La Voce 66 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXII - novembre 2020

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Fare leva sulla forza degli operai organizzati

per tenere aperte e in funzione le aziende che i capitalisti vogliono chiudere, delocalizzare o ridurre

La privatizzazione del sistema industriale pubblico che faceva capo all’IRI allora diretto da Prodi (presidente dell’IRI dal 1982 al 1989 e poi dal 1992 al 1994) e il divorzio tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia realizzato alla chetichella nel febbraio 1981 dal ministro del Tesoro, Nino Andreatta e dal governatore della Banca, Carlo Azeglio Ciampi, con la complicità della DC di Giulio Andreotti e del PCI di Enrico Berlinguer, sono stati i due passaggi cruciali con cui la borghesia imperialista (che non aveva più il fiato sul collo del movimento comunista e, a causa della sovrapproduzione assoluta di capitale, aveva bisogno di aprire nuovi campi ai suoi capitali) prima con i governi del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) e poi con quelli costituiti dai due poli delle Larghe Intese (1. PD con partitini satelliti, 2. Berlusconi con Lega e gli attuali Fratelli d’Italia) ha fatto dell’Italia un terreno libero per le scorrerie dei gruppi imperialisti di tutto il mondo, ha reso il nostro paese schiavo del sistema finanziario internazionale tramite il Debito Pubblico, ha delegato all’Unione Europea (principalmente a Commissione e Banca Centrale) la gestione dell’economia del paese.

La costituzione di un governo di emergenza delle masse popolari organizzate che nazionalizzi le aziende che i capitalisti vogliono chiudere e delocalizzare, ne apra di nuove per fare i lavori necessari a rimettere in sesto il paese, inquadri in un piano economico nazionale le aziende capitaliste, le aziende pubbliche, le cooperative e le altre strutture economiche, è lo strumento per impedire lo smantellamento dell’apparato industriale del nostro paese e allo stesso tempo è il primo passo per avviare la sostituzione delle aziende capitaliste con unità produttive pubbliche.

I comunisti devono impegnarsi a conoscere più a fondo i settori dell’attività economica del nostro paese

- per moltiplicare, rafforzare e coordinare le organizzazioni operaie e popolari nelle aziende capitaliste e pubbliche,

- per orientare le organizzazioni operaie e popolari a costituire un loro governo di emergenza,

- per far avanzare la guerra popolare rivoluzionaria.

Il CC del (n)PCI ha aperto sul suo sito Internet, www.nuovopci.it, una rubrica dedicata alle schede, che col tempo diventeranno meno primitive e sommarie, di due importanti settori, elettrodomestici e siderurgia. Ad esse via via se ne aggiungeranno altre a cominciare dal settore autoveicoli (FCA con aziende partecipate e i principali fornitori). Contiamo sulla collaborazione di compagni, simpatizzati e compagni di buona volontà. La rubrica servirà anche a organizzare sistematicamente e meglio l’intervento nelle singole aziende per trasformare gli attuali embrioni di organizzazioni operaie e popolari in vere e proprie OO e OP.

 

Whirlpool di Napoli - Un aggiornamento e una prospettiva

Lettera di un compagno di Napoli alla redazione (estratti)

Sabato 31 ottobre 2020 è stato il giorno dell’annunciata chiusura dello stabilimento Whirlpool di Napoli. È anche il giorno in cui un’assemblea operaia dello stabilimento, indetta dai sindacati confederali e aperta ad altre forze politiche, sociali e sindacali, ha impedito il “rompete le righe”. Oggi lo stabilimento di Napoli ha le linee di produzione ferme, quindi di fatto è chiuso, ma non definitivamente. Un presidio di 40 operai al giorno, dislocati a rotazione su quattro turni, è appostato ai cancelli 24 ore su 24, sette giorni su sette. (…) L’azienda, sotto pressione della mobilitazione operaia, sociale e sindacale, ha garantito il pagamento degli stipendi ai 355 operai napoletani fino al 31 dicembre prossimo e intanto propone incentivi al licenziamento, che raggiungono ormai quasi i 90mila euro in busta paga, al fine di spezzare il fronte operaio (in alcuni casi riuscendoci: tra i più anziani che così si avvicinano alla pensione e tra i più giovani che si fanno forza della loro maturata professionalità come carta da usare per ricollocarsi). (…)

