Comunicato del 20 luglio 2007

D’Alema, Veltroni, Fassino & C si sono lanciati in un’avventura degna di Mussolini!

Sesto anniversario del tentato colpo di mano di Genova e dell’uccisione di Carlo Giuliani
martedì 24 luglio 2007.
 

(nuovo)Partito comunista italiano

Commissione Provvisoria del Comitato Centrale

Email: lavocenpci40@yahoo.com

Delegazione: BP3 4, rue Lénine 93451 L’Île St Denis (Francia)


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D’Alema, Veltroni, Fassino & C si sono lanciati in un’avventura degna di Mussolini!
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D’Alema, Veltroni, Fassino & C si sono lanciati in un’avventura degna di Mussolini!
Il testo del comunicato in formato PDF

A vantaggio dei re della finanza e degli speculatori, dei grandi capitalisti, dell’oligarchia politica e commerciale, dei truffatori e dei generali, dei mafiosi e degli alti prelati, dei grandi professionisti e amministratori, degli alti funzionari e dei dirigenti, puntano all’eliminazione del sistema previdenziale pubblico e a sostituire alle pensioni una rendita finanziaria per chi ce l’avrà; puntano all’eliminazione del contratto collettivo nazionale di lavoro e a sostituire al contratto di lavoro a tempo indeterminato il lavoro precario; puntano all’eliminazione della coesione sociale e di un sistema universale di diritti e doveri e a sostituirli con il diritto di sfruttare e di speculare su tutto e con l’universale dominio del mercato e del sistema finanziario!

 

La sinistra borghese sta cedendo ogni giorno nuove posizioni alla destra borghese!

La direzione della sinistra borghese spinge le masse popolari all’abbandono della lotta e al cinismo!

La crisi della sinistra borghese apre spazi di attività per la rinascita del movimento comunista!

Impedire con la mobilitazione di massa che la borghesia riesca a realizzare con il governo del circo Prodi quello che non è riuscita a realizzare con il governo della banda Berlusconi!

Rafforzare la struttura clandestina centrale del partito, moltiplicare il numero dei Comitati di Partito e migliorare il loro funzionamento, sviluppare il lavoro sui quattro fronti indicati dal Piano Generale di Lavoro!

 

La sinistra borghese si prepara a ratificare un nuovo passo della liquidazione della previdenza pubblica. Essa fa proprie e sancisce le decisioni del governo Berlusconi-Bossi-Fini, come già aveva fatto proprio il suo tentativo, per il momento pare sostanzialmente abortito, di affidare il TFR (la liquidazione) dei lavoratori, all’incirca 19 miliardi di euro/anno, agli speculatori della finanza. Nel programma elettorale si era impegnata assieme alla Margherita (l’altra espressione politica della borghesia di sinistra) ad eliminare lo scalone come altre misure prese dal governo BBF. Ora invece fa propria e peggiora la riforma Maroni: innalzamento dell’età della pensione anche per chi ha già 35 anni di contributi. La diluirà un po’ nel tempo, mentre aveva anticipato la scadenza fissata dalla legge Maroni per il furto del TFR. La logica, il filo conduttore comune di queste misure è rafforzare economicamente e politicamente la borghesia finanziaria mettendo nelle sue mani la sorte dei lavoratori che nel futuro andranno in pensione. Dare più mezzi e più forza alle società finanziarie, alle banche, alle assicurazioni, agli speculatori e mettere ancora più l’economia in balia del gioco d’azzardo dei finanzieri. Ridurre i soldi a disposizione dei lavoratori e consegnare i loro risparmi agli speculatori. Per avere una visione di dove la borghesia ci sta conducendo, basta confrontare i faraonici attivi, i profitti e i patrimoni delle banche, delle assicurazioni, delle società finanziarie, delle maggiori imprese, dei loro proprietari e degli speculatori di Borsa, con la trasformazione subita dal sistema previdenziale pubblico negli ultimi venti anni. Non solo hanno allineato il trattamento previdenziale delle categorie meglio trattate a quello delle categorie peggio trattate, ma questo è stato peggiorato e continua a essere peggiorato. Chi ci arriva va in pensione sempre più tardi e con pensioni sempre più ridotte. Da un diritto universale la pensione è avviata a diventare un’eccezione, come il contratto di lavoro a tempo indeterminato diventa un’eccezione rispetto al lavoro precario. Tutti quelli che dubitavano che le classi esistessero ancora e che la lotta di classe fosse ancora il motore della vita sociale, sono serviti. Chi sentenziava, declamava o piangeva la scomparsa della classe operaia, è smentito dai nemici e sfruttatori della classe operaia. La ricchezza e il potere si accumulano a un estremo della società e la precarietà e la mancanza di diritti dall’altra.

La lunga trattativa sulle pensioni ha reso manifesto il salto di qualità avvenuto nel mondo politico borghese nei mesi scorsi. Una parte importante della sinistra borghese (l’ala dei Democratici di Sinistra che diretta da D’Alema, Veltroni e Fassino briga per fondare con la Margherita il Partito Democratico) ha compiuto un passo importante e decisivo. Ha gettato la maschera del programma elettorale del circo Prodi e si è allineata apertamente sul programma comune della borghesia imperialista. Essa ha sancito la sua rottura con la sinistra borghese e si candida apertamente ad assumere, nella veste di Partito Democratico, il ruolo che la banda Berlusconi tra il 2001 e il 2006 ha mostrato di non saper svolgere. Il Partito Democratico vuole assumere apertamente su di sé il compito di dare alla borghesia imperialista italiana una struttura politica, economica e culturale all’altezza delle sue aspirazioni. A questo fine ha deciso di non farsi più condizionare dalla parte più avanzata delle masse popolari. Si propone quindi di rompere remore, indugi e finzioni e diventare la sponda politica dichiarata e riconosciuta di Montezemolo, Draghi, Monti e della borghesia imperialista in genere. Ovviamente che ci riesca, è un’altra questione. Non solo le dichiarazioni, le parole, ma anche le idee e le concezioni, le aspirazioni e la volontà sono una cosa, un’altra cosa sono i fatti. I fautori del PD dovranno fare i conti da una parte con le masse popolari italiane e con il rinascente movimento comunista a cui il (n)PCI si dedica con tutte le sue forze, dall’altra con le caratteristiche e contraddizioni proprie della borghesia imperialista italiana, con le contraddizioni internazionali tra USA e UE (in cui il Vaticano ha suoi importanti interessi direttamente in gioco) e con i contrasti legati alla definizione non ancora compiuta dello stesso Partito Democratico. Comunque l’iniziativa dei fautori del PD ha già frantumato la vecchia sinistra borghese: tra chi ci sta a formare il PD e chi non ci sta: “gli scontenti”, come li chiama uno di loro, Giorgio Cremaschi.

 

Cosa cambia nel mondo politico borghese con la decisione presa dai fautori del PD? Cosa cambia nel campo delle masse popolari? Quali sono le ripercussioni di questi cambiamenti sul lavoro di noi comunisti?

 

L’analisi che a noi comunisti interessa deve essere un’analisi che ci aiuta a capire meglio cosa fare per promuovere la rinascita del movimento comunista e avanzare verso il nostro obiettivo di fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Questi obiettivi ci derivano da un’analisi di livello superiore a quella di cui ci occupiamo qui. Non è certo la decisione di D’Alema, Veltroni, Fassino & C di mettersi a fare i Berlusconi civilizzati che rimette in discussione i nostri obiettivi: essa anzi conferma tutto il nostro impianto teorico e la linea generale che stiamo seguendo. Il contrario capita alla residua sinistra borghese. Quella decisione la mette davanti alla sua crisi. Infatti essa (dai più ingenui, a Vendola, alla Rossanda) dice oggi di essere alla ricerca della prospettiva, dell’obiettivo, della concezione del mondo e della società da mettere alla base del nuovo raggruppamento che cerca di costruire, la “Cosa rossa”. Essa ha ripudiato da tempo il marxismo come concezione del mondo, l’instaurazione del socialismo e il comunismo come obiettivo e il patrimonio teorico e l’esperienza del movimento comunista e della lotta di classe come guida dell’azione. Ora, dopo tante sconfitte e piantata in asso dai DS fautori del PD, proclama di aver bisogno di una concezione del mondo, di un obiettivo e di una teoria guida. Dopo tanta denigrazione dell’ideologia, si accorge che la destra borghese (da Berlusconi a Sarkozy) ha un’ideologia (le leggi del capitalismo, per primitive e barbariche che siano), una classe e il suo interesse come riferimento della sua azione politica e di massa e vorrebbe darsene uno anch’essa. Noi comunisti non siamo messi in crisi dall’iniziativa dei fautori del PD. Dobbiamo solo occuparci della concreta congiuntura nella quale svolgiamo la nostra attività tesa a raggiungere i nostri obiettivi strategici. Derivare i propri obiettivi strategici dall’analisi della congiuntura, significherebbe essere privi di autonomia strategica, essere appendici di chi quella congiuntura ha determinato - situazione in cui appunto si trova invece la residua sinistra borghese. La conclusione della nostra analisi deve essere la guida per la nostra azione nella congiuntura che i fautori del PD hanno determinato. Quindi deve essere un’analisi materialista dialettica della congiuntura: individuare i fattori principali in gioco e le relazioni di reciproca dipendenza e generazione che legano un fattore all’altro, definire per ognuno la trasformazione che sta compiendo e le leggi (le contraddizioni e le condizioni) della trasformazione in corso: in che modo una cosa è legata all’altra e quali contraddizioni determinano l’evoluzione di ogni cosa. Non serve a niente mettere al primo posto le idee e le aspirazioni o, peggio ancora, le parole di questo o quell’esponente. Quali saranno effettivamente le circostanze su cui potremo contare nel futuro prossimo, non lo si ricava dalle idee e tanto meno dalle parole degli uomini politici. Lo si ricava principalmente dalla comprensione degli interessi che si scontrano e dei gruppi sociali che si contrappongono. Il futuro si gioca tra le tendenze create dal contrasto degli interessi in gioco. La concezione che di essi ha questo o quell’uomo politico ha certo la sua importanza ai fini delle operazioni immediate e della forma in cui gli avvenimenti si svolgono, ma quanto peserà nel determinare il futuro dipende principalmente da quanto fedelmente essa riflette i reali contrasti di interessi.

