La Voce 69 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIII - novembre 2021

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Lotte rivendicative, organismi di lotta e lotta per il comunismo

La crisi economica, politica, ambientale e sociale in corso spinge le masse alla mobilitazione. Le lotte di difesa delle conquiste e dei diritti e la ribellione contro l’attuale regime fino alla sua eliminazione sono le due componenti (difesa e attacco) della resistenza delle masse al procedere della seconda crisi generale del sistema capitalista.

La lotta della classe operaia (dalla GKN, Whirlpool, Alitalia contro lo smantellamento dell’apparato produttivo a quella dei portuali di Trieste, Genova e Ancona e di altre aziende contro l’obbligo del Green Pass nei luoghi di lavoro, a quelle per la salute e sicurezza nelle aziende, ecc.) indica cosa significa concretamente che nella società moderna la classe operaia, quando lotta, assume un ruolo di catalizzatore delle lotte del resto delle masse popolari e, se segue una linea non corporativa ma di lotta contro la borghesia, ne assume facilmente la direzione nella lotta particolare (rivendicazioni economiche, politiche e sociali) e nella lotta più generale per il socialismo.(1)


1. “La borghesia opprime e schiaccia anche altre classi delle masse popolari, oltre alla classe operaia. Ma solo la classe operaia può assumere la direzione della lotta comune contro la borghesia imperialista e portarla alla vittoria definitiva. La classe operaia, a differenza di tutte le altre classi delle masse popolari, è coinvolta direttamente nella concorrenza tra le frazioni di capitale e subisce direttamente gli effetti delle leggi che fanno parte della natura del capitale. Per il ruolo che svolge nella stessa società capitalista, essa è la più cosciente e organizzata tra tutte le classi proletarie e popolari. Infine è la sola tra le classi oppresse che, per il ruolo che svolge nel sistema della produzione capitalista, arriva a concepire in massa un nuovo superiore sistema di produzione e un nuovo superiore ordinamento sociale: il comunismo” (Manifesto Programma del (n)PCI, pagg. 29-30).



Nel paese è in corso una multiforme e diffusa mobilitazione contro il programma comune della borghesia imperialista portato avanti dal governo Draghi, il governo dell’ammucchiata dei partiti delle Larghe Intese presieduto dal Commissario dell’UE. Tutte le mobilitazioni hanno in comune la lotta contro il governo e creano condizioni favorevoli per cacciare Draghi e instaurare un governo di emergenza delle masse popolari organizzate (il GBP).

Noi comunisti siamo gli artefici del processo che lega ogni lotta particolare contro il governo Draghi alla più generale lotta per instaurare il GBP e il socialismo. Questo è il percorso concreto per fare avanzare la guerra popolare rivoluzionaria (GPR) in questa sua prima fase.

Noi comunisti della Carovana siamo i promotori di questo processo e spingiamo tutti gli altri organismi, gruppi e individui del movimento comunista cosciente e organizzato (MCCO) a parteciparvi attivamente. Per condurre questa lotta con meno errori dobbiamo superare limiti che impediscono di dispiegare appieno la nostra forza. Limiti che riguardano l’assimilazione e applicazione, nell’attuale contesto economico, politico e sociale, della linea elaborata e praticata da Lenin, Stalin e Mao Tse-tung (che hanno guidato la classe operaia a fare la rivoluzione socialista e hanno costruito i primi paesi socialisti) per quanto riguarda

- la dialettica che esiste tra “l’organizzazione degli operai e l’organizzazione dei rivoluzionari”: qui dobbiamo valorizzare ai nostri fini quanto illustra Lenin nel Che fare? (1902); (2)

- la dialettica che esiste tra lotta particolare (rivendicativa) e lotta per l’obiettivo finale (il socialismo), cioè tra lotte per soluzioni/risultati immediati e la lotta per la trasformazione della società capitalista in società socialista, la società diretta dalla classe operaia e dal resto delle masse popolari organizzate guidate dal Partito comunista.


2. Lenin Che fare? Problemi scottanti del nostro movimento, capitolo IV, in Opere Complete, vol. 5 Editori Riuniti 1958, pagg. 417-431.


