Progetto di Manifesto Programma - Capitolo III

3.1 Bilancio dell’esperienza della lotta di classe nel nostro paese

martedì 29 agosto 2006.
 

indice del Progetto di Manifesto Programma


indice del Capitolo III

Indice

  1. Bilancio dell’esperienza della lotta di classe nel nostro paese
    1. Le origini del movimento comunista
    2. Il primo Partito comunista italiano
    3. I primi tentativi di ricostruire il partito comunista
    4. La situazione attuale e la putrefazione del regime DC
    5. La ricostruzione del partito comunista


Bilancio dell’esperienza della lotta di classe nel nostro paese

Le origini del movimento comunista

È in Italia che il modo di produzione capitalista incominciò ad affermarsi, facendo leva sulla piccola produzione mercantile che viveva ai margini e nelle pieghe del mondo feudale. Già nel secolo XI Amalfi ed altri comuni della penisola avevano sviluppato ad un livello relativamente alto un’economia capitalista in cui la forma principale del capitale era il capitale commerciale. Lo sviluppo del modo di produzione capitalista proseguì in varie parti della penisola nei secoli successivi. In campo politico lo sviluppo del capitalismo è alla base delle guerre che imperversarono nella penisola nei secoli XI-XVI; in campo culturale è alla base della rigogliosa cultura del periodo e dell’influenza che per la seconda volta nella sua storia l’Italia ebbe in Europa e in tutto il mondo. La ragione alla base dei contrasti politici e culturali dei secoli XI-XVI è la lotta tra il nascente modo di produzione capitalista e il mondo feudale che, con alla testa il Papato di Roma, opponeva una resistenza tanto più accanita perché trovava sostegno e alimento nel resto d’Europa più arretrato. È solo alla luce di questa lotta che i vari episodi della vita politica e culturale dell’epoca cessano di essere una successione e una combinazione di eventi casuali e arbitrari e si mostra il nesso dialettico che li unisce.

La lotta tra il nascente modo di produzione capitalista e il vecchio mondo feudale ebbe una svolta nel secolo XVI quando lo sviluppo dei rapporti di produzione borghesi venne arrestato dalle forze feudali guidate dal Papato (Controriforma). Per alcuni secoli lo sviluppo delle forze produttive fu lento, con periodi di ristagno e di arretramento e in alcuni casi di tipo coloniale. Da allora l’Italia subì a lungo anche la dominazione straniera, aperta o dissimulata, conseguenza proprio del contrasto non risolto tra una borghesia che non aveva la forza di spazzar via il mondo feudale e un mondo feudale che non poteva ritornare al passato. Da allora iniziò la decadenza del nostro paese che non ha mai più riacquistato il ruolo che per ben due volte aveva avuto nella storia europea e mondiale. Il nostro paese costituisce quindi un grande esempio storico di come, quando un paese ha sviluppato un modo di produzione superiore, se la lotta tra le classi che sono portatrici del vecchio e del nuovo modo di produzione non si conclude con una trasformazione rivoluzionaria dell’intera società, essa si conclude con la comune rovina delle due classi.

"La storia di ogni società finora esistita è storia di lotte tra classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in una parola oppressori e oppressi sono sempre stati in contrasto fra di loro, hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte nascosta, a volte palese: una lotta che finì sempre o con una trasformazione di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta".


K. Marx-F. Engels, Manifesto del partito comunista (1848), cap. 1, in Opere complete, vol. 6.

L’unità e l’indipendenza del nostro paese sono state conquistate solo nel secolo scorso, tra il 1848 e il 1870, dopo più di tre secoli di blocco dello sviluppo borghese, come conseguenza della Rivoluzione europea del 1848 che diede il via all’unità e all’indipendenza dell’Italia e della Germania, i paesi sedi delle due istituzioni più tipiche del mondo feudale in Europa: il Papato e il Sacro Romano Impero Germanico. Nel frattempo il modo di produzione capitalista si era pienamente sviluppato in Inghilterra, in Francia e altrove, aveva creato l’attività industriale come settore economico autonomo dall’agricoltura e ne aveva fatto il centro della produzione e riproduzione delle condizioni materiali dell’esistenza, aveva conquistato in larga misura l’agricoltura stessa e iniziava già ad entrare nell’epoca imperialista. Era oramai troppo tardi perché la rivoluzione democratico-borghese in Italia si sviluppasse come mobilitazione in massa dei contadini a distruggere i rapporti feudali. Ma era ancora troppo presto perché la classe operaia assumesse il ruolo dirigente nel movimento di liberazione e di unificazione nazionali in una rivoluzione di nuova democrazia. L’antagonismo di classe tra proletariato e borghesia era già troppo sviluppato perché la borghesia osasse portare a fondo la rivoluzione antifeudale mobilitando i contadini a distruggere i rapporti feudali e ad eliminare le forme di possesso feudali. Ma d’altra parte la classe operaia non era ancora abbastanza sviluppata per assumere il ruolo dirigente nella rivoluzione. La classe operaia fu la forza principale della rivoluzione del 18 marzo 1848 a Milano, fece le barricate e pagò di persona, ma fu la borghesia a raccogliere i frutti di quella rivoluzione. La borghesia inglese aveva giustiziato il suo re Carlo I già nel 1649, la borghesia francese aveva fatto fare la stessa fine al suo re Luigi XVI nel 1793. La borghesia italiana invece scese a patti con i re e si accontentò di un compromesso con le residue forze feudali (il Papato, la chiesa cattolica, la monarchia, i grandi agrari latifondisti e le restanti istituzioni, sette, ordini, congregazioni e società segrete del mondo feudale) e della loro trasformazione attraverso l’integrazione graduale nel mondo capitalista.

