Cristoforo Colombo

I fattori favorevoli

Capitolo 4° - La strategia dei comunisti nella metropoli imperialista
martedì 15 agosto 2006.
 

4. La strategia dei comunisti nella metropoli imperialista

-  I fattori favorevoli


I fattori favorevoli

In sintesi il nostro problema è il passaggio al partito. Ma non è una questione di nome. E’ un problema concreto di

1. impianto teorico e linea politica,

2. struttura organizzativa.

Si tratta di costruire un organismo che sappia «suonare il piano con dieci dita», che sappia che musica suonare, che sappia comporre nuove musiche man mano che gli umori e la "temperatura" del pubblico cambiano.

L’epoca della «propaganda armata» è finita. O meglio è finita l’epoca in cui essa era la nostra principale attività. In realtà l’attività combattente non è mai stata l’unica attività delle bande neanche allora (se non nelle peggiori teorizzazioni): la realtà era più forte delle teorie sbagliate! Facevano documenti ed analisi, facevano propaganda anche non armata, ecc. Non è vero che tutti i membri delle bande fossero combattenti neanche in quei tempi, se non come intenzione e disponibilità.

Il superamento della fase della «propaganda armata» significa innanzitutto un programma definito di cose da fare.

I nostri punti di forza sono i risultati obiettivamente determinati nella società italiana e l’esperienza accumulata che dobbiamo ancora sintetizzare, di cui dobbiamo fare ancora il bilancio. Questa esperienza è il più formidabile e ricco patrimonio di conoscenza dei meccanismi di trasformazione delle società imperialiste che oggi sia disponibile. Dobbiamo deciderci a farlo fruttare.

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Esistono una serie di fattori oggettivi favorevoli alla ripresa della nostra iniziativa.

La borghesia non ha da offrire al proletariato e alle masse del nostro e degli altri paesi imperialisti che di privarle di qualcosa che ieri avevano conquistato. La fine del progetto di società del benessere non è avvenuta per nostra volontà. Non ne avevamo neanche coscienza. Noi abbiamo solo espresso a livello della lotta politica, combattendo, quello che indipendentemente da noi stava avvenendo nella realtà materiale della società. Era il corso economico della società che poneva fine al progetto, gli toglieva la sua base indispensabile: la conquista graduale ma diffusa e continua di miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro. Questo corso nessun Dalla Chiesa, nessun Caselli, nessun Peci, nessun Curcio nè l’ha determinato, nè l’ha fermato nè può fermarlo. Giorno dopo giorno, a balzi in alcuni casi e gradualmente in altri, la borghesia sta togliendo, distruggendo le istituzioni e le condizioni che erano gli elementi materiali costitutivi del progetto di costruire una società del benessere.

Il progetto, le parole, l’enunciazione e la proclamazione hanno una vita un po’ più lunga della realtà a cui si riferiscono. Ma quali che siano i discorsi, le promesse, i progetti, gli abbellimenti, i colori e gli scintillii con cui il corso attuale viene ammantato, questo esso è. E’ suicida che le bande non abbiano ancora impugnato la bandiera della difesa dei diritti e delle conquiste economiche, politiche, sindacali, culturali dei lavoratori, che non si siano ancora poste, esse, il partito della lotta armata, anche come il partito dei diritti e delle conquiste dei lavoratori, centro della resistenza delle masse popolari alla «ristrutturazione» e alla reazione politica e culturale.

Una volta affermata e più è acquisita da noi stessi la nostra autonomia, meno abbiamo bisogno di erigere steccati tra noi e i riformisti per evitare che loro contagino noi. Dobbiamo anzi passare all’attacco, mescolarci ad essi per contagiare noi gli elementi migliori delle loro fila. Saranno i riformisti a ritirarsi sempre di più, a rifuggire dalle lotte di massa. Noi non abbiamo cambiato la strategia dei partiti comunisti della 3° Internazionale per rompere con tutti e isolare il proletariato. Al contrario abbiamo corretto la vecchia strategia perchè si è rivelata inadatta ad affermare il ruolo dirigente del proletariato, a legare ad esso le classi intermedie, a centralizzarlo, ad unire il proletariato e paralizzare la borghesia. La verifica della nostra nuova strategia si ha proprio nel fatto che (e se) con essa riusciamo meglio nella pratica a raggiungere quegli obiettivi.

I revisionisti di casa nostra non solo hanno fallito nel progetto di costruire un capitalismo "giusto" che avevano reso possibile e di cui erano l’incarnazione anche quando non ne erano i gestori in prima persona, ma sono ora rigettati come ferrivecchi inutili anche dalla borghesia che non se ne può più servire. La loro azione di diversione e poliziesca non è nulla, ma si è molto indebolita e si indebolirà sempre più. La nostra ripresa acuirà al loro interno le contraddizioni che dobbiamo coltivare ed alimentare con cura, tenendo presente il carattere particolare di questo partito tra i partiti del regime.

