Cristoforo Colombo

Note

martedì 15 agosto 2006.
 
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(1) Chi sostiene che tale reazione da parte della borghesia è dovuta ai fatti d’arme in sè, agli attentati, alle perdite di uomini subite dalla classe dominante è un cieco o un impostore.

Le società imperialiste (di tutti i paesi imperialisti, non solo dell’Italia) hanno mostrato e mostrano che possono tollerare al loro interno e riassorbire gli attentati e le perdite di uomini, anche di membri della classe dominante, prodotti dagli scontri tra le varie cosche armate della stessa classe dominante (dall’eliminazione di Enrico Mattei all’eliminazione di Roberto Calvi, dalla strage di Peteano all’eliminazione del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa) nonchè gli attentati fascisti e parastatali (dalla strage di Piazza Fontana alla strage di Bologna), al punto che gli uni e gli altri sono diventati prassi normale in ogni paese imperialista e con un numero di perdite, tra i membri dela classe dominante, molto superiorie finora a quello causato dall’attività delle bande e di organismi affini.

E’ insostenibile anche la tesi che la reazione di rigetto della classe dominante è legata agli attentati commessi dalle bande e da organismi affini. Infatti basta che gli autori degli attentati si convertano, che cessa tale reazione nei loro confronti (vedasi Peci, Franceschini, Barbone, Viscardi: per citare solo un esemplare per ogni specie della confraternita dei «pentiti»). E, convertiti, gli stessi autori di attentati a nome delle bande, diventano apprezzati invitati di salotto. Per contro (cosa particolarmente significativa per chi vuole capire) l’ostilità, venuta meno nei confronti degli autori degli attentati, viene riversata pari pari e moltiplicata contro supposti o reali membri delle bande cui è addebitabile solo l’appartenenza alle stesse. Ciò conferma che non è l’azione militare e l’attentato che sono incompatibili e inaccettabili dalla società imperialista, ma il progetto politico, le potenzialità che l’azione militare, l’attentato contenevano in sè allo stadio di potenziale. Per cui è evidente che, se si tolgono queste potenzialità, o se queste potenzialità non sono mai esistite (ad es. negli attentati individualistici di anarchici e di altri esponenti di situazioni e correnti marginali), per la classe dominante gli attentati diventano fatti di ordinaria amministrazione, situazione con cui convivere. Le azioni militari delle bande hanno provocato una reazione di rigetto solo perchè invece erano fattori di sviluppo, elementi di crescita ed affermazione di quelle potenzialità. Su questo devono riflettere coloro che vedono come nostro principale compito presente la ripresa o continuità dell’attività militare. Se non è interna a un progetto di mobilitazione del proletariato e delle masse popolari per la conquista del potere, l’attività militare diventa un fenomeno di devianza sociale e quindi una componente non antagonistica della società imperialista. Quindi il nostro compito principale del presente è la costruzione teorica e pratica del progetto non la ripresa dell’attività militare.


(2) Hegel sosteneva che la realtà esiste innanzitutto come pensiero e solo secondariamente, accidentalmente e imperfettamente come incarnazione del pensiero nelle cose.

Egli conciliava questa tesi con la dura esperienza della tegola che cadeva in testa senza che nessuno avesse previsto e quindi pensato l’evento, ricorrendo al solito dio tuttofare che pensa per tutti e a tutto, anche a togliere dall’imbarazzo il filosofo troppo acuto e pratico per non capire che al suo pubblico del XIX secolo, sia pur tedesco, doveva spiegare come mai la tegola finiva dove finiva senza aspettare il via del pensiero e d’altra parte troppo legato al suo ambiente per permettersi di mettere al loro giusto posto spirito e pensiero, ossia preti, filosofi e monarchi.

Proprio per la natura della cosa, la condizione di parte e membro dell’organismo sociale può essere posta a premessa della propria attività per decisione ed iniziativa atomistica dell’individuo solo idealmente, come linea di orientamento. Per porla realmente occorre una trasformazione non dell’individuo ma dell’organismo sociale (al modo che la ruota di un’automobile può cessare di essere ruota e diventare gamba d’appoggio solo se l’automobile cessa di essere automobile e diventa pezzo da museo). Da qui l’inconsistenza e il carattere diversivo di tutti i propositi di costruire gruppi che o di inventare comportamenti individuali nell’ambito della società attuale.

Se il comunismo fosse una condizione in cui uno entra per le buone opere e i buoni propositi suoi individuali (come il paradiso dei cattolici), ovviamente sarebbe del tutto inutile e fuor di luogo una rivoluzione politica, un rovesciamento violento dell’ordine costituito e tutte le altre cose connesse.

Quanti rimproverano ai comunisti di nel senso che pur combattendo per costruire una società avente alcuni tratti ben definiti (senza proprietà privata dei mezzi di produzione, senza lavoro salariato, senza Stato, senza poliziotti, ecc.) fanno praticamente cose ben diverse, questi senza saperlo e in negativo affermano il carattere non individuale ma sociale dell’uomo attuale.


(3) Chi sostiene che ogni movimento può avere un solo esito ha una concezione meccanicista della realtà.

