La Voce 5

Ancora sulla settima discriminante

lunedì 10 luglio 2000.
 

Sul n. 1 di La Voce la CP ha ben illustrato cosa intende per partito clandestino e ha mostrato che esso sorge dall’esperienza del movimento comunista internazionale e dallo stato attuale delle cose nel nostro paese. La tesi che il nuovo partito comunista deve essere un partito clandestino, libero dall’osservanza delle leggi della borghesia imperialista e dal suo controllo, è indissolubilmente connessa con la tesi che la forma della rivoluzione socialista anche nei paesi imperialisti è la guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata. La libertà del partito è l’espressione concreta della autonomia organizzativa della classe operaia dalla borghesia imperialista; quindi è il fondamento necessario della autonomia politica della classe operaia dalla borghesia imperialista. Anche l’autonomia ideologica della classe operaia dalla borghesia imperialista non può svilupparsi oltre certi limiti senza l’autonomia organizzativa, perché è questa che crea gli strumenti e le condizioni materiali necessarie allo sviluppo dell’autonomia ideologica.

I partiti comunisti del periodo iniziale del movimento comunista dovevano svolgere e svolsero il compito di costituire la classe operaia come classe distinta da tutte le altre classi sul piano politico, culturale, della vita sociale. Dovevano farle acquisire nella vita sociale (nella sovrastruttura) un ruolo distinto dal resto delle masse popolari e contrapposto alla borghesia, conforme al ruolo che svolgeva nella struttura economica della società.

I partiti comunisti nella fase imperialista del capitalismo hanno il compito di dirigere la lotta della classe operaia per prendere il potere e instaurare il socialismo. Ovviamente essi devono anche continuare a svolgere il compito più elementare di formare la classe operaia, come un esercito in guerra continua ad arruolare e ad addestrare reclute, proprio per poter condurre la guerra. Ma il loro compito specifico e principale nella fase imperialista è quello della conquista del potere e della instaurazione del socialismo. Il carattere clandestino del partito comunista nella fase imperialista deriva essenzialmente da questo suo compito. È la condizione indispensabile perché la direzione della lotta della classe operaia e delle masse popolari contro la borghesia e per il socialismo possa adempiere oggi e domani a tutti i compiti che lo sviluppo della lotta richiederà.

La decisione della CP di procedere alla costruzione di un partito comunista clandestino urta tuttavia contro ostacoli ideologici, ben più gravi degli ostacoli pratici che nella sua costruzione dobbiamo superare. Da una parte essi provengono da chi non vuole, non sa, non riesce a rompere con la prassi vecchia di decenni di attività puramente o principalmente legale, da chi non riesce a “vedere” come un partito clandestino vive e lavora, da chi ha delle illusioni nella tolleranza della borghesia, da chi si ostina a concepire la lotta politica nella società borghese come una leale contesa tra partiti ed opinioni ad armi pari o quasi (e considera deviazioni e deroghe dalla normalità le attività della controrivoluzione preventiva che non può negare). (1) Dall’altra essi provengono da chi concepisce la clandestinità solo o principalmente come contesto per la lotta armata o comunque per quelle attività che già oggi sono vietate dalle leggi e perseguite dagli organi repressivi dello Stato borghese. Questi non “vedono” che il partito può essere promotore e dirigente di tutte le più varie attività “legali” facendole servire alla accumulazione delle forze rivoluzionarie proprio e solo perché è clandestino. Quindi dobbiamo e dovremo ripetutamente illustrare, propagandare, precisare e verificare la tesi della costruzione del nuovo partito comunista a partire dalla clandestinità e dovremo esaminare minuziosamente e con spirito scientifico tutte le obiezioni che vengono mosse. (2)

Credo che sia utile quindi ritornare su quella tesi, affrontando due aspetti:

- perché il nuovo partito comunista deve essere clandestino,

- quale relazione vi deve essere tra il partito clandestino e il lavoro aperto di propaganda, di mobilitazione e di organizzazione della lotta di classe in questo periodo.