Il terreno per la crescita di gruppi diversivi, dei vecchi gruppi rivoluzionari parolai è stato bonificato. Quello che alcuni piangono, appunto l’assenza di «organizzazioni politiche complessive» rivoluzionarie e arcirivoluzionarie nell’ambito della legalità, è un aspetto positivo creato e conquistato. Tutt’altra cosa sono le organizzazioni, sopratutto rivendicative, di protesta, di solidarietà, ecc. che nascono sul terreno del movimento delle masse e svolgono nel suo ambito compiti specifici. Queste proliferano sotto i nostri occhi e prolifereranno ancora di più quando ci decideremo a sostenerle e a svolgere quel lavoro di orientamento, di selezione delle parole d’ordine e degli obiettivi, di unificazione «ideale» che esse per la loro natura non possono svolgere e che è l’alternativa reale e costruttiva ad un’unificazione organizzativa che le porterebbe dritto dritto nel regime.

I revisionisti dei paesi socialisti dopo più di trent’anni di dominio e di esperimenti sono arrivati ad un punto morto. Loro stessi senza rendersene conto confessano il fallimento della loro opera. Quando i gorbacioviani propongono, a trent’anni di distanza, le stesse riforme che proponevano nel 1956 i kruscioviani, ciò è anzitutto la conseguenza e la verifica che le trasformazioni postulate da Krusciov non sono riuscite a tradursi nella realtà delle strutture dei paesi socialisti. In secondo luogo oggi i gorbacioviani sono costretti ad aprire essi stessi la porta a quel movimento di massa che per trent’anni i revisionisti al potere avevano con successo espulso dalla scena. Solo chi ha paura del popolo ed è convinto che il capitalismo sia la tendenza principale e predominante della storia umana può credere che lo sviluppo del movimento delle masse, da cui i revisionisti non possono oramai prescindere, porterà inevitabilmente a rafforzare il capitalismo e che l’avvenire del comunismo è affidato alla resistenza e alla conservazione di un pugno di funzionari.

La borghesia di casa nostra non rinuncia e non rinuncerà ad usare il fallimento dei revisionisti nei paesi socialisti, presentandolo ai lavoratori e alle masse del nostro paese come fallimento del comunismo, per esorcizzare lo spettro del comunismo. Ma un ben maggiore ruolo storico hanno e avranno

-  il venir meno dell’azione di confusione, divisione, corruzione, deviazione e delazione che le direzioni revisioniste dei paesi socialisti hanno esercitato a livello mondiale nel movimento comunista, grazie alle condizioni di forza che i comunisti avevano costruito e che essi avevano ereditato,

-  la ripresa del movimento rivendicativo e politico delle masse e la ripresa del movimento rivoluzionario nei paesi socialisti, la «libertà d’azione» che il fallimento dei revisionisti dà ai proletari e ai comunisti di questi paesi, portatori di un bagaglio di esperienze che ridiventerà prezioso per i comunisti di tutto il mondo.

Il seme della lotta armata e con essa della lotta rivoluzionaria per il potere è stato sparso per tutta l’Europa Occidentale. Non c’è paese dove non abbia attecchito. Il problema oggi è la crescita di questo seme. Il nuovo corso iniziato può radicarsi più profondamente ed espandersi oltre, solo se cresce di livello. Essa ha potuto nascere (e non poteva nascere che) come risultato della verifica di dove poteva arrivare il progetto di società del benessere, quindi sulle basi poste dal fallimento di tale progetto. Essa è venuta al mondo generata dal proposito di sviluppare la società borghese oltre quanto ad essa era compatibile, proposito che ovviamente sorse in un momento in cui la società borghese era giunta all’apice del suo sviluppo e quindi generava questi propositi del tutto contrastanti con l’inversione già in atto della tendenza in campo economico, con la fine del periodo di sviluppo economico e l’inizio del declino. Essa è venuta al mondo grazie allo sbandamento e alle contraddizioni che l’inversione della tendenza economica generava nella classe dominante, la cui crisi apriva un varco nel quale si rovesciarono il malcontento e le aspirazioni popolari. Essa può svilupparsi oltre un certo limite solo se procede sulle nuove basi che essa stessa ha posto, sulle basi poste dal successo del suo inizio, solo se anche in Europa Occidentale il partito della lotta armata diventa anche il partito della difesa dei diritti e delle conquiste dei lavoratori.