La Voce 71 (ritorna all'indice)

del (nuovo)Partito comunista italiano

anno XXIV - luglio 2022

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Consolidamento e rafforzamento del (nuovo)PCI

Lettera alla redazione

Le donne devono diventare protagoniste della rivoluzione

Cari compagni della redazione,

sono una giovane compagna del Partito dei CARC, ho studiato l’articolo Sui dubbi di una compagna che lotta in prima linea che avete pubblicato su La Voce 70 e vi sottopongo alcune riflessioni e insegnamenti che ho tratto da questo studio e che attengono al ruolo e ai compiti dei comunisti di oggi, in particolare delle donne comuniste, in questa fase convulsa della lotta di classe che coinvolge il nostro paese e ogni angolo del mondo (“grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente”, diceva il Grande Timoniere Mao).

Le parole della compagna mi hanno fatto molto riflettere sulla mia di militanza, sulla militanza di altri compagni (in particolare donne) che ho al mio fianco, su altri giovani compagne che conosco dentro e fuori il mio Partito, sulla difficoltà che incontro e vedo che altre compagne incontrano nell’assumere un ruolo dirigente nell’attività politica e nella propria vita e su quanto influiscono le concezioni borghese e clericale del mondo e la paura di intraprendere il percorso per diventare comuniste e dirigenti comuniste.

Freno a fare questa scelta è la paura di perdere qualcosa, quel poco che questa società o la famiglia offre a una donna delle masse popolari. Abbiamo paura di perdere invece di guardare a cosa guadagniamo in termini di libertà di pensare e di fare, di reale emancipazione (non quella promossa dalla borghesia e dalla sinistra borghese), di diventare “soggetto e oggetto della rivoluzione socialista”, protagoniste della nostra trasformazione fino a diventare capaci di trasformare il mondo.

Queste questioni mi hanno fatto ulteriormente riflettere sulle particolari e specifiche difficoltà che noi comunisti dei paesi imperialisti incontriamo (in particolare per quelli come me che sono nati dopo l’esaurimento della prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria, nell’epoca di nera reazione che è seguita alla dissoluzione dell’URSS) nel concepirci come dirigenti della nostra vita e dirigenti comunisti (verso altri compagni e compagne e verso le masse).

Leggendo l’articolo mi sono venute in mente altre considerazioni, lette su VO alcuni anni fa quando mi sono avvicinata alla Carovana: specificavano che nei problemi che incontravano la rinascita del movimento comunista e l’avanzata della rivoluzione socialista il “collo di bottiglia” non erano le masse (il loro livello di coscienza o la loro combattività), ma i comunisti (il loro livello di assimilazione della scienza comunista e di capacità di usarla). Sono i comunisti che devono trasformarsi e diventare “comunisti di tipo nuovo” per essere all’altezza dei compiti che la fase pone loro. Mi aveva molto colpito (al punto che fu il motivo per cui avevo rotto gli indugi e stabilito relazioni con il P.CARC) la via indicata per uscire dal pantano: la Riforma Intellettuale e Morale (RIM) che dovevano compiere i comunisti dei paesi imperialisti:

Un percorso che consiste nella trasformazione della concezione del mondo, della mentalità e per alcuni aspetti della personalità di quanti vogliono diventare comunisti ed è finalizzato a formare comunisti 1. che pensano e agiscono sempre più guidati dalla concezione comunista del mondo e 2. che contrastano efficacemente l’influenza della borghesia e del clero nelle loro file, facendo fronte all’articolato sistema di controrivoluzione preventiva messo in campo dalla borghesia e dal clero, il sistema di intossicazione delle menti e dei cuori, diversione dalla lotta di classe, illusioni e lusinghe sintetizzato nei cinque pilastri del regime di controrivoluzione preventiva e nelle tre trappole. In particolare per noi comunisti italiani questo significa anche imparare a fare la rivoluzione socialista in un paese imperialista come è il nostro, centro della Chiesa Cattolica e sede del Vaticano, fare tesoro degli insegnamenti positivi e superare i limiti e gli errori dei comunisti della prima ondata della rivoluzione proletaria, in particolare quelli della corrente di sinistra del vecchio PCI (Secchia e altri) e quelli dei comunisti dei due tentativi falliti di ricostruire il partito comunista (Partito comunista marxista-leninista/Nuova unità e Brigate Rosse) degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso” (VO 62, Migliorare il nostro studio per diventare comunisti di tipo nuovo).

