La Voce
del (nuovo)Partito comunista italiano

EiLE - Français (Versione Francese)

Dieci punti per lottare contro la confusione

tra ricostruzione del partito comunista e terrorismo,

tra comunismo e militarismo

 

1. La lotta per la ricostruzione del partito comunista ha raggiunto negli ultimi mesi alcuni importanti successi e attraversa oggi un passaggio delicato. Vi è stato tra le FSRS e tra le masse popolari uno spostamento verso le nostre posizioni. È cresciuto il numero degli individui e dei gruppi oscillanti tra il campo dell’economicismo, del militarismo e in generale della sfiducia nel comunismo (le tre posizioni hanno molto in comune) e il campo della ricostruzione di un vero partito comunista. Ora per raccogliere organizzativamente queste forze, occorre combattere in loro (non in generale, ma proprio in loro) le residue esitazioni, vincere le oscillazioni che ancora restano proprio in quelle FSRS e in quei lavoratori avanzati che abbiamo già in qualche misura conquistato alla ricostruzione del partito. Le esitazioni più diffuse sono di due tipi: alcuni hanno paura di ritrovarsi impigliati nelle spire del militarismo, altri si fanno ancora qualche illusione sul militarismo. Gli uni e gli altri hanno ancora dubbi circa la sostanziale differenza tra comunismo e militarismo, tra il nuovo partito comunista (clandestino e che indica la strategia della guerra popolare rivoluzionaria) e un gruppo militarista, anche se si dichiara organizzazione comunista combattente.

Se su queste questioni noi stessi esitassimo, se non tendessimo tutte le nostre forze per vincere in questi compagni, non in altri, non in generale, ma proprio in questi compagni già per tre quarti nostri, queste esitazioni, noi non saremmo all’altezza del passaggio delicato in cui ci troviamo e dei compiti che esso ci pone. Perché è solo grazie alla mobilitazione di questi e al loro concorso che colmeremo le lacune che oggi ancora abbiamo, costituiremo realmente (senza avventurismi e forzature) il partito e potremo, da questa nuova posizione di forza, aprire una nuova fase in cui si riproporrà il compito di gettare nuovamente le nostre reti a largo raggio per una nuova e futura raccolta (il rafforzamento del partito).

 

2. A fronte di questo spostamento la borghesia imperialista ha accentuato la lotta contro la ricostruzione del partito comunista.

Accentuata l’opera di intimidazione: arresti dei compagni di Iniziativa Comunista, decreto legge n. 98 del 5 aprile (governo Amato) che ha permesso la continuazione dell’inchiesta contro gli 88 membri dei CARC e di altre FSRS già dichiarati e contro altri non ancora dichiarati e che grazie al decreto-legge resteranno segreti fino alla chiusura dell’indagine il prossimo 7 ottobre ed equipara la ricostituzione del partito comunista ai peggiori reati previsti dal Codice Penale, lo stillicidio di misure già denunciate in altra sede.

Ma principalmente accentuate le operazioni di confusione. Queste oggi consistono principalmente nel presentare la ricostruzione del partito comunista come ripresa del terrorismo (ripresa di attentati). La borghesia vuole sfruttare contro di noi l’insicurezza e la paura diffuse tra le masse popolari, il fastidio e l’avversione lasciati dal militarismo in cui sono naufragate le lotte degli anni ‘70. In questa fase la borghesia compie attentati, favorisce attentati e sfrutta gli attentati compiuti dai gruppi militaristi e li addebita tutti alle FSRS che lottano per la ricostruzione del partito per creare tra le masse popolari un terreno ostile alla ricostruzione del partito e allontanare da noi quei lavoratori avanzati e quelle FSRS che rifiutano il militarismo — questa è la nuova strategia della tensione. Se l’autore dell’attentato del 22 dicembre al Manifesto non fosse caduto nella sua stessa trappola, la borghesia avrebbe addebitato l’attentato ai comunisti o agli anarchici. Con la tessa prontezza e sicurezza del ‘69, ha addebitato l’attentato del 17 giugno all’Eurostar ad un giovane suicida o suicidato proveniente da ambienti anarchici. La borghesia ha creato un generale allarme terrorismo che non corrisponde né ad attentati effettivamente compiuti né a risultati investigativi né a una effettiva ripresa su scala rilevante dell’attività dei gruppi militaristi.