Questa rivoluzione borghese monca è la causa della nascita della “questione meridionale” e delle caratteristiche specifiche della borghesia italiana. Le vecchie forme feudali col loro localismo sono state mantenute ed assorbite nella nuova società borghese e quindi è stata conservata la diversità sociale delle varie regioni che permane nonostante la grande migrazione avvenuta dopo la Seconda guerra mondiale. Qui sta anche il motivo per cui in Italia i contrasti tra classi e i contrasti tra settori produttivi diventano facilmente contrasti territoriali e mettono in pericolo l’unità dello Stato (movimenti federalisti e secessionisti). La questione della grande industria è principalmente la questione della Lombardia, del Piemonte e della Liguria; la questione della piccola e media impresa è principalmente la questione del Veneto e dell’Emilia-Romagna; la questione della piccola produzione col suo variopinto mondo di padroncini, lavoratori autonomi e dipendenti, del semiproletariato e del pubblico impiego è principalmente la questione delle regioni meridionali; ecc.

"I rapporti tra industria e agricoltura ... hanno in Italia una base territoriale. Nel Nord prevalgono la produzione e la popolazione industriale, nel Sud e nelle isole la produzione e la popolazione agricola. In conseguenza di ciò, tutti i contrasti inerenti alla struttura sociale del paese contengono in sé un elemento che tocca l’unità dello Stato e la mette in pericolo".


Tesi di Lione (1926), cap. 4, tesi 8.

Dopo l’unificazione del paese, la lotta della classe operaia per il socialismo si è svolta nell’ambito di un paese imperialista. Tappe riassuntive di questa lotta sono state la fondazione del Partito socialista italiano nel 1891 e la fondazione del primo Partito comunista italiano nel 1921.

Nel nostro paese la lotta tra le classi è stata molto acuta, con grande partecipazione delle masse popolari. Durante la prima crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale (1910-1945) e la connessa lunga situazione rivoluzionaria, dapprima vi fu un diffuso movimento rivoluzionario delle masse nel corso e dopo la Prima guerra mondiale (Biennio rosso). Esso però mancava di direzione, il PSI non cercò nemmeno di assumerne la direzione. La borghesia imperialista ne venne a capo ricorrendo essa stessa alla mobilitazione reazionaria delle masse e creando per prima al mondo un regime fascista.

Il fascismo, regime terroristico della borghesia imperialista, ha portato a compimento le tendenze negative della borghesia italiana negandone le conquiste positive.

1. Il fascismo ha dato (con il Concordato e i Trattati Lateranensi firmati l’11 febbraio 1929) forma compiuta al compromesso con il Papato costituendo nel Vaticano il gruppo imperialista più potente operante in Italia, probabilmente non secondo a nessuno dei numerosi gruppi politico-religioso-finanziari che in varie parti del mondo si sono costituiti nella fase imperialista del capitalismo. Esso iniziò la sua vita ricco dell’esperienza organizzativa e delle relazioni diplomatiche ed ecclesiastiche ereditate dal vecchio Stato pontificio, delle donazioni finanziarie e immobiliari concesse dallo Stato italiano, delle prerogative dell’indipendenza statale e delle immunità per le sue attività in Italia, delle relazioni privilegiate con larga parte della popolazione italiana saldamente organizzata nelle strutture delle curie, delle parrocchie, delle associazioni, delle scuole, delle strutture ospedaliere e delle opere pie, delle sue relazioni e diramazioni internazionali. Combinando la forza finanziaria e l’influenza morale, il Vaticano ha da allora tenuto in pugno la borghesia italiana, sostenendola nella sua lotta contro la classe operaia, il proletariato e le masse popolari. Da allora il Vaticano è diventato il centro di una combinazione di forze economiche, finanziarie, politiche, culturali e morali che ne hanno fatto il baluardo più forte di tutte le forze reazionarie e il capofila della reazione, dell’arretratezza, dello sfruttamento, della miseria e della illegalità dominante nel paese, un centro che governa il paese senza avere la responsabilità, l’impopolarità e gli altri inconvenienti del governo diretto di un gruppo di oppressori e sfruttatori. Un’istituzione tale che chi vuole aprire una via di progresso al paese, in Italia deve eliminare il Vaticano.

2. Il fascismo ha portato alla negazione l’opera compiuta nel secolo scorso dalla borghesia per la costruzione di un proprio Stato e la conquista di un ruolo indipendente tra gli Stati borghesi. Ha portato prima alla soggezione alla Germania e si è concluso poi con la soggezione agli USA. Da allora la borghesia imperialista italiana fa affari barcamenandosi nei margini creati dai contrasti tra i gruppi imperialisti USA e quelli delle altre grandi potenze. In Italia la libertà d’azione dei gruppi imperialisti stranieri e delle rispettive bande spionistiche e d’azione si combinano con l’azione autonoma dei gruppi imperialisti italiani e dei singoli brandelli del loro Stato. Vaticano, Stato USA, gruppi imperialisti italiani sono, nell’ordine, le forze che dirigono lo Stato italiano.

D’altra parte il fascismo ha introdotto gran parte delle innovazioni sul piano strutturale di cui è vissuto anche il regime DC: banca centrale, industria di Stato, grandi lavori pubblici, strutture per la ricerca, consorzi agrari, enti previdenziali, ecc. Insomma le innovazioni e gli istituti che si riassumono nella creazione di un sistema di capitalismo monopolistico di Stato.

Il primo Partito comunista italiano

Il Partito comunista italiano, creato dalla Internazionale Comunista, ha avuto in Antonio Gramsci (1891-1937) il suo primo e unico grande dirigente che ha cercato di fare di esso il partito rivoluzionario della classe operaia. Nella lotta contro il regime fascista, che il PCI diresse nel quadro dell’Internazionale Comunista, il partito fece raggiungere alle masse popolari e alla classe operaia un livello di forza quale non avevano mai avuto prima, culminato nella guerra partigiana (Resistenza) degli anni 1943-1945.

CARC, Il punto più alto raggiunto finora nel nostro paese dalla classe operaia nella sua lotta per il potere (1995).
Le text est disponible en français /Il testo è disponibile in francese

Tuttavia il PCI non riuscì a sviluppare realmente una linea specifica per la rivoluzione socialista nel nostro paese e non riuscì quindi a portare la classe operaia al potere. Perché?