 

Il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti passerà alla storia per aver accelerato la crisi della sinistra borghese.

 

La sinistra borghese era quella parte delle forze politiche borghesi (partiti, organismi fiancheggiatori, reti e personaggi) che basava le sue fortune politiche e in particolare elettorali sulla simpatia, sul voto e sull’appoggio attivo della parte più avanzata delle masse popolari: cioè di quella parte delle masse popolari che più risente dell’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria, dei sentimenti e concezioni e dell’esperienza organizzativa che essa ha generato, diffuso o alimentato; quindi che in particolare è convinta del buon diritto delle masse popolari di cambiare l’ordinamento della società se esso non corrisponde ai loro bisogni e ai loro interessi. Fino alla costituzione del governo del circo Prodi, la sinistra borghese da una parte era legata alla borghesia di sinistra (quella parte della borghesia che vorrebbe spremere profitti dai lavoratori senza urtarsi con loro, parte che nel corso dei trenta anni di crisi generale è andata riducendosi a vantaggio della borghesia di destra) e ne era, assieme alla Margherita, il portavoce politico; dall’altra era legata e faceva da sponda politica nelle istituzioni borghesi alla destra dell’aristocrazia operaia che spadroneggia nei sindacati di regime e nelle altre maggiori organizzazioni e movimenti delle masse popolari, quale portavoce dell’influenza e degli interessi della borghesia tra le masse popolari e in particolare tra gli operai (agli Epifani, ai Bonanni, agli Angeletti e ad altri simili tristi figuri).

La crisi della sinistra borghese di fatto ha la sua fonte nell’inizio circa trenta anni fa della nuova crisi generale del capitalismo. Il fenomeno italiano si inserisce in un processo internazionale che riguarda tutto il mondo.

Spinta dalla nuova crisi generale del suo sistema, la borghesia imperialista ha approfittato della debolezza a cui la direzione dei revisionisti moderni aveva oramai portato in tutto il mondo il movimento comunista. Nei paesi imperialisti ha dato il via alla liquidazione, limitazione o stravolgimento delle conquiste che le masse popolari le avevano strappato nei decenni precedenti sulla spinta della prima ondata della rivoluzione proletaria. Rotti i lacci e laccioli che nel secondo dopoguerra il movimento comunista aveva imposto sia nei paesi imperialisti sia nelle semicolonie alla ferocia e alla libertà dei capitalisti, questi hanno ripreso a imperversare nuovamente, come all’inizio del secolo XX ma con forze centuplicate e a un livello superiore, da un capo all’altro del mondo: la nuova globalizzazione. Esigono anzi ora più libertà di trafficare e sfruttare in ogni paese e su ogni cosa, potentemente spalleggiati dai loro Stati e dalle loro organizzazioni internazionali e locali, forti dell’instaurazione di una moneta fiduciaria mondiale, sostenuti dalle attività pubbliche e segrete delle loro pubbliche autorità, dalle leggi nazionali e dagli accordi internazionali, dalle trame e dai crimini dei loro governi e dei loro mercenari, resi forti e, ancora più che forti, arroganti dalla debolezza del movimento comunista e dal crollo dei primi paesi socialisti. I capitalisti impongono in ogni paese e in ogni aspetto della vita la loro libertà di predare e saccheggiare. Alla fine del secolo XX sono ritornati e ci hanno riportato al suo inizio, ma su scala più grande: ci hanno sprofondato nuovamente e ancora più brutalmente nel pantano del sistema imperialista mondiale. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: il marasma sociale, la miseria materiale, intellettuale e morale, la rottura della coesione sociale e del sistema di relazioni internazionali, un nuovo ciclo di guerre e di criminalità, la devastazione delle risorse naturali e la distruzione dell’ambiente. Nella borghesia la debolezza e la crisi del movimento comunista ha tolto forza alla borghesia di sinistra e la borghesia di destra ha sempre più imposto nella nuova situazione le vecchie e barbariche leggi del modo di produzione capitalista. A livello politico e culturale, in questo nuovo corso delle cose iniziato a metà degli anni ’70 del secolo scorso, era la destra borghese che esprimeva le possibilità, le azioni e il comportamento della borghesia. Margaret Thatcher (1799-1990) e Ronald Reagan (1980-1988) ne sono stati i primi esponenti di spicco. Il ruolo della sinistra borghese era finito e incominciava la sua crisi.

Finché il movimento comunista era stato una minaccia per la borghesia imperialista, la sinistra borghese (comunista revisionista, socialdemocratica o come si chiamasse di paese in paese), da una parte aveva tradotto le aspirazioni delle masse popolari in rivendicazioni compatibili con la permanenza della borghesia imperialista alla direzione della società e dall’altra aveva tradotto in riforme economiche, politiche e culturali le concessioni a cui la borghesia era costretta. In essa si combinava l’espressione politica della borghesia di sinistra e la degenerazione riformista, l’ala destra del movimento comunista. Quanto al nostro paese, l’ala destra del PCI, guidata da Togliatti, aveva trasformato il PCI nella sinistra dello schieramento politico borghese. Questa sinistra borghese era stata una componente essenziale del regime DC che infatti entrò in crisi con essa.

In Italia come negli altri paesi imperialisti la crisi economica generale rendeva più onerose per la borghesia le concessioni, mentre l’indebolimento del movimento comunista internazionale le rendeva meno necessarie. Non c’era più posto per la sinistra borghese: essa sopravvisse per inerzia e gradualmente si corruppe e si ridusse.

La corruzione della sinistra borghese non era principalmente una questione di morale, non riguardava principalmente il comportamento individuale dei suoi esponenti. Aveva la sua fonte e la sua massima espressione nel suo ruolo politico: la corruzione degli individui era un aspetto derivato e secondario. La corruzione della sinistra borghese consisteva nel contrasto crescente tra la concezione del mondo e il programma politico in nome del quale chiedeva e raccoglieva il consenso e la collaborazione tra le masse popolari da una parte e dall’altra la linea politica che effettivamente seguiva e realizzava mascherandola come stato di necessità, impossibilità di fare altrimenti, forza della borghesia e debolezza delle masse popolari. La sinistra borghese continuava ad alimentare nelle masse popolari la speranza di un nuovo migliore ordinamento sociale futuro. Per un po’ di tempo una parte di essa continuò addirittura ad alimentare la speranza nell’instaurazione del socialismo. Si presentava come promotrice, organizzatrice e dirigente della difesa delle conquiste già strappate che erano l’eredità istituzionale della prima ondata della rivoluzione proletaria, il segno che questa aveva impresso nelle istituzioni dei regimi borghesi che non aveva rovesciato. In realtà essa guidava le masse popolari in un modo che rendeva loro impossibile strappare nuove conquiste alla borghesia e anzi le portava a perdere una dopo l’altra anche quelle che avevano strappato nel passato. La sinistra borghese fingeva di promuovere la lotta per strappare nuove conquiste e per difendere le vecchie conquiste. In realtà aveva abbandonato la lotta per instaurare il socialismo che aveva dato forza anche alla lotta per strappare conquiste. Addirittura denigrava l’esperienza rivoluzionaria della prima ondata della rivoluzione proletaria e i risultati ottenuti. Era convinta dell’inutilità della battaglie che proclamava e in cui lanciava le masse popolari. Conduceva per mano la parte più avanzata delle masse popolari a ingoiare una dopo l’altra le misure che la borghesia veniva adottando. Preparava una dopo l’altra le sconfitte delle lotte che le masse popolari conducevano a difesa delle loro vecchie conquiste. Approfittare delle fiducia delle masse, mentire e fare della retorica erano le sue arti distintive. La sceneggiata di Bruno Trentin alla fine del luglio 1992 è esemplare del comportamento della sinistra borghese: firmò ad Amato la resa della scala mobile dei lavoratori che era incaricato di dirigere e diede le sue dimissioni da segretario della CGIL per andare a fare il pensionato di lusso. Dove poteva portare una simile direzione?