 

3. Quanto ai gruppi militaristi, nel ‘99 noi abbiamo approfittato dell’attentato a D’Antona, attribuito ai Nuclei Comunisti Combattenti, le nuove BR-PCC, per affrontare a fondo il problema delle FSRS militariste, per fare teoricamente i conti con esse (Martin Lutero, La Voce n. 2, ecc.) e per fare le possibili inchieste. Abbiamo fatto quanto era nelle nostre forze per mobilitare anche nelle FSRS armate la sinistra, cioè chi era sensibile al compito della ricostruzione del partito comunista, quei compagni che nutrivano una qualche fiducia nella mobilitazione della classe operaia perché si separassero da chi invece aveva perso completamente o era incapace di concepire alcuna fiducia nella possibilità di mobilitare la classe operaia e le masse popolari a condurre una politica rivoluzionaria. Abbiamo tracciato una netta linea di demarcazione tra il comunismo e il militarismo (blanquismo). Analogamente a come dalla metà del 2000 in qua abbiamo lanciato e gestito l’appello alle FSRS legali e ai lavoratori avanzati a aggregarsi attorno all’obiettivo della ricostruzione del partito e abbiamo tracciato una netta linea di demarcazione tra il comunismo e l’economicismo.

In Martin Lutero era implicito però anche che noi non subordinavamo la marcia verso il partito né al ravvedimento dei militaristi né alle loro iniziative. In questa fase i militaristi usano gli attentati per allontanare da noi quei lavoratori che fanno ancora un po’ di confusione tra comunismo e militarismo e che nutrono una qualche illusione che i militaristi possano guidare una generale rinascita del movimento rivoluzionario. Ad ogni attentato, esce e uscirà una rivendicazione dei militaristi che proclama la ripresa della lotta armata (la fine della ritirata strategica). Anche se le rivendicazioni provengono realmente da gruppi militaristi, sono proclami campati in aria. Ovviamente è sempre possibile compiere qualche attentato qua e là. Ma non esistono oggi le condizioni della seconda metà degli anni ‘70, quando i militaristi disponevano di grandi forze popolari e proletarie che dispersero in attentati senza capo né coda. Anche se le FSRS militariste dovessero raccogliere un po’ di forze, nello scontro politico i loro attentati non possono avere altro ruolo che essere usati dalla borghesia imperialista per alimentare la confusione, una delle sue armi nella lotta contro il comunismo.

Sbagliano i compagni che di fatto si sottomettono ai militaristi (e che di conseguenza sono anche in balia delle provocazioni e intossicazioni della borghesia imperialista), i compagni che si lasciano condizionare dai militaristi, che stano a guardare e ammirare le loro iniziative antipartito, che si aspettano miracoli da organismi ancora oggi guidati dalle concezioni che negli anni ‘70 e ‘80, in condizioni per loro ben più favorevoli di quelle di oggi, hanno portato i militaristi di allora a liquidare le forze considerevoli che la deviazione militarista delle BR aveva posto nelle loro mani. È normale che tra le masse popolari che non concepiscono ancora niente di meglio, vi sia una certa ammirazione per i militaristi considerati come eroi. Ma sbagliano i compagni che si accodano ai sentimenti delle masse, anziché lavorare per svilupparne il lato positivo.

 

4. In questo periodo vi è una convergenza obiettiva dei militaristi e della borghesia nella lotta contro la ricostruzione di un vero partito comunista. Da sponde diverse certo, ma complementadosi e confondendosi: i militaristi per distrarre forze dalla ricostruzione del partito comunista contano sul polverone sollevato dalla borghesia imperialista attorno alle loro imprese (visibilità, clamore, ecc.) e la borghesia imperialista usa le azioni dei militaristi per sollevare il polverone di cui ha bisogno per alimentare la sua campagna di confusione e di intimidazione. Tanto vero che, se i militaristi non le offrono abbastanza strumenti, provvede direttamente. Ogni volta che o i militaristi compiono qualche attentato o la borghesia imperialista attribuisce ad essi la paternità di qualche attentato da essa compiuto, anche negli ambienti a noi vicini si manifestano oscillazioni e dubbi circa la linea di ricostruzione che stiamo seguendo. Queste oscillazioni e debolezze assumono o la veste di rifiuto del lavoro clandestino o la veste di compiacenza, condiscendenza e attesa verso i militaristi.

Militaristi e borghesia imperialista hanno oggi nei nostri confronti lo stesso obiettivo: distogliere dalla ricostruzione del partito comunista le FSRS e i lavoratori avanzati che si sono in qualche misura messi nella nostra strada. Gli attentati sono, per gli uni e per l’altra, strumenti (in qualche misura certamente efficaci) per questo comune obiettivo. Proprio per questa confluenza di due parti diverse verso lo stesso obiettivo che entrambe perseguono con gli stessi mezzi, gli autori degli attentati restano in generale incerti, mentre certo è l’effetto politico.

