Martin Lutero - Supplemento al n. 3 de La Voce

09 Il nuovo progetto di riforma - anni ‘90, ossia la riforma economico-sociale

Comunicato
mercoledì 15 maggio 2002.
 

[I commenti e i chiarimenti aggiunti dal curatore nel testo sono tra parentesi quadre. La titolazione, i corsivi, i neretti e le note sono del curatore.]

 

[9. Il nuovo progetto di riforma - anni ‘90, ossia la riforma economico-sociale]

Le forze politiche che nel dopoguerra avevano impersonato gli interessi della BI avevano adottato particolari formule politico-sociali adatte a governare il conflitto di classe nel quadro dello sviluppo del processo rivoluzionario e della lotta di classe quali si erano espressi in Italia. Esse erano state caratterizzate dal particolare ruolo assunto dallo Stato nell’economia nella fase precedente all’attuale [cioè lo Stato capitalista reale (il settore pubblico dell’economia) e responsabile del benessere della popolazione]. Questo aveva portato alla costituzione di vere e proprie componenti sociali della borghesia sorrette da questo sistema [dirigenti del settore pubblico dell’economia e categorie ad essi connesse].

La presenza di queste componenti nei partiti che avevano governato il paese rendeva difficile per questi partiti governare il processo di trasformazione e di riadeguamento politico che doveva essere operato. Il processo di trasformazione che doveva svilupparsi e che è ancora in atto, a fronte dei nuovi termini di crisi-sviluppo dell’imperialismo e nel contesto di una sostanziale modifica dei rapporti di forza tra le classi a favore della borghesia, consiste in una riforma complessiva del sistema economico-sociale per adeguarlo agli attuali termini di concorrenza intermonopolistica e per collocarlo nel nuovo quadro di concorrenza internazionale, attraverso il ruolo esercitato dallo Stato nelle politiche centrali dell’imperialismo che, con la ridefinizione degli equilibri e delle relazioni internazionali, modificano le posizioni dei diversi sistemi economici nella divisione internazionale del lavoro e dei mercati.[R] Si tratta di un processo che mette in crisi il contenuto della mediazione politica su cui si era strutturato il sistema politico-istituzionale nella fase precedente, entro cui i soggetti politici borghesi avevano stabilizzato i relativi termini di governo dell’economia e di governo del conflitto di classe.

Negli anni ’90 è diventato evidente che l’aspetto principale sul piano della contraddizione Classe/Stato, quello che si presenta come prioritario e come emergenza, non è il riadeguamento dell’assetto dei poteri dello Stato [come era previsto nel progetto De Mita], ma la costruzione di equilibri politici e sociali che possano realizzare, nello scontro di classe, quella riforma complessiva del sistema economico-sociale e della relativa politica economica dello Stato, che sostenesse i nuovi termini di concorrenza intermonopolistica e, in essi, gli interessi della frazione dominante della BI. Ciò nelle condizioni che si andavano definendo in relazione alle modificazioni nel quadro europeo e internazionale.

La riorganizzazione dello Stato e del sistema politico si sarebbe quindi realizzata a partire dai nodi politici dello scontro di classe relativo all’attuazione di questa riforma economico-sociale. Essa consisterà precisamente in un complessivo riassetto degli istituti e dei poteri da codificare in un nuovo ordinamento costituzionale, con i contenuti e con gli equilibri politici che si formeranno nel corso dello scontro sull’attuazione della riforma economico-sociale.

Le formule politiche ed economiche su cui si erano assestati gli equilibri politici e sociali che avevano consentito il governo dell’economia e del conflitto di classe nei quaranta anni precedenti, erano minate dall’interno e, per sostenere l’interesse della frazione dominante della BI, dovevano essere stravolte.

La modificazione dei rapporti di forza tra le classi collegata al processo controrivoluzionario [la duplice vittoria della borghesia di cui sopra, sulla LA per il C e il campo socialista] in realtà non si era ancora riversata, in termini generali e di rottura storica, sulla legislazione che regolava i rapporti sociali tra le classi nella riproduzione materiale. Questa legislazione restava quindi espressione dei rapporti politici della fase precedente.

