del comparto auto in Italia: una conferma che è in questione la sua sopravvivenza. Cosa valgono gli impegni degli Agnelli-Elkann di fronte alla minaccia di una crisi bancaria, lo abbiamo visto in occasione della fusione FIAT-Chrysler.

 

Dal 2004 (l’anno dell’avvento del non compianto Sergio Marchionne nel ruolo di AD del Gruppo FIAT) assistiamo periodicamente a questo genere di campagne di intossicazione con promesse di investimenti faraonici e di accordi con altri gruppi per il rilancio dell’industria automobilistica italiana, che finiscono immancabilmente per accelerare il suo smantellamento. Campagne orchestrate dagli Agnelli-Elkann con il sostegno della borghesia imperialista e la compiacenza del Vaticano, tramite i loro giornali e una corte di lacché (politici, economisti, intellettuali, sindacalisti) per spargere confusione e camuffare i loro reali progetti, che consistono in:

1. smantellare la produzione di autoveicoli nel nostro paese perché non è vantaggiosa alla valorizzazione del loro capitale, visto che hanno stabilimenti in altri paesi dove possono produrre con minori vincoli e limiti allo sfruttamento della forza lavoro e dell’ambiente;

2. trasformarsi in un gruppo capitalista attivo principalmente nella speculazione finanziaria mondiale, tramite EXOR, la società finanziaria degli Agnelli-Elkann che amministra un capitale di 166 miliardi di euro (totale attivo EXOR nel 2018): ai fini della valorizzazione dei loro capitali per gli Agnelli-Elkann la speculazione finanziaria è più redditizia e meno impegnativa della produzione di autoveicoli.

Che l’operazione FCA-PSA è un’ulteriore tappa del percorso di dismissione dell’industria automobilistica del nostro paese, lo comprendiamo anche facendo la ricostruzione logica, usando il materialismo dialettico, della storia dell’ex gruppo FIAT, poi divenuto FCA nel 2010 e nel prossimo futuro probabilmente (ci sono di mezzo anche i governi della Francia e degli USA) FCA-PSA. Questo processo in corso da alcuni decenni è consistito nella chiusura di stabilimenti, nella crescente delocalizzazione all’estero della produzione, nella mancanza di investimenti per la produzione di autoveicoli ecocompatibili, nell’abuso della cassa-integrazione e dei contratti di solidarietà, ecc. Esso non è il risultato di una sfortunata congiuntura economica bensì l’esito di un progetto perseguito con determinazione (i padroni sanno fare i loro conti per cercare di valorizzare al meglio il loro capitale). Esso si inserisce nella

competizione globale tra i grandi capitalisti: “siamo in una guerra globale” diceva Marchionne. Ognuno è in guerra con gli altri per la valorizzazione del proprio capitale, si fanno alleanze e accordi che durano quel che durano perché la costante è la contesa. Una “guerra tra capitalisti” che nel caso dell’ex FIAT sta avendo come esito l’espropriazione da parte di gruppi capitalisti stranieri delle capacità produttive di autoveicoli a motore del nostro paese. La ricostruzione della storia del gruppo FIAT alla luce del materialismo dialettico è istruttiva anche per comprendere la storia economica e politica dell’Italia e offre insegnamenti per l’azione dei comunisti, dei lavoratori avanzati e di quanti hanno a cuore le sorti dell’apparato produttivo e il futuro del nostro paese. Quindi deve far parte delle conoscenze e della propaganda (orale e scritta) dei nostri compagni che operano nel settore. A questo fine possiamo e dobbiamo mobilitare anche gli intellettuali disposti a collaborare, contro l’opera di intossicazione anticomunista alla quale borghesia e clero si dedicano senza risparmi di mezzi, di menzogne e di fantasie.

 

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Mobilitare tutti i lavoratori a rafforzare il comparto sanitario e il servizio sanitario pubblico


 

In Italia la pandemia da coronavirus Covid-19 ha messo sia la borghesia imperialista sia le masse popolari alle prese con un servizio pubblico in campo sanitario storicamente debole ma soprattutto drasticamente peggiorato negli ultimi quarant’anni rispetto ai livelli a cui le lotte delle masse popolari lo avevano fatto arrivare con l’instaurazione nel 1978 del Servizio Sanitario Nazionale.(1) In cambio della rinuncia all’instaurazione del socialismo, dopo la Resistenza il PCI con la “via italiana al socialismo” si era fatto promotore di “riforme di struttura”: l’instaurazione del Servizio Sanitario Nazionale, predisposta con la legge 833/1978, è una delle maggiori riforme di struttura, esemplari per la loro ideazione (che scimmiotta quanto fatto in Unione Sovietica e negli altri paesi socialisti), la loro incerta realizzazione e la loro breve durata. Il SSN doveva fornire le migliori cure e procedure di diagnosi messe a punto dalla ricerca scientifica in campo medico e farmaceutico, gratuitamente (cioè a carico delle finanze pubbliche, il Fondo Sanitario Nazionale stanziato dal governo), a ogni cittadino (era un servizio universale) senza discriminazioni né economiche né d’altro genere. Non solo: il SSN comprendeva una serie di misure preventive che riguardavano l’ambiente di lavoro, il  territorio e le abitazioni e disponeva la creazione di istituzioni e di organismi capaci di prenderle e attuarle. Era concepito, analogamente al sistema Beveridge introdotto nel Regno Unito già nel 1948 (la sua demolizione inizierà con il governo Thatcher nel 1979), in base alle più avanzate realizzazioni dell’Unione Sovietica e degli altri paesi socialisti.