Di sconfitta in sconfitta si riduceva anche l’appoggio attivo e il consenso elettorale che la parte più avanzata delle masse popolari dava alla sinistra borghese. Diminuiva la coesione sociale e parallelamente diminuivano la solidarietà e la militanza dei seguaci della sinistra borghese. Partiti e organizzazioni di massa si trasformavano da organi di promozione sociale, di solidarietà e di formazione ed emancipazione culturale e politica degli aderenti e della massa della popolazione dalla borghesia e dal clero, in macchine elettorali e di potere sociale al servizio dei dirigenti. Questi costituivano sempre più un’oligarchia legata da nepotismi, rapporti d’interessi e di cooptazione e i partiti e le organizzazioni di massa diventavano semplici supporti dell’oligarchia.

Infine si riduceva la stessa consistenza della parte avanzata delle masse popolari. Nelle nuove circostanze pratiche le vecchie paure, le idee reazionarie, le vecchie abitudini e l’abbrutimento dei rapporti umani risorgevano tra le masse popolari e si espandevano nuovamente sospinte anche dalla denigrazione del movimento comunista e dalla sua decadenza a livello mondiale. Il movimento comunista degenerava e abbandonava la rivoluzione proletaria e le masse popolari abbandonavano il movimento comunista. Ritornavano alla vecchia subordinazione alla borghesia e al clero, con un cinismo e un sfiducia nuovi.

Questo è il quadro della lunga decadenza della sinistra borghese che si è svolta nel corso degli ultimi trenta anni. Con la formazione del governo Prodi-D’Alema-Bertinotti è iniziata nel nostro paese una nuova fase della crisi della sinistra borghese.

La caratteristica della nuova fase della crisi della sinistra borghese consiste nel fatto che una parte importante di essa, i DS fautori del PD, abbandona la sinistra borghese e passa alla destra borghese.

I DS fautori del PD portano a compimento l’opera iniziata da Togliatti e proseguita da Occhetto (Bolognina), anche a costo di perdere pezzi cospicui: i personaggi che si sono ritirati o appartati dalla politica attiva, i gruppi che si sono sciolti e gli esponenti della Sinistra Democratica (Mussi, Angius & C). Altri certamente ne perderanno ancora strada facendo, man mano che le conseguenze della scelta fatta si mostreranno in tutta la loro cruda ripugnante realtà. Il realismo dei DS fautori del PD consiste nel prendere atto che la sinistra borghese non ha futuro e nell’imporre con cinica determinazione la loro volontà ai velleitari, agli indecisi, ai sognatori, agli opportunisti, a quelli che vogliono continuare a barcamenarsi e si staccano sempre di più dalla realtà. In effetti il ruolo che la sinistra borghese si è ridotta a svolgere, di finta e rituale difesa delle conquiste, o è un ruolo culturalmente e politicamente di retroguardia che passa di sconfitta in sconfitta o, al di là della coscienza e della volontà dei suoi esponenti e anche contro di esse, contribuisce alla rinascita del movimento comunista. Infatti, per quel tanto o poco che ha di ruolo storicamente positivo l’attività che svolge, la sinistra borghese tiene vive aspettative cui essa non dà risposta. Fa promesse che essa non può mantenere. Alimenta aspirazioni che le masse popolari possono soddisfare solo sotto le bandiere del partito comunista e lottando per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Siamo noi promotori della rinascita del movimento comunista che traiamo vantaggio da quel tanto di positivo che si può ricavare dall’attività della sinistra borghese.

I DS fautori del PD, con il circo Prodi e approfittando del fallimento della banda Berlusconi, hanno ripreso in mano il governo del paese e questa volta non intendono più lasciarlo. Prodi ha un bel minacciare dimissioni per coprire la collaborazione di Epifani: i fautori del PD non molleranno il governo in nessun caso. Per questo hanno abbandonato la sinistra borghese e sono passati alla destra borghese.

 

In che senso i fautori del PD sono entrati a far parte della destra borghese?

Precisamente in due sensi.

1. Da una parte non c’è campo della vita sociale e dello scontro di interessi tra classi in cui il governo Prodi-D’Alema-Bertinotti non abbia assunto e non assuma giorno dopo giorno, pienamente e organicamente, creativamente, le posizioni della destra borghese. La sua continuità con il governo BBF è tale che solo chi non vuole vedere (ed è il caso di gran parte della residua sinistra borghese) considera ancora i singoli episodi come casi isolati, come “deviazioni” dal programma. Si può citare la liquidazione del sistema previdenziale pubblico (entità delle pensioni, età per andare in pensione, ecc.) a vantaggio della speculazione finanziaria, l’affidamento dei risparmi e dei contributi dei lavoratori agli speculatori della finanza, la limitazione della validità dei contratti collettivi nazionali di lavoro (contratto dipendenti pubblici, contratto dei chimici), la precarietà nei rapporti di lavoro (legge Treu e legge Biagi), la flessibilità degli orari e delle mansioni, il ruolo delle forze armate italiane in Afghanistan, in Libano e altrove, il sostegno alla politica di guerra degli USA (nuova base Dal Molin - Vicenza, collaborazione allo scudo spaziale e alla produzione dei bombardieri F35 a Cameri, estradizioni extralegali al modo di Abu Omar, ecc.), la collaborazione con i sionisti d’Israele contro il popolo palestinese, le opere pubbliche e la devastazione ambientale (TAV, rigassificatori, inceneritori, discariche, ecc.), la privatizzazione dei servizi pubblici (acqua) e del poco che resta del settore economico pubblico (Finmeccanica, Alitalia), i diritti civili (DICO), l’accettazione dei ricatti dei generali ammansiti con l’aumento dei fondi messi a loro disposizione (riarmo), dell’attività sovversiva ed eversiva dei corpi armati dello Stato (Pollari, protezione dei mandanti e degli autori delle stragi di Stato e dei “delitti di mafia”), delle illegalità nella repressione dell’opposizione di sinistra (repressione di Napoli nel marzo e di Genova nel luglio 2001, Manganelli, De Gennaro), la protezione dello squadrismo fascista (Villa Ada), ecc. ecc. L’elenco è senza limiti perché tutta l’attività politica del governo PAB, quella pubblica e quella riservata, è continuazione con altri metodi dell’attività politica del governo BBF. La convergenza del governo PAB sul programma comune della borghesia imperialista è diventata totale e plateale.

Per fare questo i fautori del PD non hanno esitato a mettere con le spalle al muro i loro alleati “di sinistra”, quelli esterni e quelli interni ai DS, fino al ricatto della caduta del governo Prodi e della loro estromissione dal governo contro i primi e alla scissione contro i secondi. Ed è proprio in questo scontro che emerge chiaramente la natura di quanto resta in campo della sinistra borghese e si può capire cosa c’è da aspettarsi da essa nel futuro.

2. Dall’altra i DS fautori del PD rinunciano al sostegno di quella parte delle masse popolari che in misura più o meno ampia risente dell’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria: dei sentimenti, delle concezioni e della esperienza organizzativa che essa ha generato, diffuso o alimentato. Si propongono semplicemente di neutralizzarla elettoralmente con una nuova legge elettorale e di ridurne rapidamente la consistenza con la loro azione governativa. Infatti i capitalisti un po’ alla volta inducono parti crescenti delle masse popolari a rassegnarsi, ad abbrutirsi, a mettersi al loro seguito, a riporre ognuno nella rapacità individuale la propria sopravvivenza. I DS fautori del PD prendono realisticamente atto che le cose continueranno ad andare così a meno che si sviluppi rapidamente la rinascita del movimento comunista (eventualità che il PD esclude e che comunque combatterà con ogni mezzo). I residui esponenti della sinistra borghese alla Cremaschi piagnucolano: “È in atto uno smottamento culturale tra gli stessi operai”. Bertinotti lancia l’allarme: “O troviamo rapidamente una soluzione o siamo finiti”. In realtà lo “smottamento culturale tra gli stessi operai” è in atto da alcuni decenni, da quando è iniziata la crisi della sinistra borghese e la sua fonte principale è proprio la direzione che la sinistra borghese mantiene sulle maggiori organizzazioni e nei maggiori movimenti delle masse popolari, le sconfitte senza rimedio a cui la sua direzione porta i lavoratori.