Le modificazioni che la riforma economico-sociale avrebbe introdotto, avrebbero costretto a mutare, perché incompatibili con esse, anche l’assetto politico-istituzionale ereditato dalla fase precedente. Nella fase precedente l’assetto politico-istituzionale, per garantire l’accumulazione capitalista di fronte al forte conflitto di classe, si era fondato su un sistema parlamentare che, grazie alla massima rappresentatività della sede parlamentare, istituzionalizzava il conflitto. In questo contesto gli equilibri di governo dovevano rappresentare la maggioranza reale nel corpo elettorale; il ruolo economico dello Stato era il mezzo per garantire maggioranze parlamentari; queste erano espressione di diversi interessi di classe da rendere compatibili con la priorità dell’interesse della frazione dominante della BI. Cosa sta avvenendo invece ora?

La riforma del sistema economico-sociale si attua attraverso la modifica della legislazione che regola il sistema economico-sociale e attraverso la modifica delle relazioni politiche tra le classi formalizzate nella legislazione per renderle entrambe corrispondenti agli effetti dell’approfondimento delle contraddizioni di classe. La modifica della legislazione e la modifica delle relazioni politiche spingono entrambe a ridimensionare nelle sedi politiche decisionali la rappresentanza reale e la conciliabilità degli interessi. Il rafforzamento del potere esecutivo e la modificazione della rappresentanza degli interessi sociali in sede istituzionale, in modo da garantire il mantenimento della rappresentanza formale svincolando da essa la sede politica decisionale, sarebbe stato il piano su cui stabilizzare il governo del conflitto di classe nei nuovi termini in cui si pone il governo dell’economia.

La modificazione dell’assetto istituzionale e costituzionale non avviene così a seguito del crollo di uno Stato per una rivoluzione di classe o a seguito di un conflitto tra Stati. C’è stato sì uno scontro rivoluzionario e un processo controrivoluzionario che ha modificato le relazioni politiche tra le classi e ha modificato i fattori che avevano caratterizzato la precedente mediazione politica; ma i due processi non sono stati tali da qualificare il passaggio attuale come crisi di Stato.

Il riordino dell’assetto istituzionale è il risultato della ridefinizione degli istituti e della legislazione attraverso cui lo Stato regola i rapporti sociali in modo che, nel contesto storicamente determinato, sostengano l’accumulazione capitalista. Si tratta di una trasformazione di portata complessiva, distinta dai normali interventi di politica economica. Il quadro in cui si svolge tale trasformazione è costituito dai rapporti di forza e politici tra le classi e dalla collocazione della formazione economico-sociale nella divisione internazionale del lavoro. Questo quadro costituisce la condizione e definisce i margini economici disponibili per rendere tra loro compatibili i termini delle contraddizioni.

Il tentativo di De Mita invece mirava a costruire un equilibrio politico-istituzionale che, a partire dalla riorganizzazione dei poteri dello Stato e del sistema politico-istituzionale, ponesse le condizioni per trasformare linearmente il sistema politico, come passaggio prioritario per affrontare poi e governare la riforma del sistema economico-sociale.

Le contraddizioni causate dallo scontro di classe e dallo scontro rivoluzionario confermano che questo passaggio non si presentava come la codificazione degli equilibri politici tra le classi già prodottisi nella fase precedente, ma come la risultante in sede politico-istituzionale dello scontro di classe collegato alle nuove contraddizioni.

La priorità della riforma del sistema economico-sociale di fronte all’accelerazione delle politiche di integrazione europea, trova la sua espressione nel rapporto tra Esecutivo e sede neocorporativa [la sede di cui D’Antona era il dirigente] e nell’assurgere di questa sede a una valenza [importanza e livello] istituzionale. Questa è la formula politica per costruire equilibri politici e sociali in grado di dare risposta alla contraddizione in questa fase dominante sul piano Classe/Stato, cioè in grado di rispondere a tale priorità ridefinendo i termini di governo del conflitto di classe.

