Progetto di Manifesto Programma - Capitolo I

1.2. Le classi e la lotta di classe

martedì 11 luglio 2006.
 

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1.2. Le classi e la lotta di classe

Le classi non sono sempre esistite e non esisteranno in eterno. Lo studio della preistoria ha mostrato che nelle società più primitive non esistevano classi e ha permesso di ricostruire a grandi linee i passaggi attraverso i quali esse gradualmente si sono formate. La divisione degli uomini primitivi in classi è legata a una determinata fase storica di sviluppo della loro attività produttiva. In seno alla società primitiva sorse spontaneamente la divisione del lavoro, come misura che accresceva la forza produttiva del lavoro umano. Questa divisione implicava uomini e donne sistematicamente occupati in lavori distinti e determinati rapporti tra loro. Con la divisione sociale del lavoro e i rapporti che in quelle condizioni l’accompagnarono si sviluppò la proprietà privata dei mezzi e delle condizioni della produzione (in primo luogo la terra) che gradualmente sostituì la proprietà comune. Come risultato di ciò nacquero le classi. I rapporti tra le classi si svilupparono gradualmente al punto che alcune classi non partecipavano più alla produzione delle condizioni materiali dell’esistenza e vivevano del prodotto del lavoro delle altre. Solo la separazione degli uomini in classi dominanti e in classi oppresse poteva costringere degli uomini a produrre sistematicamente e in quantità crescente più di quanto essi stessi consumavano. Quindi la divisione degli uomini e delle donne in classi di oppressi e di oppressori si impose sul comunismo primitivo perché, in una società assillata dalla lotta contro la natura per strapparle quanto necessario alla propria sopravvivenza, creava un contesto adatto allo sviluppo di forze produttive maggiori e alla nascita di livelli superiori di civiltà. Nacquero così le società divise in classi. La storia dell’umanità da alcuni millenni a questa parte è la storia delle società divise in classi di oppressi e di oppressori, di sfruttati e di sfruttatori. Le società a comunismo primitivo da allora sono sopravvissute solo come forme di civiltà inferiore, isolate rispetto alla corrente principale e gradualmente travolte e cancellate da questa.

In tutte le società divise in classi di oppressi e di oppressori riscontriamo alcune caratteristiche. Le relazioni economiche tra le classi, i rapporti di produzione, comprendono fondamentalmente tre aspetti: il possesso dei mezzi e delle condizioni necessarie per produrre (forze produttive), le relazioni tra gli uomini nel processo lavorativo, la distribuzione e l’impiego del prodotto. Le forze produttive

Le forze produttive della società comprendono:


-  la capacità lavorativa umana (forza-lavoro),
-  l’esperienza e la conoscenza impiegate nel processo lavorativo (la professionalità),
-  gli utensili, le macchine, gli impianti e le installazioni che i lavoratori usano nel processo produttivo,
-  gli animali, i vegetali, i minerali e le altre risorse naturali impiegate nella produzione.

e i rapporti di produzione costituiscono un’unità di opposti, due termini distinti costitutivi della società tra i quali esiste un rapporto di unità e lotta, nel senso che date forze produttive hanno richiesto determinati rapporti di produzione ad esse corrispondenti e questi a loro volta hanno permesso lo sviluppo di forze produttive superiori che hanno richiesto nuovi rapporti di produzione.

L’insieme delle forze produttive e dei rapporti di produzione costituiscono la struttura della società, la base materiale, economica, della lotta tra le classi. L’esistenza e la natura di una classe, l’unità tra i suoi membri, non sono determinate dalla coscienza dei suoi membri, ma dalla situazione e dal ruolo che essi svolgono nel modo di produzione. La lotta tra le classi dominanti e le classi oppresse è la forza motrice dello sviluppo delle società divise in classi.

La lotta di classe fece sorgere fin dai tempi remoti lo Stato come strumento della classe dominante, come associazione dei suoi membri per regolare i loro affari e per tenere a bada le altre classi. Lenin ha dimostrato che "lo Stato sorge nel luogo, nel momento e nella misura in cui le contraddizioni di classe non possono oggettivamente conciliarsi".

Lo Stato


L’essenza dello Stato è il monopolio della violenza che la classe economicamente dominante avoca a sé. Lo Stato è fondamentalmente costituito dall’insieme degli organi deputati ad esercitarla (polizia, forze armate, magistratura, carceri, ecc.).


