Cristoforo Colombo

Le condizioni per il successo del movimento rivoluzionario del proletariato nell’epoca imperialista

Capitolo 2° - La crisi del movimento rivoluzionario
martedì 15 agosto 2006.
 

2. LA CRISI DEL MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO

La «crisi del movimento rivoluzionario» è diventata oramai un luogo comune. E’ un tema obbligato sia della borghesia e dei suoi portavoce tradizionali e nuovi, sia di molti esponenti del movimento rivoluzionario. In questo capitolo cercheremo di capire in cosa consiste questa crisi e cosa dobbiamo fare per uscirne.

-  Le condizioni per il successo del movimento rivoluzionario del proletariato nell’epoca imperialista


Le condizioni per il successo del movimento rivoluzionario del proletariato nell’epoca imperialista

I movimenti rivoluzionari che vi sono sviluppati nella fase imperialista del capitalismo, sia quelli che hanno conquistato il potere sia quelli che sono stati sconfitti, contengono profondi insegnamenti circa le condizioni in cui nasce e puo aver successo un movimento rivoluzionario proletario nella fase imperialista in Europa. Dobbiamo imparare da questo patrimonio di esperienza.

Uno dei nostri testi di scuola sono la storia del movimento rivoluzionario russo del 1905 e del 1917, tedesco del 1918-20 e 1923, ungherese del 1918-19, del movimento rivoluzionario dei paesi dell’Europa Orientale negli anni 1918-1919, del movimento operaio e popolare italiano e inglese degli anni 20, del movimento rivoluzionario spagnolo degli anni 30 e, ancora, la storia della lotta delle masse popolari dei paesi europei contro il nazifascismo nel contesto della 2° Guerra Mondiale: insomma la storia del movimento delle masse nei paesi europei nella fase imperialista (19).

Anche questo fu indice dell’inizio difficile delle bande, della incomprensione che in realtà «ci si era messi in mare verso l’America e non verso le Indie».

Questa storia conferma l’importanza della scoperta fatta dalle bande, cioè i caratteri che deve assumere l’azione rivoluzionaria del partito comunista nei paesi imperialisti, cosa di cui parleremo più avanti.

Ma questa storia illustra anche i limiti delle concezioni che guidarono le bande negli anni 70, gli errori nella concezione del movimento della società, del movimento delle masse, del ruolo delle masse e del rapporto tra l’avanguardia e le masse che ci ha guidato. Per questo una parte della nostra autocritica attuale è comprendere l’insegnamento di questa storia.

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Lenin nel 1920 tirò un bilancio dell’esperienza del movimento delle masse nei paesi europei nella fase imperialista che si era avuto fino a quel momento. Lenin aveva di mira gli estremisti quali i «comunisti di sinistra», i settari, i soggettivisti, i militaristi, i meccanicisti, ecc., cioè i compagni che sottovalutavano il ruolo del movimento delle masse nella rivoluzione, ossia la sua relativa autonomia dall’azione del partito e la relativa dipendenza del partito dal movimento delle masse. In definitiva Lenin aveva di mira i compagni che sottovalutavano il ruolo della componente oggettiva, quella su cui nulla direttamente possono l’azione e l’iniziativa consapevoli e mirate di individui, di organismi, del partito e di conseguenza avevano una concezione vaga e miracolistica del rapporto del partito con questo elemento oggettivo, nel senso: noi facciamo la nostra parte che alla fine le masse si muoveranno.

