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del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - novembre 2021

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L’introduzione del marxismo in Italia e il contributo di Antonio Labriola

Il (nuovo) PCI, fondato nel 2004, ha due compiti. Il primo e principale è nazionale: promuovere e dirigere la rivoluzione che instaurerà il socialismo in Italia. Il secondo, dialetticamente connesso al primo, è internazionale: contribuire alla rinascita nel mondo del movimento comunista cosciente e organizzato, stante il declino subito a seguito dell’esaurimento della prima ondata mondiale (1917-1976) della rivoluzione proletaria e la dissoluzione dell’Unione Sovietica corrosa da quasi 35 anni di direzione dei revisionisti moderni. Il marxismo, oggi marxismo-leninismo-maoismo, è la scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia ed è la scienza con la quale i comunisti devono guidare la loro attività. L’apprendimento, l’assimilazione e l’applicazione del marxismo costituiscono la condizione indispensabile perché il Partito comunista adempia ai suoi compiti. Quest’anno abbiamo celebrato il centenario della fondazione del primo PCI, il PCI di Gramsci. Esso, nonostante l’eroismo di tanti suoi dirigenti e membri, non ha adempiuto al suo compito proprio per i limiti che non ha superato nell’assimilazione e applicazione del marxismo.

Per imparare da questa sconfitta a noi comunisti serve anche conoscere come il marxismo, scienza fondata da Marx ed Engels nella prima metà dell’Ottocento - il Manifesto del partito comunista (febbraio 1848) fu il suo proclama - è arrivato in Italia e la relazione che ha avuto con il movimento pratico, socialista prima e comunista poi, della classe operaia, del proletariato e delle masse popolari italiane. Per questo pubblichiamo qui di seguito la nota di Paolo Babini, membro del Centro di Formazione del P.CARC.


Nella seconda metà dell’Ottocento il marxismo in quanto scienza in Italia si combina con il movimento politico socialista e in particolare con il Partito socialista italiano. Ma in origine questa combinazione è scarsa e conflittuale: la scienza è relegata a posizione molto marginale. Il nostro paese è arretrato dal punto di vista economico,(1) ma soprattutto è arretrato dal punto di vista ideologico per il dominio della Chiesa di Roma, elemento che ha ostacolato lo sviluppo della scienza nella penisola a partire dal Cinquecento. In questa situazione la lotta di classe è scissa in una teoria scientifica separata dalla pratica e in una pratica priva di scienza. Questi difetti possono essere “fisiologici” in un movimento che si è appena costituito e si muove in modo scomposto (come fanno i bimbi piccoli e ancora più i neonati), ma serve averne conoscenza in quanto persistono oggi, in certi casi in espressioni non diverse da quelle delle origini, quali il ridurre la pratica politica al lavoro organizzativo, il ridurre la teoria alla retorica, al dogma, alla denuncia della malvagità del nemico di classe, alla descrizione dei suoi misfatti, ecc. Tutte cose che sviano dal compito fondamentale: l’assimilazione della scienza, l’applicazione della scienza alla lotta di classe, l’elaborazione scientifica dell’esperienza della lotta di classe, base solida del percorso per costruire la rivoluzione socialista fino alla vittoria. Oggi noi comunisti dobbiamo imparare a riconoscere questi difetti e combatterli con determinazione e severità.

È utile conoscere come essi si sono espressi al momento in cui il marxismo arrivò in Italia e cercare invece gli elementi positivi, che consentono di avanzare, che nella seconda metà dell’Ottocento costituirono come un “fiume che si apre la strada in mezzo alla pietraia”.(2)


1. All’arretratezza dal punto di vista economico non necessariamente segue l’arretratezza di un movimento politico o ideologico. Lo mostrano i casi del movimento comunista in Russia e in Cina nel Novecento, dove i partiti comunisti hanno elaborato concezioni quali il leninismo e il maoismo e hanno portato la classe operaia alla vittoria, cosa che nei paesi imperialisti ha ancora da accadere. Né in Russia né in Cina il laburismo (combinazione di democrazia borghese e rivendicazione sindacale) poté influenzare il nascente movimento socialista/comunista: cosa che invece avvenne in Europa.