I deboli risultati che noi comunisti riscontriamo nella costruzione del nostro legame con la classe operaia e le masse popolari e nel portare un orientamento avanzato nelle mobilitazioni spontanee, attengono ai nostri errori e ai nostri limiti di comprensione della dialettica in questi due campi. Se esaminiamo gli interventi che facciamo nelle lotte degli operai e delle masse popolari (sindacali, rivendicative e politiche) riscontriamo che i nostri errori e limiti attengono a queste due questioni. Con questo articolo espongo, in modo sintetico, alcuni insegnamenti tratti dall’esperienza del MCCO del secolo scorso su queste due questioni, tenendo conto dell’azione che conduciamo in questa fase nel movimento di resistenza che le masse oppongono alla crisi senza il nostro intervento (spontaneamente).


Sulla dialettica tra “organizzazione degli operai e organizzazione dei rivoluzionari”

Lenin ha indicato più di un secolo fa nel Che fare? la linea dei comunisti sulla questione. Nel Cap. IV, paragrafo c) “Organizzazione degli operai e organizzazione dei rivoluzionari”, trattando dei problemi che dovevano affrontare i bolscevichi nella Russa zarista, ha indicato aspetti e principi universali che valgono anche per i comunisti di oggi. Dice Lenin: “Se per un socialdemocratico [i comunisti di allora] il concetto di “lotta politica” coincide con il concetto di “lotta economica contro i padroni e contro il governo”, è naturale che per lui l’“organizzazione dei rivoluzionari” coincida più o meno con l’“organizzazione degli operai”. E ciò effettivamente accade agli economicisti, sicché, discutendo con costoro sull’organizzazione, parliamo letteralmente due linguaggi diversi”. Lenin racconta come anche allora i comunisti erano d’accordo con gli economicisti sul fatto che bisognava organizzare la lotta dei lavoratori e delle masse popolari contro i capitalisti e il governo, ma quando si andava nel concreto, si accorgevano che parlavano di cose diverse. Gli economicisti parlavano di organizzare “casse di sciopero, le società di mutuo soccorso, ecc. Io, invece, mi riferivo all’organizzazione di rivoluzionari di professione, indispensabile per “compiere” la rivoluzione politica. (…)

Qual era l’origine delle nostre divergenze? Era nel fatto che gli economicisti deviano costantemente dalla socialdemocrazia verso il tradunionismo, sia nei compiti organizzativi che nei compiti politici. La lotta politica della socialdemocrazia è molto più vasta e molto più complessa della lotta economica degli operai contro i padroni e contro il governo. Parimenti (e per questa ragione) l’organizzazione di un partito socialdemocratico rivoluzionario deve necessariamente essere distinta dall’organizzazione degli operai per la lotta economica. L’organizzazione degli operai deve anzitutto essere professionale, poi essere la più vasta possibile e infine essere la meno clandestina possibile (qui e in seguito mi riferisco - è chiaro - solo alla Russia autocratica). Al contrario, l’organizzazione dei rivoluzionari deve comprendere prima di tutto e principalmente uomini la cui professione sia l’azione rivoluzionaria (ed è per questo che io parlo di un’organizzazione di rivoluzionari, riferendomi ai rivoluzionari socialdemocratici). Per questa caratteristica comune ai membri dell’organizzazione nessuna distinzione deve assolutamente esistere fra operai e intellettuali, e a maggior ragione nessuna distinzione sulla base del mestiere. Tale organizzazione necessariamente non deve essere molto estesa e deve essere quanto più clandestina è possibile. (…)

Le organizzazioni operaie per la lotta economica devono essere organizzazioni tradunioniste. Ogni operaio socialdemocratico deve, per quanto gli è possibile, sostenerle e lavorarvi attivamente. È vero. Ma non è nel nostro interesse esigere che solo i socialdemocratici possono appartenere alle associazioni “corporative”, perché ciò restringerebbe la nostra influenza sulla massa. Lasciamo partecipare all’associazione corporativa qualunque operaio il quale comprenda la necessità di unirsi per lottare contro i padroni e contro il governo! Le associazioni corporative non raggiungerebbero il loro scopo se non raggruppassero tutti coloro che comprendono almeno tale necessità elementare, se non fossero molto larghe. E quanto più saranno larghe, tanto più la nostra influenza su di esse si estenderà, non solo grazie allo sviluppo “spontaneo” della lotta economica, ma anche grazie all’azione cosciente e diretta degli aderenti socialisti sui loro compagni”.