I DS fautori del PD hanno compiuto una scelta di realismo, sono diventati dei politici borghesi realisti. A modo loro sanno che tra le masse popolari in questa fase sono aperte solo due vie: se non avanza la mobilitazione rivoluzionaria, avanza la mobilitazione reazionaria. I residui esponenti della sinistra borghese non concepiscono neanche la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e hanno paura della mobilitazione reazionaria. I fautori del PD invece sono contro la mobilitazione rivoluzionaria e più o meno lucidamente optano per la mobilitazione reazionaria. Quindi essi si rivolgono direttamente a quella parte delle masse popolari che è estranea all’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria, a quella parte che finora era terreno di caccia della destra borghese, della Casa delle Libertà padronali. Si assumono essi stessi il compito di alimentare il distacco delle masse popolari dall’eredità della prima ondata, che comunque già tutta la sinistra borghese aveva classificato come “errore e orrore”. Contano che quell’eredità sarà definitivamente sepolta o almeno marginalizzata nel giro di un tempo abbastanza breve. Si propongono (con la riforma elettorale prossima ventura e in nome della governabilità del paese) di blindare le istituzioni dello Stato borghese per renderle impermeabili all’influenza di quella parte delle masse popolari che risente di quell’eredità. Le assemblee rappresentative permettono sempre meno di formare stabili governi coerenti col programma comune della borghesia quanto più sono rappresentative della popolazione. Quindi per rendere il paese governabile, bisogna rendere le assemblee meno rappresentative. Solo in questo modo si può evitare di doverle abolire. La loro concezione della democrazia è che il paese è come un’azienda borghese e va governato con i criteri con cui il padrone governa la sua azienda: chi serve sta dentro, chi non serve lo si caccia. Se le masse non votano come i padroni vogliono, i padroni cambiano la legge elettorale in modo da ottenere il risultato elettorale di cui hanno bisogno. Se le masse si danno dei dirigenti o rappresentanti sgraditi ai padroni, i padroni li rifiutano e in un modo o nell’altro li eliminano (i sionisti d’Israele e gli imperialisti USA, UE, ecc. fanno scuola): le masse devono avere rappresentanti perché i padroni ci possano trattare, quindi devono eleggere rappresentanti trattabili. Anche se i meno lucidi e lungimiranti di loro forse non se ne rendono ancora pienamente conto, i fautori del PD puntano tutte le loro fortune sulla mobilitazione reazionaria delle masse popolari, dato che senza una certa collaborazione delle masse popolari non è possibile governare un paese borghese. Per governare un paese certo hanno bisogno della forza, ma devono anche indurre una parte delle masse popolari a collaborare e il resto a rassegnarsi e tacere. Proseguendo sulla loro strada i fautori del PD certamente andranno incontro ad altre scissioni “a sinistra”, dopo quella già consumata della Sinistra Democratica e dovranno ridefinire i loro rapporti con la destra dell’aristocrazia operaia. Questa infatti, per il suo ruolo, deve trovare un modo per stare tra i lavoratori e non può seguire i fautori del PD al loro ritmo nel loro schieramento sfrontato a fianco della borghesia imperialista contro i lavoratori. Epifani non può fare le stesse dichiarazioni di D’Alema. Una società moderna non può fare a meno di un’organizzazione sindacale dei lavoratori. Non basta quindi cooptare nell’apparato politico e governativo alcuni capi sindacali: i Marini, i Cofferati, i Pezzotta o gli Epifani di turno. Dovranno normalizzare l’attività e l’organizzazione sindacale, espellere i comunisti e gli altri irriducibili, regolare i conti con i “sindacati alternativi”.

Ovviamente i fautori del PD dovranno vedersela anche con la Casa delle Libertà padronali. Quando saranno convinti che la situazione è matura, che essi possono mantenere la direzione, quando una parte sufficiente della Casa delle Libertà padronali sarà disponibile, faranno il governo delle larghe intese. La banda Berlusconi è fallita e quindi la combinazione tra fautori del PD e una parte almeno della Casa delle Libertà padronali prima o poi si farà. Resta da vedere il destino di quei frammenti della destra che non potranno essere riciclati nelle larghe intese. L’operazione del resto darà luogo anche per i DS e forse anche per la Margherita a nuove separazioni e scissioni.

 

Cosa succede di quella parte della vecchia sinistra borghese che non aderisce al PD? Cosa resta della sinistra borghese e come reagisce alla decisone dei fautori del PD? Che ruolo avrà nel prossimo futuro

 

Il resto della vecchia sinistra borghese subisce l’iniziativa dei fautori del PD. La loro iniziativa ha sconcertato e squassato la sinistra borghese. Caratteristica della sinistra borghese è di mancare d’iniziativa, di non poter avere iniziativa: è una forza residuale, parassitaria, politicamente corrotta e di conservazione. La lunga abitudine a non affrontare realmente i problemi politici, ha reso i suoi esponenti incapaci di capirli, li ha resi intellettualmente e moralmente impotenti. Oggi alcuni di essi gridano alla loro incapacità di capire il capitalismo, ma non per questo lo capiscono. La sinistra borghese subisce le iniziative altrui e reagisce ad esse. Per natura o formazione gli esponenti della sinistra borghese sono dei conservatori privi di iniziativa. Tirano a campare. I più brillanti, Bertinotti ne è l’esponente più in vista, rivestono il loro immobilismo politico e sociale di profluvi di parole la cui novità maschera l’inerzia politica degli autori. La verbosità rimpiazza l’iniziativa politica. Di fronte all’iniziativa del PD, alcuni personaggi e militanti si appartano dalla politica attiva, si ritirano a vita privata. Alcuni organismi si sciolgono. Gli altri sono frantumati dall’iniziativa del PD alle cui spalle vivevano. Si erano autoproclamati “sinistra di alternativa” e avevano promosso i DS al rango di sinistra riformista. Vivevano nel comodo ruolo di chiedere “uno di più” di quello che la loro “sinistra riformista” proponeva. Ora che il grosso della loro “sinistra riformista” è passata armi e bagagli alla destra borghese, sono alla ricerca di una nuova collocazione: la “Cosa rossa”. Si stanno dividendo in governativi intransigenti, governativi possibilisti e extragovernativi. Per alcuni mesi esisteranno due sinistre borghesi: una di governo (finché la destra la tollererà e la tollererà tanto più a lungo se la rinascita del movimento comunista si accelera) e una di opposizione.

Mussi e i suoi soci si proclamano governativi per natura e resteranno al governo fino a quando il PD li scaricherà.

Bertinotti dice che la partecipazione al governo è “una variabile dipendente” (ma aggiunge “se ci si intende”) mentre “il rapporto tra la politica del cambiamento e i movimenti è, sempre che ci si intenda, una variabile indipendente nel senso che la ricerca di tale rapporto è il sale di ogni politica di trasformazione della società”: ma in pratica “non ci si intende” e quindi sta al governo e rinuncia al rapporto con i movimenti (No TAV, No Dal Molin, ecc.: li accusa più o meno apertamente di non avere il senso della politica). Vede nel governo borghese, che per Bertinotti è il governo e basta, il possibile realizzatore di “un progetto di riforma della società” che egli non ha ancora definito nei trenta anni passati, di cui finora non aveva avvertito la necessità, ma che si ripromette di definire nei prossimi mesi per far fronte all’iniziativa dei fautori del PD e riunire così la sua “massa critica” necessaria per non farsi eliminare dalla prossima legge elettorale. Resterà al governo a meno che i calcoli elettorali, fatti sulla base della nuova legge elettorale, non gli consiglieranno il contrario.

Infine ci sono i numerosi partiti che si stanno formando con i frammenti del PRC e che mantengono integra la natura della vecchia sinistra borghese. Nessuna autocritica sul passato, nessun bilancio dell’esperienza. La stessa concezione del mondo, della società, dell’attività politica, delle masse popolari: solo il contenitore è minore e più ridotta la scena su cui giocare. Oggi si schierano diversamente perché D’Alema ha fatto la sua scelta, perché Bertinotti & C sbagliano. Fino a ieri erano la migliore sinistra che ci poteva essere e i disastri di oggi sono opera del diavolo: “gli scontenti degli scontenti” li chiama uno di loro, Giorgio Cremaschi.

Ma la crisi che li coinvolge tutti ha il suo fulcro nel fatto che la borghesia e la destra borghese hanno un progetto pratico di futuro, per barbarico che sia, e lo impongono. Mentre la sinistra borghese non ha alcun progetto di futuro. Il programma che proclama è conservare l’eredità istituzionale del movimento comunista senza movimento comunista, di cui ha rinnegato concezioni, sentimenti, aspirazioni ed esperienza. Tanto meno si preoccupa di mobilitare le masse popolari dato che non ha alcuna fiducia che le masse popolari possano realizzare alcunché. La società alternativa la “sinistra di alternativa” la vuole comunque costruire con lo Stato borghese, con i poteri e gli interessi costituiti, con il loro governo.

