Il futuro del Vaticano

1. Introduzione

venerdì 11 agosto 2006.
 

Tesi sul Vaticano

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1. Introduzione

In occasione dei funerali di Giovanni Paolo II (Carol Woityla 1920-1978-2005) e della intronizzazione di Benedetto XVI (Joseph Ratzinger, nato nel 1927), il 20 aprile 2005 la CP ha diffuso un Comunicato in cui afferma che “Benedetto XVI sarà uno degli ultimi, se non l’ultimo Papa”. L’abolizione del Vaticano e di tutti gli altri privilegi della Chiesa Cattolica e la nazionalizzazione di tutte le proprietà che il Trattato del Laterano e il Concordato del 1929 e le successive modifiche hanno dato alla Chiesa Cattolica sono il cuore della terza delle Dieci Misure Immediate (DMI, vedasi La Voce n. 5, luglio 2000). Alcuni compagni hanno chiesto chiarimenti e spiegazioni su questo punto del programma del (n)PCI. La sua importanza è tale che merita tutta la nostra attenzione. Il Vaticano, il Papato, il potere politico, economico e culturale della Chiesa di Roma, l’articolata struttura clericale e laica con cui la Curia vaticana e il Papa lo esercitano in Italia e nel mondo sono già presenti qua e là nella pubblicistica del nostro Partito. Vi sono tuttavia molti aspetti della questione che non abbiamo esposto e nemmeno elaborato in misura adeguata all’importanza che hanno nell’attività attuale e nella strategia del Partito comunista italiano. Quindi su questo terreno al Partito non resta da fare solo un largo, duraturo, ripetitivo e multiforme lavoro di propaganda e agitazione. Deve sviluppare ulteriormente anche l’elaborazione dei singoli aspetti della questione fino ad arrivare ad una concezione e ad una linea d’azione superiori alle attuali e a quelle del vecchio movimento comunista italiano e internazionale.

Il nostro Partito deve avere una concezione ben fondata e una linea d’azione chiara circa la questione del Vaticano: una prospettiva storica costruita scientificamente (cioè con serietà scrupolosa), per basare su tutto il corso passato delle cose gli obiettivi da raggiungere nell’avvenire, che proponiamo alle masse popolari perché sono obiettivi di cui esse hanno bisogno e che esse devono concorrere consapevolmente a raggiungere. È impossibile condurre avanti la lotta per il socialismo in Italia senza affrontare in termini teorici e sul terreno politico la questione del Vaticano. La soluzione della questione del Vaticano è parte essenziale della teoria specifica della rivoluzione socialista in Italia. (1)

Un partito comunista italiano che non affrontasse la questione del Vaticano sarebbe sicuramente un partito comunista o immaturo o opportunista. Tanto è importante il ruolo del Vaticano nel nostro paese e nella sua storia: dalla caduta dell’Impero Romano (nel V secolo dopo Cristo) fino al Rinascimento (secolo XI circa) come istituzione centrale e totalitaria del mondo feudale europeo; da allora fino all’Unità d’Italia (1870) come centro in Europa della lotta del mondo feudale contro l’avvento del mondo borghese; dopo il 1870 come supporto essenziale della direzione e del dominio della borghesia in Italia e nel mondo. Un partito comunista che non avesse, non propagandasse e non propugnasse una concezione e una linea ben definita sulla questione del Vaticano varrebbe quanto un partito comunista che non avesse una concezione ben definita sulla mobilitazione della classe operaia (o sulla conquista del potere) e una linea per la sua azione su questo terreno.

La storia del movimento comunista italiano conferma questa affermazione.

L’anticlericalismo fu una componente essenziale dell’apporto dato dal Partito socialista italiano al movimento comunista del nostro paese (1892-1921). In esso la lotta contro il Vaticano e la Chiesa si confuse però in un tutt’uno con lo sforzo e l’attività educativa, con la lotta ideologica, interna alle masse popolari, contro la concezione religiosa del mondo, contro la morale feudale e individualista (basti pensare al ruolo della donna e alla morale sessuale), contro i riti degradanti (dalle cerimonie antisemite abolite solo di recente alle manifestazioni mortificanti e autolesioniste); la contraddizione antagonista con il Vaticano e la Chiesa di Roma si confuse con una contraddizione interna al popolo sulla concezione del mondo e la morale della nuova epoca. La confusione della lotta ideologica ed educativa con la lotta politica contro il Vaticano frenò ed ostacolò la conduzione efficace della seconda - vedasi ad esempio l’ostilità del PSI verso il Modernismo che dal 1870 al 1920 circa fu in campo dottrinario, morale e sociale (politico, economico, ecc.) la sinistra nell’ambiente cattolico.(2)