La ridefinizione si realizza con l’introduzione del contenuto neocorporativo nella legislazione riguardante la regolazione del sistema economico-sociale e con la instaurazione, a tutti i livelli dello scontro di classe, di strumenti repressivi e preventivi sia di carattere politico-giuridico sia di ordine pubblico. Tale legislazione non solo risponde all’esigenza di indirizzare tutti i fattori economici e sociali a sostenere l’accumulazione capitalista nel quadro dei nuovi termini di concorrenza che pure è una precisa necessità, ma anche incanala le contraddizioni di classe al fine di collocarle sul terreno di una mediazione corporativa degli interessi.

Con ciò la mediazione corporativa degli interessi sociali si combina con l’approccio riformista e con le istanze di riforma economico-sociale, per dare una base materiale alla governabilità. Essa cerca di legare agli interessi della BI quei settori di aristocrazia proletaria e di piccola borghesia che storicamente costituiscono il referente sociale del riformismo. Però questo tentativo si scontra, in particolare in un paese come l’Italia, con l’erosione reale di vantaggi e di tutele che anche questi settori hanno dovuto subire per gli effetti della crisi e delle politiche adottate e perciò è intrinsecamente debole.

Oltre che essere espressione della priorità della riforma del sistema economico-sociale, il rapporto Esecutivo-parti sociali consente

1. di sottrarre la funzione decisionale dell’Esecutivo al potere interdittivo [del Parlamento]: le parti sociali (sindacati, associazioni padronali, ecc.), a differenza della rappresentanza parlamentare, non hanno titolo ad intervenire nella decisione politico-legislativa;

2. di costruire nel paese equilibri politici atti a governare le forzature e a renderle effettivamente sostenibili: l’Esecutivo si rapporta ad apparati radicati nel tessuto sociale perché vi svolgono il ruolo di soggetti nella contrattazione tra capitale e lavoro.

Il ruolo dei sindacati

1. è un ruolo ridefinitosi in chiave neocorporativa sulla base di una rappresentazione dell’interesse della classe operaia esclusivamente come merce forza-lavoro, come componente del ciclo di accumulazione capitalista [interessi particolari e immediati]. Quindi alla classe operaia viene riconosciuto solo il diritto di contrattare il prezzo della forza-lavoro e le condizioni del suo uso nel quadro di una subordinazione alla priorità del processo di accumulazione di cui essa è considerata solo funzione;

2. è un ruolo di contrattazione riconosciuto come fattore economico funzionale [agli interessi della BI] perché garante della lineare gestione dei rapporti sociali di produzione capitalisti [pace in fabbrica];

3. è un ruolo economico-sociale che può mettere in grado di sostenere la governabilità nell’attuazione delle politiche che vengono definite.

A sua volta nella sede neocorporativa l’Esecutivo, espressione di una maggioranza parlamentare che si presenta come espressione dell’interesse generale del paese, ha il ruolo di garantire la corrispondenza tra l’accordo raggiunto in sede di trattativa neocorporativa e la produzione legislativa.

La riforma del sistema economico-sociale nel quadro del progetto di UE-UEM, con la corrispondente ridefinizione delle forme statali e istituzionali, è la contraddizione dominante sul piano Classe/Stato. La negoziazione neocorporativa Stato/parti sociali è stato il perno del progetto che ha costruito gli equilibri politici e sociali che hanno consentito di governare il conflitto di classe. La mediazione neocorporativa è il contenuto generale della composizione di interessi che viene operata e l’introduzione della trasformazione della mediazione politica che lo Stato vuole realizzare. Questa a sua volta sarà la base di un processo più complessivo di ridefinizione che si sviluppa 1. sul piano dell’assetto dei poteri dello Stato 2. sul piano del rinnovato ruolo dell’Italia nelle politiche centrali dell’imperialismo e dei suoi piani di guerra nell’area Europea- Mediterranea- Mediorientale.

Nel breve-medio periodo la contraddizione dominante sul piano Classe/Stato riguarda 1. l’integrazione monetaria europea secondo i criteri e i vincoli concreti del "patto di stabilità" (1997), 2. le tendenze recessive, 3. l’intensificazione dell’intervento politico, militare e diplomatico rivolto ad estendere e a stabilizzare il dominio imperialista. Per questo si rinnovano e si approfondiscono

- sia la necessità 1. di un controllo centralizzato di tutti i fattori del mercato delle merci e della forza-lavoro che è un corollario e un lascito del risanamento del bilancio statale e 2. della riduzione dell’inflazione che hanno permesso l’ingresso dell’Italia nella moneta unica,

- sia la necessità di equilibri politici solidi che sostengano l’interventismo politico-militare.