A partire dalla sua fondazione il partito raccolse indubbiamente la parte più avanzata della classe operaia italiana. Esso tuttavia non riuscì a realizzare il compito della bolscevizzazione, come trasformazione di un partito che riuniva già la parte migliore della classe operaia in un partito rivoluzionario. In cosa consiste il carattere rivoluzionario del partito comunista? Anzitutto nella teoria rivoluzionaria che lo guida, cioè nella concezione materialista dialettica del mondo e nel metodo materialista dialettico di conoscenza e d’azione dei suoi membri e delle sue organizzazioni; in secondo luogo nel suo statuto da stato maggiore della classe operaia che organizza la sua attività, definisce le sue organizzazioni e il loro funzionamento, la selezione, la formazione e le relazioni dei suoi membri e dei suoi dirigenti in funzione della conquista del potere da parte della classe operaia.

L’obiettivo della bolscevizzazione del partito era stato chiaramente posto dall’Internazionale Comunista già negli anni ‘20; il PCI stesso aveva dichiarato la bolscevizzazione il compito fondamentale del partito.

"La trasformazione dei partiti comunisti, nei quali si raccoglie l’avanguardia della classe operaia, in partiti bolscevichi, si può considerare, nel momento presente, come il compito fondamentale dell’Internazionale Comunista".


Tesi di Lione (1926), cap. 4, tesi 1.

Le tesi di Lione del Partito comunista italiano avevano dichiarato chiaramente che “non esiste in Italia la possibilità di una rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista.

"Il capitalismo è l’elemento predominante nella società italiana e la forza che prevale nel determinare lo sviluppo di essa. Da questo dato fondamentale deriva la conseguenza che non esiste in Italia possibilità di una rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista".


Tesi di Lione (1926), cap. 4, tesi 4.

Ma nella pratica il partito non riuscì a combinare la lotta per la rivoluzione socialista con la lotta contro il fascismo e cadde nella deviazione di destra consistente nel porsi come l’ala sinistra della coalizione di tutte le forze che cospiravano all’abbattimento del fascismo.

"Nonostante le origini da una lotta contro degenerazioni di destra e centriste del movimento operaio, il pericolo di deviazioni di destra è presente nel Partito comunista d’Italia. ... Il pericolo che si crei una tendenza di destra è collegato con la situazione generale del paese. La compressione stessa che il fascismo esercita tende ad alimentare l’opinione che, essendo il proletariato nell’impossibilità di rapidamente rovesciare il regime, sia miglior tattica quella che porti, se non a un blocco borghese-proletario per l’eliminazione costituzionale del fascismo, a una passività dell’avanguardia rivoluzionaria, a un non-intervento del partito comunista nella lotta politica immediata, onde permettere alla borghesia di servirsi del proletariato come massa di manovra elettorale contro il fascismo. Questo programma si presenta con la formula che il partito comunista deve essere ’l’ala sinistra" di un’opposizione composta da tutte le forze che cospirano all’abbattimento del regime fascista. Esso è espressione di un profondo pessimismo circa le capacità rivoluzionarie della classe lavoratrice".


Tesi di Lione (1926), cap. 4, tesi 26.

I limiti del Partito comunista italiano nella sua comprensione delle leggi della rivoluzione socialista in Italia si manifestarono nel fatto che esso fu sorpreso dalla svolta repressiva del regime fascista nel 1926 (incarcerazione della direzione del partito), nel fatto che nel 1943 fu sorpreso dagli eventi del 25 luglio e dell’8 settembre, nel fatto che sostanzialmente non si era preparato alla guerra quale sbocco inevitabile della mobilitazione reazionaria delle masse e della crisi generale, nel fatto che condusse la guerra partigiana più come una campagna militare che come strumento per la creazione di un nuovo potere popolare.

A causa di questi limiti ed errori del suo partito, la classe operaia non conquistò il potere nonostante la borghesia con il fascismo si fosse cacciata in una situazione estremamente difficile che le tolse da allora in avanti ogni velleità di indipendenza politica. Il potere rimase alla borghesia imperialista che creò un suo regime politico imperniato sul Vaticano e sulla chiesa cattolica sotto la supervisione USA: il regime DC che ha governato da allora il paese e lo governa tuttora.

Questo regime si consolidò grazie al lungo periodo (1945-1975) di ripresa e di sviluppo dell’accumulazione capitalista e di espansione dell’apparato produttivo che il capitalismo ebbe in tutto il mondo. Le masse popolari e la classe operaia in quegli anni riuscirono a strappare con lotte puramente rivendicative grandi miglioramenti in campo economico, politico e culturale. Il PCI divenne l’interprete organico di questa fase dei rapporti della classe operaia e delle masse popolari del nostro paese con la borghesia imperialista. Per questo il PCI in quegli anni fu contemporaneamente sia il partito della classe operaia italiana nel senso preciso che praticamente tutti gli operai attivi nell’organizzazione della propria classe facevano parte del PCI, sia uno dei partiti della corrente revisionista moderna guidata dal PCUS. Il periodo 1945-1975 fu, anche nel nostro paese, il periodo del “capitalismo dal volto umano”, tanto più sviluppato quanto più forte era stato nel nostro paese il movimento comunista, a conferma del fatto che le riforme sono il sottoprodotto, il lascito delle rivoluzioni mancate.

Nell’ottavo congresso (dicembre 1956) la destra del PCI, al riparo del successo riportato dal gruppo revisionista di Kruscev nel ventesimo congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica (febbraio 1956), liquidò quanto restava delle basi programmatiche comuniste. Fino allora la deviazione di destra, secondo cui il partito comunista era l’ala sinistra di uno schieramento progressista diretto dalla borghesia che lottava per modernizzare il paese, eliminare i residui feudali e allargare alle masse i diritti democratici, si era presentata nel partito come linea tattica, una linea provvisoria da praticare in attesa di tempi migliori. Da allora essa invece venne posta come linea strategica, coerentemente con la concezione del revisionismo moderno secondo cui la forza raggiunta dalla classe operaia rendeva oramai inutile la rivoluzione socialista e possibile un passaggio graduale e pacifico al socialismo. La via pacifica, democratica, parlamentare al socialismo tramite le riforme di struttura e l’allargamento continuo dei diritti democratici alle masse, venne proclamata la via italiana al socialismo e proposta addirittura in sede internazionale come modello (eurocomunismo).

