Progetto di Manifesto Programma - Capitolo I

1.1 Il processo di produzione capitalista

martedì 11 luglio 2006.
 

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1.1. Il processo di produzione capitalista

1.1.1. La nascita e lo sviluppo del modo di produzione capitalista


1.1.2. La natura del modo di produzione capitalista


1.1. Il processo di produzione capitalista

1.1.1. La nascita e lo sviluppo del modo di produzione capitalista

La merce è comparsa al mondo quando degli uomini hanno incominciato a produrre beni o servizi non per uso personale, né per il mantenimento di persone a cui a qualsiasi titolo dovevano provvedere, né per l’uso personale del loro padrone o signore, ma da uomini liberi per scambiarli liberamente con beni e servizi prodotti da altri. La produzione di merci, la circolazione delle merci e il denaro, che ne è stato un derivato, sono comparsi fin dai tempi remoti e in vari paesi, come aspetto marginale di altri modi di produzione (schiavista, feudale, ecc.). La circolazione delle merci è stata il punto di partenza della trasformazione del denaro in capitale. L’attuale modo di produzione capitalista è nato in Europa a partire dal secolo XI. In quell’epoca, in alcune zone d’Europa, per una combinazione di circostanze la produzione mercantile aveva raggiunto uno sviluppo abbastanza ampio. Fu allora che comparve il capitalista, come personificazione del capitale commerciale: egli acquistava merci non per uso personale, ma per venderle e faceva questa attività non per ricavare da vivere, ma per aumentare il suo denaro. Il passo successivo avvenne quando il capitalista ancora commerciante passò a commissionare regolarmente la produzione di merci. Successivamente, a partire dal secolo XVI, il capitalista divenne industriale: passò a organizzare egli stesso la produzione, assumendo a lavorare, in propri locali (manifatture) e con propri mezzi di produzione e proprie materie prime, lavoratori che a loro volta erano liberi da vincoli di servitù, ma anche privi della possibilità di provvedere alla propria vita in altro modo che vendendo la propria forza-lavoro (capacità lavorativa). A quel punto era interesse del capitalista non solo far lavorare il più a lungo e il più intensamente possibile il suo lavoratore, ma anche elevare al massimo possibile la produttività del lavoro di questi. A differenza delle classi dominanti che l’avevano preceduta, la borghesia applicò allora sistematicamente il patrimonio culturale e scientifico e la ricchezza della società, concentrati nelle mani delle classi dominanti, per elevare la produttività del lavoro umano.

Produttività del lavoro umano


La quantità di beni o servizi prodotti da un lavoratore nell’unità di tempo è la produttività del suo lavoro. Quando il lavoro diventa collettivo, come nelle fabbriche moderne, è in generale impossibile distinguere il contributo di ogni singolo lavoratore alla produzione. In questi casi la produttività del lavoro è data dalla quantità di beni o servizi prodotti da un dato numero di lavoratori nell’unità di tempo.

Di conseguenza, a partire dal secolo XVIII il capitale è passato dalla manifattura alla grande industria meccanizzata, ha attuato un processo di ampia socializzazione e divisione del lavoro e ha sempre più accentuato la dipendenza tra le distinte aziende. Si è appropriato di altri settori di lavoro (miniere, trasporti, foreste, agricoltura, pesca, servizi), ne ha creati di nuovi (ricerca, comunicazione) e li ha resi tra loro dipendenti. Ha legato l’uno all’altro distinti paesi. Ha sottomesso a sé i vecchi Stati e ne ha creato di nuovi mettendoli tutti al servizio della propria valorizzazione, ha invaso e in qualche modo sottomesso tutti i paesi, non solo dell’Europa, ma anche dell’Asia, dell’Africa e delle Americhe, dividendoli tra paesi capitalisti e colonie. Il lavoro salariato è diventato la forma principale della produzione e anche gli altri rapporti di lavoro hanno in qualche modo assunto la sua forma.

I rapporti capitalisti di produzione sono stati uno stimolo potente dello sviluppo economico. La ricerca del profitto ha spinto la borghesia ad ampliare la produzione, a perfezionare i macchinari e a migliorare la tecnologia nell’industria, nell’agricoltura, nei trasporti, nei servizi, in ogni campo, a creare grandi infrastrutture, a trasformare l’ambiente. La sua illimitata ricerca di profitto ha spinto la borghesia a travolgere abitudini e consuetudini vecchie di secoli, a non arrestarsi di fronte a nessun crimine, a eliminare intere popolazioni e civiltà, a impoverire, inquinare e distruggere le risorse naturali e l’ambiente.

Le precedenti classi dominanti avevano tutte sfruttato i lavoratori per soddisfare il proprio bisogno di consumo, quindi avevano il proprio consumo come limite dello sfruttamento. Invece la borghesia, avendo come obiettivo l’aumento del proprio capitale e non il proprio mantenimento, ha spinto lo sfruttamento ben oltre quanto necessario al consumo della classe dominante. Questo fu il motivo della superiorità economica del capitalismo sui modi di produzione schiavista e feudale tra i quali si sviluppava e la base del ruolo progressivo svolto dalla borghesia nella storia dell’umanità.