La conclusione che tira Lenin è particolarmente incisiva: “La morale è semplice: se cominciamo col creare una forte organizzazione di rivoluzionari, potremo assicurare la stabilità del movimento nell’assieme e, in pari tempo, attuare gli scopi socialdemocratici e gli scopi puramente tradunionisti. Ma se cominciamo col costituire una vasta organizzazione operaia con il pretesto che essa è “accessibile” alla massa (in realtà sarà più accessibile ai poliziotti e porrà più facilmente i rivoluzionari nelle mani della polizia), non raggiungeremo né l’uno né l’altro scopo, non ci sbarazzeremo del nostro primitivismo, della nostra dispersione, dei continui arresti, non faremo che rendere più accessibili alle masse le trade-unions del tipo Zubatov od Ozerov”.(3)


3. Sergei Zubatov (1864-1917) era un colonnello della Gendarmeria russa, Ivank Ozerov (1869-1942) era un noto economista russo. Entrambi ebbero un ruolo molto attivo nel promuovere la formazione di organizzazioni operaie non socialiste e che non si occupassero di politica: vedasi pag. 420 del cap. IV di Che fare? citato in nota 2.


Questi aspetti sono importanti oggi per l’azione della Carovana del (n)PCI e di quanti si definiscono comunisti e militano nelle organizzazioni politiche, nei sindacati di base o nei sindacati di regime (CGIL, FIOM e tutti i sindacati che aderiscono alla linea della “compatibilità e concertazione” con i padroni e i loro governi lanciata da Lama nel 1978 con la “svolta dell’EUR”), per condurre lotte rivendicative efficaci e nello stesso tempo costruire un movimento ampio di lotta contro il governo e contro i padroni, un movimento che alimenta la più generale lotta per instaurare il socialismo.

I comunisti sono chiamati a fare uno sforzo particolare per esaminare e trattare alla luce del materialismo dialettico ogni lotta particolare (composizione di classe, obiettivi, ruolo che ha nella lotta di classe, ecc.), per comprendere la relazione dialettica che devono alimentare tra organizzazione e lotta rivendicativa (sindacale e politica) e organizzazione e lotta politica rivoluzionaria (per il comunismo). Una dialettica che riguarda il rapporto che devono costruire e alimentare tra comunisti, avanguardie di lotta e masse. È l’azione dei comunisti che permette di condurre e combinare le due forme di organizzazione e di lotta ai fini della mobilitazione rivoluzionaria delle masse e del rafforzamento del Partito comunista, ingredienti indispensabili per la rivoluzione socialista.

Le lotte rivendicative senza l’azione dei comunisti rifluiscono nel tradeunionismo riformista e nel conciliatorismo che portano alla sottomissione della classe operaia e delle masse popolari alla borghesia. Se esaminiamo la lotta della GKN e il ruolo dell’organizzazione che gli operai avanzati si sono dati (il Collettivo di Fabbrica-CdF), vediamo che l’azione degli esponenti comunisti presenti al suo interno ha permesso di costruire da diversi anni una stabile organizzazione operaia nella fabbrica, che ha preso prontamente in mano la lotta contro la chiusura, che è stata capace di dare respiro e allargare gli orizzonti della lotta e di collegarla alla lotta più generale contro lo smantellamento dell’apparato produttivo del paese (lotta di altre aziende come Whirlpool, Alitalia, ecc.), fino a trasformarla in lotta contro il governo, i padroni e il capitalismo. Inoltre il CdF della GKN, chiamando gli altri operai e le masse popolari a “insorgere e organizzarsi”, ha indicato cosa fare per rompere con l’opportunismo e la linea perdente dei sindacati di regime (morte lenta delle aziende), ma anche contro il particolarismo (lotte settoriali o di azienda) e la frammentazione dei sindacati di base e degli organismi della sinistra borghese (concorrenza tra gruppi politici e sindacali).