Chi, oltre ad avere una concezione meccanicista della realtà, non è ben sicuro di volere quell’esito, non si considera parte di una società che si muove sì verso quell’esito ineluttabile ma camminando sulle gambe degli individui che la compongono, allora sarà un attendista o codista. Plechanov nel suo scritto Il ruolo della personalità della storia, rammenta però giustamente anche il caso contrario, cioè che il fatalismo può accompagnarsi con un’energica attività e favorirla. Tanto poco univoco è il rapporto tra azione e idee!


(4) Allende sinceramente sperava e immaginava che la borghesia e gli agrari cileni, e i loro amici negli USA e nel resto del mondo, avrebbero rispettato la volontà delle masse popolari cilene. Chi ha condiviso le sue illusioni e la sua sincerità è andato alla sconfitta e alla morte come lui. Ma questo ha forse fatto trionfare il socialismo in Cile?


(5) Una data situazione rende un operaio incazzato contro il suo padrone. I passi successivi possibili sono:

-  l’operaio non fa nulla e si sfoga contro qualcuno che non c’entra e si calma;

-  danneggia di nascosto il suo padrone e si calma;

-  a sangue caldo rompe le costole al suo padrone e ne subisce le ritorsioni;

-  aderisce alla squadra rompiscatole che rompe le costole e costruisce, che lo fa crescere oltre lo spunto immediato della ribellione, ne fa un militante.


(6) Idealista nel significato preciso che il movimento della società sarebbe determinato dalle idee, dalle immagini, dalle suggestioni comunicate dalla classe dominante.


(7) La concezione della Scuola di Francoforte contrasta nettamente con la concezione materialistico-dialettica. Secondo quest’ultima

-  la società borghese è unità dialettica di elementi contrapposti (capitale/lavoro, ecc.),

-  la trasformazione della società borghese è determinata proprio dalle sue contraddizioni,

-  le istituzioni politiche, le concezioni giuridiche e le espressioni culturali delle società borghesi sono determinate dalla loro struttura materiale.


(8) La tesi di Kautsky, Bukharin e Hilferding sul superimperialismo è stata esaurientemente criticata sul piano teorico da Lenin e sul piano pratico dagli avvenimenti del periodo 1914-1945. Non ci dilunghiamo quindi su questo, nè crediamo vada preso in considerazione chi riespone questa tesi senza preoccuparsi di confutare la critica di Lenin e di reinterpretare la storia del periodo 1914-1945, come non si prende in considerazione chi riespone la teoria del flogisto senza preoccuparsi di confutare la teoria di Lavoisier e di reinterpretare i risultati dell’industria e della ricerca chimica successiva.


(9) Disperatamente rivoluzionaria, nel senso di rivoluzionaria senza speranza di successo, come ribellione inconsulta, vitalistica, generazionale, senza obiettivo. Insomma quel romanticismo politico che gli autori di Politica e Rivoluzione fanno ben notare e di cui ricostruiscono con cura origini e connotati di classe.


(10) Perchè è ciò che un poliziotto sogna e vuole far credere alla sua vittima per averla in sua balia: di vedere tutto, sapere tutto, controllare tutto.

In campo politico la dominazione borghese è disperato ( nel sendo di ’senza possibilità di successo’) tentativo di ridurre ad unità le parti di una società che è basata sulla contrapposizione tra venditore e compratore, tra proletario e capitalista, mantenendo questa base della società ed anzi a sua difesa.

La borghesia ha fatto grossi investimenti, nell’ambito della controrivoluzione preventiva, per diffondere tra le masse la sensazione e la convinzione che il suo regime sia onnipotente, che le forze di polizia siano onnipotenti e onniscienti, che il suo controllo pervada tutto e sia presente dappertutto. La forza del regime si basa anche sul timore che riesce ad ispirare, con le azioni e le suggestioni. E’ a quest’aspetto della controrivoluzione preventiva che contribuiscono, di certo inconsapevolmente, i non pochi ideologhi del controllo sociale totale, menagrami ripetitori della cultura borghese.

Le tesi dei propagandisti della controrivoluzione e di quelli che le ripetono contrastano palesemente con la prassi corrente di ogni società borghese. Proprio per la sua costituzione materiale la società borghese è basata sull’esistenza e lo scontro di interessi contrastanti. Il traffico economico quotidiano, che la borghesia non può eliminare se non per brevi periodi, ledendo anche suoi interessi e suscitando contrasti furibondi al suo interno, rende incontrollabili i movimenti molecolari degli individui. Vorremmo vedere gli ideologhi del controllo sociale totale alle prese con i 20 milioni di turisti stranieri che entrano in Italia nei tre mesi estivi, con i miliardi di operazioni bancarie e postali che si fanno annualmente in Italia, con lo spostamento giornaliero di svariate centinaia di migliaia di pendolari!

Al solito gli ideologhi confondono il controllo che le forze di polizia sono in grado di esercitare su alcuni individui e ambienti ben circoscritti, con il controllo di massa. Cioè, da soggettivisti accaniti, estendono alle masse la loro condizione soggettiva, immaginando il mondo a propria somiglianza e si privano della capacità di capire che la via per eludere l’"onnipotenza" della polizia sta proprio nell’avere quella linea di massa da cui rifuggono, convinti come sono che "le masse, almeno oggi, sono controrivoluzionarie".

Gli strumenti della controrivoluzione sono potenti, ma limitati. Questo vale anche per l’uso di spie, delatori, pentiti e dissociati da parte dello stato e delle organizzazioni fiancheggiatrici, che ha provocato e provoca tuttora sbandamenti e paralisi nelle nostre fila.