Secondo le pubbliche dichiarazioni del senatore DS Giovanni Pellegrino e del dirigente di PS Luigi Mauriello la legge dovrebbe sancire che il partito comunista in forma clandestina è un reato. Secondo i mandati della Procura della Repubblica di Roma il partito comunista in forma clandestina è già un reato. Secondo lo scritto di un anonimo editorialista di Aginform il partito comunista in forma clandestina è una “elucubrazione senile”. In realtà il partito comunista in forma clandestina in Italia (e tra parentesi aggiungiamo: in tutti i paesi imperialisti) è semplicemente una necessità per la classe operaia che lotta per il potere, qualcosa di cui essa non può fare a meno, qualcosa a cui deve e dovrà per forza approdare se non vuole desistere dalla lotta per il potere e quindi dalla lotta per il socialismo. Nel senso che non è possibile svolgere una seria, sistematica, continuativa e razionale attività di preparazione della rivoluzione socialista, cioè di raccolta, formazione ed accumulazione delle forze rivoluzionarie, se il partito comunista che è alla testa di questo lavoro non è un partito libero, cioè clandestino.

A conferma di questa affermazione sta il fatto che il partito comunista in forma clandestina non l’ha inventato la CP. Da una parte esso è nella storia del movimento comunista, dall’altra esso è nella realtà della lotta corrente. Vediamo in dettaglio le due cose.

• La storia del movimento comunista è ricca di esempi di partiti clandestini. Essa ci offre due tipi di insegnamenti in proposito.

Gli insegnamenti del primo tipo sono quelli in positivo: i comunisti che hanno condotto la loro lotta con successo fino alla conquista del potere erano organizzati in partiti clandestini, liberi dalle leggi e dal controllo delle classi reazionarie e conservatrici ed erano educati al lavoro clandestino ben prima del momento degli scontri decisivi.

L’esempio più glorioso e a noi più vicino è quello del POSDR (Partito operaio socialdemocratico di Russia) nel periodo tra il 1905 e il 1914. La rivoluzione del 1905 aveva allargato i margini di azione legale al punto che dal 1906 al 1914 il POSDR ebbe un suo gruppo parlamentare e una parte del partito lottò per la liquidazione del partito clandestino e per sostituirlo con un partito operaio legale. Contemporaneamente una parte del partito voleva che il partito non sviluppasse il lavoro aperto sfruttando tutte le possibilità che la situazione concreta (legale o di fatto) presentava. Lenin e i suoi compagni in quel periodo lottarono strenuamente contro le due deviazioni. (3)

Non vi è nella storia del movimento comunista un solo esempio di partito comunista che sia riuscito a portare la classe operaia al potere operando principalmente come partito legale, cioè sottoposto alle leggi e al controllo delle classi reazionarie o conservatrici. I compagni che si oppongono a che il nuovo partito comunista venga costruito a partire dalla clandestinità, se si riconoscono come eredi e membri del movimento comunista dovrebbero spiegare come conciliano la loro opposizione al carattere clandestino del partito con l’esperienza del movimento comunista.

Gli insegnamenti del secondo tipo sono quelli in negativo: i comunisti che si sono trovati nel mezzo di un rivolgimento rivoluzionario senza aver previamente costruito un partito clandestino, si sono trovati nell’impossibilità di adempiere con successo al loro ruolo. Ogni volta che lo scontro si è fatto acuto, che la lotta rivoluzionaria è diventata di massa, è emerso chiaramente che l’esistenza solo “alla luce del sole” non bastava per assicurare l’autonomia organizzativa della classe operaia dalla borghesia, condizione necessaria (benché non sufficiente) della sua autonomia politica: anche quando lo Stato non vietava formalmente ogni forma di esistenza al partito.

L’esempio più chiaro e a noi vicino è quello del partito socialdemocratico tedesco nel corso della prima guerra mondiale. Questo partito aveva abbandonato ogni attività clandestina sistematica e centralizzata dopo che il Parlamento dell’Impero tedesco nel gennaio 1890 aveva posto fine alle leggi speciali antisocialiste. Quando nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale, la sua ala sinistra si ritrovò impotente a sviluppare l’attività rivoluzionaria necessaria e l’ala destra riuscì a imporre la sua linea a tutto il partito facendosi forte del fatto che se il partito avesse preso posizione contro la guerra, la borghesia avrebbe sciolto tutte le organizzazioni socialdemocratiche: cosa che forse le sarebbe effettivamente riuscita essendo queste tutte “alla luce del sole”.