In queste condizioni diventa per noi importante propagandare la discriminante col militarismo che abbiamo già posto e fare un’opera educativa tra le FSRS e i lavoratori avanzati. Dobbiamo illustrare la differenza tra ricostruzione del partito comunista e ripresa degli attentati, tra comunismo e militarismo. Dobbiamo denunciare il carattere strumentale degli allarmi terrorismo lanciati dalla borghesia imperialista e denunciare le azioni criminali e terroristiche compiute dalla borghesia imperialista per addebitarle alle FSRS impegnate nella ricostruzione del partito (la nuova strategia della tensione). Dobbiamo indicare l’inconsistenza pratica di tutti i proclami di ripresa della lotta armata lanciati dai militaristi, dobbiamo richiamare ai fatti che smentiscono e smentiranno i proclami dei militaristi, dobbiamo mostrare che il grande sviluppo che ebbero le attività dei militaristi alla fine degli anni ‘70 fu possibile solo perché essi avevano ereditato le grandi forze rivoluzionarie accumulate nella prima metà degli anni ‘70 che essi dilapidarono nelle loro dissennate iniziative militariste. Dobbiamo approfittare delle iniziative dei militaristi e delle manovre della borghesia per imparare e insegnare a fare una analisi materialista dialettica degli avvenimenti politici. Il Comunicato della CP datato 11 aprile è un esempio di lavoro di questo genere.

Di fronte ad una “azione armata” compiuta dai militaristi o compiuta dalla borghesia che la attribuisce ai militaristi, il problema principale non è andare a vedere da quale dei due campi essa veramente proviene. Spesso noi non abbiamo elementi per escludere che l’attentato sia stato compiuto da qualche società segreta di militaristi. Di fronte ad un attentato che la borghesia imperialista attribuisce ai militaristi, come l’attentato del 10 aprile, noi non possiamo escludere che l’autore sia veramente  un qualche gruppo militarista. Sappiamo che ne esistono, sappiamo che concepiscono come obiettivo principale della loro lotta politica alcuni “colpire il cuore dello Stato”, altri “destabilizzare il regime”, altri “impedire l’attuazione del patto corporativo”, altri “rappresentare gli operai nella lotta politica”, altri “elevare la coscienza politica degli operai”, altri ‘colpirne uno per educarne cento”, altri “incoraggiare gli operai” e che tutti considerano gli attentati come unica o principale arma della loro lotta politica. Non possiamo però neanche escludere che sia stato promosso dalla borghesia imperialista o da essa facilitato. Ma se attribuissimo sistematicamente ogni attentato alla borghesia, oltre ad affermare una cosa che non conosciamo (e quindi diminuire la fiducia delle masse in noi), attenueremmo con ciò la nostra lotta contro i militaristi.

In realtà gli effetti politici dell’attentato non cambiano a seconda di chi ne è l’autore, tanto meno a seconda dei discorsi scritti nell’uno o nell’altro dei documenti di rivendicazione. Non cambiano a seconda che la borghesia imperialista abbia essa stessa promosso l’attentato, o lo abbia solo facilitato o sfrutti un attentato commesso da uno dei gruppi militaristi. Un attentato è un atto politico e noi dobbiamo occuparci dei suoi effetti politici. Gli effetti politici di un attentato non sono decisi dalle intenzioni degli autori, nemmeno dalle dichiarazioni dei documenti di rivendicazione, ma dalle circostanze politiche in cui viene compiuto e dall’uso che ne fanno le forze politiche in campo quando l’attentato è compiuto. Una forza politica che si rispetti deve partire da questo fatto. L’identità e le intenzioni degli autori sono interessanti solo in seconda istanza.

Cosa si direbbe se di fronte all’incendio del Reichstag del 27 febbraio 1937 i comunisti, anziché denunciare l’operazione anticomunista e reagire ad essa, avessero concentrato l’attenzione su chi era l’autore dell’incendio e sulle sue intenzioni, magari aspettando un documento di rivendicazione per pronunciarsi e per discuterne? Cosa si direbbe se, quando il 6 settembre 1917 Kornilov marciava su Pietrogrado per rovesciare il governo Kerenski, i bolscevichi di Lenin fossero stati ad ascoltare le dichiarazioni di Kornilov o le intenzioni di Kerenski anziché buttarsi a bloccare Kornilov salvando anche il governo Kerenski? In guerra la cosa principale è vincere, le intenzioni di chi combatte contro di te sono un aspetto secondario e tanto più secondario quanto più l’avversario si è già dimostrato irriducibile nella sua ostilità. E noi siamo in guerra, anche se, stante il carattere particolare della guerra di classe, alcuni compagni stentano a prenderne atto.

Il tempestivo Comunicato del 11 aprile 01 sostiene con forza la nostra linea di ricostruzione del partito e dà ai nostri compagni, cioè alle FSRS e ai lavoratori avanzati che già oggi vogliono lavorare alla ricostruzione del partito comunista, il criterio per orientarsi (e per orientare) circa gli avvenimenti politici (gli attentati) con cui militaristi per un motivo e borghesia imperialista per un altro lottano contro la ricostruzione del partito.