L’esposizione più sistematica della teoria marxista dello Stato è nell’opuscolo di V.I. Lenin, Stato e rivoluzione (1917), in Opere, vol. 25. Le concezioni dello Stato che gli opportunisti e i revisionisti hanno avanzato dopo Lenin, fino allo "Stato di tutto il popolo" proposto da Kruscev nel 1961 al ventiduesimo congresso del PCUS, non presentano novità teoriche rispetto a quelle smascherate da Lenin.


L’origine dello Stato è descritta nell’opera F. Engels, L’origine, della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (1884).

Lo Stato divenne uno strumento di potere della classe economicamente più potente; con lo Stato questa acquisì nuovi mezzi per sottomettere e sfruttare le classi oppresse. La parte essenziale dello Stato consiste nel fatto che la classe sfruttatrice avoca a sé, come suo monopolio e diritto esclusivo, l’uso della violenza e lo vieta alle altre classi. In una società divisa in classi di sfruttati e di sfruttatori il cui contrasto è inconciliabile, è incompatibile con la costituzione economica della società che il monopolio della violenza sia esercitato da una classe diversa da quella economicamente dominante. L’uso della violenza da parte degli sfruttati non può che dar luogo alla guerra civile e la vittoria degli sfruttati consiste precisamente nel mettere fine allo sfruttamento e alla classe che deteneva sia il "diritto" di sfruttare sia il monopolio della violenza. Al di fuori della guerra civile, gli sfruttatori hanno il monopolio della violenza e gli sfruttati cercano di far limitare lo sfruttamento e la violenza della repressione tramite regole e leggi che gli sfruttatori cercano sempre di usare per intensificare lo sfruttamento o di aggirare.

Nella società borghese il monopolio della violenza si traduce in un insieme di strumenti professionali di repressione basati sulla divisione del lavoro: forze armate, polizia, magistratura, carceri, codici e leggi. Accanto a questo ruolo, la borghesia ha sviluppato al massimo grado per il suo Stato un altro ruolo e una pretesa: di essere il centro che promuove l’espressione della volontà comune della società e la attua, di organizzare e dirigere gli affari sociali con un suo corpo di pubblici funzionari di professione, quindi di far funzionare il suo Stato come organismo generale della società, suo delegato e rappresentante. Quest’ultimo ruolo fa però a pugni con l’antagonismo delle classi che la società borghese porta per natura in sé. Questa pretesa della borghesia imperialista raggiunge la sua massima realizzazione nel capitalismo monopolistico di Stato,

Il capitalismo monopolistico di Stato è la combinazione dei monopoli e del capitale finanziario (quindi non generalmente dell’intera classe borghese - cosa che già esisteva, ma dei monopolisti e dei re della finanza) con lo Stato. Essa sorse nell’epoca imperialista ed ebbe una crescita particolarmente rapida con la Prima guerra mondiale. Nelle società a capitalismo monopolistico di Stato, questo e la pubblica amministrazione assumono direttamente un ruolo determinante nella vita economica per imporre gli interessi della ristretta oligarchia dei capitalisti monopolisti e dei re della finanza a tutto il resto della società, anche al resto della borghesia (fine della democrazia borghese). Il capitalismo monopolistico di Stato è il massimo risultato degli sforzi della borghesia di regolare il movimento economico della società pur restando nell’ambito della proprietà privata e della libera iniziativa individuale dei capitalisti.

il suo Stato diventa il centro degli affari e degli intrighi della borghesia imperialista e delle sue lotte intestine che si sviluppano però dietro la maschera della cura e della regolazione degli affari dell’intera società e di tutte le classi e dell’osservanza delle leggi pubblicamente poste. Nella società socialista, con la dittatura della classe operaia quella che per la borghesia imperialista era una pretesa economicamente irrealizzabile,

Economicamente irrealizzabili sono quelle rivendicazioni che sono incompatibili con la natura del modo di produzione dominante.


Riferimento: V.I. Lenin, Intorno a una caricatura del marxismo e all’"economicismo imperialista" (1916), in Opere, vol. 23.

diventerà invece realtà rispetto alla stragrande maggioranza della società: gli operai e gli altri lavoratori. Poi gradualmente, con la scomparsa della borghesia e l’estinzione della divisione in classi e dei rapporti e delle concezioni che ne sono derivati, si estinguerà lo Stato come monopolio della violenza e della repressione. Si svilupperà invece un sistema di organismi della libera associazione di tutti i lavoratori, incaricati di gestire gli affari dell’intera società.