Il modo di produzione capitalista si affermò definitivamente in Europa nel secolo XVI lottando contro il modo di produzione feudale, perché esso comportava rapporti di produzione (forme di proprietà, rapporti tra gli uomini nel lavoro e forme di distribuzione del prodotto) e rapporti politici e culturali incompatibili col feudalesimo. Esso prevalse su larga scala anzitutto in Inghilterra dove per una serie di circostanze poté impiegare la forza dello Stato per spazzare via la resistenza feudale fino a impadronirsi anche delle campagne che erano la base del modo di produzione feudale. Seguirono poi la Francia e via via gli altri paesi europei e le colonie di popolamento anglosassoni (l’America del Nord e l’Australia). La serie quasi ininterrotta di guerre che costituisce la storia dell’Europa nei secoli XVI, XVII, XVIII, la Rivoluzione inglese (1638-1688), la Guerra d’indipendenza americana (1776-1783), la Rivoluzione francese (1789-1815) e infine la Rivoluzione europea del 1848 sono le tappe principali della lotta con la quale la borghesia sostanzialmente eliminò in Europa occidentale il mondo feudale e affermò la propria direzione.

Mentre la borghesia conduceva la sua lotta contro il feudalesimo, contro il Sacro Romano Impero Germanico e le monarchie feudali, contro l’assolutismo monarchico, contro l’oscurantismo della Chiesa romana e del Papato, nell’ambito del suo modo di produzione veniva crescendo numericamente e acquistando maturità culturale e forza politica una nuova classe, la classe operaia. La borghesia la costringeva a condizioni di lavoro e di vita peggiori di quanto mai si era fino allora visto, ma nello stesso tempo proclamava e imponeva la sua liberazione dalla servitù feudale, contro di questa inalberava le parole d’ordine di "libertà, eguaglianza e fratellanza" universali e contro la resistenza dei feudatari mobilitava la stessa classe operaia. È questa nuova classe la forza dirigente del processo di trasformazione della società capitalista in società comunista e il comunismo è, oltre che questo processo pratico di trasformazione, la concezione del mondo e il metodo di conoscenza e di azione con cui questa nuova classe conduce la sua lotta.

Già nel secolo XVIII nel paese capitalista più sviluppato, l’Inghilterra, l’antagonismo tra la borghesia e gli operai era abbastanza sviluppato e l’operaio si era abbastanza differenziato sia dal capitalista sia dall’artigiano, dal garzone di bottega e dal povero in genere, da dar luogo a ribellioni di vario genere, individuali e collettive e alle prime forme di organizzazione di classe.

La prima società operaia inglese venne fondata dal calzolaio Thomas Hardy (1752-1832). Essa oltre a fare agitazione politica promosse numerose rivolte tra la popolazione industriale di Londra e delle Midlands. Lo Sato soppresse la società operaia nel 1799 nel quadro di generali misure repressive, ma i movimenti si estesero nell’illegalità e con lotte sanguinose fino al 1824-1825 quando lo Stato attenuò le disposizioni che vietavano agli operai di organizzarsi.


Nel 1811 attorno a Nottingham e nei vicini distretti gruppi di operai cominciarono a distruggere le nuove macchine (luddismo). Il movimento dopo il 1814 si estese a tutti i distretti industriali inglesi e venne represso dallo Stato con misure terroristiche.


A partire dagli anni attorno al 1830 gli operai inglesi parteciparono attivamente, accanto alla borghesia, alle lotte per la riforma del Parlamento avanzando proprie richieste (cartismo) e nel 1847 strapparono la legge che limitava a 10 ore la durata legale della giornata lavorativa.

Gli operai parteciparono attivamente alla Rivoluzione francese ma ancora sostanzialmente al seguito della borghesia; nella Rivoluzione europea del 1848, benché fosse ancora la borghesia a cogliere i frutti della loro lotta, essi entrarono invece già come classe a se stante e nel giugno del 1848 a Parigi subirono una repressione feroce e di massa che segnò per la Francia il netto distacco tra le due classi e anche la fine della neonata repubblica borghese. Nei primi decenni del secolo XIX sempre più diffusamente gli operai si contrappongono alla borghesia, acquistano coscienza di classe e capacità di lotta, trascinano nella lotta al loro seguito il resto delle masse popolari, sono diventati nei maggiori paesi capitalisti un problema per l’ordine pubblico.