 

5. Noi siamo nella prima fase della guerra popolare rivoluzionaria, quella della difensiva strategica. Tutte le nostre attività sono e devono essere tese a raccogliere, formare e accumulare forze rivoluzionarie, innanzitutto a ricostruire un vero partito comunista. In questa fase sono giuste solo le azioni armate che hanno come effetto il rafforzamento del lavoro di ricostruzione del partito comunista e, una volta costituito il partito, quelle che hanno come effetto la raccolta, la formazione e l’accumulazione delle forze rivoluzionarie. Oggi e finché saremo nella fase di difensiva strategica, le azioni armate, come tutto il complesso della nostra attività, non hanno come obiettivo principale l’eliminazione delle forze nemiche. Per quanto ogni indebolimento delle forze nemiche e ogni colpo portato ad esse possa farci piacere, quello su cui dobbiamo misurare e valutare ogni azione, è il suo effetto ai fini della raccolta, formazione e accumulazione delle forze rivoluzionarie. I colpi portati alle forze nemiche che indeboliscono anche le forze rivoluzionarie, sono sbagliati. Noi oggi non miriamo alla destabilizzazione del regime della borghesia imperialista, se non nella misura in cui rafforza le nostre forze. Una destabilizzazione dell’attuale regime che rafforzasse la mobilitazione reazionaria delle masse, per noi è negativa. È la crisi generale del capitalismo che destabilizza tutti gli attuali regimi politici della borghesia imperialista. Tanto meno il nostro obiettivo oggi è uno degli obiettivi di tipo rivendicativo che i militaristi assegnano alla loro attività: colpire il cuore dello Stato, colpirne uno per educarne cento, far saltare il “progetto neocorporativo”, pesare o incidere nella lotta politica rivendicativa, ecc. Siamo inoltre sicuri, e l’esperienza del movimento comunista ci conferma, che attentati sconnessi da un vasto piano di lavoro politico, e in primo luogo dalla ricostruzione del partito comunista, come i classici attentati degli anarchici all’inizio del secolo XX, non hanno l’effetto di infondere fiducia nei lavoratori, neanche se colpiscono a morte alcuni esponenti del regime.

Noi siamo i promotori della guerra popolare rivoluzionaria. proprio per questo dobbiamo combattere a nostra maniera. Solo così riusciremo a vincere. È sbagliato ridurre le azioni tattiche di attacco alle azioni armate. L’attacco è una componente della resistenza delle masse popolari al procedere della seconda crisi generale del capitalismo. Oggi la sintesi dell’attacco è la ricostruzione del partito comunista. Ogni azione, armata e non armata, deve essere funzionale alla ricostruzione del partito comunista. Le azioni armate dei militaristi sono invece dirette contro la ricostruzione del partito comunista. Per questo si confondono con quelle compiute dalla borghesia imperialista e per questo la borghesia imperialista può sfruttare a suo vantaggio anche le azioni armate dei gruppi militaristi.

 

6. È sbagliato confondere le Brigate Rosse e la lotta armata degli anni ‘70 con le azioni armate che le organizzazioni dei militaristi conducono attualmente. La lotta armata degli anni ‘70 si collocava in un contesto diverso: diversa la situazione internazionale (c’era ancora il campo socialista ed era forte la fiducia della classe operaia nella sua capacità di instaurare il socialismo), il campo imperialista sembrava alle corde, diversa la situazione nazionale (c’era ancora un forte partito revisionista contro cui bisognava combattere, non erano ancora iniziate la seconda crisi generale e l’eliminazione delle conquiste).

È sbagliato confondere in un tutto unico le Brigate Rosse del periodo 1970-1975 con le Brigate Rosse del periodo successivo. Le prime principalmente lottavano con la propaganda armata per ricostruire il partito comunista. Le seconde usavano le iniziative militari per obiettivi riformisti (colpire il cuore dello Stato, destabilizzare lo Stato, colpirne uno per educarne cento, sostenere rivendicazioni di fronte al governo, ecc.) e avevano abbandonato la ricostruzione del partito comunista. Le Brigate Rosse a partire circa dalla seconda metà degli anni ‘70 diventano un’organizzazione militarista analoga alle altre OCC (Prima linea, ecc.). In questo modo dilapidano le forze accumulate e vanno incontro alla sconfitta. Questo bilancio è già stato illustrato nel Cristoforo Colombo e nel PMP. È secondario che in gran parte siano gli stessi uomini a comporre le BR nel primo e nel secondo periodo: ciò è successo anche nei paesi socialisti al passaggio dalla prima alla seconda fase (v. Rapporti Sociali n. 11 Sull’esperienza storica dei paesi socialisti e PMP) e nei partiti comunisti caduti sotto la direzione dei revisionisti moderni. Sono cosa assolutamente secondaria le infiltrazioni, l’affiliazione di questo o quel dirigente alla CIA o a KGB e altre analoghe futilità e speculazioni. La questione è che dalla metà degli anni ‘70 le BR naufragano definitivamente nel militarismo.