 

1. Sul sito www.nuovopci.it è disponibile Breve storia del servizio sanitario in Italia a partire dall’Unità. Lo scritto mostra la stretta connessione dei progressi del servizio pubblico sanitario con lo sviluppo della lotta di classe. Questo fin dalla prima rivoluzione del proletariato moderno in Europa nel 1848, che è anche l’anno in cui la pubblicazione del Manifesto del partito comunista redatto da Marx ed Engels segna la nascita del movimento comunista cosciente e organizzato. La connessione non è solo sul piano materiale (quantità ed estensione delle attività volte alla salvaguardia della salute, in termini di cure e di prevenzione delle malattie), ma anche sul piano della concezione: da misure nei confronti del singolo malato a garanzie date da istituzioni sociali al benessere dell’intera società.

 

Le tre tabelle che riportiamo, di origine ISTAT, illustrano i progressi, incentrati sulla creazione del SSN, compiuti dall’assistenza sanitaria e la loro erosione. Esse si basano su tre indici: il numero dei posti letto nelle strutture sanitarie pubbliche e private, la diminuzione della differenza tra le zone del paese quanto a disponibilità di posti letto, il numero complessivo degli istituti di cura.

A metà degli anni Ottanta il SSN è già apertamente sotto attacco, che diventa sempre più accanito nel contesto generale dell’attacco alle conquiste strappate dalla classe operaia e dalle altre classi delle masse popolari iniziato in tutti i paesi imperialisti a seguito dell’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria (1917-1976) e dell’inizio della seconda crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale.

Carlo Donat Cattin (sinistra DC), ministro della Sanità, nel 1987 traccia lo scenario futuro preconizzando riduzione dei posti letto negli ospedali, blocco delle assunzioni di medici e infermieri a fronte di una quantità di personale già carente rispetto a quanto previsto dalla legge 883/78, pagamento delle prestazioni da parte dei malati e gratuità solo per i poveri, riduzione dei giorni di degenza ospedaliera, riduzione del numero delle USSL, gestione di aziende ed enti pubblici addetti all’assistenza sanitaria come aziende capitaliste (costi/benefici). Nel 1988 la Legge Finanziaria dispone il blocco delle assunzioni e nel 1991 si limitano i posti letto e si avvia la chiusura o la riconversione degli ospedali con meno di 120 posti letto.

La pandemia da Covid-19 ha mostrato e mostra la necessità assoluta di porre termine al catastrofico corso delle cose imposto dalla borghesia imperialista. Mettersi alla testa delle lotte delle masse popolari e trasformarle passo dopo passo in lotte per instaurare il socialismo è il ruolo che distingue i comunisti.

 

 

 

Tabella A

CIFRE TOTALI

SETTORE PUBBLICO

SETTORE PRIVATO

ANNO

POSTI LETTO

PER MILLE ABITANTI

POSTI LETTO

PER MILLE ABITANTI

POSTI LETTO

PER MILLE ABITANTI

1955

380.610

7,83

328.235

6,75

52.375

1,1

1960

450.539

8,97

379.696

7,56

70.843

1,4

1965

503.110

9,65

414.318

7,95

88.792

1,7

1970

568.513

10,56

474.283

8,81

94.230

1,7

1975

588.103

10,61

500.660

9,03

87.443

1,6

1980

542.260

9,61

464.261

8,23

77.999

1,4

1985

470.579

8,32

396.440

7,01

74.139

1,3

1990

410.026

7,23

313.576

5,00

96.450

1,7

1995

356.242

6,30

270.598

4,70

85.644

1,5

2000

268.524

4,65

212.165

3,70

56.359

1,0

2005

234.992

4,01

180.484

3,11

54.508

0,9

2010

216.586

3,65

167.163

2,82

49.423

0,8

2012

204.370

3,43

158.463

2,66

45.907

0,8

Tabella B

ANNI

SICILIA

SARDEGNA

NORD-OVEST

NORD-EST

CENTRO

SUD
ESCLUSE LE ISOLE

1954

4,74

4,68

9,91

9,23

8,50

4,36

1955

5,28

4,77

10,14

9,98

8,56

4,61

1960

6,16

6,04

10,76

11,59

9,76

5,92

1965

6,72

6,95

11,11

12,50

10,44

6,68

1970

7,75

7,55

11,37

13,89

11,24

7,89

1975

8,17

7,74

10,88

13,52

11,14

8,81

1980

7,71

7,65

9,39

11,91

10,49

8,30

1985

6,85

7,54

8,20

9,87

8,72

5,12

1990

5,63

6,17

7,42

8,19

7,80

4,45

1995

4,98

5,89

6,63

6,75

7,16

3,61

2000

3,77

5,04

4,96

4,88

5,15

4,01

2005

3,48

4,37

4,21

4,15

4,46

3,65

2010

3,03

3,73

3,96

3,84

3,76

3,28

2012

2,87

3,45

3,79

3,75

3,49

2,92

Tabella C

ANNO

ISTITUTI DI CURA

TOTALE

PUBBLICI

PRIVATI

1955

2.315

1.417

871

1960

2.507

1.480

1.003

1965

2.518

1.481

1.072

1970

2.318

1.385

1.005

1975

1.976

1.261

812

1980

1.837

1.137

695

1985

1.798

1.138

666

1990

1.900

1.053

628

1995

1.848

1.075

799

2000

1.425

813

637

2005

1.295

672

624

2010

1.230

638

603

2012

1.156

595

589