La Voce 4

Lettere a La Voce

mercoledì 8 marzo 2000.
 

prima lettera

seconda lettera

Ai compagni e alle compagne della CP

Saluto con gioia e speranza la decisione di creare la Commissione Preparatoria del congresso di fondazione del Partito.

Il lavoro che vi (o meglio ci, dato atto che chiamate giustamente i compagni tutti a dare il proprio contributo per la preparazione del congresso) vede protagonisti e attori, non è sicuramente facile, vi (ci) troveremo davanti a difficoltà di ogni genere sia soggettive che oggettive.

Soggettive perché lo sforzo culturale che ciò presuppone è notevole: il liberarsi da abitudini e vissuti piccolo-borghesi che la società in cui viviamo e siamo calati ci impone comporta un profondo lavoro personale interno, per permetterci di sollevare lo sguardo oltre i confini imposti e vedere la realtà e l’alternativa a quel "pensiero unico" che ci avvolge e ci ottenebra sia collettivamente (come categoria umana) che, appunto, come singolo soggetto. È, credo, un lavoro profondo e non semplice che difficilmente si riesce a portare a compimento da soli e comunque in breve tempo. Compagni che per anni hanno lavorato anche criticamente hanno dimostrato il loro limite personale (e anche delle diverse organizzazioni ove questi hanno svolto la loro azione, organizzazioni che non sono state capaci di evidenziare attraverso il percorso della critica e dell’autocritica questo pericolo), si sono dimostrati, alla resa dei conti, incapaci di posizionarsi esternamente ai limiti loro imposti dalla borghesia imperialista. Anche a questo problema si può far risalire la difficoltà vissuta dal movimento rivoluzionario italiano e internazionale. Qualcuno ha detto che prima di far la rivoluzione è necessario rivoluzionare i rivoluzionari. I compagni cinesi, con la grande Rivoluzione Culturale, hanno cercato, fra i diversi problemi affrontati, di sottolineare questo aspetto. Il Partito avrà anche questo compito: formare compagni sinceramente rivoluzionari, dotati di una forte capacità teorica e di analisi, compagni che guardino oltre il fiume e possano essere strumenti attraverso i quali il movimento rivoluzionario avanzi concretamente verso la società socialista prima e comunista poi. Senza il Partito ciò non pottrà avvenire parché

esso sarà coagulo di questa esigenza soggettiva e diffusore dell’esperienza che da essa se ne trarrà.

Mi sembra, senza voler apparire smodatamente e inopportunamente ossequioso, che già in questa fase di preparazione al Congresso, la CP sia già stata chiamata a dare indicazioni relativamente a questa questione: sia attraverso la pubblicazione di Martin Lutero sia attraverso la risposta data a chi poneva l’esigenza di un "programma minimo" . Credo che purtroppo la CP, man mano che procederà il lavoro di preparazione al congresso e ancor di più nel congresso stesso, sarà chiamata a prendere posizione rispetto a questo grave limite culturale (il purtroppo è in realtà anche un per fortuna perché essa attraverso questo agire permetterà a se stessa e ai compagni tutti di compiere, spero, un ulteriore passo in avanti).

I problemi oggettivi penso siano talmente evidenti che credo sia quasi inutile sottolinearli: siamo come una pattuglia in territorio nemico e stiamo cercando di costruire una testa di ponte. Il nemico possiede strumenti a iosa, armi, capacità economica, intelligence, conoscenza del territorio, ma ha dei grandi limiti: non è coeso, deve dispiegare la propria azione utilizzando una enorme energia per contenere le istanze centrifughe che lo attraversano e gli obbiettivi che persegue sono cosi diversificati e in contrapposizione tra di loro che rendono questo gigante un gigante che cammina su una sottile lastra di ghiaccio.

Ai compagni e alle compagne della CP giunga la mia stima e l’augurio di un buon lavoro a cui spero, superando i miei personali e vasti limiti, di poter fornire un piccolo contributo.

Marco E.

Novembre ‘99


Lettera a La Voce   (estratto)

prima lettera

seconda lettera

 

Occorre riconoscere le differenze e valorizzarle per il lavoro di trasformazione.

In linea generale anche un compagno che ha molte buone qualità, non deve cercare di far diventare gli altri eguali a lui. Tutti uguali. È come se in un’orchestra il direttore violinista dicesse al pianista e ai fiati di imparare tutti a suonare il violino. Per essere uguali. Non di imparare all’occorrenza a suonare l’organo invece del piano o il sassofono invece del clarinetto. No, tutti il violino.

Non riconoscere le diversità e l’utilità delle diversità ma uniformare tutti allo stesso strumento in nome della uguaglianza provoca enormi danni.