Dobbiamo imparare a prevenire e combattere, con misure pratiche e facendo tesoro dell’esperienza, questa minaccia e a colpire senza pietà spie e delatori.

In secondo luogo dobbiamo imparare a non temere spie e delatori. Se noi abbiamo una linea giusta, questi possono sì danneggiare il nostro lavoro, ma non possono rovinarlo. Dobbiamo riflettere sul seguente bilancio tratto da Lenin.

«D’altra parte, il rapido avvicendamento del lavoro legale e illegale, al quale era connessa la necessità di ’nascondere’ in modo particolare, di rendere particolarmente introvabili proprio lo stato maggiore, proprio i capi, hanno prodotto talvolta, da noi, fenomeni estremamente pericolosi. Il peggiore di questi avvenne nel 1912, quando un provocatore, Malinovski, entrò nel Comitato Centrale dei bolscevichi. Egli denunciò decine e decine di compagni tra i migliori e i più devoti, facendo prendere loro la via della galera e affrettando la morte di parecchi. Se costui non causò danni ancora maggiori, fu soltanto perchè, da noi, la combinazione di lavoro legale e illegale era bene organizzata. Per guadagnarsi la nostra fiducia, Malinovski, come membro del Comitato Centrale del partito e come deputato al Parlamento, doveva aiutarci a pubblicare giornali quotidiani legali, i quali, anche sotto lo zarismo, sapevano condurre la lotta contro l’opportunismo dei menscevichi e propagandare i principi del bolscevismo in forma opportunamente mascherata. Mentre con una mano mandava in galera decine e decine dei migliori bolscevichi, Malinovski doveva contribuire con l’altra mano a formare, per mezzo della stampa legale, decine e decine di migliaia di nuovi bolscevichi. Su questo fatto non farebbero male a riflettere quei compagni tedeschi (e anche inglesi, americani, francesi e italiani), che ora hanno davanti a sè il compito di imparare a svolgere un lavoro rivoluzionario nei sindacati reazionari.» (L’estremismo, malattia infantile del comunismo).


(11) Il grado di materialismo che ognuno dei sostenitori di queste tesi rivendica a sé sta nella gradazione che ognuno di essi dà, nella sua teoria, al relativamente.

Già Curcio e Franceschini in Gocce di sole introducevano il lettore all’esposizione delle loro allucinazioni sostenendo che avevano un ruolo pari alla (e alla aggiungevano i due) nel determinare il movimento della società.

Anche questa tesi è stata esaurientemente criticata dagli autori di Politica e Rivoluzione.

Non è inutile far notare che è stato ampiamente dimostrato che la forma assunta dal rapporto tra i due sessi è determinata dalla struttura materiale della società e in nessun senso può essere assunta come fondante del movimento della società, quali che siano i meriti di Freud e degli altri sostenitori della psicanalisi nel riadattare all’ordine sociale esistente individui nevrotici.

Engels ha trattato ampiamente il problema nello scritto L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato a cui rimandiamo.

E’ sotto gli occhi della nostra generazione quanto l’emigrazione, l’industrializzazione, la sussunzione nel capitale delle attività agricole e del commercio al minuto, l’urbanizzazione, la scolarizzazione di massa, l’integrazione delle donne nella produzione salariata o autonoma, ecc. hanno mutato i rapporti tra i membri della famiglia e, più in generale, le forme culturali e psicologiche del rapporto uomo/donna.

Quale sia stata la causa e quale l’effetto in questo mutamento è palese a ognuno. Quindi è fuori luogo, dopo questa dimostrazione pratica, attuale e su grande scala, che si venga ancora a riproporre il rapporto uomo/donna e in generale i rapporti interpersonali extraproduttivi come fondanti della coscienza e del comportamento delle masse. Nessuna persona di buon senso lo farebbe se non per il risultato politicamente paralizzante e contemplativo e per il ruolo giustificativo dell’inerzia politica che tale concezione ha.


(12) In L’ideologia tedesca Marx precisava già che «tanto per la produzione in massa di questa coscienza comunista quanto per il successo della cosa stessa è necessaria una trasformazione in massa degli uomini, che può avvenire soltanto in un movimento pratico, in una rivoluzione; che quindi la rivoluzione non è necessaria soltanto perchè la classe dominante non può essere abbattuta in nessun’altra maniera, ma anche perchè la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutta la merda ereditata dalla vecchia società e a diventare capace di fondare su basi nuove la società».

I nostri idealisti vogliono degli uomini puliti pur riconoscendo che la società in cui vivono è un merdaio. Essi pensano che si possa vivere in un merdaio senza essere sporchi di merda e cadono dalle nuvole e si strappano i capelli quando devono prendere atto che nel corso di ogni rivoluzione (in URSS come in Vietnam, a Cuba come in Nicaragua) i rivoluzionari devono fare i conti anche con quella parte di oppressi e sfruttati che la merda della vecchia società tiene legati ai loro padroni.

Infine pur vivendo in un merdaio, e forse proprio per questo, essi non sentono la puzza della merda (il marchio di produzione di questa società) che essi si portano abbondantemente addosso e che, non ultima cosa, si rivela anche nel loro idealismo.