La questione del Vaticano e della Chiesa di Roma fu uno degli assi centrali dell’elaborazione della strategia della rivoluzione socialista in Italia a cui Gramsci (1891-1937) si dedicò sistematicamente dal 1923 (quando per mandato della Internazionale Comunista assunse la direzione del PCI) fino alla sua morte. Egli indicò chiaramente che la questione del Vaticano era la punta emergente e la sintesi della questione contadina e della questione meridionale e, dobbiamo aggiungere, della questione femminile: era quindi ed è una questione nazionale della rivoluzione socialista nel nostro paese.(3) L’accettazione del potere del Vaticano e della Chiesa di Roma fu, nella Resistenza e dopo, una componente fondamentale della linea della destra del PCI che portò prima alla corruzione e poi alla disgregazione e dissoluzione del PCI. Una linea a cui la sinistra del Partito non seppe contrapporre altro che una riedizione (per forza di cose timida) dell’anticlericalismo del PSI.

Elaborare una giusta concezione della natura, del ruolo e delle leggi di sviluppo del Vaticano e della Chiesa di Roma è la premessa per fissare la linea di condotta del Partito in modo scientifico, non opportunista, non pragmatico. Per non ridursi a “navigare a vista”, schiavi delle contingenze, delle apparenze, delle sensazioni e impressioni, del “fiuto”, delle operazioni, manovre, provocazioni, diversioni e manipolazioni della Chiesa e della borghesia. Per operare, al contrario, con una visione strategica e dispiegare, con l’iniziativa in pugno, proprie operazioni tattiche coerenti con la propria strategia e nello stesso tempo strettamente conformi alle circostanze, allo stato dei nostri nemici e ai rapporti di forza. La soppressione del Vaticano e del potere politico, economico e culturale della Chiesa di Roma a prima vista sembra tanto difficile da sembrare impresa impossibile e temerario il proporsela.

Non a caso molte FSRS (forze soggettive della rivoluzione socialista) eludono il problema. Ma in proposito vale il principio enunciato già molto tempo fa dal celebre filosofo romano Seneca (4 a.C.-65 d.C.): “Certe imprese, non è perché sono difficili che non le affrontiamo. Al contrario, è perché non osiamo affrontarle che ci sembrano difficili”. Un principio che oggi vale per la soppressione del Vaticano come vale per l’abbattimento dell’impero americano. La soppressione del Vaticano è una necessità e un compito del movimento comunista internazionale, non solo del movimento comunista italiano. Infatti il Vaticano svolge il suo ruolo controrivoluzionario, anticomunista, a livello internazionale e nelle maggior parte dei paesi del mondo. È una potenza internazionale che ha il suo centro in Italia e radici in molti paesi. Ha un ruolo decisivo nel corso delle cose nel nostro paese e un ruolo importante nel corso delle cose in molti altri paesi. Trae dall’Italia uomini e risorse per la sua attività mondiale e trae da tutto il mondo uomini e risorse per la sua attività contro le masse popolari del nostro paese. È un caso analogo a quello dell’impero americano.

Per lo stesso motivo, l’abbattimento dell’impero americano è necessità e compito del movimento comunista internazionale. Ma, come nell’abbattimento dell’impero americano il ruolo decisivo e di regola anche quello principale spetterà alle masse popolari, alla classe operaia e ai comunisti americani, cosi nella soppressione del Vaticano il ruolo decisivo e di regola anche quello principale spetta alle masse popolari, alla classe operaia e ai comunisti italiani.