Le relazioni tra le classi e le loro lotte non si limitano quindi all’ambito della vita economica. Nella relazione tra chi dispone dei mezzi e delle condizioni della produzione e chi li usa si trova la chiave della struttura del potere politico, il motivo della sua esistenza e il suo ruolo. Perciò la lotta tra le classi antagoniste diventa lotta per il potere politico. La divisione in classi impregna però anche tutto il resto della vita della società classista e coinvolge tutto il sistema di relazioni sociali. Essa si manifesta quindi nel terreno della sovrastruttura, nella politica, nell’ideologia e, in generale, in tutta la vita spirituale.

L’esperienza della produzione e della lotta tra le classi, cioè l’esperienza pratica di tutti i membri della società, è in definitiva la fonte prima delle sensazioni, dei sentimenti e delle idee con cui gli uomini rappresentano a se stessi la loro vita e con cui conducono le lotte che essa comporta. La trasformazione della società è regolata da leggi oggettive proprio nel senso che l’esperienza pratica genera negli uomini e nelle donne sensazioni, sentimenti e idee con cui gli uomini e le donne risolvono le contraddizioni oggettive che determinano lo sviluppo della società e perseguono gli obiettivi che la stessa esperienza pratica pone. In questo modo gli uomini e le donne attuano le leggi oggettive dello sviluppo della società.

La sostituzione del comunismo al capitalismo è una legge oggettiva della vita sociale. Chi attua questa legge? Chi trasforma la realtà in conformità a questa legge? La classe operaia con il suo partito comunista, le sue organizzazioni di massa, le sue lotte, la sua direzione sul resto del proletariato e delle masse popolari. La sua diretta esperienza spinge la classe operaia ad assumere questo ruolo finché non l’ha adempiuto. La sostituzione del comunismo al capitalismo è quindi un evento inevitabile nel senso preciso che il capitalismo, finché non sarà scomparso, spingerà e costringerà la classe operaia ad assumere quel ruolo. Ogni volta che essa verrà meno ad esso e rinuncerà quindi al suo compito storico, il capitalismo creerà le condizioni perché nel seno della classe operaia e nel seno della società sorgano nuove schiere di comunisti che riporteranno la classe operaia alla lotta per il potere e per il comunismo. In questo senso una legge sociale è una legge oggettiva. Non nel senso caricaturale che a volte alcuni nostri avversari e alcuni nostri pericolosi amici danno alla nostra affermazione, cioè non nel senso che una legge oggettiva si attuerebbe senza l’intervento delle masse e degli uomini in genere.

Quindi lo studio dell’esperienza pratica permette anche di capire l’origine, il significato reale e il ruolo delle sensazioni, dei sentimenti e delle idee esistenti; mentre in generale è vano il tentativo di spiegare la realtà esistente cercando la sua origine nei sentimenti, nelle idee, nelle aspirazioni e nelle volontà degli individui, dei gruppi e delle classi sociali.

Nell’epoca del capitalismo, nella società si sono formate due grandi classi nemiche che si affrontano: la borghesia e la classe operaia.

Nei primi secoli della vita del modo di produzione capitalista il proletariato era composto praticamente solo di lavoratori manuali dell’industria, perché solo la produzione industriale era stata assorbita nel modo di produzione capitalista. Da qui l’abitudine che per inerzia si trascina di considerare operai solo i lavoratori manuali dell’industria. Un po’ alla volta il modo di produzione capitalista si è però esteso anche agli altri settori produttivi, ha creato nuovi settori e ha approfondito la divisione del lavoro all’interno delle aziende: di conseguenza entrarono a far parte del proletariato anche i lavoratori di altri settori e lavoratori non manuali. Fino alla seconda metà del secolo XIX classe operaia e proletariato erano tuttavia grossomodo ancora la stessa cosa. "Per proletariato si intende la classe degli operai salariati moderni che, non possedendo alcun mezzo di produzione, sono costretti a vendere la loro forza-lavoro per vivere" (Engels). Nella fase imperialista della società borghese, la proletarizzazione della società si è estesa, altri lavoratori sono stati ridotti allo stato di proletari (cioè di lavoratori che per vivere devono vendere la loro forza-lavoro) pur non lavorando alle dipendenze di un capitalista per valorizzare il suo capitale. Sono così sorte nuove classi proletarie, diverse dalla classe operaia. Attualmente la classe operaia è solo una componente del proletariato.