Le questioni trattate nell’articolo mi hanno fatto riflettere sullo stato della mia RIM dopo alcuni anni di militanza come quadro del P.CARC. Ho scoperto che alcuni dubbi e critiche al Partito che la compagna esponeva erano più volte comparsi anche in me, che anch’io vivevo la militanza politica e la mia mobilitazione intellettuale, morale e pratica con “alti e bassi”, con momenti di entusiasmo e di demoralizzazione. Mi sono serviti molto la trattazione e lo sviluppo dato alla questione nell’articolo. Ho compreso che le difficoltà che anch’io incontro dipendono principalmente dal non mettermi senza riserve “nelle mani del Partito”, dal non assumere ruolo dirigente negli ambiti sociali in cui sono inserita (fare quello che è necessario per il Partito) e nella mia vita; che la fonte del mio oscillare tra entusiasmo e sfiducia nel Partito e nella causa dipendono da una non corretta comprensione e gestione delle contraddizioni tra personale e politico e dalla fase di passaggio che sto attraversando: rompere con la paura di “crescere”, di fare quel passo in più che è necessario fare, con la paura di “diventare grandi”, di diventare dirigenti ed emanciparsi da un vecchio modo di essere, intraprendere con più decisione il proprio percorso nella vita del Partito e nella lotta di classe in corso nel paese.

Un passaggio che mi ha particolarmente colpito dell’articolo è quello che riguarda la “scontentezza”:

La scontentezza è un problema morale da togliere tramite la riforma morale e intellettuale, che in questo caso significa far propria la consapevolezza che possiamo (e dobbiamo) trasformare noi stessi, gli elementi della classe operaia e delle masse popolari con cui abbiamo a che fare e trasformare l’Italia in un nuovo paese socialista. Chi non fa propria questa consapevolezza, chi non ha fiducia che la trasformazione avverrà, mostra alcune caratteristiche:

- quanto a sé, si irrigidisce nella difesa della propria identità e considera le critiche come accuse;

- quanto agli elementi delle masse popolari con cui ha a che fare, sta a ciò che sono, li descrive per i limiti che hanno, espone loro la nostra linea senza partire dalle cause che li muovono, preferisce stare con chi gli è simile ed evita quelli più distanti;

- quanto al paese, non pone in primo piano gli appigli per far avanzare la rivoluzione socialista, ma elenca i misfatti della borghesia imperialista, del clero e dei sindacati complici, le arretratezze della sinistra borghese, ecc.

Questo compagno, in definitiva, fotografa la situazione, si mantiene chiuso in sé coltivando l’adesione identitaria, lascia aperta la porta all’idea che la rivoluzione scoppia”.

Questo passaggio, come dicevo, mi ha toccato molto, perché ho visto la descrizione precisa dei miei sentimenti e della mia pratica. Ho capito che la battaglia che devo condurre per crescere e diventare dirigente, la devo condurre nel Partito e con il Partito. Prendere coscienza di questi aspetti è stato un prezioso insegnamento per me e penso che questo valga anche per altre compagne (e compagni).

Penso che il mio limite principale, dal quale discendono quindi la pratica alcune volte arretrata e l’incertezza, è la mancanza di fiducia in me stessa e negli altri, non fiducia nel “senso borghese del termine” (individualismo) ma nel concepirsi ed essere parte del movimento comunista cosciente e organizzato, un movimento che usa una scienza per conoscere il mondo e soprattutto per trasformarlo. Questo attiene al mio percorso di RIM di cui dicevo sopra (essere soggetto e oggetto della rivoluzione), ma contiene anche aspetti legati alla condizione di genere, alla difficoltà particolare e specifica delle compagne, che devono combattere l’influenza borghese e clericale che frena l’assunzione di responsabilità come donne comuniste.