L’elaborazione delle esperienze della lotta della classe operaia contro la borghesia condusse anzitutto a una comprensione esauriente delle origini e della natura del modo di produzione capitalista, che fino allora inutilmente i più grandi teorici della borghesia

Nel periodo della sua ascesa la borghesia produsse una teoria dei rapporti economici scientifica per quanto l’orizzonte degli interessi borghese lo permetteva, l’economia politica classica. I maggiori esponenti furono Adam Smith (1723-1790), David Ricardo (1778-1823), Thomas Robert Malthus (1766-1834). Quando la borghesia entrò nella fase del suo declino e dovette lottare non più contro le forze feudali superstiti, ma contro la classe operaia in ascesa, la sua produzione nel campo delle scienze sociali si inaridì e si ridusse a esaltazione della società esistente e a mascheramento dei reali rapporti sociali: economia politica volgare, economia politica marginalista, ecc.

avevano cercato di esporre e quindi delle condizioni materiali entro le quali si svolgeva e da cui era condizionata la lotta della classe operaia.

1.1.2. La natura del modo di produzione capitalista

La forza-lavoro è l’insieme di condizioni fisiche e spirituali che si manifestano nella personalità vivente di un uomo e che questi mette in moto per produrre beni o servizi, prodotti di qualunque tipo. Il capitalismo nasce lì dove il possessore di mezzi di produzione e di beni di consumo, o del denaro con cui li si può acquistare essendo essi prodotti come merci, incontra nel mercato l’operaio "libero" venditore della sua forza-lavoro.

"In che cosa il proletario si distingue dallo schiavo?


Lo schiavo è venduto una volta per sempre; il proletario deve vendere se stesso giorno per giorno, ora per ora. Il singolo schiavo, proprietà di un solo padronte, ha l’esistenza - per miserabile che possa essere - assicurata dall’interesse di questo padrone; il singolo proletario, proprietà per così dire dell’intera classe dei borghesi e il cui lavoro viene acquistato solo se qualcuno ne ha bisogno, non ha l’esistenza assicurata. Questa esistenza è assicurata solo alla classe dei proletari nel suo insieme. Lo schiavo si trova al di fuori della concorrenza; il proletario si trova nel suo mezzo e ne risente tutte le oscillazioni. Lo schiavo è considerato un oggetto, non un membro della società civile; il proletario è riconosciuto come persona, come membro della società civile. Lo schiavo può quindi avere un’esistenza migliore del proletario, ma il proletario appartiene a uno stadio superiore di sviluppo della società e si trova egli stesso a un grado di sviluppo superiore a quello dello schiavo. Lo schiavo si emancipa abolendo, fra tutti i rapporti di proprietà privata, solo il rapporto della schiavitù e divenendo così, dapprima, egli stesso proletario; il proletario si può emancipare solo abolendo la proprietà privata [dei mezzi di produzione] in generale".


F. Engels, Principi del comunismo (1847), in Opere complete, vol. 6.

Nel capitalismo la forza-lavoro assume, per l’operaio stesso, la forma di una merce che gli appartiene e la sua attività, conseguentemente, assume la forma di lavoro salariato. Il valore della forza-lavoro, come il valore di ogni merce, è determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario per la sua produzione. Pertanto il valore della forza-lavoro è il valore dei beni di consumo e dei servizi necessari per mantenere l’individuo lavoratore nel suo stato di vita e di lavoro normale nel dato paese e nella data epoca e per mantenere la sua famiglia: ossia per assicurare la riproduzione della merce forza-lavoro.

L’operaio vende per un tempo determinato la sua forza-lavoro e il capitalista diventa proprietario, per quel tempo, di questa merce e la consuma nella sua azienda, nella fabbrica. Questo uso della forza-lavoro è il processo di produzione capitalista di merci: un processo di produzione di beni o servizi che è anche un processo di creazione di valore (perché svolto nell’ambito della produzione mercantile) e un processo di valorizzazione del capitale o di estrazione del plusvalore (perché svolto nell’ambito del modo di produzione capitalista). Il capitalista prolunga il tempo di lavoro più in là del tempo necessario all’operaio per riprodurre nelle merci finali un valore equivalente a quello che riceve a compenso per la forza-lavoro che ha venduto; quindi estorce all’operaio un lavoro di cui non paga l’equivalente, si appropria di un valore aggiuntivo a quello che egli ha anticipato, il plusvalore: sfrutta l’operaio e valorizza (aumenta) il suo capitale. Da qui il suo interesse vitale sia a prolungare la durata del lavoro complessivo sia a ridurre la durata del tempo di lavoro necessario. Questa è l’essenza del modo di produzione capitalista messa in luce da K. Marx e F. Engels.

La natura e le leggi del modo di produzione capitalista sono state esposte da K. Marx nella sua opera maggiore Il capitale. Il primo volume venne pubblicato nel 1864, il secondo e il terzo vennero pubblicati postumi da F. Engels rispettivamente nel 1885 e nel 1894. In quest’opera Marx descrisse anche la nascita e lo sviluppo del modo di produzione capitalista e della società borghese fino alla metà del secolo XIX.

Questo processo di sfruttamento è la cellula dalla quale si è sviluppata nel corso di alcuni secoli tutta la società attuale, è la base sulla quale si innalza tutto l’edificio dell’attuale società borghese ed è la fonte dell’inconciliabile lotta di classe tra gli operai, privi di tutto meno che della loro forza-lavoro e i capitalisti, proprietari dei mezzi di produzione e dei beni di consumo.