La Voce 66 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII - novembre 2020

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Creare i nuovi soviet che prendano il potere!

I Consigli di Fabbrica degli anni ’70 e alcune lezioni per i comunisti di oggi

La pandemia da Covid-19 ha allargato i focolai di resistenza alla crisi economica, sanitaria, sociale. I comunisti devono legarsi a questi focolai, rafforzarli, farli diventare organismi che ragionano e agiscono da centri del nuovo potere, da istituzioni del potere delle masse popolari organizzate, come i soviet nella Russia zarista (1) e come in una certa misura sono stati anche i Consigli di Fabbrica negli anni ’70. Devono farli diventare organismi che forti e coordinati costituiranno un governo effettivamente progressista che faranno ingoiare alla borghesia e al clero, un governo che farà fronte all’arroganza e all’aggressione della NATO, dell’Unione Europea e di tutti i gruppi imperialisti del mondo, che sarà aiutato da tutte le masse popolari in rivolta e che a sua volta le aiuterà, anche con la sola sua esistenza e resistenza. Proprio a questo proposito ricaviamo importanti lezioni dalla stagione dei Consigli di Fabbrica: ben venga quindi l’iniziativa del P.CARC di raccogliere e pubblicare in una sezione apposita del loro sito www.carc.it le interviste a esponenti dei CdF.(2)

 

1. Con una differenza importante: Lenin e i bolscevichi si trovavano già con i soviet e dovevano portarli a prendere il potere, noi invece dobbiamo creare i nuovi soviet, dobbiamo cioè creare organismi di operai nelle aziende capitaliste e di lavoratori nelle aziende pubbliche. È una delle conseguenze dell’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria nella prima parte del secolo scorso.

2. “Abbiamo approfittato della celebrazione del 50° anniversario dell’Autunno Caldo per fare raccontare ad alcuni protagonisti di quel periodo la loro esperienza. (…) I comunisti troveranno in queste interviste un incitamento a non cedere al disfattismo e all’attendismo: esse testimoniano che la borghesia è impotente quando le masse popolari dispiegano la loro forza. Troveranno anche mille suggerimenti impliciti a proposito del ruolo che i comunisti devono svolgere perché le masse popolari dispieghino effettivamente la loro forza.
Ogni lavoratore avanzato troverà in queste interviste suggerimenti, anche di dettaglio, su come dispiegare la propria iniziativa, individuare i punti deboli dei padroni e dei loro agenti e fare leva sulle tensioni positive dei suoi compagni di lavoro.
Gli uni e gli altri, i comunisti e i lavoratori avanzati, troveranno nelle interviste sia gli ultimi lampi della prima ondata della rivoluzione proletaria che si esauriva sia i primi bagliori della nuova ondata che incominciava a svilupparsi, a conferma che niente e nessuno ha potuto cancellare il risultato del movimento comunista cosciente e organizzato che caratterizza la nuova era della storia dell’umanità.
È necessario anche ricordare che ogni intervista richiede lettori capaci di ragionare e imparare: ogni intervistato dice quello che lui ha visto e capito e il suo ricordo va letto con spirito critico, per imparare cosa fare oggi” (dal sito www.carc.it, presentazione della sezione “i Consigli di Fabbrica”).

3. Per le premesse e il contesto nazionale e internazionale in cui è nato il movimento dei CdF e il seguito a cui ha dato luogo, rimando all’articolo Autunno Caldo e ruolo dei comunisti, in La Voce 63 - novembre 2019 e al Saluto del compagno Ulisse al Convegno nel 50° dell’Autunno Caldo organizzato da Proletari Comunisti (Milano, Panetteria occupata, via Conte Rosso 20, 13-15 dicembre 2019), reperibile su www.nuovopci.it.

4. “Regime da caserma” che per tanti versi è il ritorno in auge delle misure e del clima in cui il soffocamento della Resistenza si traduceva nelle aziende capitaliste: Commissioni Interne votate sotto ricatto, licenziamenti discriminatori, reparti confino, ecc.

Le interviste sui CdF indicano come, al netto delle differenze del contesto nazionale e internazionale,(3) possono nascere organizzazioni di operai nelle aziende capitaliste (e di lavoratori nelle aziende e istituzioni pubbliche - OO e OP). Attraverso il racconto di tanti casi particolari, mostrano come organismi operai possono nascere anche in contesti difficili: aziende piccole, aziende dove il padrone ha instaurato “un regime da caserma”,(4) aziende situate in zone arretrate dove è forte l’influenza della Chiesa o di partiti e sindacati fascisti, aziende dove molti fanno un doppio lavoro (allora si trattava soprattutto di “metalmezzadri”, oggi abbiamo invece a che fare con lavoratori che campano di cassintegrazione o altri ammortizzatori sociali, alcuni magari per anni), aziende dove è forte la presenza di lavoratori che considerano il padrone “quello che ci dà il lavoro”, aziende dove il sistema del cottimo mette un lavoratore contro l’altro. Mostrano non che è facile, ma che è possibile. Fanno intravvedere che diritti contrattuali e sindacali non sono la premessa per la nascita di un organismo operaio, ma anzi spesso la mancanza o la violazione di essi è una delle leve per la sua costituzione. E che ad alimentare la creazione di organismi operai concorrono la propaganda dei comunisti fuori dai cancelli come anche il sostegno di organismi operai con già una certa esperienza o in alcuni casi anche solo il loro esempio (e farlo conoscere è uno dei compiti della propaganda dei comunisti).