Mirando a questo bersaglio, Lenin dall’esame della esperienza del movimento delle masse nei paesi europei fino al 192O concludeva che «la legge fondamentale della rivoluzione, confermata da tutte le rivoluzioni e particolarmente da tutte e tre le rivoluzioni russe del ventesimo secolo, consiste in questo: per la rivoluzione non è sufficiente che le masse sfruttate e oppresse siano coscienti dell’impossibilità di vivere come per il passato ed esigano dei cambiamenti; per la rivoluzione è necessario che gli sfruttatori non possano più vivere e governare come per il passato. Soltanto quando gli «strati inferiori» non vogliono più il passato e gli «strati superiori» non possono fare come per il passato, soltanto allora la rivoluzione può vincere. In altri termini, questa verità si esprime così: la rivoluzione non è possibile senza una crisi di tutta la nazione (che coinvolga cioè gli sfruttati e gli sfruttatori). Per la rivoluzione bisogna, dunque, in primo luogo, che la maggioranza degli operai (o per lo meno la maggioranza degli operai coscienti, pensanti, politicamente attivi) comprenda pienamente la necessità del rivolgimento e sia pronta ad affrontare la morte per esso; in secondo luogo, che le classi dirigenti attraversino una crisi di direzione che trascini nella politica anche le masse più arretrate (l’inizio di ogni vera rivoluzione sta in questo: che tra le masse lavoratrici e sfruttate, apatiche fino a quel momento, il numero degli uomini atti alla lotta politica aumenta rapidamente di dieci e persino di cento volte), indebolisca il governo e renda possibile ai rivoluzionari il rapido rovesciamento di esso.» (Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo).

Una delle condizioni per il successo di un movimento rivoluzionario del proletariato nella società imperialista è che si sia creata una diffusa disponibilità delle masse a battersi. Che si sia creata una situazione in cui ampi strati delle masse non vedano e non abbiano altra via d’uscita che quella che esse stesse si aprono combattendo, una situazione in cui tutto lo spirito di conservazione e tutti gli istinti vitali di ampie masse, proprio quelli che la borghesia ha creato a proprio uso, si concentrino nella direzione del rovesciamento dell’ordine costituito.

Contemporaneamente occorre che la classe dominante sia anch’essa arrivata ad un punto morto, in cui non può più procedere come il solito, per via ordinaria. Un punto in cui i contrasti interni di interessi e di linee politiche da seguire determinano la paralisi delle sue istituzioni, proprio mentre al contrario alla classe dominante è necessaria un’azione più energica e straordinaria che mai, sia nei contenuti sia negli organismi che la attuano, per far uscire tutta la società dal collasso del processo di produzione e riproduzione a cui è arrivata per le leggi oggettive del vecchio sistema. Per spiegarci basta guardare alla situazione della società USA nei primi anni 30, alla vigilia dell’ascesa di Roosevelt al potere o alla situazione della Germania nei primi anni 30, prima dell’ascesa al potere di Hitler.

Lenin nello scritto «Il fallimento della 2° Internazionale», nel 1915, aveva esposto «le idee marxiste sulla rivoluzione, le quali, molte e molte volte, sono state esposte e accettate come indiscutibili da tutti i marxisti». Lenin questa volta aveva di vista gli opportunisti e gli attendisti, allo scopo di prevenire le loro critiche diversive.

«Per un marxista è cosa certa che nessuna rivoluzione è possibile in mancanza di una situazione rivoluzionaria. Non è poi detto che ogni situazione rivoluzionaria sbocchi in una rivoluzione. Quali sono, in generale, i sintomi di una situazione rivoluzionaria? Siamo sicuri di non sbagliarci nell’indicare i tre seguenti elementi:

1. L’impossibilità da parte delle classi dominanti di conservare il proprio dominio senza modificarne la forma; una qualche crisi negli «strati superiori», una crisi nella politica della classe al potere che apre una falla nella quale si incuneano il malcontento e l’indignazione delle classi oppresse. Per lo scoppio della rivoluzione ordinariamente non basta che «gli strati inferiori non vogliano», ma occorre anche che «gli strati superiori non possano» più vivere come per il passato;

2. un aggravamento, maggiore del solito, dell’angustia e della miseria delle classi oppresse;

3. in forza delle cause suddette, un incremento sensibile dell’attività delle masse le quali, nei periodi «pacifici», si lasciano tranquillamente derubare, ma che nei momenti di crisi sono spinte, sia da tutto l’insieme della crisi, cha dagli stessi «strati superiori», ad un’azione storica indipendente.