1. La residua sinistra borghese non ha senso della storia, non capisce da dove viene la situazione attuale e dove sta andando (quali alternative reali ha in sé), non ha una concezione dialettica del mondo, si limita ad auspicare un mondo conforme ai suoi desideri: il mondo che la sua condizione pratica le rende desiderabile. È solo (o principalmente) preoccupata di mantenere uno spazio per sé nelle istituzioni dello Stato, come sponda politica di quella parte delle masse popolari che difende le vecchie gloriose conquiste strappate nel passato alla borghesia.

I suoi esponenti lanciano l’allarme dell’americanizzazione dell’Europa, perché credono alle parole della destra borghese. Il progetto della destra sembra loro che porti l’UE ad essere come gli USA. Non si chiedono in cosa sia consistito il “modello americano” al di là delle sue apparenze, da dove è venuto il sistema americano, come la borghesia imperialista è riuscita negli USA a mettere e a tenere sotto controllo per molti decenni la lotta di classe, perché è riuscita a imporsi. La soluzione americana della lotta di classe è agli sgoccioli, ma la sinistra borghese non si rende conto che nemmeno gli USA possono più essere come gli USA: mandano soldati e assoldano mercenari all’estero, adottano su scala crescente la tortura e la detenzione senza procedimento giudiziario, tengono in galera il 2% della popolazione abile al lavoro, cancellano le conquiste che avevano stabilizzato il dominio della borghesia imperialista sulle masse popolari americane. Come potrebbe la borghesia imperialista europea stabilire in Europa un dominio le cui condizioni vengono meno anche negli USA? Per americanizzarsi non basta voler essere come l’America: bisogna prendere il suo posto, contrapporsi con successo ad essa.

È una sciocchezza dire che la lotta politica in Europa si americanizza ed è un vano esorcismo gridare che tutti quelli che non sono soddisfatti della società attuale (la “sinistra di alternativa”) devono correre ai ripari unendosi: poi si vedrà cosa vogliamo e come raggiungerlo. Tradotta in parole semplici vuol dire: “Dobbiamo conservare il nostro attuale spazio nel mondo politico borghese. La destra borghese (la Casa delle Libertà padronali e il Partito Democratico) ce lo vuole togliere, ma se ci mettiamo insieme “facciamo massa critica” e lo manteniamo”.

Gli esponenti della sinistra borghese non ancorano la loro attività politica nella realtà: la divisione della società in classi, l’antagonismo degli interessi di classe, la lotta di classe, la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato come sbocco inevitabile della lotta di classe, gli insegnamenti che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha dato su come condurre la lotta di classe nei paesi imperialisti per arrivare alla vittoria. Montezemolo dice che la società è come un’azienda e che come nell’azienda anche nella società deve esistere un unico ordine. Montezemolo è più realista della sinistra borghese. La sinistra borghese invece sostiene che possono convivere due ordini, basta un po’ di buona volontà. Ma i fatti hanno la testa dura e danno ragione a Montezemolo e il PD si associa al suo realismo. Noi comunisti siamo d’accordo: può esistere un solo ordine, ma deve essere l’ordine del proletariato.

2. La residua sinistra borghese non ha un progetto di società da costruire: il suo programma è la conservazione dell’esistente di fronte alla destra borghese che vuole “riformare” la società, cioè abolire le tracce residue del movimento comunista nelle istituzioni borghesi e che ha bisogno di mobilitare almeno una parte delle masse popolari a sostegno della borghesia nelle sue imprese interne e internazionali. Ma la difesa delle conquiste istituzionali senza lotta per instaurare il socialismo è destinata alla sconfitta. La borghesia elimina le conquiste una a una, pezzo dopo pezzo. A chi non concepisce né sogna l’insieme del disegno comunista di cui le conquiste sono la residua traccia, a chi non ha l’obiettivo e non nutre la fiducia di instaurare un nuovo ordinamento sociale, ogni battaglia si presenta come episodio isolato, come una lotta che riguarda solo una parte, come la lotta per conservare i vantaggi di una parte a danno di un’altra: in definitiva come un’impresa che non è degna di quella tensione totale e duratura delle forze necessaria per vincere il disegno complessivo della borghesia e quindi anche gran parte delle singole battaglie che compongono la guerra. Solo chi costruisce tra le masse popolari il nuovo potere, il potere proletario, è in grado di tutelare le tracce che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha lasciato nelle istituzioni borghesi, perché allarga tra le masse popolari le concezioni e i sentimenti e l’esperienza organizzativa e di lotta che avevano reso le masse popolari capaci di imporle e le porta a rinnovare con maggiore efficacia l’assalto al cielo.

Gli esponenti della sinistra borghese non sanno cosa volere. Non osano dire che questo è l’unico mondo possibile: romperebbero con quella parte delle masse popolari che ha assimilato la lezione della prima ondata. Allora si dichiarano “sinistra di alternativa” a questa società. Ma cosa vogliono fare e come ci vogliono arrivare non osano dire. L’unica cosa chiara è che lo vogliono fare con lo Stato borghese e con i poteri e gli interessi costituiti: infatti vogliono nascere subito grandi, ben rappresentati nelle istituzioni borghesi, riconosciuti dalla borghesia. Non si adattano al paziente e oscuro lavoro di formica necessario per riannodare le forze del movimento comunista. Non hanno imparato nulla. Perché rifiutano l’esperienza del movimento di trasformazione della società borghese che è in opera da più di 150 anni. A differenza di quello che avviene presso gli esponenti politici antimperialisti dell’America Latina, nella residua sinistra borghese del nostro paese il parlare di socialismo del XXI secolo si riduce al rifiuto e alla denigrazione della prima ondata della rivoluzione proletaria. Per il resto sono chiacchiere e fumisterie.

La sinistra alternativa quando parla di “un altro mondo possibile” non è, come invece è il caso per i cento movimenti di massa che sorgono senza posa, all’effettiva ricerca di una soluzione complessiva per i vari problemi che soffocano la vita di fronte alle enormi possibilità che le si presentano: essa ha rinnegato la lotta per instaurare il socialismo e l’ha giudicata un misto di “errori e orrori”. Essa quando parla di “un altro mondo possibile” fa irresponsabilmente balenare alle masse popolari un futuro migliore, mantiene demagogicamente viva tra le masse popolari la speranza e la fiducia che è possibile un futuro migliore, di cui non ha e non si preoccupa di definire né le caratteristiche né come arrivarci. Tanto meno quindi si occupa di iniziative concrete per raggiungerlo. Quindi essa stessa smobilita, scoraggia, demoralizza quotidianamente le masse popolari e crea così le condizioni della sconfitta di ogni operazione tattica in cui più o meno coerentemente si esprime l’aspirazione delle masse popolari a un mondo migliore. Nonostante i suoi dichiarati propositi, essa per quanto è nei suoi poteri promuove la liquidazione dell’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria: è disfattista e rinunciataria, senza fiducia e senza coraggio.

Gli esponenti della sinistra borghese non offrono una prospettiva strategica e tatticamente portano di sconfitta in sconfitta. Non fanno nulla che rafforzi, mobiliti e allarghi la mobilitazione delle masse popolari, che la destra borghese sta erodendo: la destra borghese e la borghesia in genere infatti ripongono le loro fortune nel riuscire a indurre parti crescenti delle masse popolari a rassegnarsi, ad abbrutirsi, a mettersi al loro seguito. Anzi con la denigrazione del movimento comunista, con le ripetute sconfitte tattiche, con i continui cedimenti contribuiscono essi stessi a ridurre la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari e ad alimentare la loro mobilitazione reazionaria.

Gli esponenti della “sinistra di alternativa” dall’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria hanno tirato una sola lezione: non si doveva fare la rivoluzione, è stato un errore ribellarsi, la ribellione ha prodotto un misto di errori e orrori. Non osano dire che bisogna rassegnarsi al dominio della borghesia, sottomettersi, ricavarsi ognuno la nicchia migliore possibile: ma è quello che fanno e a cui la loro direzione politica ed ideologica induce i loro seguaci.

3. La residua sinistra borghese ignora in ogni manifestazione della sua attività politica che la mobilitazione e organizzazione delle masse, l’elevamento della coscienza politica delle masse, l’iniziativa politica delle masse sono gli strumenti principali e indispensabili della trasformazione della società: dell’instaurazione del socialismo, del superamento del modo di produzione capitalista, della creazione di un nuovo ordinamento sociale. Alcuni per sfiducia nelle capacità rivoluzionarie delle masse che li porta a concepire che la società si può trasformare solo attraverso lo Stato (di fatto lo Stato borghese, anche se essi neanche concepiscono questa distinzione) e col consenso dei poteri costituiti. Altri perché neanche concepiscono questi obiettivi: essi semplicemente pensano ad una società in cui ci sia spazio anche per alcune istanze e alcuni istituti proletari e popolari. In altri ancora si combinano le due motivazioni. D’altra parte anche la residua sinistra borghese ha bisogno di servirsi delle masse popolari come sua base elettorale e claque per la sua azione politica: masse popolari che si mobilitino a fare dimostrazioni di plauso o di propaganda alle sue iniziative, che la sostengano nelle sue contrattazioni con la destra borghese. Più che di una “sinistra di alternativa” infatti si tratta di una “sinistra di trattativa”.