"Sebbene a nostro parere l’attuale linea del Partito comunista italiano sulla questione della rivoluzione socialista sia sbagliata, noi non abbiamo mai cercato d’interferire perché, naturalmente, si tratta di una cosa sulla quale solo i compagni italiani devono decidere. Ma ora il compagno Togliatti proclama che questa teoria delle "riforme di struttura" è una "linea comune all’intero movimento comunista internazionale" e dichiara unilateralmente che la transizione pacifica è "diventata un principio di strategia mondiale del movimento operaio e del movimento comunista". Questa questione coinvolge non solo la fondamentale teoria marxista-leninista della rivoluzione proletaria e della dittatura proletaria, ma anche il problema fondamentale dell’emancipazione del proletariato e del popolo in tutti i paesi capitalisti. Allora, come membri del movimento comunista internazionale e come marxisti-leninisti, noi non possiamo non esprimere le nostre opinioni al riguardo".


Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi (1962), in Opere di Mao Tse-tung, vol. 19.


Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi (1963), in Opere di Mao Tse-tung, vol. 19.

I primi tentativi di ricostruire il partito comunista

Nel nostro paese la lotta contro il revisionismo moderno riprese e continuò la lotta contro la deviazione di destra che aveva accompagnato tutta la vita del partito. Dopo l’ottavo congresso questa lotta spontanea, istintiva e diffusa riprese vigore. Essa fece un salto di qualità nella seconda metà degli anni ‘60, nell’ambito della lotta lanciata a livello internazionale dal Partito del lavoro d’Albania e soprattutto dal Partito comunista cinese. Nacque allora il Movimento marxista-leninista e poi nel 1966 il Partito comunista d’Italia (Nuova Unità) che si sciolse agli inizi degli anni ‘90 per rifluire in Rifondazione comunista. La causa della debolezza del PCd’I e di tutto il movimento marxista-leninista fu la stessa che aveva portato la sinistra del PCI alla sconfitta rispetto alla destra: l’insufficiente autonomia ideologica e teorica dalla borghesia e la conseguente mancanza di una strategia per la conquista del potere. Il movimento marxista-leninista fu per alcuni versi costantemente inficiato di dogmatismo: prova ne è il fatto che non riconobbe mai che esisteva una terza superiore tappa del pensiero comunista, il maoismo né mai comprese i limiti e gli errori della sinistra del PCI. Per altri versi quello stesso movimento marxista-leninista si confuse con le varie deviazioni “di sinistra” (bordighiste, anarcosindacaliste, ecc.) che erano una vecchia malattia del movimento comunista italiano con cui il PCI non aveva mai regolato veramente i conti.

Alla fine degli anni ‘60 e l’inizio dei ‘70 in Italia come in altri paesi vi fu una grande stagione di lotte (il ‘68 e l’Autunno caldo). La lotta per le riforme all’interno del capitalismo raggiunse il suo culmine e toccò il suo limite: per andare oltre doveva trasformarsi in lotta per la conquista del potere e l’instaurazione del socialismo. La lotta contro il revisionismo moderno raggiunse un grande sviluppo in campo politico negli anni ‘70 quando le lotte rivendicative della classe operaia e delle masse popolari generarono un diffuso movimento di lotta armata, impersonato principalmente dalle Brigate rosse. Esso raccoglieva e dava espressione politica alla necessità di conquistare il potere e di trasformare la società che le stesse lotte rivendicative alimentavano nella classe operaia e nelle masse popolari. Da qui il sostegno, l’adesione e il favore delle masse popolari nei confronti delle Brigate rosse, testimoniati dal loro radicamento in fabbriche importanti (FIAT, Alfaromeo, ecc.), ma più ancora dalle misure che la borghesia dovette adottare nel tentativo di contrastarne l’influenza e isolarle dalle masse.

Con la loro iniziativa pratica le Brigate rosse ruppero con la concezione della forma della rivoluzione socialista che aveva predominato tra i partiti comunisti dei paesi imperialisti nel corso della lunga situazione rivoluzionaria 1910-1945. A differenza del Partito comunista d’Italia (Nuova Unità), le Brigate rosse iniziarono a fare i conti con gli errori e i limiti che avevano impedito ai partiti comunisti dei paesi imperialisti di condurre a conclusione vittoriosa la situazione rivoluzionaria generata dalla prima crisi generale del capitalismo. Da qui la ricchezza di insegnamenti che si possono ricavare dalla loro attività politica.

Esse tuttavia non riuscirono a liberarsi dall’influenza della cultura borghese di sinistra (in particolare nella versione datane dalla Scuola di Francoforte) che il revisionismo moderno aveva reso cultura corrente e pressoché incontrastata. Di conseguenza

-  non riuscirono a correggere gli errori di analisi della fase che avevano in quella cultura il loro fondamento. Quanto ai rapporti tra le masse popolari e la borghesia imperialista, scambiarono la fase culminante della lotta delle masse per strappare conquiste nell’ambito della società borghese con l’inizio della rivoluzione. Quanto ai rapporti tra gruppi e Stati imperialisti, scambiarono l’attenuazione delle contraddizioni conseguente al periodo 1945-1975 di ripresa e sviluppo del capitalismo con la scomparsa definitiva dell’antagonismo.

-  Non riuscirono ad appropriarsi consapevolmente del metodo della linea di massa onde restare all’avanguardia del movimento delle masse anche nella nuova fase che questo imboccava a seguito dell’inizio, alla metà degli anni ’70, della nuova crisi generale.

In conseguenza di questi errori, il legame con le masse smise di crescere e cominciò anzi ad affievolirsi e le Brigate rosse si diedero ad imprecare contro l’arretratezza delle masse, favorendo in questa maniera l’attacco della borghesia che era centrato sullo sfruttare i loro errori e limiti per isolarle dalle masse.