In mancanza di queste modificazioni oggettive, indipendenti dalla volontà di gruppi isolati e dei partiti, nonchè da quella di singole classi, la rivoluzione è, di regola, impossibile. L’insieme di queste modificazioni oggettive si chiama situazione rivoluzionaria. Una tale situazione si presentò in Russia nel 1905 e in tutte le epoche rivoluzionarie in occidente; ma essa si presentò anche nel 1860 in Germania e nel 1859-1861, 1879-1880 in Russia, sebbene in questi casi non vi sia stata una rivoluzione. Perchè? Perchè la rivoluzione non nasce da tutte le situazioni rivoluzionarie ma solo da quelle situazioni nelle quali, alle trasformazioni oggettive sopra indicate, si aggiunge una trasformazione soggettiva, cioè la capacita della classe rivoluzionaria di compiere azioni di massa abbastanza forti da spezzare o almeno incrinare il vecchio regime che, anche all’apice della crisi, non cade se non lo si fa cadere.».

Sempre Lenin, in L’estremismo, malattia infantile del comunismo, afferma che «l’esperienza della vittoriosa dittatura del proletariato in Russia ha dimostrato con evidenza, a coloro che non sanno pensare o non hanno mai dovuto meditare su questo problema, che una centralizzazione assoluta e la più severa disciplina del proletariato sono condizioni essenziali per la vittoria sulla borghesia.».

Ogni rivoluzione è fondamentalmente un’azione di violenza, di dittatura e d’imposizione. L’azione apparentemente autonoma di milioni di individui e di organismi confluisce nella distruzione della vecchia classe dominante e delle istituzioni del suo potere e nella creazione di nuove istituzioni che permettono la ripresa del processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza e delle sovrastrutture necessarie. Nel corso di ogni rivoluzione si determinano sempre passaggi decisivi. Se non si è in grado di sfruttarli, muovendosi e colpendo tempestivamente nei punti giusti ed inesorabilmente, le rivoluzioni si sgonfiano o vengono soffocate. La rivoluzione è un’arte e in più un’arte che non ammette repliche e appelli.

Tutti i movimenti rivoluzionari nei paesi imperialisti hanno dimostrato che «una centralizzazione assoluta e la più severa disciplina del proletariato sono condizioni essenziali per la vittoria sulla borghesia». Questo presuppone una grande disciplina della sua avanguardia organizzata, il partito comunista. Presuppone una grande capacità di ogni sua parte di muoversi di propria iniziativa coerentemente con un piano comune, una grande capacità di orientare conformemente a ciò l’attività delle masse. Questo implica a sua volta che il partito abbia obiettivi conformi agli interessi fondamentali delle masse e sappia farli emergere come tali nel processo pratico delle masse; in caso contrario la direzione del movimento delle masse da parte del partito risulterà impossibile.

«Da che cosa è mantenuta la disciplina del partito rivoluzionario del proletariato? Da che cosa viene messa alla prova? Da che cosa viene rafforzata?

In primo luogo, dalla coscienza dell’avanguardia proletaria e dalla sua devozione alla rivoluzione, dalla sua fermezza, dal suo eroismo.

In secondo luogo, dalla capacità di questa avanguardia di collegarsi, di avvicinarsi, di unirsi fino ad un certo punto, di fondersi se volete, con la più grande massa dei lavoratori, dei proletari innanzi tutto, ma anche con la massa lavoratrice non proletaria.

In terzo luogo, dalla giustezza della direzione politica realizzata da quest’avanguardia, dalla giustezza della sua strategia e della sua tattica politica, a condizione che le grandi masse si convincano per propria esperienza di questa giustezza.

Senza queste condizioni, la disciplina di un partito rivoluzionario, realmente capace di essere il partito di una classe d’avanguardia che deve rovesciare la borghesia e trasformare tutta la società, non è realizzabile. Senza queste condizioni, i tentativi di creare una disciplina si trasformano inevitabilmente in bolle di sapone, in frasi, in farse.» Come ben sanno, aggiungiamo noi, gli ex membri del MLS, del PC(m-l)I, dei vari servizi d’ordine degli anni 70. «D’altra parte, queste condizioni non possono sorgere di colpo. Esse sono il risultato di un lungo lavoro, di una dura esperienza; la loro elaborazione viene facilitata da una teoria rivoluzionaria giusta, e questa, a sua volta, non è un dogma, ma si forma in modo definitivo solo in stretto legame con la pratica di un movimento veramente di massa e veramente rivoluzionario.» (Lenin, L’estremismo, malattia infantile del comunismo).