A differenza dei comunisti, la sinistra borghese non concepisce il suo compito come organizzazione e costruzione intellettuale, morale e organizzativa tra le masse popolari del nuovo potere proletario che si contrappone a quello della borghesia e che irrompe nelle istituzioni borghesi per sfruttare le contraddizioni del nemico e rafforzare le proprie forze (accumulazione delle forze rivoluzionarie). Essa difende il suo spazio e il suo ruolo nelle istituzioni borghesi: chi può nel Parlamento nazionale e nel governo, gli altri nelle amministrazioni comunali e provinciali, negli organismi locali e nel parlamento europeo. Essa concepisce il proprio ruolo nei confronti delle masse popolari come un fare sponda nelle istituzioni borghesi e dare visibilità nell’opinione pubblica borghese ai movimenti, alle aspirazioni e alle rivendicazioni popolari in cambio del voto e della claque. Insomma, l’attività politica si fa nelle istituzioni del regime: nel parlamento nazionale, nei consigli regionali e comunali, al parlamento europeo, nei mass media: essere al governo è il massimo. Bisogna non scontentare troppo la propria base elettorale, il proprio elettorato di riferimento. Le masse fanno la claque e votano. Al resto ci pensano loro: leggi, norme e azione delle autorità.

La relazione che la “sinistra di alternativa” mantiene con le masse popolari è comprensibile solo se si tiene presente la loro sfiducia nelle masse popolari e la loro convinzione che la società la può trasformare solo il governo borghese col consenso dei poteri costituiti.

4. La residua sinistra borghese è per sua natura a rimorchio della destra borghese. I fatti correnti parlano chiaro.

Per quanto riguarda l’attività governativa, quella che si presenta come “sinistra di alternativa” (che comprende PRC, PdCI, Verdi, Sinistra Democratica), si è adattata e si adatta alle decisioni dei fautori del PD. Essa rifiuta di vedere che il governo PAB sta facendo una politica che non ha nulla a che vedere col programma elettorale del circo Prodi. Si ostina a vedere solo deviazioni in questo o quel campo: ripropone in sede di complessiva attività governativa la storiella dei “servizi segreti deviati” che nessuno sa dove siano quelli non deviati che neanche vedono i deviati. Dice che se rinuncia in questo o quel campo al programma elettorale del circo Prodi, è solo per tenere in vita il governo. Accusa i fautori del PD di volerla estromettere dal governo per accordarsi con la parte più rispettabile e assimilabile della Casa delle Libertà padronali. Insomma la “sinistra di alternativa” rinuncia al programma elettorale del circo Prodi per non dare pretesto alla crisi del governo PAB. Per persone convinte che oggi in Italia si può fare attività politica solo se si è nel governo, la cosa ha senso. Ma indica anche quale sarà il loro futuro. È probabile che il ricatto ci sia, ma esso è chiaramente un bluff e ben lo capisce chiunque non è di per sé succube del mondo borghese, chiunque vede una qualche prospettiva al di fuori di esso, una qualche alternativa ad esso. Gli esponenti della “sinistra di alternativa” invece non vedono alcuna alternativa fuori dal governo PAB: quindi non vedono che i fautori del PD non sono ancora pronti per combinarsi con la Casa delle Libertà padronali né per fare nuove elezioni. Lo saranno probabilmente tra un po’ e allora scaricheranno la “sinistra di alternativa” senza complimenti, come senza complimenti hanno lasciato che Mussi e i suoi soci prendessero la porta. Cedendo oggi a un ricatto inconsistente, la “sinistra di alternativa” mostra la sua inconsistenza: per sua natura essa è interna al mondo borghese e quindi subalterna ad esso, una sua appendice. In definitiva essa è nelle mani della borghesia perché non ha alcuna fiducia nelle masse popolari. Non vede trasformazione della società che non sia fatta dallo Stato esistente e col consenso dei poteri esistenti. Ovviamente cedendo oggi ad un ricatto inconsistente, si mette in condizione di ingoiare per lo stesso motivo ogni altro rospo, sia pure ogni volta con resistenze, contorcimenti, declamazioni e contrattazioni: tutte le politiche che i fautori del PD riterranno necessarie, finché riterranno conveniente tenersela tra i piedi. Poi la scaricheranno, a meno che un’accelerazione della rinascita del movimento comunista consigli alla borghesia di agire diversamente, di continuare a servirsene.

La storia di ognuna delle componenti di questa residua sinistra borghese nel governo PAB è una storia di cedimenti. Quando il cedimento avviene alla luce del sole, ciò di cui discute e su cui contratta e su cui cerca di portare l’attenzione delle masse popolari è il quanto cedere (quanto oggi, quanto contrattare che si rimandi a domani o a dopodomani, come diluire la condanna) e il come cedere (su quale gruppo e categoria riversare il carico maggiore, quale forma e nome dare al cedimento). In realtà il governo Prodi ha fatto emergere con chiarezza e su grande scala che la sinistra borghese e la sua corrispondente nell’ambito delle organizzazioni popolari (la destra dell’aristocrazia operaia che dirige i sindacati di regime e le altre organizzazioni delle masse popolari: gli Epifani, i Bonanni, gli Angeletti e gli altri tristi figuri di quella fatta) sono al seguito della destra borghese. Gli individui e gli organismi si dividono tra complici (agenti) e succubi. I contorcimenti, i tempi che ci mettono per concludere i loro accordi ai danni delle masse popolari, le parole con cui circondano i cedimenti dipendono da quanto è importante mascherare il proprio ruolo alla parte più avanzata delle masse popolari e dall’abilità nel contrattare le contropartite per sé e per i propri fedeli. Ma anche fingere è sempre più difficile: basta considerare quanta è stata la decadenza da Trentin a Cofferati a Epifani.

Per quanto riguarda lo scontro tra la residua sinistra borghese e i fautori del PD, sono questi che hanno dettato e dettano i tempi e le forme. Essendo essi i promotori della trasformazione e avendo le carte e l’iniziativa in mano, non hanno esitato a liberarsi degli “scontenti”, ma non avevano interesse a far fracasso. Era loro interesse circoscrivere quantitativamente e qualitativamente la scissione, dosarla, ridurre le perdite in uomini e strutture - anche perché devono ancora definire i rapporti di forza con la Margherita. Hanno voluto e fatto una scissione morbida. Gli scissionisti avrebbero avuto interesse a fare fracasso se avessero voluto raccogliere seguaci e addirittura mandare a monte l’operazione PD. Invece hanno accettato di fare le cose con calma e gentilezza, in punta di piedi: un’altra conferma della loro debolezza e della subalternità della loro posizione. Vogliono mantenere buoni rapporti con i loro vecchi soci, non tagliare i ponti. Confermano la loro sudditanza alla borghesia.

In conclusione, i rappresentanti della “sinistra di alternativa”, anche quando si pongono ancora come interpreti e portavoce nelle istituzioni dello Stato borghese dell’eredità istituzionale della prima ondata della rivoluzione proletaria, ne rifiutano gli insegnamenti e ne denigrano l’esperienza. Continuano la tradizione della sinistra borghese in una situazione in cui il suo ruolo è sempre più privo di risultati. Da qui la loro intrinseca debolezza e il graduale esaurimento a cui sono destinati.

 

L’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria è il nostro patrimonio più prezioso.

 

Noi comunisti riteniamo che nell’eredità e nell’esperienza della prima ondata della rivoluzione proletaria ci sono le premesse per la rinascita del movimento comunista e, per le masse popolari, il punto di partenza per uscire dal marasma sociale, dalla miseria economica, intellettuale e morale, dal disastro ambientale e dal nuovo ciclo di guerre in cui la borghesia imperialista ci ha portato e ogni giorno un po’ più ci affonda.

Noi comunisti non rinunciamo a rivolgerci a quella parte delle masse popolari che ha poco o nulla a che vedere con l’eredità culturale e organizzativa della prima ondata della rivoluzione proletaria. Essa ha goduto delle sue conquiste, subisce l’eliminazione di quelle conquiste, subisce le conseguenze del marasma sociale in cui la borghesia imperialista ci sta affondando. Anch’essa per la sua collocazione di classe ha bisogno della rinascita del movimento comunista e per i suoi interessi ha mille motivi di scontro con la borghesia imperialista. A questa parte delle masse popolari noi dobbiamo rivolgerci sulla base dei loro interessi pratici, della loro esperienza quotidiana. Su questo dobbiamo far leva per sviluppare i loro mille contrasti pratici con la borghesia imperialista. Sulla base di questi contrasti pratici, provocheremo in essa anche una trasformazione delle idee e dei sentimenti e la porteremo a confluire nel nuovo movimento comunista.