2. Bertolt Brecht, Molti pensano, in Poesie, 1939 - 1943.


Come teoria il marxismo è introdotto in Italia da Carlo Cafiero (1846 - 1892), anarchico, che aveva frequentato Marx ed Engels e nel 1879 pubblicò un compendio del primo volume di Il capitale. Filippo Turati (1857 – 1932), uno dei principali tra i fondatori e dirigenti del Partito socialista italiano (PSI), adotta il marxismo come e per quanto serve dal punto di vista dell’organizzazione e della propaganda, non dal punto di vista scientifico.(3) In realtà l’obiettivo che Turati persegue è estendere la rete del partito a livello nazionale e conquistare posizioni nelle istituzioni dello Stato borghese e delle amministrazioni locali, il che spiega il relativo successo dei repubblicani e soprattutto degli anarchici a fronte del PSI. Quello che il PSI considera e spaccia per marxismo dalla sua fondazione (1891) fino al primo dopoguerra, alla scissione da cui nasce il PCd’I e all’opera di Gramsci, è povero, schematico, meccanicistico, fatto di affermazioni basate sul “sentito dire”, di cultura impregnata di immagini cruente ma magari esaltanti riferite a eventi come la Comune di Parigi, di appelli a emozioni e sentimenti, e tale da consentire che si prendessero sul serio uomini le cui posizioni appaiono tanto ridicole che chi le racconta oggi fatica a essere creduto, come quelle di Achille Loria (1857 - 1943), accademico e senatore del Regno d’Italia (dal 1919 al 1932).(4)


3. La lettera di Engels a Turati pubblicata in La Voce 66 pagg. 59-61 illustra chiaramente il tipo di interessi di Turati.


4. Loria arriva a sostenere che l’elevazione della classe operaia e il suo porsi a distanza dai padroni sfruttatori si poteva fare mettendo gli operai in aeroplani che andavano unti di vischio così gli uccelli ci sarebbero rimasti appiccicati e gli operai avrebbero potuto nutrirsene. Questo Loria scrive in un articolo del 1912 citato da Antonio Gramsci nella Nota 25 del primo dei suoi Quaderni del carcere. Loria è convinto che l’elevazione intellettuale e morale di un individuo è tanto maggiore quanto più alta è la sua posizione rispetto al livello del mare, ragione per cui propone di costruire le carceri sulle montagne, al fine di riabilitare i carcerati.


Di Achille Loria si è occupato molto Gramsci: egli afferma che la storia del movimento socialista dalla fondazione del partito fino alla sua messa al bando da parte del regime fascista fu fortemente influenzata da personaggi come Loria e come Cesare Lombroso (1835-1909).(5) Ancora più Gramsci si è occupato di Benedetto Croce (1866-1952), intellettuale di ben altro livello rispetto ai Lombroso e ai Loria, affermando però che tra Croce e Loria “la differenza non è poi molto grande nel modo di interpretare la filosofia della praxis”,(6) cioè il marxismo. Gramsci chiama il marxismo “filosofia della praxis” perchè scrive in carcere e ogni riferimento a Marx sarebbe censurato. Gramsci però usa questo termine anche con riferimento ad Antonio Labriola (1843 – 1904), che definisce in questo modo il marxismo, concezione che proprio Labriola ha il merito di avere portato in Italia nella forma scientificamente più rigorosa. Sempre a Labriola Gramsci si riferisce nella Introduzione al primo corso della prima dispensa della Scuola, in una panoramica sul marxismo in Italia dagli inizi fino al 1925, data in cui scrive: “In Italia il marxismo (all’infuori di Antonio Labriola) è stato studiato più dagli intellettuali borghesi, per snaturarlo e rivolgerlo a uso della politica borghese, che dai rivoluzionari.(7)


5. Lombroso è abbastanza noto per le sue affermazioni secondo cui un criminale o un pazzo è tale per nascita e lo si può individuare dalla sua anatomia e dalle fattezze del volto e del cranio.


6. Quaderni del carcere, Quaderno 10, Nota 13.


7. Gramsci prosegue dicendo: “Abbiamo visto perciò nel Partito socialista italiano convivere insieme pacificamente le tendenze più disparate, abbiamo visto essere opinioni ufficiali del partito le concezioni più contraddittorie. Mai le direzioni del partito immaginarono che per lottare contro l’ideologia borghese, per liberare cioè le masse dall’influenza del capitalismo, occorresse prima diffondere nel partito stesso la dottrina marxista e difenderla da ogni contraffazione” (A. Gramsci, Il rivoluzionario qualificato, scritti 1916-1925, Delotti editore, Roma, 1988, pag. 66).