Da tutte le interviste emerge che a dare il via al percorso che porta alla formazione di un organismo operaio è l’azione anche solo di uno o due lavoratori decisi e ben orientati: facendo leva sui problemi più sentiti e sulle aspirazioni positive dei loro compagni di lavoro, operando con tenacia, correggendo il tiro quando occorre, la loro azione nel giro di qualche tempo dà i suoi frutti.

Anche solo gli scioperi spontanei di ottobre - inizio novembre dopo la rottura delle trattative tra FIOM-FIM-UILM e Federmeccanica/Assistal per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici confermano la presenza capillare sia di centri di operai aggregati sia di operai attivi su cui puntare per formare organismi operai.

Scioperi spontanei dopo la rottura il 7 ottobre 2020 delle trattative contrattuali

In Emilia Romagna coinvolte tutte le aziende maggiori: Bonfiglioli, Ducati, Lamborghini, Kemet, Carpigiani, Philips Saeco, Toyota, Bredamenarinibus, Selcom, Cima, Electrolux, Marcegaglia, Bosch, Omso, Titan, Ognibene, Eurotec, Landi Renzo, Leuco, Argo Tractors e tutte le imprese del packaging (come Gd, Ima, Corazza).

In Toscana stop si registrano in Alstom, Leonardo, Thales, Lottomatica, Laika, Esaote, Giusto Manetti Battiloro, Giga Grandi Cucine, Fonderia San Martino, Betamotor, Whirlpool, Denso, Rosss, Nuovo Pignone, Emmeci, Toscana Lamiere, Ciesse, Bertolotti, Knorr Bremse, Scotti Veicoli Industriali, Sabo Ammortizzatori.

In Veneto si sono fermate All.Co, Antonio Carraro, Arcelor Mittal, Bedeschi, Berto's, Carel, Dab Pumps, Electrolux, Fast, Guidolin, Abb Power Grids, Hi-Pe, Itel, Kim-Komatsu, Mp3 Lindab, Ocs, Parker Hannifin Manufacturing, Pavan-Gea, Toffac, Valvitalia, Zf, Zen. Intensa anche la protesta

in Piemonte, dove non c’è provincia che non registri proteste: da Alessandria (Hme, Sct, Graziano, Omt, Inox Prodotti) ad Asti (Trivium), da Novara (Vco, Isringhuasen, Meritor, Lagostina, Perruchini, Praxaire) a Torino (Comec, Ma Chivasso, Baomarc, Idrosapiens, Valeo Pianezza, Perardi e Gresino, Cellino, Farid, Pieffeci, Dana Graziano), da Cuneo (Manitowoc, Valeo, Boma) a Vercelli (Dana Spicer Italcardano).

Lungo anche l’elenco degli scioperi spontanei in Lombardia: tra i tanti, segnaliamo gli stop in Varinelli, Hennecke Oms, Alfacciai, Babcpck, Malvestiti, Fontana, Microtecnica, Beta, Candy, Sabaf, Mehits, Rollon, Agrati, Beretta, Marcegaglia, Modie, Eural Gnutti, SK Wellman, Zf Automotive, Redaelli Tecna, Italacciai, Cembre, Fonderie San Zeno, Marcegaglia, Dalmine Logistic, Camar, Dana Italia, Brema.

In Liguria la mobilitazione ha riguardato i colossi industriali di Ansaldo e Fincantieri,

mentre nelle Marche si segnalano stop in Elica, Whirlpool e Ariston.

Da segnalare anche gli scioperi alla Kone di Roma e alla Flowserve di Caserta

(fonte: https://www.collettiva.it/copertine/lavoro/2020/10/09/news/metalmeccanici_fiom_re_david_contratti-309701/).

L’esperienza dei CdF è istruttiva su come si possono creare le condizioni per la formazione del Governo di Blocco Popolare, analogamente a come, in un altro campo, lo mostrano le crisi extraparlamentari richiamate a pag. 10 di questo numero di VO. Mostra la forza delle masse popolari, e in particolare della classe operaia aggregata nelle aziende capitaliste, quando si ribellano: la borghesia non è in grado di far fronte ad esse solo con la repressione. Conferma che la borghesia di fronte alla ribellione ricorre ad altre manovre: allora fu la strategia della tensione. Ma anche con queste manovre la borghesia ha successo solo se può approfittare di contraddizioni interne alle masse popolari, di debolezze e limiti del nostro campo: la sintesi di questi allora fu la deriva delle Brigate Rosse nel militarismo, inteso come la presunzione di sostituire l’attività delle masse popolari con le proprie azioni armate.