(13) La comprensione dei motivi per cui la borghesia riuscì a mantenere il potere nei paesi capitalisti più sviluppati (e in particolare nei paesi dell’Europa Occidentale in cui vi era già un forte movimento operaio), è e sarà di grande aiuto allo sviluppo della nostra causa. E’ peraltro chiaro che una comprensione esauriente e verificata del motivo del successo della borghesia (e della sconfitta del proletariato) sarà raggiunta solo quando saremo riusciti a vincere.

La premessa di ogni ragionamento al riguardo è che in Europa Occidentale (almeno in alcuni importanti paesi: Germania, Italia, Austria, Ungheria, Spagna) si verificarono in quegli anni situazioni rivoluzionarie: le masse sfruttate e oppresse non volevano più continuare a vivere come nel passato ed erano disposte a battersi con tutte le forze per cambiare, le classi dominanti non potevano più vivere e governare come nel passato. Per un’esposizione più chiara di cosa i marxisti intendono per si veda Lenin Il fallimento della 2° Internazionale e L’estremismo, malattia infantile del comunismo.

Elenchiamo alcuni di questi motivi.

1.- In nessuno di questi paesi esisteva, alla vigilia del determinarsi della situazione rivoluzionaria, un partito comunista

-  devoto alla causa della rivoluzione e cosciente dei compiti che essa poneva,

-  capace di collegarsi, avvicinarsi ed unirsi fino ad un certo punto con la massa dei lavoratori, dei proletari anzitutto, ma anche con la massa lavoratrice non proletaria,

-  che incarnasse e realizzasse una giusta linea politica, una giusta strategia e una giusta tattica, aderente al movimento reale delle masse e della cui giustezza le masse avessero modo di rendersi conto per propria esperienza.

D’altra parte risultò che senza una direzione centralizzata di partito con disciplina ferrea, il proletariato non riesce a prendere il potere e se, per un concorso fortuito di circostanze, vi riesce (come avvenne nel 1919 in Baviera e in Ungheria) non riesce a mantenerlo.

La pratica ha anche dimostrato che tali partiti non si improvvisano.

2.- In Europa Occidentale e Centrale i partiti socialisti erano stati fondati ed erano cresciuti nelle condizioni della democrazia borghese. Essi avevano conseguito grandi successi in campo politico in termini di , di estensione alle masse popolari e al proletariato di alcuni diritti della democrazia borghese (organizzazione, riunione, parola, stampa, propaganda, elettorato passivo e attivo). Il proletariato aveva conseguito notevoli risultati nel campo delle lotte rivendicative (salario, condizioni di lavoro, sicurezza sociale). Questo e lo sfruttamento coloniale e semicoloniale avevano generato una aristocrazia operaia che era stata accolta all’interno dei partiti socialisti e vi esercitava un’influenza determinante.

Il risultato di tutti questi fattori fu che nessuno di questi partiti si rese conto del mutare dell’epoca, del passaggio del capitalismo alla fase imperialista e della necessità conseguente di mutare programma politico. La conseguenza fu l’impotenza in cui si trovarono i partiti socialisti, anche i loro esponenti rivoluzionari (Liebnecht, Rosa Luxemburg), le loro migliori organizzazioni, quando la guerra li spogliò della strombazzata e della residua parvenza di autonomia di iniziativa politica.

3.- Lenin e i suoi iniziarono a svolgere un’azione internazionale, in seno al movimento socialista internazionale, solo dopo il 1914 ed ebbero un ruolo debole fino a dopo il ’17 quando iniziarono a lavorare praticamente alla fondazione dell’Internazionale Comunista. Negli anni precedenti la prima guerra mondiale essi difesero nell’Internazionale la loro linea rivoluzionaria sempre in nome dell’eccezionalità del regime politico russo rispetto al regime politico degli altri paesi europei.

4.- La crescita dei partiti comunisti dopo il 1917 fu lenta e controversa. Lentamente furono affrontate le contraddizioni con le tendenze estremiste e settarie. La loro crescita fu resa difficile dall’esigenza di conciliare due fattori egualmente importanti: il sostegno all’URSS e lo sviluppo di una linea rivoluzionaria aderente alla realtà del paese, cosa che riuscirono a fare brillantemente i comunisti cinesi, ma in Europa la crisi era più acuta e l’Europa era al centro degli interessi imperialisti e dell’attacco degli imperialisti all’URSS: ciò rese difficile il naturale processo di correzione degli errori attraverso la pratica. Il ricorso all’autorità del PCUS nel dirimere controversie nei neonati partiti comunisti ebbe un ruolo deleterio sulla loro natura. L’eredità dei partiti socialisti pesò a lungo sui nuovi partiti. La linea politica oscillò frequentemente tra l’adesione completa alla democrazia borghese e la rottura avanguardista con gli strumenti che essa consentiva. Continuò nei nuovi partiti comunisti l’incomprensione dei caratteri economici e politici della fase imperialista, della crisi generale 1914-1945, del fascismo (visto come movimento politico della borghesia arretrata), del nazismo, del New Deal, per cui essi riuscirono a svolgere compiti di mobilitazione popolare nelle lotta contro il nazifascismo solo subordinatamente allo scoppio della seconda guerra mondiale e solo su obiettivi democratico-borghesi. E’ rilevante il fatto che vari partiti comunisti vennero a tal punto sorpresi dagli avvenimenti politici che la borghesia potè arrestare i loro segretari (Gramsci, Thaelmann, Rakosi).