Labriola nasce a Cassino da famiglia di livello sociale medio alto: il padre è docente di lettere al ginnasio e la madre è imparentata con famiglia nobiliare. Studia all’abbazia di Montecassino e quindi a Napoli, dove è allievo di Bertrando Spaventa, uno dei maggiori filosofi italiani dell’epoca. Anche se non laureato, prende l’indirizzo della carriera accademica e passo dopo passo si avvicina alla concezione comunista del mondo, cioè al marxismo, passando attraverso le posizioni della sinistra borghese democratico-radicale e l’appoggio alle lotte di classe degli edili nel 1889 a Roma, città dove insegna all’università. Arriva quindi al marxismo tardi, cioè nell’ultima decina d’anni della sua vita (muore nel 1903, per una malattia che lo ha attaccato tre anni prima). Infatti inizia la corrispondenza con Engels e la collaborazione con Turati nel 1890. La corrispondenza con Engels si fa subito serrata e presto prende le distanze da Turati e anche dagli anarchici, sia nell’uno che nell’altro caso riconoscendo la mancanza di rigore scientifico delle teorie con cui accompagnano la loro pratica. In particolare il dissidio con Turati è a proposito di Loria, punto di riferimento del PSI e considerato in quel partito un economista al livello di Marx. Labriola si procura molta letteratura marxista tramite Engels e in particolare segue passo dopo passo la pubblicazione di Il capitale di cui Engels si occupa. Labriola diventa nella cultura nazionale ed europea e nel movimento socialista figura di rilievo come esponente e interprete del marxismo, seguito da Benedetto Croce che già era suo allievo dal 1884 e da George Sorel (1847-1922), teorico del sindacalismo rivoluzionario.(8)


8. La corrispondenza è raccolta nel testo Discorrendo di socialismo e filosofia, in A. Labriola, Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educazione, Bompiani, Milano, 2014, pagg. 1389-1509.


Tra Labriola e i due il rapporto si sviluppa fino al 1897. Sia Croce che Sorel apprezzano Labriola per il suo rigore scientifico contro il preteso “marxismo” alla Turati, che marxismo non è e piuttosto è la sua negazione. Ma a differenza di Labriola i due non sono contro la negazione del marxismo fatta da Turati (e dagli altri revisionisti come lui in Italia e all’estero), ma sono contro il marxismo in generale. Croce sta intraprendendo la strada dell’antimarxismo dal punto di vista dell’idealismo borghese, Sorel è su quella strada dal punto di vista dello spontaneismo con tendenza anarchica. Vedono quindi in Labriola non quello che critica un marxismo che si dichiara tale ma non lo è, ma un possibile alleato per le loro posizioni antimarxiste. La vicinanza dei due a Labriola è esposta nelle lettere da lui scritte a Sorel e pubblicate su spinta di Croce nel 1897. Labriola le ripubblica nel 1902 riconoscendo però che in quei cinque anni sia Sorel che Croce hanno preso posizione contro il marxismo.

Croce per breve arco di tempo, influenzato da Labriola, si professò marxista e collaborò con il suo maestro. Tuttavia già prima della fine del secolo passa all’idealismo in filosofia e al liberalismo borghese in politica, dandosi da fare per illustrare quella che a suo parere era la “morte del marxismo”. Sorel dal canto suo afferma che la teoria rivoluzionaria non è cosa da elaborare in forma scientifica, ma emerge spontaneamente dalla lotta.

Una delle opere maggiori di Labriola è il saggio sul Manifesto del partito comunista pubblicato nel 1895 con una traduzione del testo. Qui scrive che sì, Marx ed Engels nel 1848 si aspettavano una rivoluzione che non c’è stata, e le lotte degli operai, dei lavoratori, delle masse popolari in Francia sono state schiacciate al tempo della Comune, nel 1871 come lo erano state nel 1848 ma, dice, la reazione che ha spazzato via i proletari, ha spazzato via anche un’idea sbagliata della rivoluzione, perchè la rivoluzione non scoppia, ma si costruisce. La reazione ha quindi spinto a concepire un’idea nuova della rivoluzione e la sua prima formulazione, ricorda Labriola in questo suo discorso sul Manifesto, è merito di Engels, che ne ha parlato pochi mesi prima di quello stesso anno, nel 1895, nella sua Introduzione a Le lotte di classe in Francia 1848-1850 di Marx. Labriola scrive che la massa del proletariato sa o comincia a sapere che “la conquista del potere politico non deve né può essere fatta da altri a nome suo (...) e che soprattutto non può riuscire con un colpo di mano. Essa, la massa proletaria, insomma, o sa o s’avvia a intendere, che la dittatura del proletariato, la quale dovrà preparare la socializzazione dei mezzi di produzione, non può procedere da una sommossa di una turba guidata da alcuni, ma deve essere e sarà il risultato dei proletari stessi, che siano, già in sé e per lungo esercizio, una organizzazione politica”.(9) Engels avrà modo di leggere questo lavoro di Labriola e ne riconoscerà subito il valore, poco prima della sua morte che avviene in questo stesso 1895.