1. - Il triennio che è iniziato il primo gennaio del 1999 si concluderà con la sostituzione delle monete nazionali con la moneta unica europea, che sancisce l’avvenuta integrazione economica. Durante questo triennio i rapporti economici e monetari tra i paesi dell’area Euro vengono regolati dal "patto di stabilità" che costituisce un approfondimento dei vincoli macroeconomici fissati da Maastricht e che dovrebbe garantire la possibilità di attribuire all’Euro il valore di scambio voluto per sostenere il capitale finanziario europeo nell’ambito della competizione globale.

Dato il nesso tra deficit di bilancio, indebitamento, PIL e valore di mercato dell’Euro, il controllo sulla spesa statale continua ad essere un asse della politica economica per rispettare i vincoli posti dal "patto di stabilità".

Questa condizione e l’approfondimento dell’integrazione obbligano a rendere omogenee le politiche economiche dei diversi paesi europei sul piano delle politiche di bilancio, della liberalizzazione e dell’apertura alla concorrenza.

Risanamento graduale del bilancio statale italiano, taglio dei tassi di interesse bancario secondo i parametri di Maastricht, controllo dell’inflazione raggiunto nel corso degli ultimi anni attraverso la politica dei redditi: sono questi i presupposti su cui l’equilibrio politico dominante [EPD] ha cercato di procedere a un completo riassetto che comprendesse: i livelli della contrattazione, gli incentivi, la decurtazione del costo del lavoro, la riforma degli ammortizzatori sociali, il riordino delle forme contrattuali, la prosecuzione graduale della riforma del sistema pensionistico, il riordino dell’organizzazione dell’impiego della forza-lavoro (orario di lavoro), la revisione progressiva delle norme sui licenziamenti, la riforma della rappresentanza aziendale, le politiche di programmazione industriale, l’impiego di risorse pubbliche interne o provenienti dalla UE.

La necessità e l’urgenza per l’accumulazione capitalista di questo riassetto complessivo sono state accresciute dai riflessi negativi che la crisi asiatica (1997) ha prodotto sulla competitività delle merci italiane e sui profitti e dall’impatto economico negativo che ha la guerra contro la Jugoslavia.

2. - Per assicurare la governabilità è stato necessario combinare assieme

2.1. il disegno teso a comprimere il costo diretto e indiretto della forza-lavoro, a rendere più flessibile il suo prezzo e le condizioni del suo impiego, a cancellare o comprimere certe garanzie e sicurezze sociali,

2.2. il tentativo di promuovere uno sviluppo competitivo che stimolasse e attirasse nuovi investimenti e profitti anche attraverso un limitato e selettivo impiego della spesa pubblica, in una formazione economico-sociale come quella italiana che è tra le più fragili di quelle del centro imperialista.

È su questo terreno che si è cercato di creare un consenso sociale che bilanciasse le contraddizioni generate dalle misure adottate e che l’approfondimento della crisi accentuerà.

L’obiettivo di far crescere il PIL o quantomeno di impedirne la diminuzione nell’attuale contesto di crisi e la contraddizione della disoccupazione (condizione comune a tutti i paesi europei, ma che in Italia è particolarmente resistente ed è spinta in alto dalle politiche economiche adottate nel quadro europeo) pongono urgentemente il problema dello sviluppo. Contemporaneamente la caduta delle residue barriere all’integrazione dei mercati a seguito dell’adozione di politiche di liberalizzazione che acuiscono la concorrenza obbliga ad assumere un indirizzo teso ad accrescere la competitività dei fattori produttivi. È questa una condizione strategica per sostenere i vincoli dei patti e nel contempo per contrastare le tendenze recessive e conservare la collocazione occupata dal paese nell’UEM e nella catena imperialista. L’imperativo di accrescere la competitività e di realizzare uno sviluppo compatibile [con l’accrescimento della competitività] rinnova e approfondisce la necessità di adottare un controllo centralizzato su tutti i fattori di mercato. Ciò pone in primo piano la necessità di rendere più flessibile la forza-lavoro e di comprimere il costo della forza-lavoro nelle sue diverse variabili. La linea che pone al centro queste istanze viene propagandata come funzionale allo sviluppo economico e sociale. In realtà essa è invece strettamente difensiva. Ciò è confermato dalle previsioni di crescita per l’anno in corso che sono ben lontane, inferiori alla metà, da quelle solo molto relativamente rosee del 2,5%, rispetto alle quali veniva proposto lo scambio tra conquiste del movimento operaio sul piano del diritto del lavoro da una parte e dall’altra sviluppo cioè occupazione.