(14) Chi afferma che è la lotta di classe a determinare il movimento del capitale in fin dei conti, se è coerente, nega che per passare al comunismo sia necessaria la conquista rivoluzionaria del potere e la dittatura del proletariato. Quindi, nonostante le apparenze, è un riformista gradualista.


(15) Non è possibile comprendere il movimento economico e politico delle società imperialiste se non si tiene conto della gran massa di forme antitetiche dell’unità sociale. Le forme antitetiche dell’unità sociale sono le istituzioni attraverso cui si esprime l’unità economica della società e la connessione economica esistente tra i suoi membri, nate e operanti nel contesto di una società che rimane fondata sulla contrapposizione delle sue parti e sulla negazione della loro connessione (vedasi su questo, K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Il capitolo del denaro).


(16) La borghesia USA si è sviluppata libera dagli ostacoli e dalle sedimentazioni prodotte nella borghesia europea da secoli di lotta contro le classi feudali. Se tanti esponenti della borghesia, nella fase storica in cui essa lottava contro le classi feudali non avessero perseguito con tenacia e sincerità gli ideali politici e culturali della democrazia borghese (basti pensare alla Grande Rivoluzione del 1789), la borghesia non sarebbe riuscita ad affermare i suoi interessi. Ma chi gode dell’obiettivo già raggiunto, lo trova come un dato di fatto e cresce su quelle stesse basi oramai raggiunte, non ha più traccia dei travagli del percorso.

La borghesia USA nasce e cresce su basi già borghesi, per essa tutto è merce in un’accezione più completa, più cinica e universale che per la borghesia europea. Un celebre capitalista USA, Mr Gould, tranquillamente e pubblicamente proclamava .

Caratteristica è anche la differenza nel modo di trattare gli affari dei capitalisti USA e di quelli europei. Al contrario del borghese USA il borghese europeo tende a sottintendere l’interesse che lo muove, a rivestirlo di motivazioni pie. Il capitalismo USA appare manifesto, cinico, privo delle foglie di fico patriarcali con cui a volte il capitalismo europeo copre le proprie crudeltà.


(17) Alla fine della 2° Guerra Mondiale la borghesia temeva che si riproducesse una crisi economica simile a quella del ’29, sulla base della costatazione che solo il riarmo e la guerra avevano posto fine alle manifestazioni più eclatanti di quella crisi (disoccupazione di massa, paralisi di larga parte dell’apparato produttivo, ecc.). Gli studiosi borghesi di economia politica convalidavano questo timore e gli studiosi revisionisti li seguivano, mostrando entrambi una sostanziale incomprensione della natura della crisi del ’29.


(18) Idealista perchè vede le idee e i comportamenti degli altri, diffusi, di massa, come punto di partenza, su cui misurare la situazione e le possibilità dell’agire dei singoli e delle organizzazioni. Quindi si muove solo quando gli altri già si muovono, alla loro coda, salvo poi avere un comportamento estremista all’interno del movimento, fare qualcosa in più di quello che fanno gli altri, osare più degli altri e chiamare questo "essere avanguardia". Non è un caso che nel movimento degli anni 70 si è parlato più di "essere avanguardia" che di "essere comunisti": questa seconda cosa avrebbe più facilmente messo in luce la mancanza e l’eterogeneità di programmi, concezioni, analisi, progetti, organizzazioni, ecc.; mentre per "essere avanguardia" bastava essere quelli che si davano da fare di più, che si mettevano davanti, che estremizzavano le istanze del movimento di massa, ecc.


(19) Negli anni 70 invece le bande sono «andate a scuola» più di movimenti rivoluzionari dei paesi dipendenti (Tupamaros, Marighela, Cuba, OLP, ecc.), di movimenti di minoranze razziali e nazionali (Black Panthers, IRA, ETA, ecc.) e in genere di movimenti che avevano le armi come comune denominatore, ma facevano parte di contesti sociali assolutamente diversi dal nostro.


(20) Da qui emerge l’inconsistenza delle discussioni e delle accuse relative al «tanto peggio, tanto meglio». Nascono tutte da una concezione soggettivistica del movimento economico della società. Il «peggio» non arriva per volontà, desiderio, scelta, opera di individui, gruppi e classi. Sono le leggi oggettive del modo di produzione capitalista che lo generano inevitabilmente.


(21) E’ da notare che la tesi del SIM viene elaborata quando oramai il predominio USA nel sistema capitalistico mondiale è in declino, cioé proprio quando ricominciano a divaricarsi interessi e linee dei vari gruppi imperialisti. Questo conferma che la teoria del SIM non è stata prodotta da incomprensione della realtà, da una errata analisi della realtà, ma solo dall’influenza delle preesistenti teorie superimperialiste della cultura borghese (e operaista), cioè che è stata una costruzione libresca, versione «di sinistra», «arcirivoluzionaria», «combattente» , insomma ad uso delle organizzazioni comuniste combattenti e a giustificazione della loro pratica, delle varie teorie dello stato-piano.


(22) Altrettanto banale è l’obiezione che non è possibile la vittoria del proletariato in Italia se non vince contemporaneamente anche negli altri principali paesi europei, che è impossibile staccare l’Italia dalla catena imperialista.