Ma noi possiamo e quindi dobbiamo attingere più immediatamente forze e risorse da quella parte delle masse popolari dove l’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria è ancora forte. Qui possiamo far leva non solo sugli interessi e sui contrasti pratici con la borghesia imperialista, ma anche sui sentimenti, le concezioni e l’esperienza che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha sedimentato. Dobbiamo quindi tra questa parte delle masse popolari e in primo luogo degli operai, confrontarci con la residua sinistra borghese, con la “sinistra di alternativa” non solo sulle forme che deve assumere la lotta contro la borghesia imperialista per essere efficace, ma anche sul significato e le lezioni della prima ondata della rivoluzione proletaria, sullo sviluppo pratico che nella situazione attuale si può e si deve dare ai sentimenti, alle concezioni e all’esperienza che essa ha sedimentato. Sta a noi mostrare a tutti quelli che già hanno l’intelligenza e la generosità per capirlo 1. che la via indicata dalla “sinistra di alternativa” è fallimentare in prospettiva e nell’immediato paralizza le possibilità di resistenza e porta ogni lotta alla sconfitta, 2. che di contro la strada che noi indichiamo raccoglie e potenzia tutte le forme di resistenza alla borghesia imperialista e di lotta contro le sue imposizioni e apre una prospettiva di vittoria con l’instaurazione del socialismo nel nostro paese, nell’ambito della seconda ondata della rivoluzione proletaria che avanza in tutto il mondo.

Quanto ai nostri rapporti con la “sinistra di alternativa”, è anzitutto essenziale che la nostra autonomia ideologica, politica e organizzativa da essa sia assoluta. Gli amici degli amici degli amici sono destinati alla sterilità. Lasciamoli aggregati alla “sinistra di alternativa” o dipendere da essa. Questo vale per i vari partiti che si sono scissi e si scinderanno organizzativamente dal PRC, dal PdCI, dai DS, ecc. e per quanti ritengono che non ci sia futuro se non collaborando con loro: gruppi e tendenze emersi chiaramente nella preparazione della manifestazione del 9 giugno a Roma. Gioviamoci del loro lavoro, ma non uniamo le nostre sorti alle loro.

Quanto più siamo autonomi dalla borghesia e quindi anche dalla sinistra borghese, quanto più fondiamo le nostre fortune sulla mobilitazione delle masse popolari, sulla crescita della coscienza politica delle masse popolari, sull’elevamento del loro grado di organizzazione e sulla lotta che esse conducono contro la borghesia imperialista, sulla costruzione del nuovo potere proletario alternativo a quello della borghesia imperialista, tanto più potremo utilizzare a nostro favore anche la “sinistra di alternativa”. Approfitteremo del contrasto che la sinistra borghese di governo porta all’interno delle istituzioni borghesi. Approfitteremo di quello che di positivo fa tra le masse popolari la sinistra borghese di opposizione: loro sono i profittatori parassitari e i liquidatori dell’eredità della prima ondata della rivoluzione proletaria; noi ne raccogliamo quello che resta e lo coltiviamo perché è il seme del futuro.

La crisi della sinistra borghese apre ai comunisti nuove possibilità di azione per la rinascita del movimento comunista. Perché? Per due motivi.

1. Da una parte quella crisi è il sintomo e l’effetto dell’acutizzazione dello scontro tra le varie classi delle masse popolari (la classe operaia anzi tutte) e il campo della borghesia imperialista. L’antagonismo degli interessi aumenta, gli interessi diventano sempre più difficilmente conciliabili. La borghesia insiste sulla liquidazione o lo stravolgimento delle conquiste della prima ondata della rivoluzione proletaria e le masse popolari resistono come possono tenuto conto dello stadio a cui è la ricostruzione dello Stato Maggiore della classe operaia. La crisi generale del capitalismo procede.

2. Dall’altra individui e gruppi illusi, che finora erano parte della sinistra borghese, si ricredono: o si abbrutiscono ulteriormente (alcuni abbandonano ogni attività politica e altri addirittura passano alla destra) oppure si spostano a sinistra, vengono verso di noi.

Noi comunisti dobbiamo operare sui due fronti che la crisi ci presenta.

1. Agli operai avanzati e agli elementi avanzati delle altre classi delle masse popolari dobbiamo portare e illustrare l’obiettivo e la parola d’ordine “fare dell’Italia un nuovo paese socialista”. Questa parola d’ordine indica lo sbocco positivo dello scontro di interessi che si acutizza. Dobbiamo illustrare il bilancio del movimento comunista. Questo mostra i mezzi e le forme della lotta che dobbiamo condurre per vincere. Opporsi e rivendicare resta indispensabile, ma se non si combina con la lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista è sempre meno efficace. La sua efficacia dipende sempre più dalla forza con cui gli operai e il resto delle masse popolari perseguono l’obiettivo di fare a meno della borghesia e quindi creano le condizioni organizzative e spirituali per instaurare il socialismo.

2. Ai delusi dalla sinistra borghese dobbiamo spiegare i motivi della crisi e le prospettive positive che essa apre. La sinistra borghese è in crisi perché la borghesia sempre meno può concedere e sempre più deve togliere alle masse popolari. La sinistra borghese era l’espressione politica di un compromesso che la crisi generale del capitalismo rende sempre meno praticabile. Sono venute meno le condizioni oggettive di quello che la sinistra borghese chiamava “compromesso socialdemocratico” (in realtà si trattava delle conquiste che le masse popolari avevano strappato alla borghesia nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria) e un po’ alla volta viene meno anche la sua espressione soggettiva e sovrastrutturale. Il compromesso su cui la borghesia ha basato per alcune decine di anni il suo potere nei paesi imperialisti comportava un piatto di lenticchie per le masse popolari: bisognava che le masse popolari e in particolare la classe operaia fosse disposta e indotta ad accontentarsene (e a questo dovevano provvedere i revisionisti che erano gran parte della sinistra borghese) e che la borghesia fosse in condizioni oggettive di darlo e che fosse disposta a darlo (condizione soggettiva). La crisi riduce le condizioni oggettive e di conseguenza, vista anche la debolezza del movimento comunista, un po’ alla volta si riducono anche le condizioni soggettive delle concessioni. La sinistra borghese è in crisi perché si assottigliano il voto, la simpatia, il sostegno attivo che le masse popolari (e in primo luogo gli operai) davano alla sinistra borghese. Quanto minore diventa l’egemonia della sinistra borghese sugli operai e sulle altre classi delle masse popolari, tanto meno utile è la sinistra borghese alla borghesia, tanto meno la borghesia può servirsi di essa, tanto minore è la parte che la borghesia riserva alla sinistra borghese nella spartizione del bottino, nei privilegi economici, culturali e politici di cui gode la borghesia. La destra borghese rigetta la sinistra borghese, non sa cosa farsene e le masse popolari le riducono la merce di scambio che essa usava nelle sue trattative con la destra borghese. In sintesi, la crisi della sinistra borghese deriva dal fatto che la destra borghese non tollera più la sua azione di disturbo alla governabilità e la parte più avanzata delle masse popolari non si accontenta più dei risultati della sua attività governativa o paragovernativa.

Noi comunisti dobbiamo combinare, nel modo adeguato alle nostre forze di oggi, la costruzione del nuovo potere proletario e la lotta rivendicativa a difesa delle vecchie conquiste e per strapparne di nuove. La lotta rivendicativa è essenziale, non possiamo rinunciare ad essa. Ma essa è efficace solo se la facciamo funzionare come scuola di comunismo e quindi la combiniamo con la lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Se è concepita e condotta solo come tentativo di impedire alla borghesia di fare quello che essa vuol fare, se si riduce a tentativo di paralizzare la borghesia, a conservazione dell’esistente, la lotta rivendicativa è inevitabilmente sterile e perdente. Questo implica che noi comunisti in una certa misura possiamo giovarci anche, in modo diverso, sia della lotta rivendicativa che la sinistra borghese conduce solo come tentativo di paralizzare la borghesia e di conservare l’esistente, sia della lotta puramente difensiva che conducono gli strati meno avanzati delle masse popolari.

In proposito bisogna battere all’interno delle nostra fila i residui di economicismo. Vi sono due concezioni diverse a cui dobbiamo dare battaglia.

1. Da una parte la concezione secondo la quale bisogna limitarsi o, almeno all’inizio (“per legarci alle masse arretrate”) limitarsi alle lotte rivendicative. È una concezione paralizzante e fallimentare.