È a causa di questi passi avanti non compiuti, di questa autocritica non portata a termine che il loro legame con le masse popolari, anziché svilupparsi, si indebolì e le Brigate rosse vennero travolte dall’offensiva della borghesia, cui i revisionisti moderni parteciparono come a impresa per loro vitale.

CARC, F. Engels/10, 100, 1000 CARC per la ricostruzione del partito comunista (1994).

Il PCd’I e le BR costituiscono i due maggiori tentativi di ricostruzione del partito comunista. Ambedue cercarono di dare una risposta a questa necessità della classe operaia e delle masse popolari del nostro paese. Ma né l’uno né l’altro raggiunsero il loro obiettivo. Per raccogliere quanto di positivo hanno prodotto e trarre insegnamenti della loro esperienza, è indispensabile comprendere il motivo dell’insuccesso. La storia del movimento comunista è ricca di successi e di sconfitte. Gli uni e le altre ci mostrano che la contraddizione tra teoria e pratica si manifesta nelle contraddizioni tra teoria rivoluzionaria e costruzione dell’organizzazione rivoluzionaria, tra partito rivoluzionario e direzione del movimento delle masse e in altre ancora. Qual è il giusto rapporto tra i due termini di ognuna di queste contraddizioni? La storia del movimento comunista ci insegna:

1. l’unità dei due termini: uno può procedere nel suo sviluppo oltre un certo limite solo se l’altro si sviluppa anch’esso in misura adeguata;

2. che nella lotta della classe operaia per il potere in generale la priorità spetta al primo termine, benché in assoluto, cioè considerando le cose in un orizzonte più vasto, la priorità spetti al secondo, infatti in termini generali la teoria del movimento comunista è il riflesso nella nostra mente, è l’elaborazione dell’esperienza pratica della lotta della classe operaia e delle masse popolari. Marx ed Engels hanno prodotto una teoria rivoluzionaria e grazie a questa il movimento comunista ha creato le Internazionali e i partiti socialisti prima e comunisti dopo. Lenin ha riassunto la lotta che condusse nei primi anni del nostro secolo dicendo: “Senza teoria rivoluzionaria, non ci può essere movimento rivoluzionario”. Mao Tse-tung nel 1940 ha fatto il bilancio della rivoluzione cinese dicendo: “Per quasi vent’anni noi abbiamo fatto la rivoluzione senza avere una concezione chiara e giusta della rivoluzione, agivamo alla cieca: da qui le sconfitte che abbiamo subito”.

In ogni organismo e in ogni partito comunista la sinistra riflette la posizione della classe operaia e la destra riflette la posizione della borghesia. La borghesia è al potere da secoli e ha ereditato molto dalle precedenti classi sfruttatrici. La classe operaia lotta per il potere solo da 150 anni e lo ha esercitato solo per brevi periodi e solo in alcuni paesi dove il capitalismo era relativamente poco sviluppato. Quindi la borghesia oggi ha ancora un’esperienza di potere incomparabilmente più vasta di quella che ha la classe operaia. Nel campo sovrastrutturale la borghesia ha un sistema completo di concezioni, linee e metodi; la sua concezione del mondo si è consolidata in abitudini e pregiudizi, ha acquistato la forza, l’evidenza e l’ovvietà del luogo comune. Ne segue che nei partiti comunisti la destra ha la vita più facile della sinistra. La destra si appoggia su quello che esiste già, è evidente, è ovvio, è abitudine, “si è sempre fatto così”, “tutti la pensano così”. La sinistra deve elaborare, scoprire, inoltrarsi nel nuovo, rischiare di commettere errori e correggere la rotta fino a trovare la strada alla vittoria. Alla destra non occorre una teoria rivoluzionaria; la sinistra non può procedere senza e deve crearla. La destra si può fare forte degli errori della sinistra e della confusione della contraddizione teoria e pratica con le contraddizioni teoria giusta e teoria sbagliata, nuovo e vecchio. La destra ostacola la creazione di una teoria rivoluzionaria, la sinistra la promuove e senza teoria rivoluzionaria non può dirigere. Gli errori del partito nel comprendere la situazione giovano alla destra, sono deleteri alla sinistra.

La sinistra del PCI non riuscì ad elaborare una teoria della rivoluzione socialista nel nostro paese nel corso della prima crisi generale del capitalismo, benché il partito si fosse proposto di guidare la rivoluzione socialista.

"Il capitalismo è l’elemento predominante nella società italiana e la forza che prevale nel determinare lo sviluppo di essa. Da questo dato fondamentale deriva la conseguenza che non esiste in Italia possibilità di una rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista".


Tesi di Lione (1926), cap. 4, tesi 4.

Per questo la destra riuscì a prevalere nel partito. Mao ci ha insegnato che se un partito non applica una linea giusta ne applica una sbagliata, che se non applica coscientemente una politica, ne applica una alla cieca.

Il Partito comunista d’Italia e le Brigate rosse non compresero che per avanzare occorreva un bilancio dell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria e della costruzione del socialismo che era sintetizzata al suo livello più alto nel maoismo; non compresero che il revisionismo moderno non consisteva solo nel rinnegamento della rivoluzione come mezzo per instaurare il socialismo, ma che coinvolgeva tutta la concezione del mondo e il metodo di direzione e di lavoro dei comunisti; infine non compresero che il capitalismo anche nel nostro paese era al culmine di un periodo di sviluppo e che la seconda crisi generale del capitalismo si annunziava appena. Per questo i loro tentativi di ricostruire il partito comunista furono sconfitti.

La situazione attuale e la putrefazione del regime DC

Fu solo nel corso degli anni ‘70 che il sistema capitalista mondiale passò dal periodo di ripresa e sviluppo dell’accumulazione di capitale iniziato dopo la fine della Seconda guerra mondiale alla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Anche nel nostro paese ciò comportò che la classe operaia e le masse popolari non poterono più conquistare con le lotte rivendicative vittorie progressive, durature e su larga scala. L’accordo Confindustria-sindacati per il punto unico di contingenza che aumentò i salari inferiori e accorciò le differenze salariali fu l’ultima conquista della serie che aveva scandito il periodo del capitalismo dal volto umano. La classe dominante incominciò a cancellare gradualmente, una ad una, le conquiste fino allora strappate. Il processo è proseguito regolarmente fino al 1992. Da allora, con la crisi del regime DC e l’inizio della fase della sua putrefazione, il processo di eliminazione è stato fortemente accelerato.