(23) Abbiamo già chiarito sopra cosa intendiamo per situazione rivoluzionarie e per rivoluzione («ultima e decisiva battaglia per il potere», insurrezione).

Per «guerra dispiegata» intendiamo una situazione in cui le forze armate rivoluzionarie sono in grado di affrontare apertamente le forze controrivoluzionarie, quindi il rapporto di forza si è modificato fino ad un certo punto a favore della rivoluzione. Pensiamo ad esempio alle condizioni della lotta partigiana in Italia negli anni 1943-45.

Sia nel corso della rivoluzione che della guerra dispiegata il ruolo principale della lotta armata diventa, a differenza che nella fase di accumulazione delle forze rivoluzionarie in condizioni di accerchiamento da parte delle forze borghesi, la liquidazione delle forze armate e delle altre strutture di potere della borghesia.


(24) I voti per il PCI erano in larga misura il risultato della mobilitazione di alcune decine di migliaia di proletari e comunisti che volontariamente, coraggiosamente, in contrasto con la spinta al guadagno e al tornaconto personali, sacrificando tempo ed energie facevano uscire, con mille iniziative e operando in mille modi, milioni di lavoratori dalla condizione di abbrutimento fisico e di asservimento mentale e psicologico al padrone, al prete, alla TV, ai pregiudizi e alla superstizione e li portavano a sperare nel meglio, a crescere, a vedere più in là, ad allargare gli orizzonti: in conclusione, alle elezioni, a votare PCI anzichè DC, PSI, MSI, PSDI, ecc. ecc. Ora quelle decine di migliaia di militanti un po’ alla volta abbandonano il loro lavoro perchè delusi dalla linea conservatrice, di destra e poliziesca del PCI o si corrompono diventando carrieristi profittatori. Quei milioni di persone che grazie al loro lavoro avevano alzato la testa, avevano incominciato a tirarsi su dal fango, ma che non erano ancora consolidati in questa condizione da trasformazioni materiali, strutturali della società, (perchè la loro condizione materiale restava ancora quella di casalinghe relegate nell’isolamento domestico, di lavoratori sballottati qua e là a rimediare soldi rischiando la pelle o adattandosi in mille modi alla volontà e ai capricci del loro padrone), ripiombano nella loro condizione ordinaria e alle elezioni votano DC, PSI, PSDI, MSI, ecc. ecc. Non è un caso che il PCI ha avuto il massimo successo elettorale proprio nel momento di massimo sviluppo del movimento rivendicativo delle masse degli anni 70, nonostante il suo ruolo frenante nelle lotte rivendicative e nonostante che nel movimento fluisse un mare di improperi e di critiche contro di esso.


(25) I gruppi assorbirono in sè e diedero forma anche alla contraddizione generazionale interna alla classe dominante. Il contrasto tra i padri e i figli, particolarmente acuto in quell’epoca a causa della crisi complessiva della classe dominante, si concretò nell’afflusso dei figli nei gruppi, nella loro «andata agli operai e al popolo». Per verificarlo basta fare l’analisi dell’origine di classe dei membri dei gruppi e dei loro organismi dirigenti. Si trova che la percentuale di elementi di origine borghese è elevata e spesso, soprattutto negli organismi dirigenti, addirittura più elevata della percentuale della borghesia sulla popolazione complessiva.

L’«andata agli operai e al popolo» dei figli dei borghesi era un’espressione della grande egemonia della classe operaia in quel periodo (in altre epoche gli stessi figli dei borghesi in vena di emancipazione confluivano nello squadrismo fascista e in formazioni analoghe). Ma era inevitabile il ritorno di una parte di essi alla loro classe. Il ritorno fu pressochè totale a causa del fallimento del movimento.


(26) Accanto a questo continuano, come forma secondaria, la repressione e gli ostacoli posti all’organizzazione: dal caposquadra che minaccia e punisce chi legge il giornale rivoluzionario e così ne limita la diffusione, alla FIAT che cataloga, scheda, punisce e premia, all’industria mafiosa dove la «testa calda» viene ricattata ed eliminata, ai reparti confino, ecc. Tutte cose che capisce chi ha presente attraverso quali passaggi in tempi «pacifici» si sviluppano il movimento di massa, la coscienza di classe, le organizzazioni di massa.


(27) «Dopo la rivoluzione proletaria in Russia e le vittorie inattese, per la borghesia e per i filistei, riportate da questa rivoluzione su scala internazionale, il mondo intiero è oggi cambiato, e anche la borghesia è cambiata dappertutto. Essa è impaurita dal «bolscevismo», è furibonda contro di esso fin quasi alla follia e, appunto per questo, da una parte affretta lo sviluppo degli avvenimenti e, dall’altra parte, rivolge tutta la sua attenzione al soffocamento violento del bolscevismo, indebolendo, con ciò stesso, le proprie posizioni in un buon numero di altri campi. Di ambedue queste circostanze i comunisti di tutti i paesi progrediti devono tener conto nella loro pratica.

