Dibattito Franco e Aperto -

- Sul ruolo degli intellettuali
Lettera di Giuseppe Maj a Pierluigi Sullo direttore di Carta

domenica 19 ottobre 2008.
 

12 ottobre 2008
(anniversario della scoperta dell’America)

A Pierluigi Sullo
direttore di Carta

Oso sperare che l’aggravamento della crisi renda oggi almeno alcuni intellettuali di sinistra più disposti a uscire dagli schemi e dai pregiudizi anticomunisti per cui da alcuni decenni denigrano o almeno hanno abbandonato e avvolto nel silenzio l’esperienza storica e mondiale del movimento comunista, a rompere steccati con cui per anni si sono tenuti alla larga da noi comunisti rivoluzionari maoisti, convalidando l’ostracismo inflittoci dalla classe dominante e a chiedersi il perché delle cose e in primo luogo a chiedere a se stessi coerenza e rigore nei ragionamenti e responsabilità nei comportamenti, insomma rigore intellettuale e morale.

Leggo su Carta quotidiano del 10 ottobre “... questo meccanismo [finanziarizzazione, privatizzazione, ecc. e il connesso trasferimento di ricchezza dai lavoratori alle classi dominanti prima descritto] non è stato compreso e addirittura è stato applaudito dalla maggioranza dei cittadini ...”. Quindi la responsabilità di quanto è avvenuto lei la attribuisce alla maggioranza dei cittadini. Agli intellettuali di sinistra come lei incomberebbe denunciarlo e auspicare che la maggioranza dei cittadini cambi opinione e comportamento.

In realtà è noto che la maggioranza dei cittadini non ha né gli strumenti né il tempo e le condizioni per farsi autonomamente una concezione della situazione. Chi tra gli intellettuali di sinistra non ha, in un’occasione o in un’altra e riferendosi ad altri, constatato e denunciato l’opera di intossicazione e diversione compiuta dai media e dalla politica del regime, la venalità e la corruzione intellettuale oltre che morale ed economica di gran parte dei giornalisti e degli intellettuali in genere, il monopolio dell’informazione? Perché allora attribuire alla maggioranza dei cittadini una responsabilità che non hanno?

Dibattito Franco e Aperto

Il Dibattito Franco e Aperto tra i comunisti, la classe operaia e le masse popolari è uno strumento fondamentale per il successo delle idee giuste sulle idee sbagliate, per la vittoria della classe operaia sulla borghesia, per l’abbattimento della società borghese e la costruzione del socialismo. “Senza dibattito nessuna scienza può svilupparsi” (Giuseppe Stalin).
Dai il tuo contributo alla lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista, contribuisci alla rinascita del movimento comunista, partecipa la nuova ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo! Partecipa al Dibattito Franco e Aperto sui problemi della lotta di classe, della lotta per rafforzare il Partito de della lotta per instaurare il socialismo che il (n)PCI lancia su questa pagina web.
Scrivi a lavocenpci40@yahoo.com

Vediamo le cose un po’ da vicino. Quanti intellettuali di sinistra negli ultimi trent’anni hanno denigrato, contribuito a demolire e abbandonato l’attività comunista di partito (elaborazione, propaganda, organizzazione e azione politica) che permetteva alla maggioranza dei cittadini di conoscere il mondo in cui vivevano e di agire contro le classi dominanti? L’operaio, il pensionato, la casalinga disorganizzati, al di fuori dell’organizzazione di partito e delle organizzazioni di massa derivate, non hanno alcun potere sociale: al massimo parlano al vicino. Per di più non hanno strumenti per conoscere al di là di quello che hanno sotto il naso, se non quello che l’intellettuale gli dice. Affermo e non pretendo dimostrare, perché nella sinistra italiana, almeno da don Milani in qua, sono cose di cui si è ben coscienti e molto si è parlato e scritto. L’intellettuale invece per la sua cultura e le sue relazioni, ha un potere sociale: come lo ha usato, come lo sta usando?

Sembrerebbe ingeneroso ricordare questo a chi, come i promotori di Carta, produce un organo d’informazione di opposizione al regime. Ma un periodico è già un organo di potere, pone la responsabilità di come lo si usa. A parte che l’informazione senza organizzazione e azione politica lascia le cose a mezz’aria, lascia la maggioranza dei cittadini nella passività e diventa un lusso, c’è informazione d’opposizione e informazione d’opposizione ed è risaputo che la denuncia del cattivo presente senza proporre alternativa e senza creare le condizioni che permettono alle masse di lottare per realizzarla, alla lunga genera assuefazione, sfiducia, cinismo, individualismo, rancore e abbrutimento.