 

L’esaurimento del movimento dei CdF conferma che per passare dalla resistenza spontanea al movimento rivoluzionario e ancora più per risolvere i problemi che incontrano avanzando, le masse rivoluzionarie hanno bisogno di avere alla loro testa un partito comunista: non necessariamente già “grande e forte”,(5) ma prima di tutto all’altezza del suo compito storico di dirigere le masse popolari a instaurare il socialismo. Questa lezione viene fuori da tutte le interviste, in modo indiretto o apertamente: alla domanda sulle cause dell’esaurimento del movimento dei CdF, vari degli intervistati indicano infatti che “mancava un programma ben delineato e una strategia e soprattutto dell’appoggio di un partito comunista che spingesse in avanti; infatti, il vecchio PCI tendeva più a contenerli”, “mancava la direzione politica, mancava il Partito e il sindacato remava contro”, “ci ritenevamo comunisti ma da lì a discutere di comunismo o di rovesciare il sistema ce ne passa”, “forse si aveva paura di fare il balzo in più”, “il PCI, partito riconosciuto dalla grande maggioranza degli operai, aveva preso una deriva istituzionale”.

5. Negli anni a cui si riferiscono le interviste, il PCI aveva ancora più di 1 milione e mezzo di iscritti e alle elezioni politiche del 1976 aveva preso 12.616.650 voti alla Camera (228 seggi su 630) e 10.637.772 al Senato (116 seggi su 315). Nei primi anni ’40, prima dell’inizio (1943) della Resistenza, il PCI invece aveva solo alcune migliaia di membri, ma...

La pandemia del coronavirus Covid-19 ha fatto deflagrare la crisi economica, ambientale, culturale e sociale che si sviluppava da tempo e la borghesia imperialista non ha soluzioni accettabili per le masse popolari. Insieme all’esempio di Cuba, della Repubblica Popolare Cinese e di altri paesi che hanno mantenuto molte delle conquiste dei primi paesi socialisti, questo sta moltiplicando le iniziative (“costituenti comuniste”) che mirano a far esistere un partito comunista all’altezza del suo compito storico. A quanti promuovono e partecipano a queste iniziative, l’esperienza dei CdF degli anni ’70, letta insieme a quella del Biennio Rosso 1919-1920 e della Resistenza del 1943-45 e confrontata a quella dei soviet del 1917 in Russia, insegna che

1. il partito comunista che ci vuole in Italia e negli altri paesi imperialisti non è il centro promotore e organizzatore delle rivendicazioni economiche e politiche (che in definitiva è quello che hanno in testa le FSRS oggi ed è quello a cui si sono sempre, salvo pochi eccezionali periodi, in sostanza limitati i partiti socialisti e comunisti dei paesi imperialisti), ma è lo Stato Maggiore della guerra popolare contro i vertici della Repubblica Pontifica, contro la NATO, contro la UE e le altre istituzioni della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti;

Parole d’ordine

Non sono i padroni a essere forti, sono gli operai che devono organizzarsi per far valere la loro forza.

Ovunque qualcuno (anche un piccolo gruppo) vuole promuoverla e si organizza per farlo, la resistenza si sviluppa.

Basta un solo operaio ben orientato e determinato perché legato al movimento comunista, per mettere in moto tutto un gruppo di operai.

Quando gli operai si organizzano, prendono in mano l’iniziativa e scendono in lotta, trascinano anche il resto delle masse popolari e costringono gli esponenti dei sindacati, delle istituzioni e dei partiti borghesi a rincorrerli e a mobilitarsi in loro sostegno: chi per non perdere o per cercare di guadagnare seguito e voti tra le masse, chi per timore che “l’incendio si propaghi”, chi per regolare i conti o fare le scarpe ai concorrenti, chi perché è sinceramente preoccupato e indignato di come vanno le cose e aspira a che vadano meglio.

Tenere in mano l’iniziativa, senza delegare a sindacalisti complici, esponenti di partiti e istituzioni borghesi anche se e quando fanno gli “amici del popolo”.

Questo dice l’esperienza dei CdF degli anni ’70 tradotta in parole d’ordine. Portarle in tutte le aziende capitaliste, sulla scala più ampia di cui siamo capaci, è uno dei compiti dei comunisti oggi.

2. il partito comunista di cui c’è bisogno deve essere centro promotore, organizzatore, animatore e ispiratore di tutte le lotte rivendicative economiche, ambientali, culturali, femminili, giovanili, antirazziste, democratico-borghesi, ecc. perché sono altrettanti rivoli in cui convogliamo la classe operaia e il resto delle masse popolari nella guerra popolare con cui prendere il potere.

Rosa L.