Questo è un esempio di una battaglia specifica di tipo rivendicativo (tenere aperta l’azienda) condotta nell’interesse più generale: campagna dei lavoratori e delle masse popolari contro il governo Draghi, i capitalisti e il loro sistema. Noi comunisti dobbiamo mettere il pezzo in più che serve per darle una prospettiva strategica: usare questa e le altre cento battaglie particolari per la campagna “cacciare Draghi” e per creare le condizioni necessarie a costituire il governo di emergenza che serve ai lavoratori (il GBP) e in questo modo far avanzare la lotta per instaurare il socialismo (guerra popolare). Questo oggi significa concretamente condurre una lotta rivendicativa nell’ottica di sviluppare la lotta politica rivoluzionaria delle masse popolari diretta dal Partito comunista (battaglie, campagne, guerra popolare).


Sulla dialettica tra lotta particolare (rivendicativa) e lotta per l’obiettivo finale (socialismo).

I comunisti, qualunque è l’esito di una lotta specifica contro operazioni dei capitalisti e delle loro autorità (es. la chiusura di aziende, lo sgombero di uno spazio occupato, uno sfratto, ecc.) o di una campagna (es. campagna per cacciare Draghi), devono trarre gli insegnamenti (sia dalle vittorie sia dalle sconfitte) per come condurre meglio le future battaglie e campagne; devono definire se e come continuare la lotta, partendo dalla nuova situazione che si è determinata e dalla loro superiore comprensione delle dinamiche che ha prodotto. Questa è la strada per rafforzare l’organizzazione della classe operaia e delle masse popolari e far avanzare la GPR.

In caso di vittoria i comunisti partono dalle posizioni conquistate per

- avanzare nell’organizzare sul terreno della lotta politica rivoluzionaria gli elementi più decisi che emergono dalla lotta per legarli alla lotta cosciente e organizzata per il comunismo (reclutarli o farne dei collaboratori del Partito comunista);

- alimentare il processo di costruzione di organizzazioni operaie (OO) in ogni azienda capitalista e di organizzazioni popolari (OP) in ogni azienda pubblica e in ogni località, come base del Nuovo Potere delle masse popolari organizzate dirette dal Partito comunista;

- orientare gli elementi più combattivi che vogliono mobilitarsi sul terreno della lotta sindacale e rivendicativa (teniamo presente che una parte consistente delle masse partecipa alla rivoluzione socialista senza diventare comunista) per allargare la lotta su altre questioni particolari e per consolidare il più possibile il risultato raggiunto (tenendo presente che fin quando ci sarà il capitalismo ogni conquista strappata è per forza di cose precaria e i capitalisti faranno di tutto per eliminarla).

In caso di sconfitta dobbiamo guidare la ritirata e raccogliere le forze che vogliono continuare la lotta specifica (per il lavoro, per un reddito dignitoso, ecc.) tendendo conto della nuova condizione e della più generale lotta contro il capitalismo.


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Glossario

della letteratura del (nuovo)PCI

www.nuovopci.it


Termini ed espressioni particolari della scienza delle attività con le quali gli uomini fanno la loro storia.


Come in ogni scienza, anche nella nostra ci sono termini ed espressioni che hanno un significato che è ignoto o differente da quello del linguaggio corrente.


Il Glossario è in continuo aggiornamento, nuove voci vengono aggiunte. I nostri lettori e simpatizzanti collaborano all’aggiornamento indirizzando a delegazione.npci@riseup.net critiche e richieste di nuove voci.


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Noi comunisti usiamo ogni lotta rivendicativa per alimentare la coscienza rivoluzionaria tra la parte più avanzata delle masse e per alimentare la combattività e l’organizzazione della classe operaia e delle masse popolari volte a costruire un nuovo superiore ordinamento sociale: il comunismo. Questo è il nostro compito specifico. È assolvendo a questo compito che ci distinguiamo dalla massa del proletariato e diventiamo classe dirigente: i comunisti si distinguono dagli altri proletari perché hanno una comprensione migliore delle condizioni, dei risultati e delle forme della lotta della classe operaia e sulla base di questa comprensione la spingono sempre in avanti.