9. A. Labriola, Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell’educazione, cit., pag. 1178.


Labriola ha il merito di avere dato del marxismo l’esposizione più scientifica dell’epoca, a confronto di chi come Turati aveva importato il marxismo nel nostro paese ma solo, nel migliore dei casi, per promuovere una adesione identitaria alla causa, di chi come Loria ne dava una versione tanto lontana dalla realtà di sfociare nel ridicolo, di chi come Croce lo combatteva dal punto di vista dell’idealismo e del liberalismo borghese, di chi come Sorel riteneva che la classe operaia non avesse bisogno di marxismo o di altra teoria rivoluzionaria. Labriola dichiarò che il marxismo è una scienza e lo trattò come tale a fronte di tutti costoro che dicevano il contrario o trattavano il marxismo come slogan, distintivo o dogma più o meno distorto.


Merito di Labriola è quindi è la sua capacità di cogliere immediatamente la portata della scoperta di Engels del principio secondo cui la rivoluzione socialista si costruisce e non è cosa che scoppia, frutto di un’insurrezione o di un colpo di mano. Non è un evento meccanico (risposta automatica a una sollecitazione), come una rivolta di masse popolari sottoposte a pressioni insostenibili, e non è neppure un evento frutto dell’azione di un piccolo gruppo di individui. Richiede di essere pensata, e non di essere pensata da un nucleo ristretto di rivoluzionari, ma di diventare progetto condiviso dalle masse popolari, che ne sono quindi partecipi come agenti. È in base a questo principio che la classe operaia con il suo partito arriva alla vittoria, sia nel caso della rivoluzione in Russia, con dirigenti come Lenin e Stalin che sulla base di questo principio agiscono pure senza averne consapevolezza a livello scientifico, sia nel caso della rivoluzione in Cina, con Mao Tse-tung che ne dà formulazione scientifica e la sperimenta, costruendo la rivoluzione come Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata.

Anche Gramsci, che riconosce il ruolo di Labriola nella storia del marxismo in Italia, condivide il principio secondo cui la rivoluzione si costruisce e che la si costruisce come una guerra, che descrive usando il termine di “guerra di posizione”. Gramsci riconosce a Labriola anche il merito di aver affermato il marxismo come concezione del mondo autonoma, che non ha bisogno di trovare spazio nell’una o l’altra concezione borghese del mondo.(10) Gramsci su questo terreno avanza dichiarando che anzi la teoria (il marxismo) è rivoluzionaria solo quando il nemico nemmeno è in grado di comprenderla.


10. Gramsci tra maggio e luglio del 1930 nei suoi Quaderni spiega che Labriola si distingue da marxisti cosiddetti “ufficiali” che pretendono di trovare un posto per il marxismo in qualche filosofia, come il positivismo o l’idealismo di Kant, “con la sua affermazione che il marxismo stesso è una filosofia indipendente e originale” (Quaderno 4, Nota 3). Aggiunge poi che “il Labriola, affermando che la filosofia del marxismo è contenuta nel marxismo stesso, è il solo che abbia cercato di dare una base scientifica al materialismo storico” (Quaderno 3, Nota 31). Gramsci mantiene giudizio positivo su Labriola quanto a questo suo contributo sul marxismo nel corso del tempo fino al 1934, ma allo stesso tempo lo critica aspramente per un suo particolare aspetto negativo, e cioè il giudizio sui popoli sottoposti all’oppressione coloniale: secondo Labriola il colonialismo ha l’aspetto positivo di imporre a quei popoli di inserirsi nel “mondo moderno”, posizione presente nel Partito socialista e che sarà ripresa nel primo PCI da Concetto Marchesi (da qui si scopre l’importanza del contributo di Lenin sull’alleanza tra classe operaia dei paesi imperialisti e popoli oppressi dall’imperialismo). Nel 1934 Gramsci è ancora convinto che bisogna tornare all’impostazione di Labriola, ma precisa che quello di Labriola è stato un tentativo e che la sua affermazione sull’autonomia ideologica del marxismo non è “sempre sicura” (Quaderno 16, Nota 9).


Autonomia della concezione comunista del mondo e rivoluzione che si costruisce: questi sono due elementi del pensiero comunista che nella storia del marxismo in Italia cominciano a comparire con Labriola e che oggi sta a noi usare come strumenti per portare a termine il nostro compito, cioè per fare dell’Italia un nuovo paese socialista.