 

7. È sbagliato confrontare la nostra attività con quella del PCE(r). Non si tiene conto della differenza delle situazioni in cui si trovano le due organizzazioni. Può aiutare a capire meglio la differenza tra l’attuale situazione italiana e quella in cui opera il PCE(r), leggere quello che il PCE(r) ha scritto dopo l’attentato del 20 maggio ‘99 contro M. D’Antona, sotto il significativo titolo Deplorevole!

Le Brigate Rosse, come lo Zorro dei film per bambini, hanno deciso di “rilanciare l’attacco” e hanno tolto la vita a una canaglia che meritava di essere impiccato mille volte. Ciò che più ha richiamato la nostra attenzione è il Comunicato con cui hanno rivendicato l’azione. Ha richiamato la nostra attenzione perché era ancora peggio di quanto potevamo aspettarci: un mucchio di pagine con una specie di compendio di tutte le aberrazioni politiche e le assurdità “teoriche” che già conoscevamo. Non vale neanche la pena commentarlo. A quanto pare, questi compagni non hanno imparato niente, proprio niente dal passato, in particolare dai gravi errori che portarono le prime Brigate Rosse alla sconfitta. Gli stessi errori che oggi hanno ripreso, lo stesso soggettivismo delirante, la stessa esaltazione e lo stesso culto dello spontaneismo, la stessa mancanza di principi e di posizioni veramente rivoluzionari. Sembra che siano appena atterrati da un pianeta sconosciuto, che non conoscano niente dell’esperienza della lotta di classe fatta in Italia, della situazione che in Italia vivono le masse sotto l’influenza del revisionismo e del riformismo, del duro e lungo lavoro che bisogna ancora fare per sottrarre i lavoratori a questa influenza, insomma della necessità di un’organizzazione comunista con una linea marxista-leninista, capace di orientare anche la lotta armata rivoluzionaria. A cosa sono serviti tanti sforzi, tanti anni di carcere, tante sofferenze? Sì, è proprio deplorevole e anche deludente” (Resistencia n. 45 settembre ‘99).

È sbagliato confondere il modo in cui noi oggi, mentre siamo nella fase di costruzione del partito comunista, dobbiamo combattere il militarismo, col modo in cui lo combatteremo quando il partito dirigerà la lotta armata in quanto aspetto della promozione e organizzazione della resistenza delle masse popolari al procedere della crisi, come aspetto della guerra popolare rivoluzionaria. Il partito comunista promuove e dirige la lotta armata come una componente della resistenza organizzata delle masse popolari al procedere della seconda crisi generale del capitalismo. Ciò lo distingue nettamente, in ogni caso, da ogni OCC militarista. Man mano che il partito si rafforza e la sua attività si dispiega, aumenteranno anche gli strumenti con cui esso combatterà il militarismo e valorizzerà l’attività delle persone che vogliono impugnare le armi e non sono pregiudizialmente antipartito.

 

8. È sbagliato confondere l’attività militare delle organizzazioni segrete militariste (che noi combattiamo) con le azioni armate spontanee delle masse (da cui noi traiamo insegnamento e a cui applichiamo la linea di massa). Negli anni ‘70 vi era una tendenza spontanea e diffusa di massa tra la classe operaia delle fabbriche alle attività militari. Le iniziative più organizzate e più sviluppate erano il coronamento di attività di livelli inferiori ben più diffuse e godevano di un ampio sostegno di massa. I revisionisti moderni dovettero faticare sette camicie per tagliare l’erba sotto i piedi alle BR nelle fabbriche e vi riuscirono solo grazie alla deriva militarista delle BR. Attualmente, al contrario, nella classe operaia non vi è alcuna tendenza rilevante di questo genere. Neppure le società segrete militariste osano dire il contrario. Esse anzi giustificano la propria esistenza e la propria attività sostenendo che la classe operaia non è in grado di condurre una politica rivoluzionaria (che nel loro gergo si riduce a lotta armata). Ogni compagno che lavora sul terreno sa quanto sia diffusa tra gli operai la sfiducia e come sia difficile mobilitare dei lavoratori nell’attività clandestina e in particolare nell’attività militare, come sia difficile raccogliere tra gli operai qualche forma di sostegno all’attività clandestina. L’unica forma di lotta politica “non legale” di una certa ampiezza già esistente è condotta da gruppi sociali di altre classi: i Centri Sociali e i gruppi ecologisti da una parte e i gruppi fascisti dall’altra, entrambi in una certa e differente misura sotto la tutela dello Stato. Non a caso Rossoperaio per poter parlare di qualcosa di visibile, ha dovuto teorizzare che movimenti di altre classi condurrebbero per il momento la lotta armata al posto della classe operaia, rappresenterebbero la classe operaia, come comparse che recitano una parte in un’opera teatrale o in un film (Tesi programmatiche, gennaio 2001).