Di conseguenza iniziò anche la crisi inarrestabile dei revisionisti moderni: la nuova fase del movimento economico non permetteva più di combinare soggezione politica alla borghesia imperialista e miglioramenti economici per le masse. Il PCI si sciolse nel 1991. Contrariamente a quanto proclamano i nostalgici della pratica revisionista di rivestire la collaborazione con la borghesia di sacri principi e di un frasario comunista (da Cossutta a Rossanda, da Ingrao a Bertinotti), Occhetto che sciolse il PCI nel 1991 fu l’esecutore testamentario del fallimento del progetto di conciliazione tra le classi e di subordinazione della classe operaia alla borghesia imperialista portato avanti prima da Togliatti e poi da Longo e da Berlinguer.

Nei suoi cinquant’anni di vita, il regime DC ha ulteriormente sviluppato una particolarità della società italiana. Essa consiste nel fatto che le attività (finanziarie e politiche) che si svolgono al di fuori e contro la legge ufficialmente vigente, la violenza parastatale e privata, i complotti e gli intrighi che sono diventati strumenti dell’attività economica, commerciale e finanziaria dei gruppi imperialisti in ogni paese imperialista (e da qui tracimano, vengono esportati nei paesi dipendenti), queste caratteristiche moderne e d’avanguardia della borghesia imperialista, in Italia si sono rigogliosamente sviluppate combinandosi con le vecchie società segrete, con le vecchie associazioni criminali, con le sette, con le chiese, con gli ordini religiosi e cavallereschi, in particolare con le organizzazioni della chiesa cattolica (congregazioni ecclesiastiche e laiche, conventi, diocesi, parrocchie, opere pie, confraternite e la massima di esse - il Papato trasformato in Vaticano con il Concordato concesso dal fascismo nel 1929 e rinnovato dal governo Craxi nel 1984). La sintesi di questa particolarità è l’esistenza di un governo di fatto, il Vaticano, che non coincide col governo ufficiale.

Tutte queste eredità della vecchia società feudale erano sopravvissute fino all’inizio del secolo scorso. La borghesia, quando nel corso delle guerre napoleoniche e poi del Risorgimento, impose il suo potere, le conservò e le combinò nel nuovo regime. Finché la nuova classe conservò una certa forza (ossia finché la classe operaia restò relativamente debole), esse hanno avuto un ruolo politico limitato. Divennero invece via via più attive e si rafforzarono in nuove vesti a partire dall’inizio del secolo (regime giolittiano, Patto Gentiloni), man mano che la classe operaia si rafforzava. La borghesia imperialista le chiamò a collaborare con le autorità ufficiali e con la pubblica amministrazione per conservare l’ordine e gestire la società. Esse quindi si combinarono con le associazioni private e segrete della borghesia stessa.

Il fascismo fu l’ultimo tentativo della borghesia di assorbire nell’amministrazione pubblica e di gestire nell’ambito di un regime pubblico, necessariamente esso stesso terroristico ed extralegale, le varie forme e i vari aspetti della repressione (dalla beneficenza all’intimidazione e alla eliminazione dei comunisti e di altri oppositori). Il fascismo si concluse nel modo più fallimentare possibile per la borghesia che l’aveva promosso: una classe operaia forte, il suo Stato e le sue forze armate dissolte, il paese occupato. Essa si salvò solo grazie ai limiti del PCI, all’occupazione americana e al Vaticano.

Il carattere moderno del regime DC consistette in questo: la borghesia prese atto che è impossibile gestire la repressione della classe operaia e delle masse popolari nell’ambito della pubblica amministrazione e di un’attività codificata in leggi e sviluppò su grande scala le più svariate forme di repressione extralegali: private e criminali, aperte e occulte. Il regime DC combinò magistralmente, con l’appoggio determinante dei revisionisti moderni, la creazione di sindacati gialli con lo squadrismo fascista e con l’intimidazione e l’agguato mafiosi. In ciò le fu maestra la borghesia imperialista USA. Le vecchie associazioni feudali (fa testo per tutte la mafia siciliana) si svilupparono rigogliosamente e assunsero forme modernissime, divennero le vesti attuali, d’avanguardia della borghesia imperialista, nella sua marcia trionfale verso il baratro. Liggio andò a scuola da Agnelli, lo superò e diede vita alla nuova multinazionale finanziaria, mondiale e globale. Dopo il fascismo, l’Italia regalò a tutto il mondo un altro nome: mafia.

Il regime DC ha mostrato su grande scala quale capacità di distruzione fisica e morale, sugli uomini e sull’ambiente, sul patrimonio artistico e sull’eredità storica il capitalismo ha raggiunto. Il periodo di grande sviluppo economico mondiale che ha coinciso con la prima fase del regime (1945-1975) ha messo in piena luce questo carattere. Lo sfascio materiale e morale prodotto da cinquant’anni di regime DC non ha precedenti nella storia moderna italiana.

Il regime DC è entrato in crisi quando, a causa della crisi generale, divenne impossibile per la borghesia imperialista proseguire a dare risposta alle aspirazioni delle masse, quando queste si esprimevano con forza, con la politica clientelare e l’uso della pubblica amministrazione e del settore economico statale e pubblico in generale. Quando l’IRI non potè più, a causa della crisi generale, assorbire e mantenere in vita le aziende private in fallimento e chiuse essa stessa le sue aziende. A questa causa si aggiunge che, a causa della crisi generale, i contrasti tra i gruppi della borghesia imperialista stessa, italiani e stranieri, si acuirono quando i gruppi imperialisti tedeschi lanciarono nuovamente su grande scala la loro offensiva per crearsi uno "spazio vitale" in Europa, da usare nella competizione internazionale. L’Unione Europea è infatti il tentativo dei gruppi imperialisti tedeschi di coalizzare sotto la loro direzione tutti i capitalisti europei e i rispettivi paesi per una nuova spartizione del mondo contro il predominio dei gruppi imperialisti USA e per meglio assicurare la permanenza del dominio della borghesia imperialista sulle masse popolari europee nonostante lo sviluppo della crisi generale.