Quando i cadetti russi e Kerenski scatenarono una caccia feroce contro i bolscevichi - specialmente nell’aprile 1917 e ancora più nel giugno e nel luglio 1917 - essi «passarono la misura». Milioni di copie di giornali borghesi che urlavano su tutti i toni contro i bolscevichi, contribuivano a spingere le masse a dare il loro giudizio sul bolscevismo, e ciò mentre, oltre la stampa, tutta la vita pubblica, proprio grazie allo «zelo» della borghesia, echeggiava di discussioni intorno al bolscevismo. Oggi, su scala internazionale, i milionari di tutti i paesi si comportano in modo tale, che noi dobbiamo essere loro riconoscenti di tutto cuore. Essi perseguitano il bolscevismo con lo stesso zelo col quale lo perseguitavano Kerenski e compagni; anche essi «passano la misura» e ci aiutano così come Kerenski ci ha aiutato. Quando la borghesia francese mette il bolscevismo al centro della sua agitazione elettorale e accusa di bolscevismo socialisti relativamente moderati o tentennanti; quando la borghesia americana, perdendo completamente la testa, imprigiona migliaia e migliaia di persone per sospetto di bolscevismo e crea un’atmosfera di panico, diffondendo dappertutto notizie di congiure bolsceviche; quando la borghesia inglese, la borghesia più «solida» del mondo, malgrado tutta la sua prudenza ed esperienza, commette incredibili sciocchezze, fonda ricchissime «società per la lotta contro il bolscevismo», crea una letteratura speciale sul bolscevismo, recluta per la lotta contro il bolscevismo un numero supplementare di dotti, di agitatori, di preti, noi dobbiamo inchinarci e ringraziare i signori capitalisti. Essi lavorano per noi. Essi ci aiutano ad interessare le masse alle questioni dell’essenza e del significato del bolscevismo. E non possono fare diversamente, perchè oramai non sono riusciti a «passare sotto silenzio», a soffocare il bolscevismo.

Ma, nello stesso tempo, la borghesia vede quasi uno solo dei lati del bolscevismo: l’insurrezione, la violenza, il terrore; e perciò la borghesia si sforza di prepararsi particolarmente alla difesa e alla resistenza in questo campo. E’ possibile che in singoli casi, in singoli paesi, per un breve periodo di tempo essa vi riesca: bisogna tener conto di questa eventualità e non c’è proprio nulla di terribile per noi se essa potrà riuscirvi. Il comunismo «prorompe» vigorosamente da tutti i lati della vita pubblica; i suoi germi si trovano dappertutto; l’«infezione» (per impiegare l’espressione preferita dalla borghesia e dalla polizia borghese e il paragone che ad esse è più «gradito») è penetrata fortemente nell’organismo e tutto lo ha impregnato. Se si «ostruisce» con particolare diligenza un’uscita, l’infezione ne trova un’altra, magari la più inattesa. La vita fa valere i suoi diritti. La borghesia può dibattersi, infuriarsi fino alla follia, può esagerare, può commettere sciocchezze, può vendicarsi anticipatamente dei bolscevichi e ammazzare a centinaia, a migliaia, a centinaia di migliaia i bolscevichi di ieri e di domani (in India, in Ungheria, in Germania, ecc.): con questo suo modo di agire, la borghesia fa ciò che fecero nel passato tutte le classi condannate a morte dalla storia. I comunisti devono sapere che, in ogni caso, l’avvenire appartiene a loro, e quindi noi possiamo (e dobbiamo) unire alla massima passione nella grande lotta rivoluzionaria, la valutazione più fredda e più calma dei colpi furiosi della borghesia. La rivoluzione russa fu crudelmente battuta nel 1905; i bolscevichi russi furono sconfitti nel luglio 1917; più di 15.000 comunisti tedeschi furono uccisi in seguito all’abile provocazione e alle astute manovre di Scheidemann e di Noske, in combutta con la borghesia e i generali monarchici; in Finlandia e in Ungheria infuria il terrore bianco. Ma in tutti i campi e in tutti i paesi, il comunismo si tempra e cresce; le sue radici sono così profonde, che le persecuzioni non lo indeboliscono, non lo spossano, ma lo rafforzano. Per avviarci più sicuri e più saldi alla vittoria, ci manca una cosa sola: e cioè che tutti i comunisti di tutti i paesi acquistino la coscienza vasta e profonda della necessità di essere quanto più possibile flessibili nella loro tattica. Al comunismo che si sviluppa rigogliosamente, specialmente nei paesi più progrediti, manca ora questa coscienza e la capacità di applicarla nella pratica.

Un’utile lezione potrebbe (e dovrebbe) essere ciò che è avvenuto dei capi della 2° Internazionale, dei marxisti così sapienti e così devoti al socialismo, come Kautsky, Otto Bauer e altri. Essi erano pienamente coscienti della necessità di una tattica flessibile, avevano studiato e insegnato agli altri la dialettica marxista (e molto di quanto essi hanno fatto a questo riguardo rimarrà per sempre prezioso patrimonio della letteratura socialista); ma nell’applicazione di questa dialettica hanno commesso un tale errore, ovvero nella pratica si sono dimostrati così non dialettici, si sono dimostrati così incapaci di valutare il rapido mutamento delle forme e il rapido riversarsi di un nuovo contenuto nelle vecchie forme che la loro sorte non è molto più invidiabile della sorte di Hyndman, di Guesde, di Plekhanov. La cagione principale del loro fallimento sta nel fatto che essi «sono rimasti in contemplazione» di una determinata forma di sviluppo del movimento operaio e del socialismo, hanno dimenticato che quella forma è unilaterale, hanno avuto paura di assistere alla brusca svolta che era divenuta inevitabile a causa delle condizioni obiettive, e hanno continuato a ripetere verità semplici e risapute, a prima vista incontestabili: tre è maggiore di due. Ma la politica assomiglia più all’algebra che all’aritmetica e più ancora alla matematica superiore che alla matematica elementare. In realtà, tutte le vecchie forme del movimento socialista si erano impregnate di un nuovo contenuto: davanti alle cifre era perciò comparso un segno: il «meno». Ma i nostri sapientoni continuavano (e continuano tuttora) ad affermare a sè e agli altri che «meno tre» è più di «meno due».