Come si concilia la denuncia dell’ordinamento sociale capitalista con la denigrazione e il rifiuto dell’attività politica organizzata, dell’attività comunista di partito, la sola che dà alle masse i mezzi per cambiarlo? Come si concilia l’opposizione all’ordinamento sociale capitalista con la propaganda di alternative del tutto inconsistenti come quella che lei propone della produzione su piccola scala a livello di comunità locali (i gruppi di acquisto solidali)? È una proposta che è stata mille volte sperimentata a partire dall’epoca dei socialisti utopisti dell’inizio del secolo XIX quando l’economia chiusa del feudo era ancora ricordo fresco anche in Europa e che la pratica e la teoria hanno dimostrato essere al massimo in grado solo di riempire nicchie della società moderna e del tutto inadeguata a sostituire la produzione su grande scala a livello mondiale su cui si basa non solo la civiltà moderna ma anche la semplice sopravvivenza dell’umanità attuale. Non è mancanza di responsabilità (di rigore e coerenza intellettuale e morale) propagandare, in una situazione seria e come soluzioni universali, pratiche che per un intellettuale è facile verificare che al più sono attività soggettivamente suggestive, passatempi e hobby piacevoli per alcuni, attività marginali di sopravvivenza per disoccupati e semioccupati malpagati?

Nell’articolo comparso su il Manifesto 9 ottobre La borsa crolla: siamo contenti? lei giustamente dice che la massa della popolazione (lavoratori dipendenti e autonomi, casalinghe, pensionati, studenti, disoccupati) non ha da attendersi niente di buono dagli stati attuali. Ma contestualmente cita con approvazione l’articolo di Riccardo Petrella, L’eredità della crisi finanziaria, pubblicato oltre che sullo stesso numero di il Manifesto anche nel dossier di Carta settimanale sulla crisi (La tempesta perfetta). Ora Petrella sostiene che “tocca agli stati adottare, su basi concordate a livello internazionale, misure urgenti destinate a ...” e di seguito elenca 6 obiettivi di suo gradimento che a suo parere porrebbero fine al “fallimento del sistema capitalista finanziario mondiale” ed eviterebbero che si ripeta. Come può lei rimproverare la maggioranza dei cittadini di non comprendere e poi ammannire una tesi e anche il suo contrario e che si arrangi il lettore a capire?

Ci si può attendere qualcosa di buono dagli stati attuali (come sostiene Petrella che lei avalla come uno che capisce) o non c’è niente di buono da attendersi (sono incapaci di porre rimedio al guaio) come sostiene lei?

Il rimedio è il ritorno alla piccola produzione a livello di comunità che era già la regola nel Medioevo?

Siamo di fronte al “fallimento del capitalismo” oppure al fallimento di una sua particolare versione che Petrella chiama “sistema capitalista finanziario mondiale” e che non escludo abbia descritto in qualche scritto che io non conosco (ma suppongo di essere nella condizione della maggior parte dei lettori di Carta)?

Gli intellettuali di sinistra che vogliono contribuire a porre fine allo stato attuale delle cose (e ne hanno certamente i mezzi), non devono rimproverare la maggioranza dei cittadini e neanche Berlusconi con i suoi complici e cortigiani (questi giocano il ruolo criminale che è loro proprio ed è inutile chiedere loro altro, come è inutile chiedere a una puzzola di non puzzare), ma devono partire da se stessi e dal ruolo sociale che essi svolgono. Hanno conoscenze, strumenti culturali e relazioni per contribuire a creare coscienza e organizzazione che consentano alle masse popolari di decidere e organizzare insieme la propria vita. Da decenni non li stanno usando: si sono adagiati nel conformismo anticomunista e antipartito, che ha contribuito a distruggere anche il potere contrattuale che le masse popolari avevano ereditato dalla stagione della Resistenza antifascista, per non parlare della prospettiva di prendere il potere e costruire un altro mondo, alternativo a quello capitalista, il socialismo. O pensa che siccome i primi paesi socialisti si sono persi per strada, l’umanità è condannata (da chi?) a morire di capitalismo? Gli intellettuali di sinistra possono incominciare a fare quello che non hanno fatto e la crisi può convincere un numero più o meno ampio di loro a cercare altre strade rispetto a quelle che hanno finora praticato, senza sbocco. Ma devono anzitutto compiere essi stessi una rivoluzione intellettuale e morale, rispetto al costume intellettuale e morale cui sono abituati. Smettere di nascondersi dietro la scusa che uno non cambia il mondo: se sono buoni, uno più uno più uno fanno la differenza, la quantità fa qualità. Smettere di invocare (da chi?), al modo della Rossanda, un’alternativa e una prospettiva, smettere di snobbare quelle che ci sono e incominciare a enunciarle, a costruirle e a battersi per realizzarle. Sono depositari di strumenti di conoscenza e d’azione: non li usano e si permettono di accusare quelli che non li hanno!

Non so se oserà affrontare questi temi sul suo periodico. Ma la situazione esige il coraggio di farlo. Se lo ha, le raccomando la lettura del Manifesto Programma del (n)PCI, nonostante la cortina di silenzio con cui la cultura di regime lo circonda.

Le auguro buona ricerca e il coraggio e il rigore dei Lu Hsun. Distinti saluti.

Giuseppe Maj
membro delle Commissione Provvisoria del CC del (n)PCI