Il regime DC è in crisi, ma la borghesia imperialista non ha un regime di ricambio. Da qui la lenta e dolorosa putrefazione del regime DC che come un cadavere appesta il paese dal 1992.

Il regime DC fino al 1992 aveva proclamato di essere in grado di risolvere il problema del lavoro e in generale della vita delle masse. In questo senso aveva accettato la "sfida del comunismo", nella veste in cui la ponevano i revisionisti moderni. La rinuncia, dal 1992 praticata e dichiarata, della pubblica amministrazione ad assicurare un lavoro a tutti e a risolvere i problemi della sopravvivenza delle masse popolari, è la dichiarazione di fallimento della borghesia imperialista di fronte al vicolo cieco in cui essa ha condotto il paese: la nuova crisi generale. Equivale alla fuga del re nel 1943 di fronte al vicolo cieco in cui si era cacciato con il fascismo.

La dichiarata abdicazione della pubblica amministrazione della borghesia imperialista, del suo Stato a "creare lavoro" e in generale a risolvere i problemi della vita delle masse, mascherata appena con la reintroduzione del famigerato "elenco dei poveri" cui promette qualche elemosina, è tanto più grave

-  perché essa arriva in un contesto economico in cui è impossibile che la stragrande maggioranza della popolazione possa risolvere individualmente questi problemi. Il carattere collettivo raggiunto dalle forze produttive toglie, oggi ancora più di 50 anni fa, la possibilità che i singoli individui risolvano su larga scala individualmente i problemi della loro vita. La borghesia che rigetta come assistenzialismo il compito di occuparsi con i pubblici poteri della soluzione dei problemi della vita delle masse, le condanna a morte come esuberi, perché l’iniziativa privata dei capitalisti non vi provvede a causa della crisi generale.

-  Perché questa abdicazione arriva mentre in tutta Europa la borghesia imperialista adotta la stessa attitudine, costrettavi dalla concorrenza con i gruppi imperialisti USA che, nella lotta generata dalla crisi generale, oltre a sconvolgere la stessa società americana, gettano tutto il peso dell’egemonia mondiale che hanno ereditato, del loro ruolo di fornitori di moneta fiduciaria per tutto il mondo, della rete dei loro interessi che come una piovra schiaccia e succhia quasi tutti i paesi, benché sempre più spesso per farsi valere debbano riesumare la politica delle cannoniere che segnò la fine dell’impero britannico.

La ricostruzione del partito comunista

La classe operaia col suo nuovo partito comunista raccoglie la sfida: le masse popolari possono trovare la loro strada e risolvere tutti i problemi della loro vita e progredire ben oltre; la classe operaia può dirigerle in questa impresa, in modo che dalla loro esperienza pratica imparino a organizzarsi e a risolvere i propri problemi immediati e a prendere in mano la propria vita. L’ostacolo principale perché le masse possano risolvere i loro problemi è proprio la direzione della borghesia imperialista. Eliminare la direzione della borghesia imperialista e instaurare la direzione della classe operaia è il compito storico che si pone al partito comunista per i prossimi anni.

La crisi politica e culturale della borghesia imperialista spinge le masse alla mobilitazione. La difesa delle conquiste strappate nei trent’anni di capitalismo dal volto umano e la ribellione contro l’attuale regime fino alla sua eliminazione sono le due componenti (difesa e attacco) della resistenza delle masse al procedere della crisi.

La pubblica amministrazione della borghesia imperialista si ritira, abdica al compito di provvedere a creare lavoro e in generale di provvedere alla soluzione dei problemi della vita delle masse popolari. Contro questo ripiegamento della borghesia imperialista dettato dalla crisi generale (gli squilibri finanziari tra le parti che la compongono, la concorrenza e la lotta a coltello tra gruppi imperialisti, ecc.), il partito comunista deve guidare la mobilitazione delle larghe masse in ogni campo, ad ogni livello e con ogni mezzo.

Il partito deve dirigere e promuovere la mobilitazione delle masse a difesa di ogni conquista che la borghesia imperialista cerca di eliminare; deve appoggiare ogni gruppo di lavoratori (grande o piccolo che esso sia) che difende una sua conquista (quale che essa sia) dalla borghesia imperialista che vuole eliminarla: dalla libertà di sciopero, al posto di lavoro, alla sicurezza sul lavoro, alle pensioni, alla tutela dell’ambiente, alla casa, all’istruzione, alla sanità, ai servizi. Nelle lotte di difesa le masse imparano per loro esperienza diretta che ogni sacrificio che la borghesia riesce ad imporre chiama altri sacrifici, che per vincere bisogna allargare la lotta e trasformarla in un problema di ordine pubblico, in un problema politico, che le difficoltà che nascono all’interno della singola azienda, della singola istituzione, possono essere risolti solo a livello politico, insomma che la proprietà e l’iniziativa privata su cui si fonda il capitalismo è in contrasto con la realtà delle cose e porta le masse in difficoltà inestricabili e le sottomette a sofferenze crescenti.

Il partito deve dirigere e promuovere la mobilitazione delle masse a provvedere direttamente alla soluzione dei problemi della propria vita, ad aggregarsi e a costruire le proprie istituzioni e a difenderle, a sviluppare la produzione per soddisfare i propri bisogni, a dare una svolta rivoluzionaria anche alle iniziative oggi dette del "terzo settore", al "no-profit", al volontariato, ai Centri Sociali, ecc. battendo le tendenze borghesi a farne dei ghetti, a farne aziende per sfruttare lavoro precario, sottopagato e in nero, a farne uno strumento per la corruzione e la formazione di nuovi dirigenti borghesi, a farne una valvola di sfogo alla disperazione.