Vero è anche che questo è un terreno che il partito deve ancora esplorare a fondo e che probabilmente fornirà risorse al partito quando esso sarà abbastanza sviluppato da potere svolgere un lavoro su questo terreno, come le fornirà l’esercito di giovani disoccupati in cui oggi reclutano i loro soldati gruppi particolari della borghesia imperialista: quelli della malavita organizzata.

 

9. Noi dobbiamo tener conto che una parte delle masse nutre sentimenti di simpatia per ogni azione che danneggia i padroni e i ricchi che sfruttano le masse popolari (anche un incidente e una malattia: quando Tomaso padrone dell’Innocenti restò paralizzato, gli operai che lui aveva sfruttato e oppresso non piansero), che rompe l’ordine costituito da cui le masse popolari sono oppresse (gli incendi in Sardegna), che sbeffeggia, sfida o colpisce le forze dell’ordine che tutelano un ordinamento ingiusto (Agostino ‘o Pazzo). Esiste tra le masse più arretrate ammirazione per ogni impresa eversiva e in generale per gli atti “coraggiosi” e di rottura, per gli “eroi”, per chi è coerente e inflessibile. Noi dobbiamo tener conto di tutto ciò e in tutto ciò vi è un aspetto positivo.

Come dobbiamo tenerne conto? In genere non si tratta della parte politicamente più cosciente delle masse, a cui invece appartengono le FSRS e i lavoratori avanzati che lottano per la ricostruzione del partito (a cui è diretta la nostra propaganda). In generale la parte politicamente poco cosciente delle masse non è direttamente collegata con noi, ma lo è tramite i lavoratori avanzati. Le FSRS e i lavoratori avanzati che lottano per la ricostruzione del partito non vanno tra le masse a offendere questi loro sentimenti. Ciò vuol dire che un nostro Comunicato, ad esempio, non va confuso con il discorso che un operaio avanzato fa tra le masse. Noi chiediamo sempre agli operai avanzati che lavorano per la ricostruzione del partito comunista, di tradurre in ogni ambiente particolare le nostre parole d’ordine nel linguaggio di quell’ambiente, non di ripeterle pari pari (La Voce n. 1 pag. 3). Bisogna distinguere 1. la lotta, giusta e inevitabile, contro la strategia della tensione come aspetto della controrivoluzione preventiva, 2. la lotta contro il militarismo, 3. la mobilitazione e trasformazione della ammirazione e della soddisfazione delle masse per ogni colpo portato alla borghesia, all’ordinamento sociale borghese e alle forze che lo tutelano. Sono tre campi di lavoro distinti, anche se esistono relazioni e interferenze tra loro.

Dobbiamo comunque aver chiaro che ogni volta che prenderemo posizione contro il militarismo, avremo anche alcuni effetti negativi. Ogni iniziativa politica ha per chi la prende effetti positivi ed effetti negativi. Essa è opportuna se nella concreta situazione gli effetti positivi superano quelli negativi ai fini dell’accumulazione delle forze che è il nostro compito in questa fase.