Durante la prima guerra mondiale Lenin, considerando l’attività rivoluzionaria svolta dalla sinistra del partito socialdemocratico tedesco, osservava che "la debolezza maggiore dei comunisti tedeschi consiste nella mancanza di una esperienza consolidata di attività clandestina".

La mancanza di una consolidata esperienza di lotta clandestina fu anche la causa organizzativa del fallimento del neonato partito comunista tedesco nel dirigere alla vittoria la rivoluzione in Germania alla fine della prima guerra mondiale. La borghesia riuscì addirittura a decapitare il partito, uccidendo i suoi massimi dirigenti, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht.

I rivoluzionari avversari del partito clandestino dovrebbero dimostrare che esso non è necessario. Dimostrazione ardua in cui dubitiamo che qualcuno si voglia cimentare, nonostante le benemerenze che la dimostrazione gli procurerebbe (anche presso la Benemerita).

L’insegnamento che ci è dato dalla storia della Germania, ci è dato anche dalla storia di ogni paese in cui vi è stata una situazione rivoluzionaria (nel senso che vi era un vasto e profondo fermento rivoluzionario delle masse popolari) e i comunisti dell’epoca non erano organizzati in un partito clandestino. Pensare che un partito non sperimentato possa passare alla clandestinità quando le masse sono già in fermento, nell’imminenza dello scontro decisivo, è un errore: chiunque ha vissuto o studiato a fondo situazioni del genere lo può dire. Al contrario: quando il fermento diventa di massa, un partito clandestino non ha difficoltà ad emergere dalla clandestinità alla luce del sole nella misura necessaria per dirigere il movimento. E lo può fare nella misura necessaria e proficuamente tanto più quanto più ha imparato ad esistere e operare come partito clandestino.

Il carattere clandestino del partito comunista è quindi un insegnamento della storia della prima ondata della rivoluzione proletaria. Tenere pienamente conto dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria, vuole dire anche riconoscere che il nuovo partito comunista deve essere un partito clandestino. Nelle sue Osservazioni al PMP pubblicate nella Tribuna libera di Rapporti Sociali n. 22 e 23/24 il Circolo Lenin di Catania ha fatto osservare che il vecchio PCI, che allora si chiamava Partito Comunista d’Italia, sezione della Internazionale Comunista, aveva creato un apparato clandestino già prima del 31 ottobre 1926, quando il governo emanò le leggi eccezionali che mettevano fuori legge tutti i partiti di opposizione, compreso il partito comunista. Su questa questione, come sulle altre tre questioni relative al bilancio del vecchio PCI che affronta, il Circolo Lenin espone elementi veri della storia del PCI, ma elude il problema principale in un bilancio: l’insegnamento che ne possiamo ricavare. Quando diciamo partito clandestino, noi non intendiamo un partito che ha anche un apparato clandestino, ma un partito che ha anche un lavoro aperto (pubblico, controllato dalla borghesia imperialista). Intendiamo un partito che è “a fianco della classe operaia” nel senso che crea le condizioni necessarie per continuare a svolgere verso la classe operaia il compito di direzione che gli è proprio e di cui la classe operaia ha bisogno. Secondo le Osservazioni invece per un dirigente comunista esisterebbero solo o il carcere o “un esilio ‘dorato’ all’estero” e l’esperienza del vecchio PCI non insegnerebbe niente in proposito per il nuovo PCI. Ciò è sbagliato. Proprio dall’esperienza del vecchio PCI impariamo che non basta avere un apparato clandestino (ora neanche più spalleggiato da una Internazionale Comunista) per essere all’altezza dei compiti che la nuova situazione rivoluzionaria pone al nuovo PCI. Occorre che la direzione sia clandestina e che dalla clandestinità diriga anche il lavoro aperto del partito e delle sue organizzazioni di massa, come ad esempio fece il PCI nelle zone occupate dai nazisti dopo il 1943. Collocare nella legalità la sua direzione, pur mantenendo un apparato clandestino, fu dopo il 1945 uno dei segnali della linea sbagliata seguita dal PCI nel dopoguerra.

• In che senso la necessità del carattere clandestino del partito comunista non è solo un insegnamento della storia del movimento comunista, ma è nella realtà della lotta corrente?