Allo stato attuale delle cose, la lotta degli operai Whirlpool è a un bivio: o si smorza nelle compatibilità di trattative bloccate e si sfilaccia nella stanchezza di mobilitazioni costanti ma senza linee di sbocco o cambia segno e passo. La lotta degli operai Whirlpool non è, infatti, solo la lotta per la difesa di posti di lavoro. Si tratta di una lotta di più ampio respiro che riguarda la sovranità del nostro stesso paese sul suo apparato produttivo e, specificamente, la produzione di elettrodomestici, beni che servono per famiglie, ospedali, supermercati, alberghi, ecc. Cessarne la produzione significherebbe comprarli da altri che continuerebbero a produrne, in altre parti del mondo. La pandemia però ha già dimostrato che un paese, per stare in piedi, necessita di autosufficienza nelle sue produzioni essenziali al fine di fare fronte al suo fabbisogno interno. È in questo ragionamento che la lotta contro la chiusura dello stabilimento si inserisce nella lotta per impedire lo smantellamento o per far funzionare in modo conforme alle esigenze della popolazione altri settori produttivi: è il caso della siderurgia (vedi ex Ilva, AST, ex Lucchini), degli autoveicoli (FCA, Iveco), del trasporto aereo (vedi Alitalia), delle infrastrutture (vedi Autostrade per l’Italia) e naturalmente del sistema sanitario.

La lotta degli operai Whirlpool, per intensità e durata, ha assunto nel tempo una valenza nazionale. È dura, ma si può vincere. Uno degli strumenti per vincerla è che gli operai di Napoli si avvalgano del sostegno di cui già godono tra gli operai di altri stabilimenti del gruppo e anche di altri settori produttivi della città per creare un ampio fronte di alleanze sociali e politiche. Se l’azienda non è riuscita finora a “tagliare la corda” (il primo termine di chiusura era previsto per il 31 ottobre 2019) è proprio perché la forte resistenza operaia si è combinata con un importante movimento di solidarietà intorno ad essa, tanto da costringere anche le istituzioni locali a intervenire (anche se, per adesso, solo a parole). Ora serve fare un passo in più.

A noi comunisti il compito di estendere il movimento di solidarietà, da una parte collegandolo al fronte della resistenza spontanea di cui le nostre città sono teatro in questi giorni e dall’altra convogliando coscientemente tutte le forze politiche e sociali che oggi, in un modo o nell’altro, si schierano contro le Larghe Intese. Significa mettere in concatenazione le diverse iniziative in modo che si rafforzino a vicenda, fare della lotta dei lavoratori Whirlpool una lotta che coinvolga un fronte quanto più esteso possibile di forze sociali e politiche, le espressioni migliori delle amministrazioni comunali e di quella regionale, i sindacati tutti e le altre OO e OP, non solo per impedire la chiusura dello stabilimento, ma per imporre al governo obiettivi precisi, conformi a quegli degli operai, qualsiasi essi siano. La condizione per farlo è che si costituisca in quell’azienda un gruppo di operai coeso e determinato a vincere, che sia in grado non solo di rivendicare, ma di individuare soluzioni, imporle a governo e amministrazioni locali, dirigerne il processo di attuazione.

Spunta verde, foglio di informazione a sostegno della lotta degli operai Whirlpool, con una redazione aperta a chiunque voglia contribuirvi, è uno strumento che va in questa direzione ed è un’opportunità. La combattività e capacità di lotta del Patto d’Azione per il fronte unico di classe, con gli operai e le organizzazioni sindacali e politiche aderenti, se valorizzate nella lotta degli operai Whirlpool sono un’altra.


Proprio perché, come scrive il compagno, non si tratta solo della difesa del posto di lavoro e neanche solo di uno stabilimento, anche ai fini della lotta specifica uno dei passi da fare è promuovere il legame (dalla conoscenza, lo scambio di informazioni, la messa in comune di esperienza, metodi e strumenti di lotta fino al vero e proprio coordinamento) tra gli operai della Whirlpool e quelli dell’Electrolux, che sono in una condizione simile (dipendenti di un gruppo multinazionale straniero, svedese in questo caso), che nel 2014 hanno condotto una lotta importante che ha limitato le mire della multinazionale (il ricatto era chiusura dello stabilimento di Porcia (Pordenone), licenziamento di altri 850 operai, diminuzione per tutti del salario, blocco degli scatti di anzianità, dimezzamento di pause e permessi sindacali, congelamento degli aumenti del CCNL, aumento dei carichi di lavoro: o così o la produzione si spostava in Polonia) e hanno una tradizione di organizzazione, di cui è espressione il giornale Altri Ritmi della fabbrica di Forlì. Come contributo in questo senso, pubblichiamo sul sito (rubrica Settori produttivi) un sintetico quadro degli stabilimenti Electrolux. In Italia Electrolux impiega oggi direttamente circa 5.800 dipendenti distribuiti in 7 unità produttive.

Alessio B.