Prendiamo come esempio il nostro Comunicato dell’11 aprile 01. Il suo effetto negativo principale è lo sfruttamento demagogico che di esso fanno alcuni nostri avversari, analogo a quello che hanno fatto dell’iniziativa del Fronte Popolare. Essi travisano il nostro Comunicato. Dicono che noi abbiamo condannato ogni attività armata, che in generale condanniamo ogni attività armata, che sosteniamo che l’attività armata dei militaristi scatena la repressione della borghesia imperialista. In generale ci attribuiscono qualcuna o tutte le tesi espresse in questi anni dai legalitari contro ogni attività extralegale. Essi giocano demagogicamente sull’alternativa: o sei a favore di qualsiasi attività armata o sei contro qualsiasi attività armata; sulla attività armata elevata a discriminante, a cartina di tornasole del vero rivoluzionario, sull’empirismo che non considera il contesto e le connessioni delle cose, il loro passato e il loro futuro. I demagoghi insinuano dubbi sulla volontà rivoluzionaria della CP. A questo proposito noi non chiediamo atti di fede. Noi diffondiamo e diffonderemo tra i nostri compagni, tra le FSRS e tra i lavoratori avanzati dei criteri di giudizio basati sul materialismo dialettico. La garanzia che il nostro lavoro andrà a buon fine non è data dalla volontà e dalle intenzioni degli attuali membri o dirigenti della CP (su di esse alcuni possono nutrire dubbi, esse possono cambiare, il nemico può costruire manovre, diffondere calunnie e fare manipolazioni: non ha manipolato anche il presidente del PCP? Quindi un simile criterio soggettivista paralizza l’attività rivoluzionaria). La garanzia del successo dell’attività rivoluzionaria e il motivo della fiducia che ogni compagno e ogni lavoratore devono avere nel successo della propria causa, stanno nella giustezza della linea che oggi proponiamo e che attuiamo. La giustezza della nostra linea di oggi ogni compagno, ogni FSRS, ogni lavoratore avanzato ha la possibilità di valutarla egli stesso in base alla sua esperienza, al materialismo dialettico e al patrimonio del movimento comunista, ha la possibilità di verificarla nella sua pratica rivoluzionaria. La giustezza della linea nel futuro, ogni compagno, ogni FSRS, ogni lavoratore avanzato ha la possibilità di difenderla lui stesso. Gli individui possono cambiare, ma ciò che essi hanno costruito di positivo viene preso in mano e continuato da altri: la storia di Plekhanov, di Chen Thu-shiu, di Bordiga, ecc. insegna esattamente questo.

I danni che i demagoghi ci faranno con le loro calunnie e insinuazioni saranno in ogni caso inferiori a quelli di cui soffrirebbe la nostra causa se ci subordinassimo ai militaristi (e di conseguenza alla borghesia imperialista) e quindi abbandonassimo la nostra opera per la ricostruzione di un vero partito comunista. I demagoghi trarranno inizialmente in errore alcuni compagni, quindi le loro parole avranno una certa efficacia. Essa sarà tanto minore quanto più chiaramente noi illustreremo la nostra via e quanto più efficacemente noi lavoreremo sulla nostra strada, combinando la propaganda e l’attività di costruzione del partito. Siamo sicuri che in definitiva, se reagiremo nel modo opportuno, lo sfruttamento demagogico smaschererà i demagoghi e ci darà modo di condurre meglio la nostra lotta contro di loro, di elevare la coscienza politica dei nostri compagni e di conquistarne di nuovi. Quindi reagiremo alle calunnie dei demagoghi, spiegheremo meglio di volta in volta le nostre posizioni sulla lotta armata e sui compiti politici del momento, sulla nostra strategia e sulla nostra tattica, come abbiamo spiegato la nostra posizione sul Fronte Popolare nelle elezioni politiche di questo maggio. Tutto l’interesse che i demagoghi hanno suscitato attorno a noi, è diventato interesse per le nostre tesi. La “popolarità” dei demagoghi è servita alla nostra causa. Non abbiamo forse più volte auspicato che tra i comunisti, tra le FSRS e tra i lavoratori avanzati si scatenasse una vera lotta ideologica attorno alla strategia e alla tattica? Ecco ora un po’ di quello che volevamo. Noi speriamo che la lotta diventi più vivace e che si allarghi. Quanto a noi, propaganderemo la discriminante tra comunismo e militarismo a tutti i compagni che ci interessano e approfitteremo di ogni occasione che rende più efficace la nostra propaganda. Essa contribuirà a rafforzare l’unità ideologica e la concezione del mondo materialista dialettica nelle nostre fila. Non dobbiamo avere paura della demagogia, che del resto non possiamo impedire. Possiamo rivoltarla  a favore della nostra giusta causa: è questo che dobbiamo fare. Come abbiamo detto in La Voce n. 5, “la nostra tattica non è ancora assestata”. Queste lotte ci spingono ad assestarla sempre più, ci aiutano ad assestarla e in parte anche a verificarla.

 