Il partito clandestino non è una invenzione della CP anche nel senso che, iniziando la nuova fase del lavoro per la costruzione dalla clandestinità del nuovo partito comunista italiano, la CP non ha fatto altro che raccogliere le esperienze sparse e confuse del movimento, elaborarle alla luce della concezione comunista del mondo e col metodo materialista dialettico e ricavarne una linea d’azione. La CP ha dato forma professionale (o, per essere più realisti, cerca di dare e chiama a dare forma professionale) a ciò che quasi tutte le FSRS praticano in forma spontanea e artigianale. E questa è la dimostrazione più probante che il partito clandestino è una necessità proprio nella situazione attuale. È indubbio che “la vita” spinge e spingerà sempre ogni FSRS legale a sconfinare in pratiche libere dal controllo della borghesia imperialista, cioè clandestine. Chi pratica realmente solo un’attività alla luce del sole (cioè sotto il controllo dello Stato borghese e nell’ambito delle sue leggi e norme) è semplicemente un seguace della via democratica al socialismo, la formulazione italiana del revisionismo moderno, consacrata dal VIII congresso del PCI (dicembre 1956). (4)

La lotta per la clandestinità del partito è quindi un aspetto della lotta contro lo spontaneismo. Ai sostenitori della clandestinità si oppongono nella realtà compagni che affiancano alla loro attività “alla luce del sole” attività clandestine (o supposte tali) condotte spontaneamente, in maniera dilettantesca e artigianale. Essi si oppongono non genericamente alle attività clandestine, ma si oppongono a che si dia un carattere sistematico, professionale e scientifico, organizzato e pianificato alle attività clandestine cui “la vita” li costringe comunque a ogni passo.

Se la clandestinità non esistesse in forma spontanea, certamente essa non potrebbe esistere in forma sistematica se non come sterile ed oziosa elucubrazione (senile o giovanile poco importa). Ma il fatto inconfutabile è che essa esiste in forma spontanea. Il problema è: lasciarla al livello della spontaneità, dell’improvvisazione, della pratica dilettantesca ed estemporanea? O raccogliere questa lezione della vita e portarla a un’arte sistematica, scientifica, professionale?

Una volta stabilito che il nuovo partito comunista deve essere clandestino e costruito a partire dalla clandestinità, nei termini indicati chiaramente dalla CP nel n. 1 di La Voce , diventa indispensabile chiarire che partito clandestino non significa partito che non vuole svolgere o non può svolgere un lavoro aperto. Al contrario il carattere clandestino del partito è la condizione perché il lavoro aperto possa dispiegarsi su vasta scala e svilupparsi contribuendo alla vittoria della rivoluzione. Proprio perché libero, il partito comunista può fare tutto quello che la situazione concreta rende necessario. Tramite suoi organismi adatti alla situazione concreta può fare tutto quello che in base ai rapporti di forza (alla situazione legale e di fatto) può fare un partito legale. Ma può contemporaneamente fare anche quello che stante i rapporti di forza la borghesia impedisce a un partito legale.

Non c’è dubbio che la lotta di classe deve svilupparsi e si svilupperà attraverso una larga partecipazione delle masse ad attività politiche, sindacali, rivendicative e di autorganizzazione per far fronte alle proprie necessità. Queste organizzazioni saranno in larga misura organizzazioni pubbliche, alla luce del sole finché la situazione lo consentirà, in base ai rapporti di forza. Il partito comunista proprio perché clandestino è in condizione di condurre in tutte queste organizzazioni con continuità il lavoro di direzione indispensabile per la vita e lo sviluppo di ognuna di esse. Questo assicurerà anche il sostegno delle masse popolari al partito, sostegno che è la base della vita e della forza del partito clandestino. Certamente il partito dovrà condurre una dura battaglia per creare e poi rafforzare il suo legame con le masse. La borghesia imperialista cercherà con ogni mezzo di impedire lo sviluppo del legame tra il partito e le masse. La sua esperienza la rende consapevole che se questo legame si crea e trova modo di svilupparsi sfuggendo alla repressione, la partita per la borghesia è per metà già persa. (5) Le armi della borghesia per colpire il legame dal lato delle masse sono sostanzialmente due: terrorizzare le masse facendo del legame col partito un motivo e un pretesto di persecuzione contro i singoli lavoratori (un reato); creare la massima confusione possibile sull’orientamento e l’attività del partito: al partito la borghesia attribuirà gli obiettivi, i comportamenti e le concezioni che possono allontanare le masse dal partito. Ovviamente starà al partito rendere con linee e misure precise inutili questi tentativi della borghesia. Il punto di forza del partito sta nel fatto che le masse hanno bisogno della direzione del partito. La resistenza contro il procedere della crisi del capitalismo rende sempre più necessaria alle masse la direzione del partito: la realtà quotidiana lo conferma.