Dunque la condizione necessaria per il successo - attenzione, non per l’esistenza, ma per il successo, la vittoria, la conclusione della tappa dell’eliminazione del vecchio Stato, del vecchio potere, della vecchia classe dominante e l’instaurazione del nuovo potere - di un movimento rivoluzionario del proletariato nella società capitalista moderna, quindi condizione necessaria per la rivoluzione in senso pratico e reale (non per quel processo nebuloso di cui si riempiono la bocca parolai d’ogni genere) è l’esistenza di un partito che sia:

-  comunista per la concezione del mondo e il programma di trasformazione della società su cui si è formato e che vuole realizzare,

-  saldamente radicato nella classe operaia di cui deve comprendere la parte d’avanguardia e in cui deve avere le proprie organizzazioni fondamentali,

-  deciso a conquistare il potere per il proletariato, quindi in questo senso non «democratico», e cresciuto per questo scopo e in conformità a questo scopo,

-  guidato da una giusta comprensione delle forze e delle tendenze economiche e politiche in campo;

un partito che abbia creato e collaudato tra i suoi membri un rapporto in cui le decisioni possano essere prese tempestivamente ed attuate con disciplina e spirito d’iniziativa, un rapporto in cui la percezione dello stato d’animo delle masse e la conoscenza delle situazioni siano tempestivamente raccolte e concentrate negli organi dirigenti;

un partito che riunisca membri distribuiti nella maggior parte dei punti, dati dalla configurazione effettiva della società, in cui le masse si uniscono e iniziano a muoversi, membri capaci in quei punti di indirizzare l’energia rivoluzionaria delle masse nella direzione giusta.

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Se per quanto riguarda l’autocritica all’idealismo, al soggettivismo, al militarismo e al movimentismo riflettiamo sulla storia delle bande, alla luce delle affermazioni di Lenin, non possiamo che constatarne la profonda verità.

E non vale obiettare che Lenin in realtà parlava delle condizioni necessarie per la conquista del potere, per l’insurrezione, per «l’ultima e decisiva battaglia» e non delle condizioni per l’esistenza e la lotta di un partito comunista, per la conduzione di un’attività politica rivoluzionaria. Perchè noi qui ci stiamo occupando della crisi del movimento rivoluzionario e gran parte del disorientamento in cui ristagnano i nostri compagni crisaioli deriva appunto dalla sensazione confusa per alcuni, dalla convinzione espressa per altri che negli anni 70 abbiamo «mancato il colpo», abbiamo fallito nella conquista del potere.

Finchè non avremo chiaro che la conquista del potere negli anni 70 non era una possibilità reale e dunque che non è questo ciò in cui abbiamo mancato, ci precludiamo la possibilità di comprendere in cosa consiste effettivamente la nostra attuale crisi e in cosa quindi dobbiamo darci da fare per superarla.

Anche la storia degli anni 70 mostra che non c’è scappatoia: abbiamo bisogno di un partito centralizzato, disciplinato, ma nello stesso tempo la disciplina e la compattezza di questo partito è inevitabilmente, oltre che un obiettivo consapevolmente perseguito dai suoi membri e quindi frutto della loro coscienza e della loro dedizione alla causa, un risultato di una linea giusta e di un giusto legame con le masse.

Chi paventa i rischi di una simile concentrazione di forze e di un simile rapido succedersi delle azioni, è come chi vuol nuotare senza bagnarsi.

Nel partito un rapporto tra i suoi membri, come quello descritto sopra, non si improvvisa, nè bastano gli statuti a crearlo. L’esperienza dei partiti comunisti improvvisati in Europa nel corso stesso della mobilitazione rivoluzionaria delle masse negli anni 1918 - 1920 dimostra chiaramente la prima tesi. L’esperienza dei partiti comunisti disciplinati dalla 3° Internazionale Comunista durante gli anni 20 dimostra chiaramente anche la seconda tesi. Un tale rapporto nel corpo del partito è basato, oltre che sulla linea organizzativa e sullo statuto, su un’esperienza collettiva che l’avanguardia sedimenta dalle masse e sul prestigio e sull’autorità che chi dirige acquista, grazie alla ripetuta dimostrazione di saper affrontare e risolvere vittoriosamente situazioni difficili.