10. Il maoismo e la guerra popolare rivoluzionaria.

La lotta armata promossa e diretta dal partito comunista è un aspetto della guerra popolare rivoluzionaria: è sbagliato confonderla con le azioni armate condotte dai gruppi militaristi. Noi non impariamo l’uso della lotta armata dalle OCC degli anni ‘70, ma da tutta l’esperienza, in positivo e in negativo, del movimento comunista internazionale e nazionale. La teoria della nostra lotta è il maoismo. La strategia della guerra popolare rivoluzionaria è la strategia universale della rivoluzione proletaria (La Voce n. 1), corrispondente alle condizioni oggettive della rivoluzione proletaria, fin da quando siamo entrati nella fase storica dell’imperialismo, cioè del tramonto del capitalismo e della rivoluzione socialista. Non è una strategia che è diventata necessaria e corrispondente alle necessità oggettive della lotta di classe solo negli anni ‘70 (come sostennero a modo loro negli anni ‘70 in Italia i promotori della lotta armata), o solo qualche anno prima, dopo la seconda Guerra mondiale (in base a qualche cambiamento radicale e non meglio specificato della situazione). Noi siamo ancora nella fase dell’imperialismo le cui caratteristiche economiche sono state sostanzialmente descritte da Lenin. Ciò che Lenin non ha chiaramente descritto e fatto risaltare (la crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, le Forme Antitetiche dell’Unità Sociale, il passaggio generale al regime della controrivoluzione preventiva) era comunque già presente all’epoca di Lenin. La guerra popolare rivoluzionaria era già allora la giusta strategia della rivoluzione proletaria. La pratica la impose anche ai comunisti russi che non l’avevano messa in conto, ma che seppero farci fronte vittoriosamente proprio perché il loro partito si era temprato a far fronte a ogni situazione, aveva un’alta formazione ideologica ed era educato a scoprire e valorizzare le forme che la lotta di classe assumeva nella pratica. L’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ha mostrato che la guerra popolare rivoluzionaria è la strategia adeguata alla rivoluzione proletaria (sia alla rivoluzione socialista sia alla rivoluzione di nuova democrazia). Mao Tse-tung ha teorizzato questa strategia e questo è uno dei contributi dati al pensiero comunista dal maoismo, uno di quei contributi che fanno del maoismo la terza superiore tappa del pensiero comunista.

Prima della teorizzazione fattane da Mao, il partito bolscevico di Lenin e i partiti della Internazionale Comunista che hanno guidato rivoluzioni, hanno condotto guerre popolari rivoluzionarie, come ogni persona parla in prosa anche senza aver studiato la grammatica e la sintassi, come ogni classe conduce la lotta di classe anche senza avere una teoria della lotta di classe. Cioè con una coscienza minore e quindi con gli inconvenienti che derivano dal non avere una coscienza adeguata al lavoro che si sta facendo. Lenin ha costantemente difeso le esperienze armate inquadrate nella lotta politica diretta dalla classe operaia tramite il suo partito, ha diretto senza esitazione la guerra civile a cui la borghesia russa e internazionale hanno costretto la classe operaia russa, perché guidato da un legame profondo con la causa della rivoluzione proletaria, convinto che la pratica è sempre più ricca della teoria e pronto a imparare dall’esperienza pratica delle masse. Che Lenin non avesse elaborato una concezione organica della guerra popolare rivoluzionaria come strategia universale della rivoluzione proletaria è dimostrato dalle concessioni fatte nel 1917 agli ufficiali zaristi che si erano opposti al potere sovietico, dalla sua sorpresa di fronte alla irriducibile lotta condotta dalla borghesia e dalle altre classi sfruttatrici contro la rivoluzione proletaria, dalle sue oscillazioni sulla dottrina militare dell’Armata Rossa (tra Trotzki che sosteneva che l’arte militare è al di sopra delle classi e Stalin che in termini pratici sosteneva che la classe operaia e le masse popolari devono condurre la guerra alla loro maniera). È Mao Tse-tung che ha dotato il proletariato di una propria dottrina militare. Gli autori della Aproximaci—n a la historia del PCE in sostanza sostengono che la insufficiente comprensione della dottrina militare del proletariato e della strategia della guerra popolare rivoluzionaria sono state causa della sconfitta della rivoluzione nella Guerra civile spagnola (1936-1939), ma non riconoscono questo come uno degli apporti fondamentali del maoismo. Lo ha già fatto notare l’autore della Presentazione della traduzione italiana della Aproximaci—n (vedasi La guerra di Spagna, il PCE e l’Internazionale Comunista). La non comprensione della strategia della guerra popolare rivoluzionaria non ha solo facilitato la sconfitta del PCE, ma ha facilitato la sconfitta di tutti i partiti comunisti della IC dell’Europa occidentale. I compagni del PCE(r) da una parte sostengono la necessità della lotta armata e dall’altra non connettono questa necessità alla fase imperialista del capitalismo: essi non hanno mai voluto spiegare quale cambiamento nella situazione oggettiva della lotta di classe avrebbe reso necessaria la lotta armata né quando tale cambiamento sarebbe sopravvenuto. Da qui a mio parere provengono sia le oscillazioni  sul ruolo della lotta armata manifestate dal PCE(r) nel corso della sua storia (programma in cinque punti, trattative, ecc.), sia la debolezza del suo contributo internazionalista (le oscillazioni sul carattere nazionale o universale dei motivi che farebbero della lotta armata una strategia di lotta, che esigerebbero che il partito comunista sia da subito clandestino: oscillazioni già indicate dall’autore della Presentazione della traduzione italiana della Aproximaci—n sopra citata).

Ernesto V.