A seguito dello sviluppo della proletarizzazione della società, oggi il proletariato comprende quindi anche altre classi, oltre alla classe operaia: i dipendenti pubblici e di enti non aventi fine di lucro, i dipendenti di aziende non capitaliste (artigiane, familiari, cooperative, ecc.), i dipendenti assunti per il servizio personale dei ricchi. Per una migliore comprensione di questo argomento, rinviamo al capitolo 3.2. di questo Manifesto Programma.

Al principio la lotta tra queste due classi assunse la forma di lotta economica. Era la lotta di una parte o di un gruppo di operai contro un solo capitalista, ora in una ora in un’altra fabbrica. Questa lotta non coinvolgeva ancora le basi del sistema di sfruttamento. Il suo scopo cosciente e dichiarato non era di eliminare lo sfruttamento, ma di attenuarlo, di migliorare la situazione materiale e le condizioni di lavoro. Questa prima forma di lotta svolse un ruolo importante, perché organizzò ed educò gli operai; però allo stesso tempo mise in luce il suo carattere limitato. L’intervento dello Stato a difesa dei capitalisti nella lotta economica fece comprendere agli operai che la loro lotta doveva assumere carattere politico, che dovevano strappare allo Stato nemico leggi e misure a proprio favore (riforme). Più tardi, col marxismo, gli operai raggiunsero la coscienza più piena della propria situazione sociale. La loro lotta diventò più cosciente, fino ad assumere un carattere superiore, la forma di lotta per abbattere lo Stato della borghesia, costruire un proprio Stato e, grazie al potere conquistato, eliminare lo sfruttamento e le basi storiche di questo: la divisione della società in classi. La lotta economica, la lotta politica per conquistare riforme e la lotta rivoluzionaria per il socialismo sono oggi tre campi distinti di lotta oggettivamente legati tra loro. Il partito comunista deve dirigere il movimento nei tre campi in modo da portare la lotta rivoluzionaria alla vittoria.

Di tutte le classi in contrasto con la borghesia, anche di quelle schiacciate e oppresse dalla borghesia, solo la classe operaia può assumere la direzione della lotta comune contro la borghesia e portarla alla vittoria definitiva. Essa infatti, oltre a essere, per il ruolo che svolge nella stessa società capitalista, la più cosciente e organizzata tra tutte le classi popolari, è la classe portatrice di un modo di produzione nuovo, superiore, il modo di produzione comunista. Infatti la classe operaia può migliorare stabilmente e su grande scala la propria condizione nella società solo abolendo in generale la proprietà privata dei mezzi di produzione, instaurando rapporti di produzione pienamente corrispondenti al carattere collettivo

Carattere collettivo delle forze produttive


Per accrescere la produttività del lavoro umano la borghesia ha dovuto sviluppare forze produttive collettive, cioè tali che la quantità e qualità delle ricchezze prodotte dipendono sempre meno dalle capacità, qualità e caratteristiche del singolo individuo e in misura sempre maggiore dall’insieme organizzato degli individui, il collettivo, dalle condizioni in cui il collettivo lavora e dalla combinazione di questi e di altri elementi. Parallelamente il singolo lavoratore è stato ridotto all’impotenza: egli può procurarsi da vivere solo se inserito in un collettivo di produzione.

già raggiunto dalle forze produttive e mettendo così fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e a ogni divisione in classi.

La nascita delle classi è stato il risultato dello sviluppo spontaneo della società. Al contrario, la scomparsa delle classi può essere solo il risultato della lotta cosciente della classe operaia, che conduce all’instaurazione della sua dominazione politica e al socialismo, tappa di transizione necessaria sulla via della scomparsa di tutte le differenze di classe. Ma la coscienza della classe operaia è in definitiva generata dalla contraddizione fondamentale della società borghese. È per questo che la lotta per il comunismo prosegue inarrestabile e rinasce dopo ognuna delle sconfitte che accompagnano il suo sviluppo, come accompagnano lo sviluppo di ogni nuova grande conquista degli uomini.