Innanzi tutto tutta l’esperienza dei pianisti e dei fiati viene buttata via, tutti cominciano a suonare uno strumento da zero, si accingono a farlo con tanta buona volontà ma la strada è dura, la loro impostazione è un’altra, le qualità che hanno sviluppato sono altre.

Ce la mettono tutta a suonare il violino, ma le loro dita non ce la fanno, il loro polso non sente le vibrazioni delle corde, hanno bisogno di battere un tasto, di soffiare una vibrazione, non riescono in questo modo a tirare fuori l’anima. Eppure ce la mettono tutta. Vorrebbero diventare come il violinista, ma non ce la faranno mai. E lui diventerà invece sempre più bravo e dall’alto della sua maestria spronerà i più caparbi a perseverare. E nonostante mille sforzi si accorgeranno di non essere all’altezza del violinista, cominceranno a sentirsi inferiori, incapaci, limitati.

In questo modo la ricerca dell’uguaglianza ha portato alla distruzione di un’orchestra, ha demoralizzato i maestri e ha creato un capo di un inutile gruppo che potenzialmente è una buona orchestra.

Questo violinista non diventerà mai un comunista.

Infatti solo riconoscendo le differenze e valorizzandole si ottengono dei risultati. Negandole o dando dei giudizi morali soggettivi e cercando di modificarle di conseguenza si fanno dei danni.

Se non si vede la differenza tra le masse e i comunisti non si può diventare comunista. Solo comprendendo la necessità sia della pratica delle masse sia della teoria/coscienza dei comunisti si può diventare comunisti.

Chi vuole far diventare le masse dei veri comunisti, oltre ad essere un soggettivista non ha capito l’importanza delle masse. Non ha capito che sono loro lo strumento che praticamente plasma il mondo, loro lo hanno edificato e loro lo plasmeranno, con la loro forza, nella forma necessaria alla loro riproduzione, nella forma conforme allo sviluppo della realtà. È la loro pratica che trasformerà la società capitalista in società comunista.

Questi sedicenti comunisti non hanno capito l’importanza del lavoro delle masse, vogliono insegnare alle masse a fare le FSRS ed essi si sforzano di fare il lavoro delle masse.

Le masse nelle parole, nella cultura, nella elaborazione delle percezioni materiali adoperano gli strumenti che gli dà la cultura dominante, tanto più quanto più debole è il movimento comunista. Quindi se valutate solo, o principalmente, in base alla coscienza che hanno del mondo e di sé, sono reazionarie. Quindi i soggettivisti le considerano arretrate e nemiche.

A loro volta le FSRS che non vogliono riconoscere la differenza tra esse e le masse, si sforzano di fare il lavoro delle masse, di plasmare il mondo a immagine della necessità della riproduzione delle condizioni di vita materiali che loro si immaginano siano delle masse, ma non ce la faranno mai e le masse le prendono per degli avventurieri, degli allucinati fuori dal mondo con i piedi per aria.

Non riconoscere e valorizzare le diversità porta a non capirne l’importanza. A non capire quanto sia importante la pratica delle masse, la loro esperienza frutto di millenni di pratica, l’onnipotenza della loro azione, il carattere supremo e indispensabile del loro lavoro.

Solo capendo questo noi non ci mettiamo in testa di cambiare la coscienza delle masse ma ci mettiamo alla scuola della loro pratica. Capiamo che la loro pratica ci è indispensabile, che solo attraverso essa noi possiamo imparare a diventare comunisti. Solo la lotta di classe e la pratica delle masse ci può insegnare ad essere all’altezza dei compiti. Solo andando a scuola della pratica delle masse noi potremo imparare a indicare loro la via per trovare le soluzioni ai problemi odierni.

Solo capendo la necessità di queste diversità possiamo capire la loro importanza.

Chi vuole portare l’uguaglianza e quindi l’appiattimento, è votato alla sconfitta.

Non è reazionario chi riconosce la differenza e la valorizza, ma chi a questa differenza dà una valenza morale e decide che il ruolo delle FSRS è migliore e più importante in ogni fase e quindi, spinto da una “giustizia superiore”, decide che per essere giusti bisogna che le masse facciano le FSRS e viceversa.

Chi ragiona così non ha capito che, a differenza delle FSRS, la cultura delle masse è abitudine, pregiudizio, è merda come la cultura dominante, ma che la pratica delle masse è preziosa e ci è indispensabile come l’aria.

Se la coscienza che hanno di sé è negativa e reazionaria, la loro pratica esprime, attraverso la formazione delle FSRS che si mettono alla sua scuola, la necessità di comunismo che hanno.

Le masse dichiarano la loro voglia di comunismo attraverso la pratica e la estrinsecano, la fanno diventare carne attraverso la formazione dei loro futuri dirigenti.

Solo così capiamo qual è il lato rivoluzionario delle masse e delle FSRS che va preso in considerazione e valorizzato.

Martino A.

Luglio ‘99