Gli economicisti e gli spontaneisti dal canto loro non concepiscono che ogni singola lotta rivendicativa (battaglia) possa essere inserita in una campagna più generale contro governo e padroni e nella guerra per il comunismo (come politica generale concepiscono al massimo la generica denuncia contro il capitalismo e la stesura di piattaforme di rivendicazioni politiche ed economiche, che hanno valore se usate sul piano della propaganda per fomentare la lotta contro il capitalismo e per il comunismo, altrimenti diventano illusioni o diversioni come le prediche di papa Bergoglio).

Gli economicisti e gli spontaneisti evitano di distinguere questi differenti campi [lotta rivendicativa e lotta politica rivoluzionaria] della lotta di classe e parlano genericamente di “lotta”. Oppure li confondono riducendo arbitrariamente l’uno all’altro. In questo caso le loro parole d’ordine sono varie secondo i tempi e le circostanze: solo la lotta economica è “concreta”, politicizzare la lotta economica, trasformare la lotta economica in lotta politica, ecc. Il lato comune e dannoso di queste parole d’ordine degli economicisti e degli spontaneisti consiste nell’occultare il ruolo, l’importanza e l’autonomia della lotta politica rivoluzionaria e nell’impedire o frenare lo sviluppo delle forme e dei mezzi specifici della lotta politica rivoluzionaria. In ogni caso gli economicisti e gli spontaneisti non sono in grado di combinare le distinte lotte nel modo adatto all’emancipazione della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari dalla borghesia. Il partito comunista è l’organo specifico della lotta politica rivoluzionaria: promotore, organizzatore e dirigente della lotta politica rivoluzionaria. Esso è in grado di combinare le varie lotte nel modo giusto. Deve promuovere e dirigere la lotta economica, la lotta politica per le riforme, la lotta per il progresso intellettuale e morale delle masse e la lotta contro la repressione in modo da fare di ognuna di esse e di ogni singolo episodio di ognuna di esse una scuola di comunismo, facendole così contribuire a creare le condizioni soggettive del socialismo e servire alla lotta politica rivoluzionaria”.(4)


4. Manifesto Programma del (n)PCI, pagg. 26-27.



Sulla cura del fronte interno

Per quanto riguarda l’atteggiamento degli economicisti e degli spontaneisti verso l’esito della lotta, se vincono la battaglia si “accontentano” del risultato e restano in “vigile attesa” della prossima battaglia o del prossimo attacco del padrone; se perdono la battaglia sono i primi a fomentare sfiducia e rassegnazione se non proprio disfattismo tra quanti vi hanno partecipato e il resto delle masse popolari (“le masse non ci seguono perché sono arretrare o asservite alla borghesia e/o ai sindacati di regime”).

Noi comunisti sappiamo che

- ogni lotta particolare contiene al suo interno dinamiche legate allo scontro tra le due classi (borghesia e proletariato) e tra le due vie (capitalismo e comunismo);

- ogni lotta avviene per fasi e per tappe e lo sviluppo dipende anche dalla concezione e dalla linea di chi la dirige;

- in ogni fase (e tappa) si sviluppa una lotta tra due linee (destra e sinistra, tendenze positive e tendenze negative) in cui dobbiamo intervenire conformemente alla linea di massa;

- ogni lotta si sviluppa seguendo la legge dell’accumulo quantitativo e dei salti qualitativi;

- ogni salto qualitativo determina un cambiamento del contesto che richiede un adeguamento della nostra linea di intervento;

- ogni battaglia arriva a una sua conclusione che bisogna saper gestire sia in caso di vittoria che di sconfitta o di risultati parziali.

Ad esempio in una battaglia contro la chiusura di un’azienda si arriva a dover decidere cosa fare di fronte a proposte di soluzioni parziali di governo e/o padroni concordate con i sindacati di regime (es. accordo per tenere aperta l’azienda con un numero ridotto di lavoratori e altri “sacrifici”). Questo rappresenta un salto qualitativo delicato perché dà origine a una fase acuta della lotta tra due linee all’interno degli operai (da una parte ci sono quelli decisi ad accettare la proposta di accordo e dall’altra quelli che sono per continuare la lotta, mentre una parte oscillerà tra le due posizioni). L’organizzazione operaia (come facevano i Consigli di Fabbrica degli anni ‘70) deve prevedere e saper gestire questa situazione di contrasti e lacerazioni alimentati da padroni, sindacati di regime, forze politiche e istituzioni che sono decisi a fare accettare l’accordo.