3. - Come se non bastasse, l’impegno militare incide negativamente, già a breve termine, sulla prospettiva di riuscire a combinare ripresa dello sviluppo e aumento della competitività. Esso comporta il rastrellamento di risorse per sostenere le spese. In generale le spese di riarmo (che dovranno essere effettuate per svolgere il ruolo politico-militare corrispondente agli interessi della BI, previsto dai nuovi indirizzi strategici della NATO) impongono vincoli agli indirizzi di gestione del bilancio e alle linee della programmazione economica.

Per l’attuazione di queste politiche è perciò fondamentale il rapporto tra Esecutivo e sindacato confederale. Questi infatti svolge già una funzione economica nella contrattazione tra capitale e lavoro. Occorre quindi renderlo responsabile anche di una nuova linea politica che comporta 1. l’estensione capillare del suo ruolo, 2. la certezza della rappresentatività e la capacità dei soggetti della contrattazione di rappresentare i lavoratori, secondo regole che selezionano a priori le organizzazioni sindacali che sono compatibili con le politiche economiche che devono regolare il quadro generale dei contratti di lavoro, 3. la disponibilità a contenere l’azione conflittuale. Da queste necessità nascono le linee rivolte 1. all’inglobamento attraverso queste regole di nuovi soggetti sindacali, 2. all’allargamento della negoziazione centralizzata a un arco più ampio di forze sociali. Da qui nascono anche un sistema punitivo più rigido e un sistema conciliatorio più diffuso e stringente.

Questi passaggi possono essere realizzati solo nell’ambito della sede neocorporativa e delle relative politiche. Tuttavia la contrazione della base produttiva e la crisi occupazionale (accentuata dalle politiche economiche adottate in questi anni e aggravata dalle prospettive di approfondimento del ciclo recessivo internazionale) costituiscono un forte fattore di contraddizione nel ruolo di questa sede, in particolare nella capacità del sindacato confederale di garantire la tenuta delle politiche che vengono adottate.

I passaggi di riorganizzazione dello Stato dovranno essere definiti attorno all’asse del neocorporativismo e intorno agli equilibri connessi. Essi sono: l’accentramento di ministeri economici, la riorganizzazione della pubblica amministrazione, la riforma fiscale nel senso del sostegno diretto della fiscalità generale al profitto e all’accumulazione capitalista, il federalismo fiscale, la revisione del ruolo delle amministrazioni locali nel senso di rafforzare il loro ruolo di Esecutivo locale attraverso il decentramento, le privatizzazioni, la ridefinizione in senso privatistico dell’intervento economico dello Stato.[F]

L’equilibrio politico dominante [EPD] in cui i DS hanno ruolo centrale, in un passaggio come quello attuale, deve dare soluzione alla contraddittorietà intrinseca di questo modello politico che vede due canali di legittimazione [parti sociali e Parlamento]. Ciò comporta il rafforzamento del ruolo politico dell’Esecutivo 1. con un maggior intervento di proposta legislativa, 2. nell’opera di mediazione tra l’ambito della negoziazione neocorporativa e l’ambito parlamentare.

La rinnovata funzione dell’Esecutivo e della componente DS-CGIL nel combinare e coordinare le funzioni di questi ambiti, nella ricerca dell’equilibrio sufficiente a sostenere il complesso delle politiche che vanno adottate per governare la crisi e il conflitto, ha determinato il ruolo centrale dei soggetti che rappresentano l’Esecutivo nella sede negoziale, anche nel costruire le condizioni dell’unità di questa stessa componente politica [quindi il ruolo centrale di D’Antona]