Quando alle nostre rivendicazioni la borghesia contrappone le leggi del mercato, da cui tutti dipendiamo, noi dobbiamo contrapporre l’eliminazione del mercato. Il capitalismo è basato sul mercato. Non l’umanità. L’umanità ha elaborato il mercato nel corso della sua storia per far fronte a problemi concreti del suo progresso. Se il mercato ora nuoce all’umanità, l’umanità deve abolire il mercato e prima o poi lo abolirà. Le aziende non venderanno né compreranno: ognuna produrrà quello che le commissiona la società da cui riceverà quanto necessario alla sua lavorazione e a cui consegnerà il suo prodotto.

Quando alle nostre rivendicazioni la borghesia contrappone gli equilibri del sistema finanziario, del sistema di debiti, di crediti, di flussi monetari, ecc., noi dobbiamo contrapporre l’abolizione del sistema finanziario. L’umanità ha elaborato il denaro e il sistema finanziario nel corso della sua storia per far fronte a problemi concreti del suo progresso, le relazioni di denaro hanno sostituito le relazioni di dipendenza personale (schiavista, feudale, religiosa, ecc.). Ora il sistema finanziario è diventato un pantano in cui l’umanità affoga, una catena che strozza gli uomini e soffoca la loro vita. L’umanità deve abolire il sistema finanziario e prima o poi lo abolirà. Annullerà i crediti della borghesia e delle sue istituzioni, annullerà i debiti delle masse popolari e la società soddisferà essa i diritti connessi al risparmio delle masse popolari.

In breve, alle obiezioni di buon senso, agli interessi di questa o quella parte delle masse popolari che la borghesia contrappone alle nostre rivendicazioni, noi dobbiamo contrapporre l’instaurazione del socialismo. Senza di questo la lotta rivendicativa non può dispiegarsi su larga scala, diventa facilmente guerra tra parti delle masse popolari e, comunque, non può essere assunta con quella tensione delle forze e della volontà che si dà solo per le grandi e giuste imprese.

2. Dall’altra la concezione secondo la quale le leggi economiche del capitalismo rendono impossibile la vittoria di questa o quella lotta rivendicazione e che rimanda ogni vittoria all’instaurazione del socialismo. Certamente il capitalismo ha sue proprie leggi, le leggi che definiscono la sua natura. I capitalisti le attuano nella misura massima che le circostanze, e in particolare la lotta di classe loro consentono: sfruttano quanto più possono. Ma anche le leggi naturali del capitalismo, come tutte le leggi messe in luce dalle scienze naturali e dalle scienze sociali, vanno intese nell’unico modo realistico che è quello indicato dal materialismo dialettico. Ogni legge naturale o sociale dispiega i suoi effetti in combinazione con altre leggi e con le circostanze in cui opera. Quando il movimento comunista era forte, la borghesia ha fatto concessioni contrarie alle leggi del capitalismo, ha subito i lacci e i laccioli che il movimento comunista le ha imposto. Lo possiamo fare ancora: dipende solo dal rapporto di forze.

Il corso degli avvenimenti ci ha però insegnato che non si può stare fermi. Quando riescono a imporre alla borghesia lacci e laccioli, le masse popolari devono andare più avanti e toglierle tutto, cambiare l’ordinamento sociale, imparare a regolare la loro vita da sé stesse, senza padroni, organizzandosi, passare dalla coercizione sulla borghesia al libero dispiegamento delle masse organizzate. Se non facciamo questo, i vantaggi della nuova situazione non si dispiegano pienamente, le costrizioni e le distorsioni che i lacci e i laccioli impongono alla borghesia si ripercuotono negativamente su tutta la società e prima o poi la borghesia riprende il sopravvento e riconquista la sua libertà. Bisogna instaurare il socialismo e marciare verso il comunismo. Questa è la lezione che il corso degli avvenimenti ci ha dato e che dobbiamo porre in primo piano oggi, nell’ambito della crisi della sinistra borghese, nella lotta per indurre gli operai più avanzati e gli elementi più avanzati delle altre classi delle masse popolari a impugnare la bandiera delle rinascita del comunismo e del consolidamento e del rafforzamento del nuovo Partito comunista italiano.

Non c’è nulla di fatale nella vittoria che la borghesia imperialista ha conseguito in questi anni. Le nostre forze non sono affatto compromesse: sono solo indebolite, disorientate e disperse. I disfattisti e i liquidatori ingigantiscono ad arte le difficoltà della rinascita del movimento comunista. La globalizzazione è una catena che i capitalisti hanno imposto a tutti i paesi approfittando della debolezza del movimento comunista e della sua crisi: tutti i popoli ne soffrono e molti sono già insorti e resistono. I popoli arabi e musulmani stanno opponendo un’eroica resistenza all’aggressione imperialista e stanno dando un aiuto potente a tutti i popoli oppressi e a tutte le classi sfruttate del mondo: il ruolo che le forze feudali hanno nella direzione della loro resistenza non cancella questo innegabile fatto. Bin Laden è stato certamente un agente degli imperialisti americani ed è un fervente cultore di relazioni feudali, ma nella storia futura sarà celebrato come l’“eroe dei due mondi” del nostro tempo. Gli imperialisti americani riescono a reggere la situazione solo ricorrendo all’interno del paese e all’estero a un sistema che ha sempre meno da invidiare a quello con cui Hitler tenne soggetta per alcuni anni l’Europa. I lavoratori precari sono nuovamente ridotti alla condizione dei lavoratori di cento anni fa e come loro lotteranno contro la borghesia e le sue autorità. La precarietà ha riportato i rapporti tra lavoratori e padroni a cento anni fa. Non più indietro. Anzi i lavoratori precari di oggi mantengono alcuni vantaggi rispetto ai lavoratori di cento anni fa: da una parte sanno che i lavoratori avevano conquistato relazioni di lavoro più favorevoli, dall’altra continuano ad esistere accanto a loro lavoratori che ancora hanno un contratto collettivo nazionale di lavoro, per quanto sempre più minacciati di perderlo anch’essi. Il tentativo della borghesia di saldare i pensionati al successo del capitale finanziario, è ancora lungi dall’aver vinto. Il governo esita a dare i risultati del “referendum” sul TFR che si è svolto tra 13 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato nei primi sei mesi dell’anno: verosimilmente perché i risultati gli sono sfavorevoli. Nonostante la trappola del silenzio-assenso, la collaborazione interessata dei sindacati di regime e tutte le altre armi di cui la borghesia si è avvalsa, con ogni verosimiglianza non più del 30% del totale dei 13 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato ha in qualche misura legato il suo futuro al capitale finanziario e si tratta per lo più dei settori più benestanti, più asociali, più abbrutiti, più arretrati, più corrotti, meglio pagati. Nonostante il quotidiano, subdolo e fraudolento sabotaggio della mobilitazione popolare condotto dalla borghesia, dai sindacati di regime e dalle altre grandi organizzazioni popolari dirette dall’ala destra dell’aristocrazia operaia, la mobilitazione delle masse popolari continua in misura rilevante. La borghesia non ha nulla da offrire alle masse popolari: questo è l’elemento principale di debolezza della borghesia e dei suoi agenti, a cui la borghesia non ha rimedio. Noi comunisti rappresentiamo il mondo che le masse popolari possono conquistare e che hanno bisogno di conquistare per sfuggire all’inferno in cui la borghesia li sprofonda ogni giorno di più.

La rinascita del movimento comunista è una necessità per le masse popolari e ci sono mille aspetti favorevoli al successo dell’opera dei comunisti che vi si dedicheranno con generosità e intelligenza, senza riserve.

 

Condurre a ogni livello territoriale e in ogni settore un’analisi materialista dialettica del contesto in cui si svolge il lavoro per consolidare e rafforzare il nuovo Partito comunista e derivarne piani di lavoro!

 

Compito dei comunisti è spingere avanti ogni movimento delle masse popolari, sulla base di una profonda comprensione delle condizioni, delle forme e dei risultati della lotta di classe!

 

Fare dell’Italia un nuovo paese socialista è la sintesi di tutte le aspirazioni delle masse popolari, la via per realizzare gli obiettivi di tutti i movimenti delle masse popolari!

 

Mille movimenti e mille rivoli compongono il grande fiume della rivoluzione socialista!

 

Sostenere ogni movimento delle masse popolari: ogni lotta delle masse popolari se prosegue senza riserve sfocia in lotta contro la borghesia imperialista!

 

Fare di ogni lotta e di ogni movimento una scuola di comunismo!

 

Il consolidamento e rafforzamento del nuovo Partito comunista è il mezzo principale e indispensabile per rendere più efficace la lotta delle masse popolari!

 

Viva la rinascita del movimento comunista!

 

Costruire in ogni azienda, in ogni zona d’abitazione, in ogni organizzazione di massa un comitato clandestino del (n)PCI!