La linea che noi comunisti promuoviamo è che i lavoratori, se non possono strappare di più, devono

- partire dal risultato raggiunto per andare avanti e oltre (definire quale ulteriore passo fare per consolidare e sviluppare i risultanti raggiunti);

- usare la posizione conquistata (che inevitabilmente sarà un compromesso) non per smobilitare la lotta, ma per organizzare le forze e stabilire come proseguire nelle nuove condizioni, tenendo sempre presente il carattere transitorio e precario del risultato raggiunto e che i padroni torneranno all’attacco;

- valorizzare insegnamenti e risultati ai fini della lotta strategica per farla finita con il capitalismo e instaurare il socialismo.


Quante volte chi ha partecipato attivamente a lotte combattive, “dure” (es. occupazioni di fabbriche o di case) che si concludevano con accordi che erano una vittoria parziale, ma sempre frutto della lotta (es. dalla chiusura dell’azienda all’accordo di riapertura parziale, occupazioni di case che si concludevano con l’assegnazione di case popolari) ha sentito la fine della lotta “dura”, nella quale aveva toccato con mano cosa significava essere protagonista della costruzione del nuovo potere proletario, come una sconfitta. Questo è frutto dalla concezione economicista e spontaneista che guida questi lavoratori, avanguardie di lotta e forze soggettive della rivoluzione socialista. Essi vivono la riapertura della fabbrica o il ritorno al lavoro come un fallimento e un cedimento ai padroni e ai sindacati di regime (che avevano gestito la trattativa) e finiscono per mettersi contro gli operai che hanno accettato l’accordo (perché nell’assemblea generale di fabbrica avevano in maggioranza votato per l’accordo). Bisogna invece ragionare come usare questa nuova situazione per andare oltre.

Gli economicisti e gli spontaneisti del “lotta, lotta, lotta” aspirano a continuare la lotta in modo indefinito (cercano inutilmente di trasformare la lotta rivendicativa in lotta politica rivoluzionaria) senza tener conto dell’aspetto centrale dell’analisi marxista: il dominio materiale e spirituale della borghesia normalmente comporta che la stragrande maggioranza degli operai si muove per interessi (obiettivi) immediati (lavoro, casa, servizi, ecc.) e solo una parte, quella più avanzata, grazie all’influenza e all’intervento dei comunisti, acquisisce una visione più ampia e si muove e si organizza per cambiare la società. Alcuni promotori e partecipanti alla lotta, dopo la fine della battaglia con risultati parziali, passano dalla fase di “euforia” perché avevano cacciato i padroni ed erano diventati loro “padroni” della fabbrica occupata, alla sensazione che tutto torna come prima (“hanno vinto i padroni”). In realtà gli operai hanno stappato una vittoria, parziale quanto si vuole, ma il fatto da cui partire è che i padroni sono stati costretti a fare marcia indietro.

Dopo ogni battaglia niente torna come prima e dobbiamo approfittarne. Ogni lotta fa emergere operai combattivi e alcuni di loro traggono insegnamenti da questa esperienza. Spetta a noi comunisti aiutarli ad acquisire una comprensione più avanzata (una nuova coscienza) della battaglia che hanno condotto, del fatto che è possibile cacciare i padroni e prendere in mano il futuro dell’azienda, ma anche del fatto che finché ci sarà il capitalismo comanderanno i padroni e quindi ogni “vittoria” è parziale e non duratura: bisogna creare le condizioni della prossima battaglia.

Noi comunisti dobbiamo fare leva su questa nuova coscienza per conquistare i più decisi e disponibili alla lotta per farla finita con la società capitalista e costruire la nuova società socialista. Dobbiamo sempre portare i lavoratori avanzati a trarre insegnamenti giusti dall’esperienza che hanno fatto con la lotta rivendicativa, a comprendere in modo corretto le contraddizioni e dinamiche che ha determinato, per farla diventare la loro scuola pratica di comunismo.(5)

Sergio F.


5. Sul significato che diamo all’espressione scuola di comunismo rimandiamo al Manifesto Programma del (n)PCI, pagg. 262-263 e al Glossario della letteratura del (n)PCI.