Alcuni compagni sopravvalutano le possibilità della borghesia imperialista nel reprimere le masse, perseguitare il loro legame con il partito e dar la caccia al partito. Attualmente le forze della borghesia sono enormemente maggiori delle forze rivoluzionarie. Se noi considerassimo le forze della borghesia imperialista e le nostre forze isolando le une e le altre dai contesti reali in cui operano, noi avremmo ragione di temere le forze della borghesia. Ma è un modo irrealistico di considerare le cose. Infatti chi la pensa così, per spiegarsi perché la borghesia imperialista non ci annienta, accetta per buone le panzane sulla bontà, tolleranza e civiltà dei ricchi e sul regime “democratico” per tutte le classi. Il grande teorico dell’arte militare von Clausewitz, nel suo trattato Della guerra scritto circa 180 anni fa, ha spiegato che nemmeno in una guerra dichiarata i belligeranti sono in grado di impiegare contro il nemico, in un attacco unico, tutti i mezzi di offesa di cui teoricamente dispongono. Noi diciamo: “La borghesia imperialista conduce una guerra non dichiarata di annientamento contro le masse popolari”. Ciò è vero, ma bisogna capire ogni frase nel modo giusto. Se si forza il significato, si trasforma una verità in una assurdità. Quando noi parliamo di “guerra non dichiarata di annientamento”, non ci riferiamo alla controrivoluzione preventiva, alla repressione e prevenzione dell’attività rivoluzionaria, alla attività politica della borghesia imperialista. Ci riferiamo alla sua attività pacifica, quotidiana, capillare, naturale per così dire: allo sfruttamento ammantato con le “leggi naturali dell’economia” e denominato “libero mercato”, "libera iniziativa economica”, ecc. Insomma a quella attività che la borghesia svolge senza impiego diretto di armi e soldati e con cui spreme, emargina, deforma, tormenta, abbrutisce, mutila e uccide quotidianamente migliaia e milioni di uomini e di donne, li priva del pane e della dignità e li sacrifica su grande scala alla conservazione del modo di produzione capitalista. Ignorare questa guerra, ignorare questo sfruttamento “pacifico” che giunge, considerando le cose a livello mondiale, fino a mandare ogni anno a morte per fame, stenti e disperazione milioni di uomini e di donne, vuol dire ignorare il contesto concreto in cui si svolge la nostra lotta. Ma altra cosa è l’attività politica con cui la borghesia mantiene in un paese determinato le condizioni per poter continuare la sua attività di sfruttamento. Altra cosa ancora è la controrivoluzione preventiva. La controrivoluzione preventiva è l’insieme di apparati, procedure e strumenti con cui la borghesia imperialista si propone di prevenire la formazione delle forze rivoluzionarie e di annientarle sul nascere. I mezzi della controrivoluzione preventiva sono grandi, molto più grandi dei nostri. Ma la borghesia può impiegarli solo nella misura consentita dalle circostanze concrete. La borghesia per sua natura deve sfruttare le masse, estrarre plusvalore. L’obiettivo dell’attività politica della borghesia è mantenere le masse popolari sottomesse onde poterle sfruttare. La controrivoluzione preventiva deve concorrere con i mezzi che le sono propri a questo obiettivo politico ed è subordinata, nell’impiego dei suoi mezzi specifici, a questo obiettivo politico. Deve limitarne l’impiego per non creare fermento, conflittualità e ribellione, per non ostacolare lo sfruttamento. La natura propria della borghesia (la libera iniziativa individuale dei capitalisti, il libero mercato della manodopera, la concorrenza e le lotte tra gruppi e individui in ogni paese e le divisioni internazionali, ecc.) pongono alla controrivoluzione preventiva ulteriori limiti all’impiego dei suoi mezzi. I nostri mezzi sono attualmente pochi. Ma non dobbiamo trascurare le condizioni concrete che ci proteggono. Noi abbiamo alleati che in determinate circostanze scenderebbero in campo assieme a noi. Abbiamo risorse di cui in determinate circostanze potremmo disporre. La borghesia imperialista valuta tutti questi aspetti dello scontro meglio che gli è possibile e ciò limita i colpi della controrivoluzione preventiva. Noi, a nostra volta, dobbiamo anche noi valutare tutti questi aspetti della situazione meglio che ci è possibile e dimensionare le nostre iniziative.