Un rapporto del genere indicato da Lenin tra il partito e le masse non si istaura con qualche comizio o con l’esposizione di un bel programma, ma con la ripetuta esperienza pratica che il partito sa trovare soluzioni, che il partito sa trovare risposte, che sa resistere e combattere con successo, che sa assorbire e valorizzare quanto di sano, di attivo e di rivoluzionario si sviluppa nel proletariato e in generale nella società, che sa guidare le masse alla vittoria.

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Queste sono lezioni che si traggono dal movimento storicamente avutosi nelle società imperialiste. Esse sono espresse in altro modo dalla teoria del movimento economico delle stesse società. Nelle società in cui il processo di produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza ha raggiunto un alto grado di socializzazione (di divisione del lavoro e di integrazione, interdipendenza e connessione dei diversi lavori), una rivoluzione può vincere solo se il meccanismo sociale di produzione è comunque già di per se stesso bloccato, indipendentemente e prima della rivoluzione (20). Solo a quel punto le iniziative politiche, e tra esse quelle militari, di organismi, individui e classi assumono un ruolo determinante ai fini degli sviluppi ulteriori.

L’attività dei comunisti consiste:

1.- Nell’evitare che il peggio generi nelle masse panico, rassegnazione, soggezione e docilità alla classe dominante. Ma nel far sì che generi un’azione efficace, mirata allo scopo di superare il peggio in cui la vecchia società le ha precipitate, eliminando la vecchia classe dominante e prendendo nelle proprie mani il proprio destino, ossia la ricostruzione della società su nuove basi. E non c’è maggiore stimolo all’azione, per masse ridotte allo stremo e animate di odio contro chi le ha precipitate nella condizione in cui si ritrovano, che il successo - che presuppone la giusta direzione - delle iniziative che comunque le masse iniziano a prendere. Questo è un tratto caratteristico delle situazioni rivoluzionarie: che le masse sono comunque costrette a muoversi, perchè la società deve comunque cambiare, o in senso rivoluzionario o in senso controrivoluzionario dal momento che il vecchio ordine non può continuare, è rotto. Quello che è in sospeso ed è ancora da decidere, è in quale direzione le masse si muoveranno. Quì - e non nel «creare il peggio»: che sarebbe un proposito vano in pratica e controproducente come tesi - è quindi essenziale il ruolo di un partito legato alle masse e dotato di una giusta linea politica, cose entrambe che non si improvvisano.

2.- Nell’impedire, rompere i tentativi della classe dominante di riorganizzare su nuove basi il proprio potere, quindi di uscire a suo modo dal peggio, dalla situazione di collasso del processo di riproduzione e di disgregazione del suo apparato politico. E anche in questo è essenziale il ruolo del partito, sia con azioni proprie (ad esempio, non possiamo escludere che l’eliminazione di Hitler nel 1930 avrebbe reso impossibile alla borghesia tedesca e internazionale di trovare nel regime nazista una nuova forma vincente del proprio potere in Germania e questa eliminazione poteva essere opera anche solo di un organismo di partito), sia indirizzando giustamente a tal fine l’attività delle masse (il partito bolscevico che bloccò l’azione di Kornilov contro il Governo Provvisorio nel giugno del 1917 portando a battersi contro Kornilov le masse in subbuglio contro il Governo Provvisorio).

Le menate sul «tanto peggio, tanto meglio» oltre che armi propagandistiche della borghesia contro i comunisti e a favore della collaborazione delle classi oppresse con la classe dominante, possono essere serio (per quanto possono essere seri!) oggetto di riflessione solo per i soggettivisti che credono che il movimento economico della società dipenda dall’attività delle loro persone e quindi possono porsi seriamente il dilemma se incepparlo o no!

Alla luce di queste lezioni dobbiamo esaminare le possibilità che la situazione della società italiana degli anni 70 offriva al movimento rivoluzionario. Chi sentenzia indipendentemente da queste esperienze deve dimostrare perchè queste esperienze non sono valide per la società italiana degli anni 70.