Sbaglieremmo noi comunisti italiani se oggi nascondessimo alla classe operaia e alle masse popolari questo loro compito storico e internazionalista imprescindibile. Non prepareremmo e non educheremmo né le masse popolari né noi stessi a esserne capaci. Quindi prepareremmo le condizioni della loro e nostra sconfitta. Nascondere alla classe operaia e alle masse popolari questo loro compito da una parte sarebbe l’indizio di una concezione soggettivista: erigeremmo nella nostra concezione noi e non la classe operaia e le masse popolari ad esecutori di un compito essenziale della rivoluzione socialista nel nostro paese. Dall’altra parte sarebbe l’indizio di mancanza di fiducia nella capacità rivoluzionaria della classe operaia e delle masse popolari del nostro paese. Mentre la storia dell’Italia mostra che più volte i movimenti rivoluzionari delle masse popolari sono falliti proprio perché i loro gruppi dirigenti non furono all’altezza del loro ruolo; non perché mancarono lo slancio, la mobilitazione rivoluzionaria e l’eroismo da parte delle masse. Ripetutamente (nel 1893-1898, nel 1919-1921, nel 1945-1948, negli anni ‘70) mancò loro una direzione capace di condurle a trasformare l’ampia egemonia sociale della classe operaia in suo dominio politico nel paese. Mancò nel senso che il gruppo dirigente che le masse popolari seguivano e che aveva loro apertamente promesso o fatto (o almeno lasciato) intendere di volere una trasformazione rivoluzionaria del paese, si tirò indietro di fronte all’azione (a cui peraltro non si era preparato, perché esso stesso non credeva in ciò che diceva o che lasciava intendere).(4)


Note:

(1) La nostra concezione e la nostra linea combinano il patrimonio universale del movimento comunista internazionale con la comprensione ed elaborazione delle condizioni oggettive e soggettive, storiche e attuali del nostro paese. Questa combinazione di universale e particolare è la via italiana al socialismo. Non basta rivendicare e proclamare il patrimonio universale e storico del movimento comunista, come hanno fatto nel vecchio PCI i dogmatici contro i revisionisti moderni. Non a caso i dogmatici non riuscirono a far fronte con successo ai revisionisti. Furono sconfitti e disgregati. Uno a uno o si arresero e collaborarono con i revisionisti o finirono isolati.

In ogni paese che abbia una tradizione, una personalità propria formatasi nel corso dei secoli, il movimento comunista deve avere caratteri nazionali (“bisogna tradurre il marxismo in cinese”, diceva Mao) per condurre con successo l’opera internazionalista comune di creare l’associazione internazionale dei lavoratori, la nuova umanità.

(2) Il Modernismo fu un movimento di riforma della Chiesa Cattolica sviluppatosi per l’influenza del socialismo nella Chiesa. Contemporaneamente in Francia, in Italia, in Belgio e altrove fu un movimento sociale contadino e operaio. Questa crisi della Chiesa Cattolica, facilitata dall’aggiornamento promosso da Leone XIII, caratterizzò il regno di Pio X (1903-1914). Il Modernismo fu condannato da Pio X nel 1907 (con l’enciclica Pascendi). Alla condanna seguirono la persecuzione capillare dei modernisti e l’imposizione del giuramento antimodernista a tutti i quadri ecclesiastici e laici della Chiesa.

(3) Antonio Gramsci (1891-1937) è l’unico dirigente del movimento comunista italiano che ha studiato sistematicamente e a fondo, da un punto di vista comunista, materialista - dialettico, marxista - leninista, rivoluzionario la strategia della rivoluzione socialista nel nostro paese. È sulla sua opera (e non sulla deformazione togliattiana di essa) che noi dobbiamo innestare ciò che nella nostra strategia è specifico per l’Italia. La sua opera è esposta in La costruzione del Partito Comunista (1923-1926), Einaudi 1971 e Quaderni dal carcere, Einaudi 1971 e 2001. Queste opere vanno studiate con l’occhio ai problemi del movimento comunista dell’epoca, non come trattati di “teoria generale”.

(4) Va tuttavia notato il grande progresso compiuto dal movimento comunista nel nostro paese. I precedenti movimenti delle masse contadine erano stati diretti da forze reazionarie, antiborghesi solo perché feudali. A partire dai movimenti del 1893-1898 (dai Fasci Siciliani alla rivolta di Milano), essi furono invece movimenti operai - contadini. Le forze feudali erano ridotte, come la borghesia, sulla difensiva e si allearono con la borghesia: la crisi del 1893-1898 segna la fine di fatto dell’armistizio tra il Regno d’Italia e la Chiesa Cattolica, la fine di fatto del non expedit e l’inizio della loro collaborazione programmatica e sistematica contro il movimento comunista. La crisi del 1943-1947 costituisce una fase ancora superiore rispetto alle precedenti. L’unità operai - contadini non è più solo una unità nei fatti e negli ideali. È anche assunta, promossa e diretta dal movimento comunista cosciente e organizzato, il primo PCI. Questo non fu all’altezza del suo compito, non seppe guidare le masse popolari alla vittoria, all’instaurazione di un paese socialista. Ma quello che riuscì a fare, lo fece tenendo ferma l’unità operai - contadini.