Non dobbiamo domandare alla borghesia cosa essa è disposta a tollerare, non dobbiamo contrattare con essa l’ambito del nostro lavoro. Dobbiamo capire, in base alla teoria del movimento comunista e all’esperienza, fin dove essa riesce concretamente a giungere. Ovviamente noi conosciamo solo approssimativamente le sue forze reali e le sue valutazioni (ma anche la borghesia ha una conoscenza solo approssimativa delle nostre forze e risorse). Migliorare la nostra conoscenza delle risorse nemiche e ostacolare la conoscenza delle nostre risorse da parte del nemico deve essere una nostra cura costante. Ma a parte questi sviluppi, è evidente che se noi assumiamo questo giusto atteggiamento, lo squilibrio attuale delle forze cessa di essere causa di paralisi e di rassegnazione a “non muovere foglia che la borghesia non voglia”, e diventa invece il terreno concreto sul quale muoviamo le nostre forze con l’obiettivo, assolutamente principale in questa fase, di accrescerle.

La clandestinità consente al partito di sfruttare al massimo sia i suoi punti di forza sia i punti deboli della borghesia e di svolgere quindi nel modo migliore il suo compito.

Umberto C.

 



NOTE

 

1. Per questo noi dobbiamo usare tutti i singoli episodi che emergono alla luce del sole (basta consultare la proposta di relazione Il terrorismo, le stragi ed il contesto storico-politico redatta dal sen. Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione stragi della XII legislatura, per averne un compendio) per illustrare la continuità e sistematicità dell’attività extralegale della borghesia che per sua natura non compare alla luce del sole. Dobbiamo spiegare che sarebbero impossibili i singoli episodi che solo grazie a circostanze eccezionali emergono alla luce del sole, se non esistesse una attività continua e sistematica. Ciò che emerge alla luce del sole sono solo manifestazioni casuali e “sfortunate” di una attività ben più ampia e incisiva. Al contrario il “democratico piccolo-borghese” si straccia le vesti e grida contro la “deviazione” e contro lo “scandalo”. E se è perseverante, ha materia per passarci tutta la vita.

 

2. Alcune obiezioni al carattere clandestino del partito sono in realtà obiezioni ai limiti posti al lavoro aperto del partito clandestino, cioè obiezioni a una concezione settaria, dogmatica del partito clandestino. Occorre distinguere accuratamente i due tipi di obiezioni.

 

3. Vedasi ad es. Lenin, Comunicato sulla conferenza della redazione allargata del Proletari , in Opere vol. 15 pag. 408-410.

 

4. Va da sé che la via democratica e parlamentare non ha condotto al socialismo, ma alla liquidazione del movimento comunista organizzato, alla disgregazione e alla liquidazione del partito comunista e delle sue organizzazioni di massa. Essa ha condotto alla attuale condizione in cui la borghesia imperialista imperversa liberamente ed elimina persino le vecchie conquiste di civiltà e di benessere già strappate dalle masse popolari. Essa ha condotto al minimo di libertà per la classe operaia, il proletariato e le masse popolari e al massimo di libertà per la borghesia imperialista: a conferma che la società borghese è fondata sull’antagonismo degli interessi, per cui se la borghesia avanza, la classe operaia retrocede e viceversa.

Sotto l’ombrello della NATO” Berlinguer proclamava di sentirsi al sicuro, più al sicuro che sotto la protezione di Breznev. Tuttavia neppure lui aveva il Nulla Osta Sicurezza (NOS) della NATO per accedere al governo della repubblica. Forse la NATO non si sentiva sicura con lui. Di certo c’è che la NATO comandava e che Berlinguer obbediva. Un inconveniente della via democratica e parlamentare.

 

5. Per metà, perché l’altra metà della lotta della borghesia sarà rivolta alla caccia ai membri e alle organizzazioni clandestine del partito e ai tentativi di corrompere il partito. Far deviare il partito dal suo compito, far in modo che adotti e mantenga una linea sbagliata.

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