Il partito deve dirigere e promuovere la mobilitazione delle masse a prendere e a farsi dare dalla borghesia imperialista le risorse necessarie per provvedere direttamente alla soluzione dei problemi della propria vita (denaro, edifici, mezzi di produzione, mezzi di trasporto, ecc.), risorse che la borghesia imperialista spreca su grande scala.

Il partito deve ricavare e generalizzare gli insegnamenti delle lotte di difesa, imparare e generalizzare le leggi secondo cui si svolgono. Una vittoria su grande scala e duratura della difesa è impossibile stante la crisi, ma in ogni caso singolo è possibile vincere, impedire, ritardare o ridurre l’attacco della borghesia imperialista. In ogni lotta di difesa il partito deve favorire l’organizzazione delle masse, riconoscere la sinistra, rafforzarla e organizzarla perché impari a conquistare il centro e a isolare la destra.

Tutto questo è strettamente legato alla lotta per il potere. Solo la lotta per il potere può dare continuità, portare all’espansione e assicurare il successo a questa lotta delle masse popolari per la difesa delle proprie conquiste e per la sopravvivenza, per porre fine alla condizione di esubero in cui la borghesia imperialista relega una parte crescente delle masse, per sviluppare le proprie energie e soddisfare i propri bisogni.

In ogni lotta di difesa il partito deve raccogliere le forze per l’attacco. Se non si sviluppa l’attacco, è impossibile sviluppare la difesa su grande scala e migliorare le possibilità di vittoria. La mancanza dell’attacco frena le masse anche nella difesa.

Raccogliere le forze per l’attacco vuol dire comprendere e far emergere le ragioni delle vittorie e delle sconfitte, generalizzare i metodi che portano alla vittoria e combattere quelli che portano alla sconfitta, elevare con ogni mezzo la combattività delle masse e la loro fiducia in se stesse, guidare la parte più combattiva a realizzare una maggiore mobilitazione del resto, reclutare alle organizzazioni di massa e al partito, rafforzare l’organizzazione del partito, promuovere l’aggregazione e l’organizzazione delle masse, riunirle in un fronte diretto dal partito e impiegare le forze disponibili nei compiti tattici dell’attacco, onde fare esperienza e sviluppare una linea vincente di raccolta e di accumulazione delle forze rivoluzionarie.

Tutti quelli che sono disposti a lottare contro l’attuale regime, devono trovare nel partito comunista la direzione più sicura e più lungimirante, quali che siano le ragioni dichiarate della loro lotta.

"La rivoluzione in Europa non può essere altro che l’esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti i malcontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente - senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione - e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasticherie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale e l’avanguardia cosciente della rivoluzione, il proletariato avanzato, esprimendo questa verità oggettiva della lotta di massa varia e disparata, variopinta ed esteriormente frazionata, potrà unificarla e dirigerla, conquistare il potere, prendere le banche, espropriare i trust odiati da tutti (benché per ragioni diverse!) e attuare altre misure dittatoriali che condurranno in fin dei conti all’abbattimento della borghesia e alla vittoria del socialismo, il quale si ’epurerà’ dalle scorie piccolo-borghesi tutt’altro che di colpo".


V.I. Lenin, Risultati della discussione sull’autodecisione (1916), in Opere, vol. 22.

La classe operaia deve diventare il centro della mobilitazione delle masse, la guida della loro resistenza al procedere della crisi generale del capitalismo.

Il nuovo partito comunista riprende in mano la tesi enunciata dal primo partito comunista nel suo Congresso di Lione (gennaio 1926): l’Italia è un paese imperialista e non esiste possibilità di una rivoluzione che non sia la rivoluzione socialista. Non c’è altra via di avanzamento per la classe operaia, per il proletariato, per le masse popolari, che non sia la rivoluzione socialista.

I revisionisti moderni di Togliatti e Berlinguer avevano dichiarato che la rivoluzione socialista non era più necessaria alla classe operaia e alle masse popolari del nostro paese, che le masse popolari del nostro paese potevano risolvere i loro principali problemi strappando riforme su riforme fino a creare una società socialista, che il sistema capitalista non portava più a crisi e a guerre. La realtà ha mostrato che le loro tesi non stanno in piedi, che servivano solo a disgregare e corrompere il vecchio partito e portarlo allo sfacelo.

Le conquiste che le masse popolari hanno strappato col sudore e col sangue nel periodo 1945-1975 e che i revisionisti avevano assicurato che sarebbero continuate fino a creare una società socialista, vengono eliminate sotto i nostri occhi; si moltiplicano i crimini della borghesia imperialista contro le masse popolari del nostro paese, contro i lavoratori immigrati, contro i paesi semicoloniali e socialisti: dalla Somalia all’Albania. Solo l’eliminazione della borghesia imperialista permetterà alle masse popolari di dedicare le proprie energie a soddisfare i propri bisogni e a risolvere i problemi della propria vita. Solo la classe operaia può eliminare la borghesia imperialista dal potere e prendere la direzione delle masse popolari e dell’intera società e condurle a realizzare i loro obiettivi.

La linea generale del nuovo partito comunista italiano è quindi

Unirsi strettamente e senza riserve alla resistenza che le masse oppongono ed opporranno al procedere della crisi generale del capitalismo, comprendere ed applicare le leggi secondo cui questa resistenza si sviluppa, appoggiarla, promuoverla, organizzarla e far prevalere in essa la direzione della classe operaia fino a trasformarla in lotta per il socialismo, adottando come metodo principale di lavoro e di direzione la linea di massa.

Il compito principale e di lungo periodo del nuovo partito è di trovare dall’analisi concreta dei rapporti economici, politici e culturali del nostro paese e dei suoi legami internazionali la via per la raccolta e l’accumulazione delle forze rivoluzionarie. La pratica della linea generale del partito, l’analisi delle esperienze condotta partendo dalla concezione materialista dialettica del mondo e col metodo del materialismo dialettico (marxismo-leninismo-maoismo) permetteranno al partito di scoprire la via per raccogliere e accumulare le forze rivoluzionarie fino a che il rapporto di forza tra borghesia imperialista e classe operaia sarà rovesciato e la classe operaia potrà prendere il potere (via alla rivoluzione socialista nel nostro paese).