Il Partito dei CARC promuove già a ogni livello (centrale, federale e di sezione) l’assunzione di ruoli di responsabilità e direzione da parte delle donne membri del partito, ma secondo me deve fare ulteriori passi avanti nella cura e formazione delle compagne, considerando di più le problematiche specifiche dovute alla doppia oppressione (di classe e di genere), le difficoltà che incontrano le donne a liberarsi dalla cappa del senso comune sul ruolo della donna e della famiglia, sul rapporto di soggezione verso i dirigenti del Partito o il proprio compagno (in particolare se è un dirigente del Partito): aspetti che si sono rafforzati nell’epoca della nera e sfrenata reazione. Noi giovani compagne oggi sembriamo più emancipate, più sicure; ma questa emancipazione e sicurezza spesso è una corazza di cui ci dotiamo per non soccombere (una forma di resistenza), non è frutto di un movimento di lotta e di emancipazione reale che conduciamo con coscienza. Viene piuttosto dall’eredità con cui ci troviamo: negli aspetti positivi (conquiste sociali e culturali a partire da divorzio, aborto, ecc.) e negativi (prevalere delle concezioni da femminismo piccolo borghese impregnato da concezioni interclassiste) che l’hanno contrassegnata, dalle conquiste del movimento comunista e del movimento femminista degli anni ’70 del secolo scorso. Il Partito dei CARC ha adottato da diversi anni il criterio della “discriminazione positiva” (quando al momento della selezione ed elezione di un responsabile e di un dirigente si tratta di scegliere tra un uomo o una donna, a parità di altre condizioni - dedizione alla causa, capacità di orientarsi e di orientare - va privilegiata l’elezione di una donna). Ma siamo noi donne che dobbiamo diventare di più artefici dell’attuazione di questo criterio, proporci e candidarci a ruoli di responsabilità, fare proposte di formazione specifica, battagliare negli organismi in cui siamo inserite, prendere in mano e diventare protagoniste della nostra emancipazione e del nostro ruolo attivo nella rivoluzione. Oggi il numero di donne impegnate nella rinascita del movimento comunista è limitato, così come lo è il numero di compagne che vi assumono ruoli dirigenti. La mobilitazione particolare e specifica delle donne comuniste è un aspetto che dobbiamo curare di più e meglio per fare avanzare la rivoluzione socialista.

La Carovana ha definito la linea: ora si tratta di passare all’azione e all’attuazione. Noi donne dobbiamo rompere gli indugi e assumere il ruolo che spetta a noi, dobbiamo rompere con i lacci e laccioli dovuti all’influenza della borghesia e del clero, abbracciare con più decisione la causa della reale emancipazione per noi donne e per tutti i proletari, la lotta per il comunismo.

Anche nelle nostre fila è necessario sradicare l’influenza borghese e clericale che frena l’assunzione di responsabilità delle donne nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Per quanto riguarda le compagne, questa influenza si esprime nella subordinazione ai compagni, nella pigrizia intellettuale e dunque nella resistenza alla trasformazione combinata a un atteggiamento rivendicativo. Per quanto riguarda i compagni, si esprime in atteggiamenti e comportamenti come il paternalismo, la sfiducia nei confronti delle compagne, il relazionarsi alle donne principalmente come partner sessuali anziché relazionarsi alle donne delle masse popolari principalmente come a compagne di lotta e alle donne della borghesia imperialista principalmente come nemiche di classe. Il dispiegamento del processo di trasformazione e assunzione di responsabilità da parte delle donne in seno al Partito è la chiave di volta dello sradicamento del sessismo nelle nostre file e della rimozione degli ostacoli che oggi frenano la moltiplicazione di dirigenti comuniste e l’accumulazione di forze rivoluzionarie tra le donne delle masse popolari. Le compagne devono farsi promotrici in prima persona del cambiamento cui aspirano e del DFA (Dibattito Franco e Aperto) finalizzato alla CAT (Critica Autocritica Trasformazione) con i compagni per favorire l’emancipazione di entrambi: uomini e donne devono crescere e trasformarsi insieme, ma solo se le donne assumeranno concretamente la direzione di questo processo di trasformazione, emanciperanno anche se stesse e rafforzeranno il processo di CAT dei compagni del Partito.

