La Voce 8

Quale organizzazione sindacale?

venerdì 6 luglio 2001.
 

Pubblichiamo questa lettera e facciamo nostra la richiesta del compagno. Quanto alle argomentazioni, chiediamo anche noi ai nostri lettori di mobilitare tutta l’esperienza e la conoscenza che hanno nel campo, per arrivare a una linea di marcia comune e giusta. Ci assumiamo la nostra parte.

La redazione

 

Cari compagni,

noi abbiamo oramai una serie di indicazioni giuste per svolgere il nostro ruolo nella lotta che i lavoratori delle medie e grandi fabbriche condurranno per difendere le loro conquiste dall’attacco che con il loro nuovo governo i padroni faranno con arroganza e ingordigia centuplicata. Non sto a ripeterle. Ci manca però ancora una linea in fatto di organizzazione. Penso che dobbiamo trovarla, definirla e verificarla. La mia è una proposta per iniziare almeno la ricerca.

Per quanto io ne ho finora capito, penso che da una parte dovremmo creare organismi che riuniscano tutti quei lavoratori che condividono e vogliono far valere le nostre parole d’ordine per le lotte rivendicative e d’altra parte che dovremmo far parte delle organizzazioni sindacali a cui è iscritta la massa dei lavoratori, lottare perché la maggioranza dei lavoratori condivida le nostre parole d’ordine, per far valere nelle organizzazioni sindacali (quindi contro l’aristocrazia operaia succube del padrone) la volontà della maggioranza dei lavoratori (beninteso la volontà di oggi, che noi cercheremo sia la più avanzata e più giusta possibile, non la volontà di domani che noi siamo sicuri sarà ispirata al comunismo, ma che oggi è ancora solo in germe) e per prendere la direzione delle organizzazioni sindacali cui appartiene la massa dei lavoratori.

Che i comunisti non possono prendere la direzione delle grandi organizzazioni sindacali dei lavoratori, che è impossibile che i comunisti eliminino la direzione che la borghesia imperialista esercita su di esse tramite l’aristocrazia operaia, è solo uno dei miti generati dalla subordinazione ideologica alla borghesia e uno dei temi della sua propaganda disfattista. L’esperienza storica dice il contrario. Il primo partito comunista italiano riuscì in definitiva a prendere la direzione delle grandi sindacati delle masse. Così è avvenuto anche in altri paesi: in Francia, in Spagna e altrove. Perfino negli USA il partito comunista, prima di cadere in mano ai revisionisti, aveva raggiunto una grande forza nei sindacati che pure erano (più che in ogni altro paese) controllati dal governo, dalla malavita organizzata e da altri organi della controrivoluzione preventiva. Del resto è assurdo pensare che arriveremo ad avere con noi la massa della popolazione nella rivoluzione socialista e non riusciremo ad avere con noi la massa dei lavoratori nelle lotte rivendicative.

Certo, la borghesia imperialista ha bisogno di dirigere le grandi organizzazioni sindacali. Ma per la loro natura, le grandi organizzazioni sindacali hanno bisogno di adesione, consenso e partecipazione delle masse anche per adempiere quel ruolo di cui la borghesia ha bisogno. Questo è il tallone d’Achille della direzione della borghesia imperialista. L’aristocrazia operaia è sorta come mediazione tra la direzione della borghesia e la partecipazione delle masse e personifica questa mediazione.

È vero che l’esperienza degli ultimi vent’anni pare darmi torto. Ma è solo un’apparenza. La verità è che i comunisti oggi non hanno la direzione né dei grandi sindacati né dei piccoli sindacati nati per scissione dai grandi. Questi si sono formati sì, spesso, per iniziativa di compagni, ma facciamo un bilancio del loro ruolo reale alla luce delle nostre concezioni. I punti a loro favore sono 1. che la direzione, in generale, non è legata a doppio filo alla borghesia, come avviene per i grandi sindacati di massa e 2. che hanno meno remore a sostenere rivendicazioni economiche e normative. Ma come scuola di comunismo non sono meglio degli altri e, se consideriamo la lotta economica tra le classi, non incidono più che tanto. Nella maggior parte dei casi che si conoscono, io credo in tutti, la costituzione di sindacati a parte non è servita a concentrare le forze per dare battaglia ed eliminare la direzione esercitata dalla borghesia imperialista tramite la aristocrazia operaia sulle grandi organizzazioni sindacali. Costituendo piccoli sindacati separati si sono sterilizzati una parte combattiva dei lavoratori (sterilizzazione che solo gli opportunisti ritengono compensata adeguatamente dai vantaggi immediati che, nei casi migliori, i piccoli sindacati hanno strappato, dalla tutela che hanno dato ai lavoratori di alcuni mestieri e di alcune categorie) ai fini della lotta per conquistare la direzione delle grandi organizzazioni sindacali e si è lasciato campo libero alla borghesia imperialista (e alla aristocrazia operaia) per dirigere, corrompere e ridurre (liquidare) le grandi organizzazioni sindacali. In questo senso, i piccoli sindacati anche quelli che si proclamano contrari al corporativismo, sono nella pratica, di fatto, più corporativi di quei grandi sindacati che professano il corporativismo.

A me pare che nel nostro paese l’aristocrazia operaia asservita alla borghesia ha avuto gioco facile nei grandi sindacati perché la lotta dei comunisti è stata minata da un fattore di debolezza che la rendeva una battaglia persa in partenza.

Quella lotta è stata condotta senza lo strumento indispensabile costituito dalla direzione di un vero partito comunista. Non è una questione formale o magica. È una questione di forza materiale e morale, di conoscenze e di risorse, di capacità di durare nel tempo e di legami. Comunisti isolati e incerti, spesso addrittura singoli individui, hanno lottato in ordine sparso contro una sperimentata aristocrazia operaia che aveva alle sue spalle la borghesia imperialista. Ovvio che hanno perso. La stessa concezione che li portava a voler fare un sindacato di classe senza partito, era in definitiva una concezione corporativa e anarco-sindacalista e li portò verso la secessione dei lavoratori e la costituzione di sindacati a parte. “Se non riusciamo a convincere i nostri compagni, ce ne andiamo per conto nostro”. Ma senza una certa unità, la lotta sindacale perde forza, viene meno al suo ruolo di scuola di comunismo e nel migliore dei casi degenera in lotta corporativa. Il sindacato non è il partito. Io credo che proprio quei compagni che in una certa misura condividono le nostre concezioni e che partecipano attivamente ai lavori dei sindacati scissionisti, potranno confermare quello che dico. I comunisti riusciranno a condurre una lotta vittoriosa contro l’aristocrazia operaia e la borghesia imperialista, che è retroterra e riserva della aristocrazia operaia, solo se essi stessi saranno uniti in un vero partito comunista. La sua direzione è indispensabile perché essi riescano ad attingere veramente alla loro riserva strategica. Questa è costituita dall’esperienza pratica delle masse. Senza questi due fattori (direzione del partito comunista, mobilitazione dell’esperienza pratica delle masse) la lotta dei comunisti per prendere la direzione delle grandi organizzazioni sindacali è una battaglia persa.

Non pretendo di concludere il discorso. Chiedo che venga aperto. Che si esamini il problema. Perché è certo che dobbiamo avere anche una linea organizzativa in campo sindacale, specifica per le lotte rivendicative.

Spero che ospiterete questa mia lettera e vi auguro buon lavoro.

Francesco (Bologna)