Bisogna sforzarsi di evitare che i comunisti ripetano, sia pure nella direzione opposta, gli stessi errori; o meglio, bisogna sforzarsi di correggere più presto e di sorpassare più rapidamente, senza nuocere all’organismo, lo stesso errore, sia pure nella direzione opposta, commesso dai comunisti «di sinistra». E’ un errore anche il dottrinarismo di sinistra e non soltanto il dottrinarismo di destra. Naturalmente, l’errore del dottrinarismo di sinistra nel comunismo è in questo momento mille volte meno pericoloso e meno importante dell’errore del dottrinarismo di destra (cioè del socialsciovinismo e del kautskismo); ma è meno pericoloso soltanto perchè il comunismo di sinistra è una corrente molto giovane, appena nata. Soltanto per questo la malattia, date certe condizioni, può essere facilmente curata; ed è necessario intraprendere questa cura con la massima enegia.

Le vecchie forme sono crollate, perchè il nuovo contenuto - contenuto antiproletario e reazionario - ha raggiunto uno sviluppo smisurato. Oggi, dal punto di vista dello sviluppo del comunismo internazionale, il nostro lavoro (per il potere sovietico e la dittatura del proletariato) ha un contenuto così saldo, così forte, così potente che può e deve manifestarsi in qualsiasi forma, nelle nuove come nelle vecchie; che può e deve rinnovare, vincere, subordinare a sè tutte le forme, non soltanto le nuove, ma anche le vecchie; non già per riconciliarsi col passato, ma per trasformare tutte le più svariate forme, le vecchie come le nuove, in strumenti della vittoria piena e definitiva, decisiva e irrevocabile del comunismo.

I comunisti devono fare tutti gli sforzi per orientare il movimento operaio e lo sviluppo sociale in genere, per la via più diretta e più rapida, verso la vittoria mondiale del potere sovietico e verso la dittatura del proletariato. E’ una verità incontestabile. Ma basta fare ancora un piccolo passo avanti - anche se sembra un passo nella medesima direzione - perchè la verità si cambi in errore. Basta dire, come dicono i comunisti di sinistra tedeschi e inglesi, che noi riconosciamo soltanto una via, quella diretta, che non ammettiamo nessun destreggiamento, nessun accordo, nessun compromesso, e questo è già un errore capace di recare, e che in parte ha già recato e reca, un gravissimo danno al comunismo. Il dottrinarismo di destra si è impuntato a riconoscere soltanto le vecchie forme, e il suo fallimento è stato completo perchè non ha notato il nuovo contenuto. Il dottrinarismo di sinistra si impunta nella negazione assoluta di determinate vecchie forme, e non vede che il nuovo contenuto si apre la strada attraverso ogni e qualsiasi forma, che il nostro dovere, come comunisti, è quello di acquistare la padronanza di tutte le forme, di apprendere a completare, con la massima rapidità, una forma per mezzo dell’altra, a sostituire una forma con l’altra, ad adattare la nostra tattica a qualsiasi cambiamento che non sia causato dalla nostra classe, né dai nostri sforzi.

La rivoluzione mondiale è spinta avanti e così potentemente accelerata dagli orrori, dalle infamie, dalle turpitudini della guerra imperialista mondiale e dalla situazione senza uscita che essa ha creato; questa rivoluzione si sviluppa in estensione e in profondità con tale magnifica rapidità, con così meravigliosa ricchezza di forme che si avvicendano, con così edificante confutazione pratica di ogni dottrinarismo, che vi sono tutte le ragioni per sperare una sollecita e perfetta guarigione del movimento comunista internazionale dalla malattia infantile del comunismo «di sinistra».


(28) Quando la crisi politica è già risolta o non è ancora esplosa vale invece la regola che morto un papa se ne fa un altro e quindi l’eliminazione di un papa è inutile. E’ significativo che il cambio di personalità, la sostituzione di una con un’altra avente caratteristiche personali del tutto diverse, non porti ad alcun cambio di linea politica. Un esempio recente è stata la sostituzione di Carter con Reagan alla testa degli USA: Reagan ha mostrato capacità di fare quello che Carter aveva iniziato a fare con scarsa capacità. La differenza sta tutta nel fatto che se nella classe dominante un gruppo di interessi è nettamente prevalente, la linea politica non muta al cambiare della testa di turco. E’ quando la lotta tra interessi contrapposti è ancora indecisa, che ai fini del prevalere di uno sugli altri può essere determinante il ruolo delle personalità.


(29) A meno che qualcuno si immaginasse che a forza di accumulare azioni combattenti da parte delle bande, le masse alla fine si commovessero e scendessero in piazza al modo di «arrivano i nostri»!