La lotta tra vecchio e nuovo (tra mentalità comune e concezione comunista del mondo) nelle donne è più acuta perché a causa della doppia oppressione (di classe e di genere) esse sono più legate al retaggio borghese e clericale, da cui ereditano i principali ostacoli alla propria emancipazione: la famiglia, la maternità e i legami personali così come concepiti nella società borghese rappresentano un importante ostacolo all’emancipazione e trasformazione per le donne delle masse popolari. In queste condizioni la pigrizia intellettuale limita le spinte positive verso l’emancipazione al terreno della rivendicazione (è colpa dell’uomo, della famiglia, dei figli, ecc.) e le trasforma in frustrazione. Pertanto nella famiglia e nei rapporti personali bisogna promuovere la trasformazione, essere di rottura, portare la lotta tra vecchio e nuovo a un livello in cui la trasformazione non è dettata dal senso comune (essere principalmente buone madri, buone mogli, ecc.), ma dalla concezione comunista del mondo (essere principalmente donne che contribuiscono a emancipare se stesse e gli uomini dalle catene dell’immorale oppressione borghese e clericale). Bisogna porre particolare attenzione alla formazione delle donne comuniste, tenere conto che per le donne (anche quelle disposte a trasformarsi in comuniste) il processo di trasformazione (destrutturazione e diversa strutturazione) è più profondo ed è diverso da quello degli uomini, promuovere interventi mirati tenendo conto dei diversi ruoli che oggi uomini e donne hanno nella vita corrente (è idealista ignorare una cosa che esiste perché nella nostra concezione o nel futuro non deve esistere: per trasformare la realtà bisogna partire da quella che è) e della doppia liberazione che le donne devono compiere, partire dalla formazione ideologica e favorire l’assimilazione della concezione comunista del mondo, l’unica che “combina” l’amore per la propria famiglia con il progresso della società di cui anche la propria famiglia è parte. Trasformare quello che oggi è per molte donne un elemento di debolezza e contrasto antagonista tra famiglia e militanza politica, in un elemento di forza in cui l’essere madre e moglie è un aspetto dell’essere una “donna comunista che lotta per instaurare il socialismo”, contesto necessario della propria emancipazione e di quella dei propri figli. È un errore mobilitare le donne solo su rivendicazioni o aspetti della lotta di genere: è la concezione sessista presa al rovescio.

Oggi le donne si emancipano, nella misura in cui si emancipano, nel Partito (questo riguarda le donne che sono membri del Partito) e nella lotta di classe (nella misura in cui partecipano alla lotta di classe). Parlare di emancipazione al di fuori di questi due contesti, è parlare a vanvera, eludere il problema, fare diversione e confusione. Quando la lotta di classe è cresciuta, anche l’emancipazione delle donne prima o poi è cresciuta. Quando la lotta di classe è calata, anche l’emancipazione delle donne ha seguito a ruota la stessa sorte. Questo conferma che l’emancipazione delle donne è un aspetto della rivoluzione socialista. Non c’è liberazione della donna senza rivoluzione. Le compagne devono comprendere questa legge, farla propria, fondare su di essa la propria pratica e diventare protagoniste del proprio processo di emancipazione dentro e fuori il Partito, il che significa diventare dirigenti nel Partito e nel processo di trasformazione della società. Significa quindi demolire la costrizione millenaria che le condanna a restare dentro la famiglia e fare anzi proprio il principio secondo cui dedicarsi esclusivamente alla famiglia è immorale. Significa comprendere che l’atteggiamento rivendicativo delle donne che nel Partito esigono dai dirigenti maschi soluzioni ai problemi, implicitamente è riaffermare la sottomissione antica, così come fuori dal Partito limitarsi a rivendicare significa non aprirsi alla prospettiva rivoluzionaria che sola garantisce la loro emancipazione. È grazie alla consapevolezza di tutto ciò che le donne diventano dirigenti del processo di liberazione di sé e di tutta la società. Questa consapevolezza e l’assunzione di questo ruolo dirigente sono elementi essenziali del processo rivoluzionario. Non c’è rivoluzione senza liberazione della donna” (dalla Tesi n. 99 del III Congresso del P.CARC, 2012).

Noi compagne della Carovana (dei due Partiti) siamo chiamate ad essere protagoniste della lotta per dare gambe alla giusta linea che abbiamo definito sulla mobilitazione delle donne delle masse popolari per il comunismo. Parafrasando il compagno Stalin, “una volta definita la linea, la questione decisiva sono le donne e gli uomini che la attuano”.

una giovane compagna del P.CARC